Lee Jae-myung, esponente del centrosinistra e figura di spicco del Partito Democratico, ha vinto le elezioni presidenziali in Corea del Sud, sconfiggendo il conservatore Kim Moon-soo del Partito del Potere Popolare (lo stesso dell’ex presidente Yoon Suk-yeol, rimosso dall’incarico dopo che lo scorso dicembre aveva tentato di imporre la legge marziale). Lee, 61 anni, avrà la maggioranza parlamentare, ma resta una figura divisiva, sotto accusa per corruzione e a processo per dichiarazioni false. Si prevede che i procedimenti verranno sospesi grazie all’immunità presidenziale. Nonostante appartenga all’ala più progressista del partito, mantiene posizioni conservatrici su diritti LGBT+ e delle donne.
Nigeria, porto di Lagos chiuso per proteste contro estorsioni
Il porto di Lagos, tra i più grandi dell’Africa, è stato chiuso a causa di una protesta indetta dal Consiglio delle Associazioni e dei Sindacati degli Autotrasportatori Marittimi (COMTUA). L’Autorità Portuale ha sospeso le operazioni portuali, interrompendo lo sdoganamento delle merci. I manifestanti denunciano estorsioni da parte di attori statali e non, oltre a doppia imposizione e perdita di posti di lavoro. Il porto, che gestisce fino a 5,5 milioni di tonnellate di merci all’anno, accoglie navi cargo fino a 100mila tonnellate di portata lorda.
Mongolia, primo ministro si dimette per scandali corruzione
Il primo ministro della Mongolia, Oyun-Erdene Luvsannamsrai, si è dimesso oggi dopo aver perso un voto di sfiducia: ha ottenuto solo 44 voti, contro i 64 necessari per restare in carica. La mozione è arrivata in seguito a scandali e accuse di uso improprio di fondi pubblici, soprattutto da parte della sua famiglia. Luvsannamsrai, in carica dal 2021, è stato al centro di crescenti critiche legate alla corruzione e all’aumento delle disuguaglianze sociali, diventando per molti il simbolo del malgoverno che affligge il paese da anni.
In dieci anni oltre 6.400 attacchi hanno colpito gli attivisti ambientali
Oltre 6.400 attacchi contro difensori dei diritti umani sono stati registrati tra il 2015 e il 2024, il 75% dei quali rivolti a chi difende l’ambiente, le comunità locali e i territori indigeni. Lo attesta un nuovo rapporto pubblicato dal Business & Human Rights Resource Centre (BHRRC), che spiega come il settore minerario risulti il più pericoloso (1.681 attacchi), seguito da agricoltura industriale, combustibili fossili, energie rinnovabili e disboscamento. Le regioni più colpite sono America Latina, Caraibi, Asia e Pacifico. Un attacco su cinque ha colpito popolazioni indigene, che rappresentano il 31% delle vittime uccise. Oltre 3.300 casi sono cause legali pretestuose. La maggior parte degli episodi resta impunita, alimentando un clima di violenza sistemica.
America Latina, Caraibi e Asia-Pacifico rappresentano le aree più pericolose: qui si concentra, come evidenziato dal rapporto, il 71% degli attacchi documentati. L’Africa segue con 583 casi, un terzo dei quali solo in Uganda. In America Latina, sei paesi (Brasile, Messico, Honduras, Colombia, Perù e Guatemala) concentrano da soli il 35% degli attacchi globali. Il solo Honduras, con appena lo 0,1% della popolazione mondiale, rappresenta il 6,5% degli attacchi. In Asia spiccano le Filippine (411 casi), India (385), Cambogia (279) e Indonesia (216). Nelle Filippine e in America Latina si registrano anche la maggior parte degli omicidi di difensori dei diritti umani indigeni, che rappresentano il 31% delle vittime totali. Il bilancio delle vittime è drammatico: quasi 1.100 omicidi in dieci anni, 52 solo nel 2024. A questi si aggiungono almeno 116 casi di rapimenti e sparizioni forzate, concentrati soprattutto in Messico e nelle Filippine. Secondo quanto attestato dalla ricerca, qui la maggior parte degli attacchi rimane impunita, alimentando una cultura della violenza sistemica. L’impatto delle aggressioni è devastante: intimidazioni, danni fisici, isolamento sociale, conseguenze economiche e psicologiche.
Un segnale inquietante arriva anche da contesti considerati democratici. Nel Regno Unito, gli attacchi sono aumentati da 7 nel 2022 a 21 nel 2023 (anno dell’introduzione del controverso Public Order Act), fino a 34 nel 2024. Il 91% riguarda molestie giudiziarie, spesso rivolte a chi critica il settore dei combustibili fossili. In tutto il mondo, oltre metà degli attacchi (3.311) si concretizza in procedimenti giudiziari, arresti arbitrari e SLAPP (azioni legali strategiche contro la partecipazione pubblica). Oltre 530 i casi di SLAPP documentati dal 2015, di cui il 69% con accuse penali che prevedono pesanti pene detentive. Il settore minerario è il più coinvolto (31% dei casi). Con l’aggravarsi della crisi climatica, molti attivisti – soprattutto giovani e popoli indigeni – hanno praticato forme di disobbedienza civile per denunciare l’inerzia dei governi e fermare i progetti estrattivi. In risposta, numerosi Stati hanno varato leggi repressive, intensificato la sorveglianza, limitato il diritto di protesta e classificato gli attivisti come “terroristi” o “anti-sviluppo”. Un esempio emblematico è Panama, dove la protesta contro un contratto minerario con la canadese First Quantum Minerals ha provocato una durissima repressione: almeno 30 arresti, 21 accuse di terrorismo, diversi feriti e tre omicidi. Le imprese coinvolte hanno ignorato le richieste di risposte da parte del Resource Centre.
Il report sottolinea come molti Stati non solo manchino al loro dovere di protezione, ma siano parte attiva degli attacchi, anche attraverso la magistratura, le forze armate o la polizia. Spesso agiscono in collusione con imprese private o gruppi non statali, dando priorità al profitto piuttosto che ai diritti umani. Secondo i Principi Guida delle Nazioni Unite, le imprese hanno l’obbligo di prevenire e rimediare a ogni violazione legata alle proprie attività. Tuttavia, anche nei casi in cui il legame diretto con l’attacco non sia evidente, esse dovrebbero usare la propria influenza per tutelare chi difende i diritti umani.
Nel documento vengono enucleati dati circostanziati, ma largamente incompleti, dal momento che le gravi restrizioni allo spazio civico e i timori per la sicurezza personale impediscono spesso la denuncia di molte violazioni. In numerosi Paesi, l’assenza di monitoraggio da parte dei governi contribuisce a mantenere nell’ombra un fenomeno sistemico. Come evidenzia la stessa ricerca, ciò che emerge è solo “la punta dell’iceberg”. Il report si chiude con un appello chiaro: una giusta transizione climatica e una società equa non sono possibili senza la protezione dei difensori dell’ambiente. Oggi, infatti, difendere il pianeta può spesso significare rischiare la vita.
Gaza, Israele spara ancora su folla in attesa di cibo: almeno 27 morti
Almeno 27 persone sono state uccise e 90 ferite nel sud di Gaza stamane mentre attendevano aiuti, secondo il ministero della Salute di Hamas. Alcuni dei feriti versano in condizioni critiche. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver sparato dopo aver individuato «sospetti» a circa 500 metri da un punto di distribuzione di aiuti vicino a Rafah, inizialmente con colpi di avvertimento. Le Forze di Difesa Israeliane affermano di essere a conoscenza delle vittime e stanno verificando l’accaduto. Intanto, almeno dieci palestinesi, tra cui due bambini, sono morti in raid israeliani a Khan Yunis.
Gli scienziati avrebbero scoperto un nuovo pianeta nel Sistema Solare
Cercavano prove riguardanti il famoso “Pianeta Nove”, ma sono finiti per trovarne un altro comunque tanto particolare quanto misterioso: è quanto accaduto a un gruppo di ricercatori guidati da scienziati dell’Università di Princeton, i quali hanno scoperto nelle profondità più oscure del sistema solare quello che provvisoriamente si chiama 2017 OF201. Impiega circa 24.000 anni per completare un’orbita – che lo porta fino a 151 miliardi di miglia di distanza – ed è abbastanza grande da essere classificato come pianeta nano, ovvero la stessa categoria a cui appartiene Plutone. Il tutto accompagnato da una serie di dettagli descritti in un nuovo studio, non ancora sottoposto a revisione paritaria, ma che sta velocemente attirando l’attenzione di agenzie di stampa e testate internazionali, che hanno già intervistato alcuni autori a riguardo. «Il movimento di questi oggetti nel cielo segue uno schema particolare», ha commentato il coautore Sihao Cheng, aggiungendo che tale caratteristica ha ispirato l’algoritmo da lui usato per effettuare la scoperta.
L’interesse per le regioni più lontane del Sistema Solare, spiega Cheng, è nato dopo aver assistito a una conferenza dell’astronomo Mike Brown, famoso per aver scoperto nel 2005 il pianeta nano Eris e per aver innescato la retrocessione di Plutone a “pianeta minore”. Brown è anche uno dei principali sostenitori dell’esistenza del cosiddetto Pianeta Nove, un corpo più grande della Terra che, secondo alcuni calcoli, dovrebbe trovarsi in una zona remota del Sistema Solare e influenzare l’orbita di molti oggetti lontani. Per cercarlo, Cheng ha ideato un algoritmo capace di identificare oggetti in movimento all’interno di vecchie immagini astronomiche e, dopo mesi di analisi, i calcoli hanno portato alla scoperta di 2017 OF201 in alcune immagini d’archivio scattate dal telescopio Blanco in Cile, a cui si sono aggiunte altre osservazioni del telescopio Canada-France-Hawaii. «Abbiamo scoperto un oggetto transnettuniano molto grande in un’orbita molto esotica», ha commentato, aggiungendo che il corpo celeste non avrebbe però raggiunto la soglia per essere definito un vero e proprio pianeta, visto che non è abbastanza grande da aver “ripulito il suo vicinato” da altri oggetti vicini alla sua orbita.
In ogni caso, in attesa che calcoli futuri confermino i dettagli scoperti o ne aggiungano di nuovi, rimangono caratteristiche tutt’altro che comuni: il nuovo oggetto ha un diametro stimato di circa 430 miglia e si trova così lontano da impiegare un’eternità per compiere un giro intorno al Sole, visto che non sarà nuovamente visibile nei pressi della Terra prima dell’anno 26186. La sua orbita, calcolata con grande precisione, sembrava in un primo momento allinearsi con le previsioni sul Pianeta Nove, ma un errore corretto dagli autori ha cambiato completamente la prospettiva. Le successive simulazioni numeriche, poi, hanno mostrato una tesi opposta rispetto alle speranze iniziali dei ricercatori: hanno mostrato che, se davvero il Pianeta Nove esistesse, l’influenza gravitazionale di quest’ultimo avrebbe già espulso 2017 OF201 dal Sistema Solare. Il fatto che l’oggetto sia ancora lì, dunque, potrebbe suggerire che il Pianeta Nove non esista affatto. «Quando ho tracciato l’orbita ho pensato: ok, questo uccide il Pianeta Nove», ha commentato il coautore Jiaxuan Li, anche se il suo collega Cheng, non è convinto: «Penso ancora che il Pianeta Nove sia possibile». A gettare ulteriore benzina sul fuoco c’è anche un altro studio però, questa volta della Rice University e pubblicato su Nature Astronomy, secondo cui pianeti simili al Pianeta Nove potrebbero trovarsi su orbite stabili anche molto distanti grazie all’influenza gravitazionale di una stella di passaggio nei primi anni di vita del sistema. «La stella che passa essenzialmente salva il pianeta», aveva spiegato l’autore dello studio André Izidoro. Se davvero 2017 OF201 non dovrebbe trovarsi lì, ma c’è, allora ogni risposta solleva una nuova domanda. E il mistero, ancora una volta, si infittisce.
Olanda, salta il governo per dissidi su politiche migratorie
Geert Wilders, leader del Partito della Libertà (Pvv), ha annunciato il ritiro del suo sostegno alla coalizione di governo olandese, provocandone la caduta. La decisione, comunicata dopo una consultazione con gli altri leader della coalizione, arriva a seguito di forti tensioni sulla politica migratoria. Wilders si è detto frustrato per la lentezza nell’attuazione di misure restrittive sull’immigrazione, promesse dopo la sua vittoria elettorale del novembre 2023. La crisi politica apre un periodo di incertezza nei Paesi Bassi, a poche settimane dal vertice NATO in programma a l’Aja.