martedì 25 Novembre 2025
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La più grande operazione di sempre della polizia brasiliana nelle favelas di Rio

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Lo Stato brasiliano di Rio de Janeiro ha lanciato la più grande e sanguinosa operazione nelle favelas della propria capitale. L’operazione, denominata “Operazione Contenimento”, ha mobilitato 2.500 agenti tra polizia di Stato e polizia militare, con il supporto di droni e mezzi blindati; l’obiettivo era quello di colpire i vertici del gruppo criminale Comando Vermelho, attivo nel traffico di stupefacenti. Nel corso dell’operazione, si sono verificati duri scontri tra gli agenti e i membri del gruppo, che hanno aperto il fuoco, incendiato autobus ed eretto barricate; al termine della giornata, sono state arrestate 81 persone, e altre 64 tra civili, agenti e miliziani sono state uccise; a queste si aggiungono altri 68 cadaveri trovati dai residenti dei quartieri coinvolti dall’Operazione. Davanti a tale bilancio, l’ONU e quasi 30 ONG hanno condannato la violenza perpetrata dallo Stato di Rio, e il presidente Lula ha organizzato una riunione governativa per parlare della questione.

L’Operazione Contenimento è scattata nella mattina di ieri, martedì 28 ottobre. I 2.500 agenti dello Stato di Rio sono stati dispiegati nei complessi di Alemão e in quelli del quartiere di Penha, nel nord della città, dove si stima che vivano complessivamente circa 200.000 persone. Al lancio dell’operazione, il governatore dello Stato, Cláudio Castro, ha intimato ai residenti di rimanere nelle loro case fino al termine dei raid. La missione era rivolta alla «esecuzione di decine di mandati di cattura» ed è stata lanciata dopo oltre un anno di indagini condotte dalla Divisione per il Contrasto agli Stupefacenti. Oltre agli agenti e ai militari, sono stati coinvolti membri della Procura di Stato, e sono stati messi a disposizione diversi droni, 2 elicotteri, 32 veicoli terrestri blindati e 12 veicoli da demolizione.

La giornata ha portato a diversi scontri tra le parti: gli agenti hanno prima di tutto circondato e isolato i quartieri; i miliziani hanno risposto ingaggiando scontri a fuoco con le forze dello Stato di Rio, e hanno anche impiegato droni per lanciare ordigni esplosivi e rallentare l’avanzata degli agenti. Durante i combattimenti, durati diverse ore, i membri del Comando Vermilho hanno rubato decine di autobus, dato fuoco ad altrettanti veicoli, bloccato strade e quartieri ed eretto barricate per contrastare l’operazione. Al termine dell’operazione sono morte 132 persone, di cui almeno 4 agenti. Lo Stato di Rio ha fatto sapere di avere arrestato diversi membri di spicco della banda, facendo i nomi del braccio destro di “Doca”, uno dei leader del Comando Vermelho, e di Thiago do Nascimento Mendes, noto come “Belão do Quitungo”, leader del gruppo in un’area della città. Oltre ad avere arrestato 81 persone, gli agenti hanno anche sequestrato diverse armi, tra cui 18 fucili nella zona di Vacaria, all’interno del complesso della favela di Penha.

L’Operazione Contenimento ha causato un forte moto di sdegno da parte della società civile. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari si è detto «inorridito» dall’operazione di polizia, ricordando «alle autorità i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale dei diritti umani». Alle dichiarazioni dell’ONU hanno fatto eco quelle di 27 ONG brasiliane e internazionali che hanno chiesto alle autorità di indagare sui fatti di ieri accusando l’amministrazione di Rio di porre la città in uno «stato di terrore». Sul versante politico, invece, Lula ha chiamato una riunione di emergenza che si terrà oggi stesso, mentre il governatore Castro – politicamente vicino all’ex presidente Bolsonaro – ha rivendicato il «duro colpo inferto alla criminalità» e predicato la necessità di «unione» con il governo centrale nel contrasto al narcotraffico. In passato Castro è stato molto duro con l’amministrazione Lula affermando che il presidente starebbe lasciando Rio da sola a gestire l’emergenza delle favelas.

Le favelas sono le baraccopoli brasiliane che hanno sede all’interno di interi quartieri di molte grandi città del Paese. Sebbene presenti in diverse aree del Brasile, esse sono prevalentemente diffuse nella stessa Rio de Janeiro, dove sorge questa forma di insediamento. La nascita delle favelas risale alla fine del XIX secolo: con l’abolizione della schiavitù tramite la legge aurea del 1888 e l’ondata migratoria dall’Europa, Rio visse un ingente sviluppo demografico, che affollò le aree centrali della città e spinse le persone più povere a cercare forme alternative di abitazione. In quegli anni erano diffusi i cosiddetti Cortiços case con i servizi in comune le cui singole stanze venivano date in affitto a intere famiglie. Vista la proliferazione dei Cortiços, l’amministrazione cittadina ne contrastò la diffusione, demolendoli. In seguito a una grande operazione di demolizione, i cittadini rimasti senza casa si organizzarono per mettere in piedi un nuovo insediamento presso il Morro da Providência (letteralmente “Collina della Provvidenza”), dove più tardi, nel 1897, vennero raggiunti dai soldati che avevano combattuto la Guerra di Canudos. Con il loro arrivo, si fa coincidere la nascita effettiva della prima favela.

Negli anni che vanno dall’inizio del ‘900 agli anni ’70, le favelas si espansero e iniziarono a ospitare sempre più cittadini: negli anni ’40 la loro costruzione fu trainata dalla crisi abitativa del Paese, e nei decenni successivi dal processo di industrializzazione del Brasile, che spinse sempre più persone dalle aree rurali all’interno delle città. Nonostante il governo centrale abbia più volte provato a smantellarle, non ci è mai riuscito; con gli anni, il degrado sociale e le condizioni di povertà dei residenti hanno favorito la nascita e il concentramento all’interno delle favelas di attività criminali. Al 2022, si stimava che all’interno delle favelas vivessero circa 16,4 milioni di persone (più dell’8% della popolazione); negli ultimi anni, il numero di residenti e di insediamenti è aumentato. Le famiglie vivono all’interno di case costruite con materiali di recupero dalle condizioni sanitarie e di sicurezza precarie; registrano entrate per circa 100 dollari al mese, meno di un sesto dello stipendio medio nazionale. All’interno dei quartieri, le bande di narcotrafficanti esercitano una forte influenza, controllando interi territori e infiltrandosi nelle istituzioni locali.

Bosnia: gli USA rimuovono le sanzioni al presidente dell’entità serba

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Gli Stati Uniti hanno revocato le sanzioni contro Mirolad Dodik, il presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (o Repubblica Srpska) – una delle due entità della Bosnia ed Erzegovina. La misura coinvolge anche i suoi alleati, i suoi familiari, e le società a essi collegati. Gli USA non hanno spiegato i motivi dietro a tale decisione. La mossa degli USA arriva in un momento di scontro istituzionale tra il presidente della Repubblica Srpska e il governo centrale: Dodik è accusato di avere attaccato l’ordine costituzionale, e per tale motivo è stato rimosso dal suo incarico; il presidente, tuttavia, non ha riconosciuto la decisione delle autorità.

Le mosse future della Cina, svelate dal nuovo piano quinquennale

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La Cina si appresta al consolidamento di una nuova fase economica e le parole d’ordine sono qualità e sicurezza. Giovedì 23 ottobre si è chiusa la quarta sessione plenaria del XX Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, la riunione a porte chiuse durante la quale il comitato ha definito le linee guida del prossimo piano quinquennale. Mentre il mondo europeo, infatti, continua ad annaspare attraverso continue correzioni di marcia cercando di tenere insieme le visioni politiche discordanti, le necessità economiche e quelle ambientali; in Cina si continua a lavorare attraverso una visione di lungo periodo, dove si fanno piani dei risultati che si vogliono raggiungere in cinque anni e dei passi da compiere per raggiungerli. Per il lustro dal 2026 al 2030 le parole d’ordine delle politiche cinesi sono state stabilite: qualità tecnologica, autonomia strategica e consumo interno.

Adesso manca l’approvazione definitiva del documento, che avverrà il prossimo marzo durante il consueto appuntamento delle “due sessioni”, ma la decisione sul futuro della Cina è stata fondamentalmente già presa. La gestione economica del lustro 2021-2025 ha messo in moto la definizione del processo di transizione energetica e digitale e ha portato la Cina a divenire uno dei principali centri di produzione di energia rinnovabile oltre che raggiungere una capillarità digitale senza precedenti. A questo si è aggiunta una stabilizzazione del PIL, che, dopo il calo del tasso di crescita registrato nel 2022 (3,0%) negli anni successivi si è aggirato intorno al 5%. Per questo quinquennio, con il fine di racimolare gli strumenti necessari per il piano di modernizzazione, la cui conclusione è prevista per il 2035, il Comitato riconosce l’importanza di questa fase storica e la necessità di mantenere salda la guida da parte del partito e la centralità del benessere della popolazione.

Intelligenza artificiale, robotica e semiconduttori saranno alcuni dei pilastri della tecnologia cinese, e avranno come obiettivo il raggiungimento di un’autonomia tale da far fronte all’imprevedibilità del contesto economico globale. Con la messa a punto di una filiera che includa tutti i processi produttivi di circuiti, la Cina prova ad escludere ogni necessità di importazione ed evitare minacce doganali che potrebbero inficiare sull’equilibrio tecnologico del paese.

Mentre il mondo occidentale sembra voler abbandonare l’impegno verso una transizione energetica reale, la Cina fa della salvaguardia ambientale uno dei pilastri essenziali del lustro 2026-2030. Con il fine di rafforzare l’economia a “zero emissioni”, il Comitato mette a punto investimenti per la costituzione di un’innovazione tecnologica a matrice verde. Lo sviluppo non può che andare di pari passo con l’attenzione verso la crisi climatica e i risultati già ottenuti nel corso degli ultimi anni confermano l’efficacia di un modello che ha reso la Cina leader nel settore della mobilità elettrica e della produzione di energie rinnovabili.

Nonostante il tasso di crescita economica stabile al 5%, resta da sciogliere il nodo dei consumi interni. In questo caso il Comitato definisce una strategia di investimento nel miglioramento delle condizioni di vita e osserva il bisogno di coordinare la domanda con l’offerta, attraverso la ricerca di equilibrio tra spinta agli investimenti dei privati e consumi. L’obiettivo è quindi quello di investire sul capitale umano, tramite sussidi e misure di welfare, da accostare alle spese finalizzate alla miglioria delle infrastrutture.
Sebbene non sia definito un abbandono della produzione di merce d’esportazione, appare evidente che l’attenzione cinese nel futuro prossimo sia tutta orientata verso l’innovazione tecnologica di alta gamma, con un punto di vista indirizzato all’equilibrio interno. Per quanto l’interesse di apertura verso l’esterno siano un elemento integrante delle relazioni internazionali del paese, il piano quinquennale stilato dal Comitato sembra volersi fondare su un obiettivo prettamente interno.

Tra le linee guida presentate dal Comitato viene affrontato con precisione il tema militare e anche in questo caso la tecnologia assume il ruolo di protagonista assoluta. Proprio attraverso le nuove innovazioni il partito punta a migliorare la propria efficienza militare; mediante i nuovi investimenti in ambito informatico il Comitato ambisce ad una modernizzazione dell’Esercito Popolare di Liberazione e delle forze di difesa, con il fine di aumentare la sicurezza nazionale. Proprio alla vigilia del plenum hanno avuto grande riscontro mediatico le “purghe” messe in atto dal presidente cinese nei confronti di vari ufficiali dell’esercito, ragion per cui la partecipazione alla sessione ha visto una diminuzione della presenza dei membri. Tra le nuove nomine spicca la figura Zhang Shengmin, già segretario della Commissione Centrale per l’Ispezione della Disciplina e generale delle forze missilistiche; la sua elezione mette in evidenza la centralità nella lotta alla corruzione e l’interesse da parte del presidente di tenere sotto controllo il partito in una fase cruciale nell’equilibrio delle forze internazionali.

La quarta sessione plenaria del Comitato Centrale ha messo a punto il programma di misure che caratterizzeranno la Cina nei prossimi cinque anni. Appare evidente che dinanzi alle turbolenze esterne, rappresentate al momento dall’apparente volubilità del presidente degli Stati Uniti, la Cina abbia scelto di definire un piano finalizzato al consolidamento della propria autosufficienza tecnologica. Giovedì 30 ottobre i presidenti delle due principali potenze economiche mondiali si incontreranno a Seoul, se le relazioni tra i due stati al momento navigano in un mare d’incertezza, dal punto di vista interno Xi Jinping sembra avere molto chiara la strategia per il futuro del suo paese.

Proteste in Tanzania per le elezioni: coprifuoco ed esercito in strada

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Oggi, mercoledì 29 ottobre, in occasione delle elezioni presidenziali in Tanzania diversi cittadini sono scesi in piazza in tutto il Paese, dando vita a un ingente moto antigovernativo contro la presidente Samia Suluhu Hassan. Di preciso, i manifestanti hanno protestato contro l’esclusione dei principali candidati di opposizione, invadendo le strade e appiccando incendi ad autobus e stazioni di servizio. Nella capitale Dodoma e a Zanzibar, il governo ha mobilitato l’esercito e tagliato la rete internet; a Dar es Salaam, principale polo economico del Paese, invece, la polizia ha dichiarato il coprifuoco.

Solo nell’ultimo anno, in Italia è stata cementificata un’area grande come la città di Pisa

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Il paesaggio italiano continua a trasformarsi silenziosamente, metro dopo metro, sotto la spinta della cementificazione e dell’impermeabilizzazione del territorio. Secondo il nuovo Rapporto ISPRA “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici 2025”, l’Italia ha perso nel solo 2024 quasi 84 chilometri quadrati di suolo naturale. Per rendere l’idea si tratta di un’area grande quanto l’intera città di Pisa trasformata da natura a cemento in un solo anno. Si tratta del peggior dato registrato dal 2012 e rappresenta un incremento del 16% rispetto al 2023: la cementificazione dell’Italia procede al ritmo medio di 159 metri quadrati al minuto, una scelta che ha conseguenze non solo sulla vivibilità delle città ma anche sulla sicurezza in caso di alluvioni.

Il consumo di suolo – ricorda l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) – rappresenta infatti una delle maggiori minacce alla biodiversità, alla sicurezza alimentare e alla resilienza agli eventi metereologici estremi. Il suolo ospita il 25% della biodiversità mondiale e da esso dipende il 95% della produzione alimentare. Eppure, guardando all’Europa tutta, fino al 70% dei suoli non è in buone condizioni. Il rapporto indica che oltre 21.500 chilometri quadrati del territorio italiano risultano oggi artificializzati: più del 7% della superficie nazionale, contro una media europea del 4,4%. Le regioni più colpite restano Lombardia (12,22%), Veneto (11,86%) e Campania (10,61%), mentre l’Emilia-Romagna guida la classifica del consumo annuale con oltre 1.000 ettari di nuovi suoli impermeabilizzati, seguita da Lombardia (834 ettari), Puglia (818), Sicilia (799) e Lazio (785). La stessa Emilia-Romagna, tuttavia, risulta anche la regione più attiva nei processi di recupero e “consumo reversibile”, con interventi su cantieri temporanei e aree smantellabili che rappresentano l’86% delle nuove coperture. In quindici regioni italiane la quota di suolo consumato supera ormai il 5%. In fondo alla classifica si collocano invece Valle d’Aosta, Liguria e Molise, uniche a registrare incrementi inferiori ai 50 ettari.

L’ISPRA segnala poi una tendenza preoccupante: nel 2024 il consumo di suolo è aumentato anche nelle aree a pericolosità idraulica e franosa, con oltre 1.300 ettari aggiuntivi nelle zone a rischio alluvioni e 600 ettari in quelle soggette a frane. La pressione è inoltre fortissima lungo le fasce costiere, dove la percentuale di suolo consumato entro i primi 300 metri dal mare è del 23%, più del triplo della media nazionale. In parallelo, si riduce ulteriormente il verde urbano: nel 2024 sono scomparsi 3.750 ettari di aree naturali all’interno delle città. Neppure le aree protette restano immuni, dove sono stati coperti ulteriori 81 ettari, di cui il 73% all’interno di parchi nazionali e regionali, mentre nelle zone Natura2000 – aree protette a livello comunitario – le nuove superfici artificiali raggiungono 192 ettari, con un aumento del 14% rispetto al 2023. Tra i principali fattori a guidare il nuovo consumo figurano la logistica, i grandi impianti fotovoltaici a terra e i data center. I pannelli solari installati su suolo agricolo sono quadruplicati in un anno, passando da 420 ettari nel 2023 a oltre 1.700 nel 2024, per l’80% su superfici coltivate. Le regioni più coinvolte sono Lazio (443 ettari), Sardegna (293) e Sicilia (272). Dal 2006 a oggi, la sola logistica ha invece sottratto più di 6.000 ettari di territorio agricolo o naturale, mentre nel 2024 i data center – infrastrutture per il digitale sempre più diffuse – hanno occupato oltre 37 ettari, concentrati soprattutto nel Nord Italia.

La pubblicazione del rapporto ISPRA è coincisa, paradossalmente, con l’approvazione da parte del Parlamento europeo della nuova Direttiva per il Monitoraggio e la Resilienza del Suolo, primo quadro normativo comunitario dedicato alla tutela e alla rigenerazione dei terreni. Il provvedimento – parte integrante del Green Deal europeo – mira a raggiungere suoli sani entro il 2050 e impone agli Stati membri di mappare i siti contaminati e avviare piani di risanamento entro dieci anni. La direttiva, tuttavia, non introduce nuovi obblighi per agricoltori o proprietari terrieri, ma richiede ai governi nazionali di sostenere le pratiche di gestione sostenibile, attraverso formazione, ricerca, innovazione e sensibilizzazione.

L’Europa cerca di riavvicinare i giovani rispolverando i treni Interrail

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Per intere generazioni di giovani, specie tra gli anni ’90 e i primi duemila, il modo per conoscere l’Europa spendendo poco e con lo zaino in spalla è stato l’Interrail, il programma con il quale si poteva girare sui treni di tutta Europa a prezzo convenzionato. Internet, nel suo utilizzo di massa, era ancora agli albori: si viaggiava senza navigatore e si cercavano gli ostelli sulle guide stampate. Le compagnie low cost stavano muovendo i primi passi e prendere un aereo costava ancora tantissimo. Nel giro di pochi anni le cose sono cambiate. I voli a 20 euro hanno trasformato la geografia del viaggio: le città non erano più collegate da linee ferroviarie e metropolitane, ma da aeroporti periferici e pullman navetta. L’Interrail ha vissuto un periodo d’ombra, quasi una reliquia romantica del passato. E invece, eccoci qui, nel 2025, a parlarne ancora. Non per nostalgia, ma per contingenza: prezzi dei voli in aumento, maggiore attenzione al clima e una generazione che sembra voler rallentare, almeno per il momento. Un panorama in cui l’Unione Europea non si è fatta scappare l’occasione, aggiungendoci un pizzico di propaganda.

In occasione dei 40 anni dalla firma dell’Accordo di Schengen, infatti, è stata lanciata l’iniziativa DiscoverEU, che prevede la possibilità, per chi ha appena compiuto 18 anni, di ottenere un biglietto Interrail gratuito. Non è per tutti: bisogna rientrare in criteri piuttosto precisi. Innanzitutto, l’età: sono ammessi solo i nati nel 2007. Poi serve essere cittadini di uno Stato membro o di un Paese associato al programma Erasmus+ (come Islanda, Norvegia, Serbia, Macedonia del Nord, Turchia). I posti sono limitati e le quote vengono distribuite in base alla popolazione: per esempio la Germania ne ha 6.837, la Francia 5.540, l’Italia 4.888. Se un Paese non esaurisce la propria quota, i posti avanzati vengono redistribuiti altrove.

Per iscriversi c’è una finestra precisa: dal 30 ottobre al 13 novembre di quest’anno.
Poi bisogna aspettare: i viaggi potranno iniziare dal 1° marzo 2026, per un periodo che può andare da uno a trenta giorni. Il pass è quasi esclusivamente ferroviario, in seconda classe. I trasporti urbani non sono inclusi, quindi per muoversi nelle città bisognerà comunque spendere. C’è però una carta sconto per ostelli, musei, eventi culturali e sportivi.

Ma non basta: per tentare di accaparrarsi il biglietto bisogna anche superare un quiz. Cinque domande a risposta multipla più una di spareggio, con la possibilità di partecipare anche in gruppo (fino a cinque persone). In tal caso, il quiz lo fa uno solo: sperando che abbia studiato. Per candidarsi, ovviamente, c’è un sito internet. Si compila il modulo, si risponde al quiz, si incrociano le dita.

Appare piuttosto evidente che dietro questa iniziativa non c’è solo la voglia di far viaggiare i ragazzi, specie in un panorama dove Bruxelles risulta sempre più orientata agli investimenti in comunicazione. L’Unione Europa, che negli ultimi anni ha perso smalto e consenso tra i più giovani, prova a tornare simpatica, considerato il rischio di apparire solo l’istituzione dedica al riarmo, alla burocrazia e all’imposizione dell’austerità finanziaria. Resta comunque una bella opportunità per affacciarsi, appena maggiorenni, su un mondo nuovo.

La Lituania chiude i confini con la Bielorussia fino al 30 novembre

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In seguito alle consultazioni governative annunciate lo scorso 27 ottobre, l’esecutivo lituano ha scelto di chiudere i confini con la Bielorussia fino al 30 novembre. Il governo, spiega la premier Inga Ruginiene, si riserva l’opzione di estendere ulteriormente la misura e di prenderne di più dure. La scelta di chiudere i valichi di frontiera con Minsk da parte della Lituania arriva dopo un episodio, registrato il 26 ottobre, in cui diversi palloni aerostatici avrebbero oltrepassato il confine dalla Bielorussia con il fine di contrabbandare sigarette. Vilnius accusa la Bielorussia di agevolarne il transito come forma di «guerra ibrida»; Minsk smentisce le accuse.

Gaza: la tregua mediatica per coprire il genocidio e silenziare le proteste

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Negli appena 16 giorni trascorsi da quando è stata siglata la tregua tra Israele e Hamas e il giorno in cui questo mensile va in stampa, Israele ha commesso almeno 125 violazioni della tregua, ha ucciso oltre 200 persone e ne ha ferite almeno 600. Nel frattempo prosegue, a ritmo furibondo, la colonizzazione della Cisgiordania, mentre il parlamento di Tel Aviv ha approvato l’annessione totale dei territori occupati che, secondo il diritto internazionale, appartengono allo Stato di Palestina (misura sospesa su ordine degli USA) e sta discutendo di introdurre la pena di morte solo per i palestinesi accusati di terrorismo, certificando una volta di più la propria trasformazione in uno Stato non democratico che pratica l’apartheid.

Che tregua è questa? Dal punto di vista militare quasi non esiste, ma dal punto di vista mediatico e politico tutto va alla grande. Da quando è stata approvata, infatti, è immediatamente iniziato il grande processo di normalizzazione: sui media ciò che accade a Gaza è scomparso dalle prime pagine e dai salotti televisivi; il Parlamento Europeo ha rinviato a mai la discussione delle sanzioni contro Israele, che si era quasi visto costretto ad adottare sulla spinta delle proteste; tutte le istituzioni sportive e culturali internazionali – dall’Eurovision alla UEFA – hanno bloccato le proposte di espellere Israele dalle competizioni. Nel frattempo, vanno avanti le manovre di palazzo per criminalizzare le critiche al genocidio, anche in Italia, dove il solito Gasparri ha depositato un disegno di legge per equiparare critiche a Israele e odio contro gli ebrei, ossia antisionismo e antisemitismo.

Annotare queste cose, però, non deve togliere importanza a ciò che la tregua improvvisamente voluta da Netanyahu e Trump ha realmente dimostrato. La verità è che il criminale di guerra e il suo protettore hanno bisogno di riorganizzarsi perché non sanno più come andare avanti. Non è un caso che l’accordo sia arrivato al culmine del movimento di protesta globale che aveva reso ingestibile per l’Occidente insistere nell’appoggio al genocidio: la Flottilla, le piazze piene, gli scioperi generali in Italia e non solo, la campagna di boicottaggio che stava colpendo le aziende complici, e i sondaggi americani – certamente letti alla Casa Bianca – che mostravano come, per la prima volta, anche negli Stati Uniti la maggior parte della popolazione stava con i palestinesi, inclusi molti elettori conservatori. E non è un caso che sia arrivata dopo che Israele, pur avendo ridotto la Striscia in una sconfinata tabula rasa di macerie e morte, si era impantanata, non riuscendo a conquistare Gaza City e subendo centinaia di perdite tra i soldati, vittime degli agguati di una guerriglia palestinese tutt’altro che sconfitta. 

Si tratta quindi di una tregua tattica che è insieme militare, politica e mediatica. L’intento, del tutto chiaro, è quello di trovare un modo meno vistoso per proseguire nel disegno di pulizia etnica della Palestina, sperando che l’onda dell’attenzione globale passi. Starà ancora una volta ai popoli sfidare il silenzio complice e impedirlo.

Nel 2026 l’Italia spenderà 34 miliardi per le spese militari: è il nuovo record

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La spesa militare italiana continua a segnare record storici. Secondo i dati raccolti da Milex (Osservatorio indipendente sulle spese militari italiane), nel 2026 le risorse destinate agli armamenti sfioreranno i 34 miliardi di euro, con un incremento di circa un miliardo rispetto all’anno in corso. Le statistiche, aggiornate alla bozza dell’ultima manovra finanziaria approvata dal governo Meloni, riguardano specificamente la «spesa militare “pura”, cioè riferita esclusivamente alle forze armate» e mostrano un consolidamento della crescita che ha portato i fondi per i militari ad aumentare di oltre il 45% nell’ultimo decennio. Una parabola ascendente che non accenna a placarsi mentre il governo Meloni, su ogni altro capitolo di spesa, cerca di risparmiare con l’obiettivo dichiarato di assecondare i parametri europei per uscire dalla procedura d’infrazione per l’eccessivo disavanzo finanziario.

L’analisi metodologica di Milex segnala che le tabelle ministeriali (Difesa, Economia e Imprese) possono ancora essere oggetto di aggiustamenti, ma offrono elementi concreti per la stima: il «bilancio proprio» del Ministero della Difesa per il 2026 è fissato a 32.398 milioni di euro, +3,52% rispetto al 2025. Applicando le correzioni per escludere le voci non militari (ad esempio parte dei compiti dei Carabinieri per la tutela ambientale) e sommando le voci esterne rilevanti, l’osservatorio arriva a una valutazione di spesa militare diretta pari a 33.948 milioni di euro, un nuovo record storico. Particolarmente significativo è il capitolo investimenti: «il totale delle spese per programmi di armamento previste nel 2026 arriva al record storico di oltre 13,1 miliardi di euro», una crescita dell’1,42% rispetto al 2025. A questi fondi contribuiscono non solo i programmi interni della Difesa (DNA e Segretariato Generale), ma anche risorse provenienti dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy; nel quinquennio la spesa per nuovi armamenti è aumentata di circa il 60% rispetto al 2022 (8,27 miliardi allora).

Per arrivare alla stima complessiva di spesa militare, l’Osservatorio Milex applica la propria metodologia che prevede sia sottrazioni sia aggiunte al bilancio del Ministero della Difesa. Vengono sottratti i fondi interni al Ministero con scopi non militari, come i «503 milioni del Programma 2.1 (Approntamento e impiego Carabinieri per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare)», mentre si aggiungono voci esterne che riguardano attività militari. La somma di queste operazioni porta a una valutazione della spesa militare italiana diretta per il 2026 di 33.948 milioni di euro, «ulteriore record storico con avvicinamento alla soglia dei 34 miliardi e un aumento del 2,8% rispetto al 2024».

Particolarmente significativo è il capitolo investimenti: «il totale delle spese per programmi di armamento previste nel 2026 arriva al record storico di oltre 13,1 miliardi di euro», una crescita dell’1,42% rispetto al 2025. A questi fondi contribuiscono non solo i programmi interni della Difesa, ma anche risorse provenienti dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy; nel quinquennio la spesa per nuovi armamenti è aumentata di circa il 60% rispetto al 2022 (8,27 miliardi allora). Nel conto complessivo la voce personale pesa in modo rilevante: i costi per il personale operativo delle Forze Armate ammontano a circa 12,3 miliardi — con l’Esercito a 6,3 miliardi, l’Aeronautica a 2,98 e la Marina a 2,44 — mentre altre poste non operative o amministrative pesano per circa 2,75 miliardi. Alle voci dirette si aggiungono stime pari a 1,18 miliardi per le missioni all’estero e 4,5 miliardi per la spesa pensionistica militare.

La cifra stimata da Milex non include le uscite per la sicurezza nazionale in senso più ampio, la quota complementare che la NATO inserisce nel target complessivo del 5% del PIL. Proprio per questo, alcune possibili fonti aggiuntive (tra cui cybersicurezza, sicurezza infrastrutturale e mobilità militare) restano complesse da contabilizzare.

Istat: torna a salire export verso Paesi extra-UE

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L’export verso i Paesi extra-Ue torna a crescere sia su base mensile sia annua. A settembre le importazioni salgono del +6,1% e l’export del +5,9%; su base annua l’export avanza del +9,9% e l’import del +16,9%. Su base mensile il traino viene dalle vendite di strumentazione e dall’export di beni di consumo non durevoli, voci che, insieme ai beni intermedi, incidono anche sull’aumento delle importazioni. Su base annua la crescita dell’export è sostenuta soprattutto dalla vendita di energia, mentre l’incremento dell’import riflette soprattutto maggiori acquisti di beni non durevoli.