mercoledì 14 Maggio 2025
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L’UE ha annunciato 1,6 miliardi di fondi per “la ripresa e la resilienza” della Palestina

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L’Unione Europea ha proposto un pacchetto da 1,6 miliardi per la Palestina da erogare tra il 2025 e il 2027. La misura è stata annunciata con un comunicato stampa denso di parole di supporto alla causa palestinese, ma privo di concretezza: la maggior parte dei fondi andrebbe all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) per favorire un processo di riforma interna e «per aiutarla a rispondere alle esigenze più urgenti della pubblica amministrazione», in questo momento impegnata a soddisfare le richieste di Israele; un quarto del denaro sarebbe destinato agli investimenti privati, mentre un terzo – che gestirebbe sempre l’ANP – agli aiuti effettivi, che tuttavia inizierebbero a venire erogati solo «una volta che le condizioni sul campo lo consentiranno». Un intervento che ha tutta l’aria di essere di facciata, insomma, come confermano le parole di inizio e fine comunicato: con questa misura l’UE vuole contribuire ad arrivare a «una pace duratura e sostenibile fondata sulla soluzione dei due Stati», ma naturalmente senza riconoscere la Palestina.

La proposta di finanziamento europea ruota attorno a tre «pilastri»: supporto ai servizi, sostegno alla ripresa e alla stabilizzazione della Cisgiordania e di Gaza, e supporto al settore privato. Per quanto concerne il primo punto, l’UE intende stanziare circa 620 milioni di euro in sovvenzioni di assistenza diretta al bilancio dell’Autorità Nazionale Palestinese. «Tali sovvenzioni», si legge nel comunicato, serviranno principalmente «ad attuare le riforme chiave in materia di sostenibilità fiscale, governance democratica, sviluppo del settore privato e infrastrutture e servizi pubblici, contribuendo alla costruzione sostenibile dello Stato nei territori palestinesi». Riguardo ai fondi dedicati alla ripresa e alla stabilizzazione della Striscia, l’UE propone un pacchetto di massimo 576 milioni di euro «in sovvenzioni per sostenere progetti concreti sul campo» nei settori dell’acqua, dell’energia e delle infrastrutture, che verranno erogati solo «quando la situazione lo consentirà». Nell’ambito di questo finanziamento, l’UE propone inoltre un pacchetto di 82 milioni di euro all’anno all’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA). Il piano, infine, prevede 400 milioni da destinare ai privati tramite la Banca Europea per gli Investimenti.

Solo gettandovi un rapido sguardo, è facile notare come l’iniziativa dell’Unione Europea sembri tutto tranne che un inedito slancio filantropico nei confronti dei palestinesi. Il comunicato si apre con un annuncio dai toni decisi in cui l’UE dice di «ribadire il suo incrollabile sostegno al popolo palestinese e il suo impegno per una pace duratura e sostenibile basata sulla soluzione dei due Stati». Si chiude con una nota seguita da un asterisco in cui specifica che «la presente designazione non deve essere interpretata come riconoscimento dello Stato di Palestina». In una situazione come quella attuale, proporre un aiuto finanziario negando il riconoscimento politico rischia di risultare in uno sforzo vano. Se poi nel frattempo si continua a sostenere incondizionatamente lo Stato ebraico, senza esercitarvi pressioni o proporre misure per contenerne i suoi intenti genocidi, quello sforzo sembra configurarsi come una iniziativa di facciata.

Va inoltre sottolineato che la quasi totalità dei finanziamenti verrebbe data in mano all’ANP, che negli ultimi quattro mesi ha tagliato i fondi per le famiglie delle vittime e dei prigionieri palestinesi, chiuso i canali di Al Jazeera in Cisgiordania, e portato avanti l’operazione militare “Protezione della Patria” contro il suo stesso popolo, terminandola in concomitanza con l’avvio dell’operazione “Muro di Ferro” dell’esercito israeliano. Il presidente dell’ANP, Mahmud Abbas, inoltre, ha invitato ad «andare in pensione anticipata» diverse figure politiche di spicco che gli si opponevano, tra cui il segretario del Comitato per gli Affari dei Prigionieri Palestinesi, Qadura Fares. La maggior parte dei finanziamenti stanziati all’ANP, peraltro, è rivolta al funzionamento dell’organizzazione, e non al sostegno del popolo palestinese.

Soffermandosi attentamente sui finanziamenti, infatti, emerge come i fondi stanziati non siano davvero così ingenti come l’UE vorrebbe far credere: gli aiuti diretti alla popolazione palestinese, da finanziare mediante i programmi dell’UNRWA, si attestano a circa 245 milioni di euro, pari a un sesto del pacchetto nella sua interezza. Essi, inoltre, non arriverebbero ora che la situazione nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania risulta particolarmente critica, ma in un non meglio specificato momento in cui «le condizioni lo permettono». Anche i fondi per la ricostruzione sono ben più ridotti di quanto sembri. In questo momento, Israele sta portando avanti un piano di demolizione e occupazione della Cisgiordania, mentre la Striscia risulta in gran parte rasa al suolo: la proposta di pace egiziana avanzata lo scorso marzo promuoveva un piano di ricostruzione della Striscia di Gaza dal valore complessivo di circa 47 miliardi di euro. Di fronte a queste stime, l’UE propone – al netto degli aiuti all’UNRWA – un finanziamento di massimo 330 milioni di euro da spartire tra Gaza e Cisgiordania.

All’8 aprile, data dell’ultimo aggiornamento dell’ONU, Israele ha distrutto o danneggiato il 92% delle case, l’82% delle terre coltivabili, l’88,5% delle scuole e, in generale, il 69% di tutte le strutture della Striscia. In totale, dall’escalation del 7 ottobre, l’esercito israeliano ha ucciso direttamente oltre 51.000 persone, anche se il numero totale dei morti potrebbe superare le centinaia di migliaia, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet e da una lettera di medici volontari nella Striscia.

Milano, al corteo per Gaza c’era anche un agente con una felpa neonazista

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Non solo cariche e manganellate sui manifestanti raccontate dai media in modo arbitrario e parziale, come abbiamo dimostrato in un articolo pubblicato ieri su L’Indipendente. Ora emerge che, tra gli agenti che sabato scorso hanno caricato i manifestanti al corteo per la Palestina di Milano ce n’era anche almeno uno che indossava una felpa infarcita di simboli neonazisti. Le riprese, rilanciate dal portale di movimento Osservatorio Repressione, mostrano infatti un poliziotto con un giubbino nero in cui si legge la scritta “Narodowa Duma” (“Orgoglio Nazionale”), slogan legato a un gruppo neonazista polacco. Un altro agente indossava una felpa con un toro stilizzato, che alcuni associano agli ultras di estrema destra e militanti neonazisti polacchi “Teschi dell’Aquila”, altri a una palestra di Milano. La Digos, dopo avere acquisito le immagini, ha comunicato di avere identificato entrambi i poliziotti coinvolti.

La questura della città meneghina sta approfondendo la questione, visionando il materiale. Se l’agente con la felpa recante il simbolo del toro ha affermato di avere ottenuto l’indumento da una palestra da lui frequentata a Paderno Dugnano, il poliziotto con il giubbino con la scritta “Narodowa Duma” – rispetto a cui ci sono invece pochi dubbi – ha provato a difendersi sostenendo di non essersi reso conto del significato politico di quella frase. Lo avrebbe detto ai colleghi che lo hanno identificato, aggiungendo che avrebbe comprato quel capo mentre si trovava in Polonia per visitare i campi di concentramento nazisti della Shoah. La questura sta valutando per il poliziotto provvedimenti per potenziali responsabilità disciplinari, chiarendo che l’uomo non era autorizzato a indossare quel giubbino durante il servizio. L’agente è in servizio presso un commissariato del capoluogo lombardo e non ha specifiche competenze in materia di ordine pubblico. Con tutta probabilità, al centro del procedimento – che non dovrebbe sfociare in una sospensione o in un trasferimento – ci sarà l’ipotesi di lesione al prestigio dell’amministrazione. Sulla vicenda si muove anche la politica: Angelo Bonelli, coportavoce nazionale di Europa Verde e parlamentare di Alleanza Verdi Sinistra, ha annunciato che indirizzerà un’interrogazione al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. «Voglio sapere se ritiene normale che un agente delle forze dell’ordine possa indossare, durante il servizio, una giacca non prevista dall’uniforme ufficiale, per di più con simboli chiaramente riconducibili all’estrema destra internazionale – ha dichiarato il deputato -. È inaccettabile che chi rappresenta lo Stato sul campo, durante operazioni di ordine pubblico, possa lanciare un messaggio ideologico così pericoloso».

La manifestazione nazionale per la Palestina in cui erano presenti i due agenti che ora sono sotto l’occhio della Digos è andata in scena sabato scorso. Quando il corteo, dopo una lunga marcia pacifica, aveva quasi raggiunto la sua meta, la situazione è degenerata in una carica della polizia che ha portato all’arresto di 7 persone, che sono tornate a casa con denunce per resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento, oltre che con fogli di via. Quando l’isola di traffico che apre Piazza Baiamonti è stata raggiunta da uno striscione attribuito ai soliti non meglio identificati “gruppi antagonisti”, dietro cui si trovavano solo persone intente a camminare, la polizia ha chiuso a uncino il corteo, spaccandolo a metà e caricando i manifestanti. Le forze dell’ordine hanno provato ad arrestare arbitrariamente alcuni dei presenti, sventolando gli sfollagente alla cieca. Nel frattempo, il cordone parallelo a quello che ha iniziato le cariche ha iniziato a spingere i manifestanti con gli scudi, e colpito la gente con calci e manganellate, per poi iniziare a prelevare in maniera violenta alcuni dei presenti.

Ungheria, bando alle manifestazioni Lgbtq+ entra in Costituzione

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Il Parlamento ungherese ha dato il via libera con un’ampia maggioranza a un emendamento costituzionale che rafforza il divieto della Pride March, introducendo nuove restrizioni contro la comunità Lgbtq+. Il testo, che ha ottenuto il semaforo verde con 140 sì e soltanto 21 parlamentari contrari, fornisce la base costituzionale alla legge approvata il 18 marzo che vieta la marcia annuale del Pride, rafforzando la linea dell’esecutivo contro il riconoscimento delle identità di genere non binarie. Il provvedimento prende di mira anche le persone con doppia o multipla cittadinanza, considerate potenziali «traditori della nazione», che  potranno essere private della cittadinanza ungherese ed espulse dal Paese.

I dati di migliaia di cittadini italiani sono finiti in mano agli hacker

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Un nuovo attacco informatico scuote Milano e altre città italiane: i dati personali degli utenti dell’app ATM, utilizzata per l’acquisto di biglietti e abbonamenti del trasporto pubblico, sono stati violati e trasferiti su un archivio esterno non autorizzato. A comunicarlo è stata la stessa Azienda Trasporti Milanesi, che ha confermato la compromissione di informazioni anagrafiche e di contatto a seguito di un attacco subito da Mooney Servizi S.p.A., società incaricata della gestione dei dati. ATM non è l’unica azienda a essere stata colpita: a stretto giro sono arrivate le comunicazioni di altre società coinvolte nello stesso attacco, come Tuabruzzo, UNICO Campania e Busitalia Veneto. Non sarebbero stati intercettati dati bancari, credenziali di accesso o indirizzi di residenza.

L’attacco, avvenuto il 5 aprile scorso, ha messo in evidenza quanto sia vulnerabile un sistema che affida la gestione dei dati sensibili a molteplici fornitori esterni. In particolare, l’intrusione ha colpito un archivio ospitato da WIIT S.p.A., società di servizi cloud scelta da Mooney Servizi – che è partecipata al 50% da Isybank (Intesa San Paolo) e al 50% da EnelX – per custodire i dati dei propri clienti. Gli hacker sarebbero riusciti a copiare i dati su un cloud esterno, ma le modalità precise dell’esfiltrazione sono ancora oggetto di indagine. I dati sottratti comprendono nome, cognome, indirizzo email, numero di telefono e informazioni relative al profilo cliente. Nessun dato bancario, carta di credito o password è stato compromesso. Tuttavia, ATM ha evidenziato che il rischio principale è la perdita di riservatezza e l’uso non autorizzato delle informazioni, con possibili conseguenze in termini di phishing, tentativi di truffa o campagne di spam mirate. In risposta all’accaduto, ATM ha immediatamente chiesto a Mooney Servizi una reportistica aggiornata e dettagliata sulle contromisure adottate. Sono stati inoltre rafforzati i sistemi di sicurezza per l’accesso da parte di soggetti terzi e il data breach è stato regolarmente notificato al Garante per la Protezione dei Dati Personali e all’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, come previsto dalla normativa.

Anche Mooney Servizi ha agito tempestivamente, fornendo informazioni ai clienti sulla violazione dei dati, isolando i propri sistemi per impedire ulteriori accessi non autorizzati e collaborando con le autorità competenti per limitare l’impatto dell’attacco. Nonostante l’immediata reazione, l’episodio ha riacceso il dibattito sulla fragilità delle infrastrutture digitali pubbliche e sulla necessità di criteri di sicurezza più stringenti quando si tratta di gestire dati sensibili dei cittadini. Le indagini tecniche sono in corso per definire l’esatta portata dell’attacco e per identificare i responsabili. Nel frattempo, sia ATM che le altre aziende coinvolte hanno invitato tutti gli utenti a prestare la massima attenzione a eventuali email sospette o richieste anomale di dati personali. Gli utenti dovrebbero infatti diffidare di comunicazioni che sembrano provenire da istituzioni ufficiali ma che potrebbero nascondere tentativi di frode.

Haiti, approvato fondo straordinario di 240 milioni contro le gang

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Il consiglio presidenziale di transizione di Haiti ha approvato quello che viene definito un «fondo di guerra» straordinario per affrontare la lotta alle bande armate. Il fondo è pari a 36 miliardi di gourdes, circa 241 milioni di euro, e servirà a rafforzare le forze di sicurezza, proteggere il confine, e sostenere i programmi di assistenza sociale. Haiti è ormai da anni  in mezzo a una profonda crisi tra violenze delle bande armate e instabilità politica. Nell’ultimo periodo, la violenza delle gang è cresciuta: queste hanno preso il controllo di gran parte della capitale e si stanno espandendo nelle aree vicine.

USA, no alla revoca dello status legale a 500mila migranti

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Una giudice federale degli Stati Uniti ha impedito a Trump di porre fine a un programma che consente ad alcuni migranti di entrare negli Stati Uniti nel Paese. La revoca del programma avrebbe fatto perdere lo status legale a circa 500.000 persone. Il programma in questione è stato pensato e introdotto nell’era Biden e consente l’ingresso per due anni a un massimo di 30.000 migranti al mese provenienti da Cuba, Haiti, Nicaragua e Venezuela.

La Thailandia è il 68esimo Stato al mondo a vietare le punizioni corporali sui minori

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In Thailandia non sarà più possibile punire i bambini con la violenza, né a casa né a scuola. Il Parlamento ha approvato una nuova legge che modifica l’articolo 1567 del Codice Civile e Commerciale e vieta ogni forma di punizione fisica e psicologica nei confronti dei minori. Con questa decisione, il Paese è diventato il 68esimo al mondo a introdurre un divieto totale di punizioni corporali in tutti i contesti: scuole, asili, famiglie, istituti di assistenza e centri per minori. È il secondo del sud-est asiatico a farlo, dopo le Filippine. La legge vieta non solo gesti violenti come schiaffi, ...

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Regno Unito, 873 milioni di aiuti all’Ucraina

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Oggi il Regno Unito ha inviato all’Ucraina un pagamento di 752 milioni di sterline (circa 873 milioni di euro) attraverso il programma di prestiti straordinari per l’accelerazione delle entrate. Il finanziamento risulta il secondo pagamento erogato tramite la piattaforma, finanziata dai profitti derivanti da asset sovrani russi sanzionati nell’UE, e fa parte di un progetto di prestito che impegnerà il Regno Unito per 2,26 miliardi di sterline (oltre 2,58 miliardi di euro). Esso costituisce il contributo del Regno Unito al programma di prestiti straordinari creato su iniziativa del G7, che prevede l’erogazione di un totale di 50 miliardi di dollari.

È stato pubblicato il primo elenco ufficiale delle strutture abortive in Italia

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L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha pubblicato l’elenco ufficiale delle strutture pubbliche o convenzionate dove è possibile praticare l’aborto (IVG, interruzione volontaria di gravidanza), anche in forma farmacologica, in Italia. Fino ad ora gli elenchi esistenti erano resi disponibili solamente dalle organizzazioni e associazioni che si occupano di tutela del diritto all’aborto: è la prima volta in cui una lista ufficiale viene resa pubblica da quando l’accesso all’aborto ha iniziato a tutti gli effetti ad essere un diritto tutelato dalla legge, nel 1978. L’elenco manca tuttavia di un dato fondamentale per comprendere su che scala il diritto all’aborto sia effettivamente tutelato: quello sul totale dei medici obiettori di coscienza presenti in ciascuna struttura. Serena Donati, responsabile scientifica del Sistema di Sorveglianza Epidemiologica dell’IVG presso l’Istituto Superiore di Sanità, ha dichiarato in un’intervista che questi verranno aggiunti successivamente, senza tuttavia specificare quando.

«L’ISS ha già trasmesso al ministero la sua parte della relazione 2023, per cui dovrebbero essere prossimi» ha spiegato Donati, intervistata dal quotidiano Domani. Fino a che questo dato non sarà disponibile, resterà difficile capire in quante delle strutture indicate è effettivamente possibile accedere alla IVG. L’obiezione di coscienza rimane infatti il motivo principale per il quale le donne spesso hanno difficoltà ad accedere alla procedura, teoricamente garantita dalla legge. Secondo l’ultima Relazione del governo sullo stato di applicazione della legge 194 in Italia (i cui dati, tutt’altro che attuali, risalgono al 2022), vi sono Regioni quali il Molise e la Sicilia dove il tasso di personale obiettore di coscienza raggiunge rispettivamente il 90,9% e l’81,5%. In Valle d’Aosta e nella P.A. di Trento, dove si registrano le percentuali più basse in tal senso, il dato riguarda in ogni caso rispettivamente un quarto e quasi un terzo del personale sanitario (il 25% e il 31,8%).

Sul fronte politico, tuttavia, non sono mancate da quando è in carica il governo Meloni misure che più che a garantire l’accesso all’aborto legale come previsto dalla legge paiono orientate a facilitare l’attività dei gruppi politici e religiosi che vi si oppongono. Grazie, ad esempio, ai soldi prelevati dai fondi del PNRR destinati alla sanità, è ora permesso ai gruppi antiabortisti di organizzare interventi all’interno dei consultori, al fine di dissuadere le donne dall’accedere all’IVG. Iniziative in questo senso si sono registrate anche in alcune regione, come in Piemonte, dove la giunta ha messo a disposizione dei gruppi anti-abortisti un ingente quantitativo di fondi (un milione di euro) per la realizzazione del cosiddetto progetto Vita Nascente, volto alla “promozione del valore sociale della maternità”, al “sostegno delle gestanti e/o neomamme” e alla “tutela della vita nascente”. Fondi pubblici messi nelle mani di gruppi privati, insomma, che chiedono la revisione, se non la completa abolizione, della legge 194.

A fronte di ciò, va sottolineato come criminalizzare o rendere impossibile l’accesso alla pratica dell’aborto non comporti il fatto che le donne vi rinuncino. Secondo gli ultimi dati disponibili del ministero della Salute, nel periodo tra il 2014 e il 2016 il numero stimato di aborti clandestini si aggirava tra i 10 mila e i 13 mila casi. Secondo lo stesso Osservatorio Permanente sull’Aborto, composto anche da organizzazioni anti-abortiste e cattoliche, la pratica degli aborti clandestini è in crescita negli ultimi anni. Con tutti i rischi, anche gravi, che questo comporta per la salute delle donne.

Yemen, Houthi: “Almeno sei morti e 26 feriti per attacchi USA”

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Almeno sei persone sarebbero state uccise e altre 26 ferite nella notte a causa di una serie di attacchi aerei statunitensi vicino alla capitale dello Yemen controllata dai ribelli Houthi. Lo hanno affermato oggi proprio gli Houthi, sostenendo di aver abbattuto un altro drone americano, un MQ-9 Reaper. Gli attacchi sarebbero il frutto del rafforzamento della campagna degli USA contro i ribelli yemeniti per i loro attacchi alle navi sulle rotte commerciali nelle acque del Medio Oriente, apertasi lo scorso 15 marzo. Il Comando centrale dell’esercito statunitense non ha riconosciuto gli attacchi.