venerdì 10 Ottobre 2025
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La NATO lancia l’operazione Sentinella dell’Est per “difendere il confine orientale”

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La NATO ha annunciato il lancio della missione “Eastern Sentry” (Sentinella dell’Est), un’operazione volta a blindare il fianco orientale dell’Alleanza, dopo la presunta incursione di droni russi nello spazio aereo polacco, nella notte tra il 9 e il 10 settembre. L’episodio ha fatto da detonatore per il dispiegamento di circa quarantamila soldati lungo i confini orientali con la Bielorussia e la Russia e, ora, per l’iniziativa che prevede l’impiego di aerei da combattimento, fregate, sistemi radar e capacità anti-drone, con il contributo di diversi Stati membri, tra cui Germania, Francia, Regno Unito, Danimarca e Paesi Bassi. «Che l’attacco sia stato intenzionale o meno la Russia ha violato lo spazio aereo della NATO, su una scala mai vista prima», ha stigmatizzato in conferenza stampa il Segretario generale dell’Alleanza Atlantica Mark Rutte, che ha anche sottolineato che il compito della NATO di scoraggiare le aggressioni e difendere ogni alleato comporta l’importanza di salvaguardare il fianco orientale. La missione coprirà, pertanto, un’ampia fascia geografica, dal Mar Baltico al Mar Nero, con l’obiettivo di garantire sorveglianza costante e una risposta rapida a eventuali minacce. Tra le opzioni discusse figura anche l’istituzione di una no-fly zone parziale sul confine polacco-ucraino, che resta però solo a livello di ipotesi, in modo da abbattere droni “nemici” prima che entrino in territorio NATO. Per attuarla servirebbe un consenso che appare tutt’altro che scontato, specie da parte degli Stati Uniti, che mantengono ancora una riserva. La no-fly zone presuppone, infatti, capacità di ingaggio, regole chiare e comporta rischi di escalation che potrebbero trascendere il teatro polacco-ucraino.

Il comando dell’operazione sarà affidato al generale Alexus Grynkewich, Supreme Allied Commander Europe, che ha sottolineato come la missione sia stata concepita per essere “agile” e “flessibile”, in grado di adattarsi alle diverse minacce che potrebbero emergere. Rispetto ad altre iniziative già in atto sul fianco est, Eastern Sentry punta ad aumentare il coordinamento tra le forze alleate e a introdurre nuove tecnologie contro le incursioni aeree a bassa quota, in particolare quelle condotte con droni a basso costo. Sul piano operativo, l’Alleanza ha stabilito che la missione avrà un carattere modulare: tra gli asset confermati ci sono: aerei da combattimento forniti da Francia (Rafale), Germania (Eurofighter), Danimarca (F-16), una fregata danese, radar avanzati, sistemi anti-drone. Il Regno Unito ha annunciato che fornirà un contributo operativo, anche se non sono ancora stati resi pubblici i dettagli. L’insieme costituisce un rafforzamento preventivo delle capacità difensive, volto a coprire possibili lacune evidenziate dagli episodi recenti. L’attività multidominio “avrà inizio nei prossimi giorni” e proseguirà per un periodo di tempo non specificato. L’Occidente celebra la decisione come una tappa che dimostra unità e immediatezza di reazione al presunto sconfinamento di droni russi, ma l’operazione rivela, più di altro, alcuni limiti operativi e fragilità nei cieli dell’Alleanza fino a oggi ignorati o trascurati. Uno è la difficoltà di attribuire con certezza origine e intenzionalità: non esistono a oggi, prove definitive che colleghino i droni sconfinati nel territorio polacco a ordini espliciti da Mosca, né che il loro attraversamento dello spazio aereo polacco fosse intenzionale. Il Cremlino, tramite Dmitrij Peskov, ha definito le accuse di Varsavia e NATO infondate e prive di prove, mentre il Ministero della Difesa russo ha chiarito che i droni non avessero obiettivi in Polonia e, dubitando della loro capacità tecnica di raggiungerla, si è reso disponibile a chiarimenti bilaterali. Un secondo punto riguarda la preparazione difensiva: il sistema anti-droni polacco noto come “SkyCTRL” era, secondo fonti interne, in ritardo di modernizzazione di molti mesi per ragioni di bilancio e, quindi, non pienamente operativo al momento dell’incidente. Ciò indica che alcune delle difese anti-drone previste non erano pronte, oppure non erano dispiegate nei punti più critici. Un terzo limite è la copertura radar e la sorveglianza: la rapidità con cui droni a bassa quota, con ridotto segnale radar, possono eludere i controlli evidenzia che le capacità di identificazione precoce non sono uniformemente diffuse. La reazione del 10 settembre è stata possibile grazie allo sforzo coordinato di vari Stati membri, ma non sempre risulta chiaro quanto siano pronti e interoperabili i sistemi antiaerei, antidrone, radar terrestri, sistemi di allerta rapida, commando unificato.

Con Eastern Sentry, il fianco orientale dell’Alleanza diventa un’area di monitoraggio permanente, dove sistemi aerei, navali e terrestri opereranno congiuntamente per intercettare e neutralizzare eventuali nuove intrusioni. L’operazione rappresenta un banco di prova per la capacità dell’Alleanza di reagire in modo coordinato e mostra in maniera inequivocabile che l’Alleanza sta militarizzando l’est europeo con decisioni che procedono anche in assenza di prova definitiva su origine e intenzionalità delle violazioni aeree. Le conseguenze potranno essere molteplici: aumento dei costi per gli Stati membri, rischio di errori o incidenti in aree di confine dove la presenza militare si intensifica; possibili escalation dovute a fraintendimenti; pressione diplomatica crescente tra NATO e Russia. Eastern Sentry è dunque un test operativo e politico per la NATO, chiamata a dimostrare la capacità di garantire sicurezza reale e non solo deterrenza visibile. La missione richiede garanzie di trasparenza e verifiche sulle responsabilità, e solo il suo dispiegamento concreto e prolungato potrà fornire tali risposte.

Milano, dieci indagati per cedimento insegna Generali

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La Procura di Milano ha iscritto dieci persone nel registro degli indagati per crollo colposo dopo il cedimento parziale, a fine giugno, di una grande insegna con il logo di Generali su un grattacielo di CityLife. L’episodio non aveva causato feriti né danni. Tra gli indagati figurano progettisti, tecnici e personale delle aziende incaricate dell’installazione e della manutenzione. Le due insegne presenti sull’edificio sono state rimosse: quella crollata sarà sottoposta ad accertamenti per individuare le cause, con ipotesi che puntano a difetti nella struttura metallica di sostegno.

ENI non paga l’Imu sulle piattaforme: la Cassazione la condanna a risarcire i Comuni

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Dopo anni di battaglie legali, i Comuni di Cesenatico e Crotone hanno vinto la loro sfida contro Eni. La Cassazione ha stabilito in via definitiva che le piattaforme offshore della multinazionale siano assimilabili a immobili e quindi soggette al pagamento dell’Imu, ponendo fine a un contenzioso che si trascinava da quasi un decennio. La sentenza obbliga la società multinazionale a versare oltre 7 milioni di euro di tributi arretrati ai due enti locali, con possibili ricadute anche per altre amministrazioni che da tempo reclamano somme ingenti. Una decisione che segna un punto di svolta nel rapporto tra la compagnia energetica e i territori costieri dove opera, consolidando un principio giuridico destinato a fare scuola.

La vicenda nasce da un nodo giuridico mai del tutto chiarito: le piattaforme per l’estrazione di gas e idrocarburi devono essere considerate “immobili” e quindi soggette a Imu? Secondo Eni, no. Per i Comuni, invece, sì. L’amministrazione di Cesenatico, ritenendo che le strutture offshore fossero assimilabili a immobili, aveva calcolato 3,8 milioni relativi agli anni 2014 e 2015. Quella di Crotone avanzava una richiesta di 3,6 milioni per il 2016. Eni si è sempre rifiutata di pagare, sostenendo con ricorsi che i suoi impianti non rientrassero nella categoria degli immobili tassabili. Dopo un lungo braccio di ferro tra vari gradi di giudizio, i giudici della Suprema Corte hanno sposato in via definitiva la tesi degli enti locali, riconoscendo al Comune la piena legittimazione ad accertare e riscuotere il tributo.

Tuttavia, questa è solo la punta dell’iceberg. Per Crotone, sono infatti in ballo altri 11 milioni di euro per il periodo 2017-2019. Cesenatico ha invece avvisi di accertamento pendenti per ulteriori 14,8 milioni sul periodo 2012-2019. Senza contare che altri sindaci, come quello di Rimini che rivendica 20 milioni, potrebbero sfruttare il precedente per recapitare altre maxi cartelle esattoriali all’azienda. Solo nell’Adriatico tra Rimini e Ravenna, Eni ha più di 50 piattaforme. Il sindaco di Crotone, Vincenzo Voce, ha dichiarato che questo risultato rappresenta «la dimostrazione plastica dell’inversione di ogni logica del passato nel rapporto con Eni». «Quando si amministra alcune scelte sono difficili e rischiose – ha messo nero su bianco in un post su Facebook -. Quando queste scelte le fai perché sei convinto di tutelare l’interesse comune, allora non importa se dall’altra parte hai un colosso come Eni». L’assessore al Bilancio Antonio Scandale ha spiegato che circa 7 milioni di euro, già accantonati in attesa dell’esito, potranno ora essere liberati e destinati a investimenti e servizi per la città. Esulta anche il primo cittadino di Cesenatico, Matteo Gozzoli: «Dopo quasi dieci anni di battaglie legali, finalmente siamo riusciti a dimostrare la bontà delle nostre richieste – ha affermato –. Con questa sentenza incassiamo in modo definitivo 3,8 milioni e per la restante parte continueremo a far valere i diritti del comune nelle sedi giudiziarie».

Il tema si inserisce in un quadro più ampio, caratterizzato da un regime fiscale considerato favorevole alle compagnie energetiche. Fino al 2019, i canoni sulle concessioni per l’estrazione di idrocarburi in Italia variavano da 2,58 a 61,97 euro al chilometro quadrato, cifre aumentate solo con il primo governo Conte. Le royalties italiane restano tra le più basse al mondo: 10% sugli idrocarburi estratti dalla terraferma e 7% su quelli dal mare, con l’esenzione dei primi 80 milioni di metri cubi. In confronto, paesi come Norvegia, Danimarca e Regno Unito applicano royalties al 50% e tassazioni complessive vicine all’80%. Nel 2024 Eni ha chiuso il bilancio con oltre 5 miliardi di utili, beneficiando anche di questa struttura fiscale.

La ferocia israeliana contro i palestinesi di Tulkarem: 1500 arresti e case distrutte

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La repressione a Tulkarem non fa che aumentare. Mentre la città palestinese entrava nel suo 228° giorno di occupazione permanente da parte dell’esercito israeliano, ieri si è assistito a una nuova pagina della pulizia etnica in corso in tutta la Cisgiordania occupata. Giovedì 11 settembre le forze di occupazione israeliane hanno condotto una campagna di arresti su larga scala, fermando centinaia di palestinesi nella città. I video mostrano lunghe file di uomini, costretti a camminare uno dietro l’altro in fila indiana, sotto la stretta sorveglianza di militari israeliani armati e di veicoli blindati. Diversi palestinesi della città, interpellati da L’Indipendente, raccontano una giornata di terrore con distruzione di case, arresti di massa, uomini rastrellati dentro ai negozi e nelle automobili. Gli arresti sarebbero circa 1.500: una forma di vendetta collettiva dopo che ieri la resistenza palestinese ha fatto esplodere un blindato dell’esercito di Tel Aviv, ferendo due soldati.

«La prima cosa che hanno fatto (i militari israeliani, ndr) è di andare per le strade e di svuotarle. Hanno arrestato tutte le persone che hanno trovato per strada. Poi sono andati nei supermercati, nelle farmacie, in tutti i negozi della città è hanno iniziato ad arrestare tutte le persone che trovavano, lasciando i negozi vuoti, anche se aperti» racconta J., uno degli abitanti di Nur Shams Camp a L’Indipendente per telefono. «Poi hanno fermato le auto lungo le strade, arrestando le persone che c’erano dentro. Era una città fantasma: le macchine sono ferme lungo le strade, i negozi sono aperti ma sono vuoti, nessun essere umano è in giro. Poi si sono mossi ancora su un altro livello, e hanno iniziato a perquisire molte decine di case e arrestare tutti i maschi presenti. Tuttora stanno perquisendo case. Ci sono soldati ovunque». Anche suo cugino è stato arrestato: era uscito dalle prigioni di Tel Aviv solo 9 mesi fa, dopo due anni di carcere.

All’inizio della giornata, l’occupazione israeliana ha imposto un rigido blocco su Tulkarem, chiudendo i cancelli metallici agli ingressi sud e est e impedendo il passaggio dei veicoli. Sono stati inoltre sparati colpi di arma da fuoco contro residenti e automobili nel quartiere occidentale, mentre una forte esplosione ha scosso la città. Secondo la Società della Mezzaluna Rossa Palestinese, alle ambulanze è stato negato l’accesso alla zona.
Secondo i giornali israeliani, la campagna di arresti e la repressione di massa è stata la risposta a un attacco avvenuto nella mattinata di ieri, quando un veicolo blindato israeliano Panther è stato fatto esplodere in città.

«Hanno speso 9 mesi a Tulkarem per eliminare la resistenza, e sono rimasti molto sorpresi ieri quando la resistenza ha fatto esplodere uno dei loro blindati», ha riferito R., un giovane di Tulkarem Camp a L’Indipendente. R. è una delle persone che ha perso la casa, distrutta dai militari d’Israele in questi ultimi mesi. Tutta la sua famiglia ha dovuto lasciare il campo profughi in cui viveva dal 1948. «Quindi, come sempre, i soldati israeliani fanno arresti di massa come forma di punizione collettiva», dice. Le persone intervistate riportano la morte di un soldato israeliano e di un altro ferito; i giornali israeliani invece parlano solo di due feriti “leggermente”.

«Quello che è successo ieri è quello che sta accadendo molto spesso, anche se su scala minore,» riferisce A., un altro degli abitanti della città a L’Indipendente. «Puniscono le persone di Tulkarem, ieri hanno occupato la casa di mio cugino, accanto alla mia, per tutta la notte. Hanno spaccato la porta, hanno rubato vari oggetti… sono partiti la mattina ma sono tornati oggi pomeriggio, chiedendo documenti e cercando dei giovani. Questa è la situazione a Tulkarem». Poi si corregge: «Le chiamiamo punizioni collettive, ma sarebbe da trovare un altro termine. “Punizione” implica che stiamo commettendo un errore. Ma non c’è nessun errore: resistere all’occupazione è un nostro diritto, in tutte le sue forme. Forse la potremmo chiamare “vendetta” di Israele, o semplicemente genocidio».

E conclude: «Centinaia delle persone detenute ieri sono state rilasciate nella mattina presto di oggi, ma i militari stanno continuando a fare perquisizioni e detenere persone. Stanno anche demolendo alcune case al limite dei campi profughi. Questa è la vita che stiamo vivendo qui».

Tulkarem è una delle città del nord della Cisgiordania occupata che più sta subendo la violenza di Israele. Da due anni i campi profughi cittadini vengono attaccati dai soldati di Tel Aviv, che con la scusa di eliminare il “terrorismo” (ossia la resistenza palestinese), hanno ucciso almeno 200 persone, arrestandone altre centinaia oltre che distruggere centinaia di case. Ma dal 27 gennaio, con l’inizio dell’Operazione Iron Wall, la città è sotto assedio. I due campi profughi – Nur Shams Camp e Tulkarem Camp – sono stati sgomberati con la forza dall’esercito israeliano. La devastazione di questi luoghi è totale, e l’obbiettivo di Tel Aviv è proprio quello di rendere i campi profughi invivibili. Tutte le strade, le infrastrutture vitali come acqua, elettricità, internet, così come centinaia di negozi, scuole e case, sono stati intenzionalmente distrutti. Dal 27 gennaio i campi profughi sono diventati avamposti militari e gli abitanti denunciano la continua distruzione delle proprie case oltre che l’utilizzo delle abitazione come caserme dove interrogare e torturare i palestinesi detenuti. Dall’inizio dell’operazione Iron Wall, solo per le città di Tulkarem e di Jenin, si contano 40mila profughi rimasti senza casa.

USA: arrestato un sospettato dell’omicidio Kirk

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Donald Trump ha annunciato che una persona sospettata di avere ucciso l’attivista statunitense Charlie Kirk è stata arrestata. Il sospetto assassino, è un individuo di nome Tyler Robinson, 22 anni, proveniente dallo Utah, stesso Stato nella quale università è stato ucciso Kirk. Verso le 16, il direttore dell’FBI Kash Patel e il governatore dello Utah Spencer Cox hanno tenuto una conferenza stampa, confermando la notizia. Robinson non è uno studente della Utah University, ed è stato segnalato alle autorità dal padre. Charlie Kirk, 31 anni, era un attivista politico di destra; sostenitore di Trump, Kirk ha fatto campagna elettorale per il presidente; è stato ucciso il 10 settembre da un colpo di fucile.

C’è un indizio sull’esistenza di un’atmosfera simile alla Terra su un pianeta distante

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Un pianeta delle dimensioni della Terra, situato nella cosiddetta zona abitabile e a soli 40 anni luce di distanza, potrebbe aver conservato un’atmosfera significativamente simile alla nostra: lo rivelano due studi frutto di un ampio progetto internazionale, sottoposti a revisione paritaria e pubblicati su The Astrophysical Journal Letters. Utilizzando lo spettrometro del James Webb Telescope (JWST), gli autori hanno osservato che su TRAPPIST-1e, uno dei sette pianeti che orbitano attorno a una nana rossa nella costellazione dell’Acquario, potrebbe persino esserci acqua liquida. In particolare, spiegano gli autori, sono stati esclusi diversi scenari fondamentali come quelli riguardanti atmosfere simili a quelle di Marte e Venere, il che rende l’ipotesi coerente e tutt’altro che impensabile: «TRAPPIST-1e rimane uno dei pianeti abitabili più interessanti per noi, e questi nuovi risultati ci avvicinano di un passo alla comprensione di che tipo di mondo si tratti», commenta Sara Seager del Massachussets Institute of Technology (MIT).

Rappresentazione artistica di TRAPPIST 1e mentre passa davanti alla sua stella ospite. Credit: NASA, ESA, CSA, J. Olmsted (STScI)

Gli astronomi sono interessati a TRAPPIST-1e perché rappresenta uno dei migliori candidati per lo studio dell’abitabilità al di fuori del sistema solare. In particolare, per “zona abitabile” si intende la regione attorno a una stella in cui un pianeta potrebbe mantenere acqua liquida sulla superficie, condizione ritenuta essenziale per la vita come la conosciamo. Per capire però se un esopianeta in questa posizione sia effettivamente abitabile occorre verificare se abbia un’atmosfera e di che tipo, e per questo si usa la spettroscopia di trasmissione, ovvero una tecnica che analizza la luce della stella mentre filtra attraverso l’eventuale atmosfera del pianeta durante il transito: ogni molecola lascia una “firma” inconfondibile nello spettro luminoso. Il JWST, spiegano gli autori, è risultato quindi fondamentale e ha portato un salto di qualità rispetto al telescopio Hubble, grazie a una copertura più ampia delle lunghezze d’onda e a una risoluzione superiore che consente di cercare tracce di molecole come l’anidride carbonica o il metano. Tuttavia, la vicinanza del pianeta a una nana rossa molto attiva complica le analisi, in quanto eventuali macchie stellari e brillamenti alterano la luce e rischiano di mascherare o imitare i segnali atmosferici. Per questo i ricercatori hanno dovuto sviluppare nuovi metodi avanzati – come la spettroscopia di trasmissione, confronto tra transiti diversi e correzione della contaminazione stellare – per distinguere la parte di segnale che proviene dalla stella da quella attribuibile al pianeta.

Un confronto tra i mondi di TRAPPIST-1 e il Sistema Solare, incluse dimensioni, densità e radiazioni. Credit: NASA/JPL Caltech

In particolare, dopo aver confrontato i risultati con diversi scenari atmosferici, i dati hanno permesso di escludere sia atmosfere dominate dall’idrogeno sia quelle ricche di anidride carbonica come su Marte o Venere. Rimane invece possibile un involucro più denso, composto in gran parte da azoto e arricchito da tracce di altri gas, uno scenario che consentirebbe la presenza di acqua liquida. «Se ipotizziamo che il pianeta non sia privo di aria, possiamo limitare diversi scenari atmosferici», spiega la prima autrice Ana Glidden del MIT, aggiungendo che «questi scenari consentono comunque la possibilità di un oceano superficiale». «Stiamo osservando due possibili spiegazioni», aggiunge Ryan MacDonald dell’Università di St Andrews: «la più interessante è che TRAPPIST-1e possa avere un’atmosfera secondaria contenente gas pesanti come l’azoto, ma non possiamo ancora escludere totalmente un pianeta roccioso privo di atmosfera».

Per arrivare a una risposta definitiva, quindi, serviranno altre osservazioni. I team internazionali coinvolti hanno già in programma di portare il numero di transiti osservati da quattro a quasi venti nei prossimi anni, così da affinare i dati e ridurre l’effetto della contaminazione stellare. Con ogni transito aggiuntivo, spiegano, la chiarezza dei segnali atmosferici migliorerà: «Abbiamo finalmente il telescopio e gli strumenti per cercare condizioni abitabili in altri sistemi stellari, e questo rende il nostro tempo uno dei più entusiasmanti per l’astronomia», conclude MacDonald.

Roma, bomba carta contro un centro sociale e scritte contro Di Battista

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All’alba di oggi, a Roma, una bomba carta è stata fatta esplodere davanti al centro sociale La Strada, davanti ai cui muri esterni è comparso uno striscione con la scritta “Di Battista pu***na di Hamas”. «La matrice è chiara», ha detto Luciano Ummarino, Assessore alla Cultura del Municipio VIII. «Ambienti filo-israeliani che vogliono colpire chi, come noi, si batte per la fine del genocidio a Gaza». Lo striscione è stato ritirato dalla polizia scientifica. Quello di questa notte, ha spiegato un frequentatore del centro, è il terzo attacco esplosivo subito dal centro sociale da ottobre 2024.

Il governo albanese ha affidato il ministero dei lavori pubblici a un’intelligenza artificiale

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diella su portale e-albania

L’11 settembre si è tenuta in Albania l’Assemblea nazionale del Partito socialista. In questa occasione, il Primo Ministro Edi Rama ha annunciato la composizione del nuovo governo del suo quarto mandato, distribuendo incarichi tra figure già note e volti meno conosciuti. L’evento ha però preso una piega inattesa quando Rama, con il massimo della serietà, ha presentato Diella: “il primo membro [del governo] che non ha una presenza fisica, ma è stato creato virtualmente dall’intelligenza artificiale”. Un’IA che, nelle intenzioni dichiarate, avrà il compito di gestire gli appalti pubblici, con l’obiettivo di aggirare la corruzione endemica che da decenni affligge il Paese.

L’amministrazione Rama non ha mai nascosto il proprio entusiasmo per tutto ciò che riguarda l’intelligenza artificiale. Anzi, il premier ha spesso abbracciato la visione secondo cui tali strumenti possano rappresentare una sorta di panacea universale, soprattutto per le fragilità politiche e istituzionali. Un tecno-ottimismo che porta con sé potenziali derive autoritarie, ma che si intreccia anche con la volontà di mantenere un dialogo positivo con l’Unione Europea. Già nel dicembre 2023, Rama aveva rivelato di essere entrato in contatto con la connazionale Mira Murati, allora Chief Technology Officer di OpenAI, al fine di esplorare soluzioni di IA utili ad accelerare il percorso di adesione dell’Albania all’UE, previsto ambiziosamente per il 2030.

Non a caso, la lotta alla corruzione e la trasparenza degli appalti figurano tra le richieste prioritarie avanzate dalle istituzioni europee, ben consapevoli del fatto che la nazione sia regolarmente sconvolta da scandali riguardanti una torbida gestione delle finanze. Ad aprile, il governo aveva dunque annunciato di voler affrontare queste criticità proprio attraverso l’intelligenza artificiale: Diella, la “servitrice virtuale degli appalti pubblici”, sembra la traduzione concreta di questa promessa. Resta però incerto quale sarà, in concreto, il suo ruolo. Rama ha dichiarato con enfasi che l’Albania diventerà “un Paese in cui gli appalti pubblici saranno al 100% esenti da corruzione”, tuttavia i dettagli tecnici e formali dell’operazione non sono stati resi noti.

L’ambiguità è accentuata dal fatto che la definizione stessa di intelligenza artificiale è vaga. Non è chiaro se Diella poggi su di un sistema algoritmico sviluppato ad hoc per la gestione pubblica o, più verosimilmente, su di un modello linguistico fornito da aziende terze. Nel caso, non si sa con certezza quale modello venga utilizzato, né chi lo controlli. Rama ha dichiarato però che le decisioni sulle gare d’appalto saranno prese dai singoli ministeri per poi essere affidate a Diella, un dettaglio che suggerisce che Diella sia più un chatbot che un vero sistema di automazione amministrativa. Questa ipotesi è corroborata dal fatto che, nei giorni seguenti all’annuncio, il Primo Ministro abbia pubblicato su X uno scambio intrattenuto con l’avatar, il quale, facendo riferimento ai membri dell’opposizione, lo avrebbe invitato a “non ostacolare mai un avversario che sta commettendo un errore”: un’uscita conversazionale dai toni faziosi che non risulta pertinente alla funzione che lo strumento dovrebbe esercitare.

Al di là del fatto che Diella sia uno strumento efficace o una copertura utile a millantare un cambiamento che non avverrà, è indubbio che l’Albania si stia ritagliando un ruolo da protagonista nella corsa alla digitalizzazione. Il governo prevede di eliminare la cartamoneta entro il 2030, sostituendola integralmente con i pagamenti digitali, e ha già trasferito gran parte dei servizi pubblici sulla piattaforma e-Albania. Quest’ultima è affiancata da un assistente digitale che ha a sua volta le fattezze di Diella e che viene alimentato dai modelli di OpenAI tramite il servizio Azure di Microsoft. Non è dato sapere se lo strumento presente su e-Albania sia il medesimo che dovrà determinare l’assegnazione degli appalti. L’entusiasmo albanese per l’IA assume spesso anche tratti performativi: basti ricordare che il 16 maggio 2025, in occasione della sesta riunione della Comunità Politica Europea ospitata a Tirana, i leader europei furono accolti da un video che li ritraeva come bebè sorridenti generati dall’intelligenza artificiale.

Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.

UE, ok al rinnovo della “lista nera” dei russi

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L’Unione europea ha prorogato di sei mesi le sanzioni contro oltre 2.500 persone ed entità accusate di aver favorito l’invasione russa dell’Ucraina e di aver violato la sovranità territoriale del Paese. Tra gli inseriti nella lista nera figurano Vladimir Putin, Sergey Lavrov, deputati, generali, oligarchi, dirigenti d’azienda, propagandisti e mercenari, nonché i responsabili del rapimento di bambini ucraini. La decisione è stata presa oggi, venerdì 12 settembre, a Bruxelles durante una riunione degli ambasciatori, confermata dalla presidenza danese; le obiezioni di Ungheria e Slovacchia non hanno evitato alcuna esclusione.

Al parlamento europeo saranno votate due mozioni di sfiducia contro von der Leyen

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Per la prima volta nella storia del Parlamento europeo, Ursula von der Leyen si trova a dover fronteggiare due mozioni di sfiducia presentate a poche ore di distanza l’una dall’altra. La prima è arrivata mercoledì dal gruppo di estrema destra Patrioti per l’Europa, che ha annunciato di aver raccolto 85 firme, superando la soglia minima delle 72. Giovedì è stata la volta del gruppo di sinistra, che ha raggiunto le 72 firme (un decimo dei membri del Parlamento) necessarie per dare il via al processo. Entrambe le mozioni di censura hanno come obiettivo le dimissioni della presidente della Commissione e dell’intero Collegio dei Commissari, accusati di aver tradito il mandato politico dell’Unione. La discussione e il voto sono attesi per la plenaria di ottobre a Strasburgo. Le due iniziative condividono l’obiettivo di rovesciare la presidente della Commissione, ma divergono nelle motivazioni politiche. La loro presentazione quasi simultanea costringerà l’aula a discutere e votare entrambe le proposte nella stessa sessione, un evento senza precedenti nella storia dell’Eurocamera.

I Patrioti per l’Europa, il nuovo gruppo di estrema destra guidato da Jordan Bardella, hanno messo al centro della loro mozione di censura le accuse di fallimento sulla pace, sulla competitività e soprattutto sulle migrazioni, un tema centrale nella loro agenda. Il documento critica in particolare l’accordo di libero scambio con il Mercosur e il recente quadro commerciale con gli Stati Uniti, presentati da Ursula von der Leyen come passi avanti strategici. Per Bardella e la vicepresidente Kinga Gál, quegli accordi sono, invece, l’ennesima dimostrazione di una Commissione “subalterna a Washington e incapace di difendere l’agricoltura e le imprese europee”. Una mozione simile, sempre proveniente da deputati di estrema destra, è stata votata in Parlamento a luglio, con solo 175 deputati a favore, ben lontani dal raggiungere il numero minimo. Diverso, ma non meno duro, l’approccio della sinistra. La mozione presentata da The Left ha raccolto 72 firme, includendo oltre ai 46 deputati del gruppo anche esponenti dei Verdi – soprattutto spagnoli e italiani –, alcuni indipendenti come la sinistra radicale tedesca Sahra Wagenknecht Alliance e persino un eurodeputato dei Socialisti e Democratici, l’irlandese Aodhán Ó Ríordáin. Alla base c’è la denuncia di una tendenza autoritaria della Commissione, accusata di “far passare le cose con la forza” e di imporre intese commerciali “asimmetriche e non reciproche” senza mandato democratico. L’accordo con gli Stati Uniti viene bollato come un atto che riduce l’Unione a “vassallo di Donald Trump”, mentre quello con il Mercosur viene indicato come una minaccia “che non farà altro che uccidere l’agricoltura europea”. Il secondo pilastro della mozione riguarda la guerra a Gaza. La sinistra accusa la Commissione di aver voltato lo sguardo davanti a una tragedia che, secondo i firmatari, ha provocato oltre 60 mila morti. Manon Aubry, co-presidente del gruppo di sinistra, ha parlato di “incapacità di agire” e ha chiesto misure immediate: sospendere l’accordo di associazione con Israele, imporre sanzioni e avviare un embargo globale sulle armi. L’accusa è che l’esecutivo comunitario abbia lasciato l’Europa inerte davanti a una delle peggiori crisi umanitarie del secolo. La mozione aggiunge anche la critica per la gestione del clima e della crisi sociale interna, accusando la Commissione di incapacità e immobilismo. In entrambi i casi, la conclusione dei firmatari è identica: von der Leyen e i suoi commissari hanno perso legittimità politica e dovrebbero dimettersi.

Sul piano procedurale, i servizi giuridici del Parlamento dovranno verificare la validità delle firme e successivamente la presidente Roberta Metsola fisserà il dibattito in plenaria. Le mozioni saranno probabilmente discusse nella stessa settimana, a inizio ottobre. Per costringere la Commissione alle dimissioni occorrono, però, i due terzi dei voti espressi, una soglia che né l’estrema destra né la sinistra possono realisticamente raggiungere a meno che non uniscano le proprie forze. È improbabile, dunque, che i tentativi abbiano successo, anche perché la Sinistra ha già escluso di sostenere la mozione dei Patrioti, mentre il presidente dei Patrioti per l’Europa, Bardella, non ha chiuso la porta a un voto favorevole alla mozione opposta, spiegando che il suo partito Rassemblement National non ha problemi a votare testi provenienti da altre famiglie politiche, se ne condivide il contenuto. Al di là delle dichiarazioni, resta il nodo sulla guerra a Gaza che divide i due schieramenti. Criticata da destra e da sinistra, la Ursula von der Leyen affronta un passaggio che difficilmente metterà fine al suo mandato, ma che segna un indebolimento politico senza precedenti nella storia recente dell’Unione.