L’esercito ucraino ha colpito insediamenti nella regione di Belgorod con oltre 130 droni in un’unica giornata, secondo il comando operativo della regione, citato dalla Tass. A Belgorod città sono stati lanciati 31 droni — 23 abbattuti — con 11 civili feriti, tra cui due minorenni; l’attacco a una fermata dell’autobus ha causato 10 feriti accertati. Nel distretto di Belgorodskij 47 droni (35 distrutti) hanno ferito 9 persone, compreso un dodicenne. Altri attacchi hanno interessato i distretti di Borisovskij, Volokonskij, Valuysky, Shebekinsky, Graivoronsky e Krasnoyaruzhsky, provocando danni a case, auto, aziende e infrastrutture; in alcuni casi i sistemi di difesa hanno neutralizzato numerosi velivoli.
La polizia di Londra inizia a pattugliare la città coi droni
La Metropolitan Police di Londra ha recentemente avviato la fase pilota del progetto “Drone as First Responder”, un’iniziativa volta a potenziare l’efficacia, la rapidità e l’accuratezza degli interventi di emergenza grazie all’impiego di droni. Questi velivoli, lanciati da remoto, sono progettati per raggiungere in pochi minuti le aree interessate, trasmettendo in tempo reale immagini video agli agenti in arrivo e raccogliendo registrazioni utili all’identificazione di eventuali sospetti. L’obiettivo è anticipare le tempistiche della risposta operativa, fornendo agli agenti dispiegati sul campo una visione immediata e dettagliata della situazione e, al contempo, creare un archivio visivo che possa supportare le loro indagini.
Il comunicato diffuso ieri dalla MET rivela che la sperimentazione è partita nel quartiere londinese di Islington, dove i droni sono alloggiati in apposite postazioni di ricarica sui tetti degli uffici di polizia, pronti a essere lanciati in risposta alle chiamate al numero di emergenza. Una volta in volo, i velivoli trasmettono immagini in tempo reale al centro operativo e agli agenti diretti sulla scena, con l’obiettivo di fornire una presenza sul campo entro due minuti. Il flusso video ricevuto viene dunque utilizzato per orientare le decisioni operative, indirizzare l’allocazione delle risorse e acquisire prove in condizioni in cui il contesto può evolvere rapidamente.
Il vantaggio dichiarato rispetto all’uso tradizionale degli elicotteri consiste in costi inferiori, funzionamento più discreto, maggiore flessibilità operativa e impatto complessivo ridotto pur garantendo capacità analoghe di sorveglianza e raccolta di informazioni. Il progetto, condotto nell’ambito dell’iniziativa nazionale del National Police Chiefs’ Council (NPCC), punta a estendersi entro la fine dell’anno anche al West End e a Hyde Park. La MET precisa inoltre che in passato i droni venivano impiegati solo su richiesta e in operazioni programmate, mentre con il modello Drone as First Responder (DFR) diventano invece risorse “a chiamata”, attivabili in pochi secondi e normalizzate nel dispiegamento operativo.
Da un lato l’esperimento promette di ridurre sensibilmente i tempi di intervento, dall’altro solleva questioni complesse relative alla normativa sull’uso dello spazio aereo urbano, alla tutela della privacy dei cittadini e ai meccanismi di controllo sull’impiego e la conservazione di dati visivi sensibili. Le autorità locali e i partner del pilota dovranno dunque definire con cura limiti operativi, criteri di attivazione e sistemi di supervisione per evitare che l’innovazione tecnologica comprometta diritti fondamentali Un’attenzione che, recentemente, non sembra rientrare nelle priorità del governo britannico.
Sotto la guida di Keir Starmer, il Regno Unito ha annunciato lo scorso 29 settembre l’introduzione di un’identità digitale gratuita e obbligatoria che tutti i lavoratori dovranno adottare entro la fine della legislatura. La misura è stata presentata come strumento per contrastare l’immigrazione irregolare e rafforzare la sicurezza dei confini. Accessibile tramite l’app “gov.uk Wallet”, il sistema consentirà di verificare rapidamente l’identità e lo status legale delle persone e di semplificare l’accesso ai servizi pubblici. La proposta ha però suscitato aspre critiche da parte di gruppi per i diritti civili, dell’opposizione e di segmenti dell’opinione pubblica, i quali denunciano rischi di deriva autoritaria, violazioni della privacy e possibili discriminazioni nei confronti delle fasce più vulnerabili della popolazione.
Contraffazione, nel 2025 in Italia sequestrati 527 milioni di beni
Tra il 1° gennaio e il 30 settembre 2025 la Guardia di finanza ha effettuato circa 9.000 interventi contro la contraffazione, sequestrando quasi 527 milioni di beni e denunciando 3.344 responsabili, presentati oggi a Bari in occasione della “Giornata della lotta alla contraffazione per gli studenti” organizzata dal MIMIT e dal Ministero dell’Istruzione. Nel dettaglio: 48 milioni di prodotti contraffatti sequestrati e 2.600 denunciati; 542 interventi a tutela del Made in Italy con 28 milioni di articoli falsamente etichettati e 90 segnalati all’Autorità giudiziaria; 3.696 controlli sulla sicurezza con oltre 450 milioni di articoli non conformi e 580 denunciati; 1.609 violazioni contestate a consumatori, sanzionabili fino a 7.000 euro.
L’impero invisibile: radici e ascesa della famiglia Rockefeller

Poche dinastie hanno modellato il panorama economico, politico e sociale mondiale con la stessa forza e discrezione della famiglia Rockefeller. La loro storia non è solo la cronaca di un successo finanziario, ma la parabola di come un’ambizione implacabile, nata dalle umili radici del Rhineland tedesco, abbia dato vita al più grande monopolio industriale della storia e, successivamente, a un’influenza globale che perdura ancora oggi. Tutto ebbe inizio con John Davison Rockefeller Sr e la creazione della Standard Oil Company. Questo gigante, che arrivò a controllare oltre il 90% dell’industria petrolifera statunitense, divenne il simbolo del potere illimitato nell’età d’oro del capitalismo americano, scatenando al contempo un dibattito feroce su etica e monopolio che portò al suo storico smembramento nel 1911. Ma l’eredità dei Rockefeller non si esaurisce con il petrolio. Dopo aver raggiunto la vetta della ricchezza personale, la famiglia ha saputo orchestrare una seconda, più sottile, ascesa al potere attraverso una filantropia sistematica su scala industriale, la politica e la creazione di influenti circoli elitari. Dalla fondazione dell’Università di Chicago alla “Rivoluzione Verde”, dal Rockefeller Center alla Banca Chase Manhattan, fino al ruolo chiave nel Gruppo Bilderberg e nella Commissione Trilaterale, così come nel lancio di figure come Henry Kissinger, i Rockefeller hanno intrecciato la loro fortuna con le trame del potere mondiale.
Radici e ascesa della famiglia Rockefeller

Le radici della famiglia Rockefeller affondano nel Rhineland, in Germania, da cui Johann Peter Rockefeller emigrò in America intorno al 1723, stabilendosi nella regione dell’attuale Stato della Pennsylvania, allora come oggi abitato da una maggioranza di persone di origine tedesca, la cui capitale è Harrisburg. Il patriarca della dinastia miliardaria fu John Davison Rockefeller Sr., nato l’8 luglio 1839, a Richford, New York. Il suo successo economico iniziò nel 1859, quando entrò nel settore petrolifero con la perforazione del primo pozzo in Pennsylvania. Nel 1870, John D. Rockefeller, insieme al fratello William e ad altri soci chiave come Henry M. Flagler, organizzò e incorporò la Standard Oil Company of Ohio con un capitale di 1 milione di dollari. Il nome “Standard” fu scelto per segnalare ai clienti la qualità costante del loro cherosene raffinato, che eliminava le impurità presenti nei prodotti della concorrenza. Rockefeller dominò l’industria attraverso un’estrema efficienza operativa (integrazione verticale) e tattiche di consolidamento aggressive.
Il monopolio di Standard Oil e la sua scorporazione
Standard Oil ridusse drasticamente i costi operativi controllando la propria produzione di barili, il recupero dei sottoprodotti (come la benzina, che molti scartavano) e la produzione di acido solforico. La mossa più controversa fu la negoziazione di sconti segreti sulle tariffe ferroviarie e sui pagamenti sul petrolio spedito dai suoi concorrenti, in cambio di un elevato volume di spedizioni garantite. Questo forniva a Standard Oil un enorme vantaggio sui costi che i concorrenti non potevano eguagliare. Acquistando i concorrenti in bancarotta o costringendoli a vendere, Standard Oil controllava la raffinazione di circa il 90-95% di tutto il petrolio prodotto negli Stati Uniti entro il 1880.

Nel 1882, il controllo fu formalizzato con la creazione dello Standard Oil Trust, il primo grande trust aziendale degli Stati Uniti, che governava circa 40 società sotto un unico consiglio di nove fiduciari. Le pratiche di Standard Oil furono oggetto di intense critiche pubbliche, in particolare con la serie di articoli di inchiesta di Ida Tarbell nel 1902. Nel 1911, la Corte Suprema degli Stati Uniti, nel caso Standard Oil Co. of New Jersey vs. United States, ordinò lo smembramento della società per violazione dello Sherman Antitrust Act (1890). Dallo scioglimento emersero 34 società separate, tra cui i predecessori diretti di attuali giganti come ExxonMobil e Chevron.
Filantropia sistematica e potere politico
John D. Rockefeller Sr., ritiratosi dalla leadership attiva nel 1896 pur restando il maggiore azionista, dedicò la seconda parte della sua vita alla filantropia sistematica. Nel secondo decennio del Novecento divenne il primo miliardario al mondo. Prima della sua morte, nel 1937, Rockefeller Sr. donò in totale 540 milioni di dollari, (cifra non aggiustata per l’inflazione) creando istituzioni che hanno plasmato il mondo moderno. Nel 1890 fondò l’Università di Chicago e nel 1902 il General Education Board, che promosse l’istruzione pubblica nel Sud degli Stati Uniti. Ovviamente, l’istruzione rispecchiava le visioni e i principi capitalistici della famiglia Rockefeller. Nel 1901 Rockefeller Sr. Fondò persino l’Istituto Rockefeller per la Ricerca Medica (oggi Rockefeller University) e fu strumentale nella creazione di scuole di sanità pubblica alla Johns Hopkins University così come ad Harvard. Le sue fondazioni sostennero la ricerca che portò al vaccino per la meningite e la febbre gialla. Sono tantissime le organizzazioni create dalla famiglia Rockefeller in vari settori della vita sociale e politica.
Rockefeller e la “Rivoluzione verde”
La Fondazione Rockefeller, creata nel 1913, è diventata nel tempo un attore globale, promotrice della Rivoluzione Verde e di programmi internazionali per la sanità e lo sviluppo. In alcuni periodi ha distribuito più aiuti esteri dell’intero governo statunitense.
La rivoluzione messicana del 1910 diede avvio ad una stagione di tumulti in varie parti del mondo, tanto nei Paesi ricchi che in quelli poveri. Le rivendicazioni dei rivoluzionari contadini ebbero il loro apice quando venne eletto Presidente Lazaro Cardenas, il quale, oltre alla nazionalizzazione del settore petrolifero, compresa la compagnia statunitense Standard Oil, avviò un’ampia riforma agraria per rispondere alla fame delle masse povere del Paese: metà della terra coltivabile del Messico venne redistribuita ai contadini. La famiglia Rockefeller, proprietaria di Standard Oil, oltre ad aver subito l’oltraggio della nazionalizzazione, era ossessionata da principi e predizioni malthusiani rispetto a popolazione, cibo e ordine sociale.

Così, nel 1941, la Rockefeller Foundation mandò in Messico un giovane botanico di nome Norman Borlaug, futuro premio Nobel per la Pace (1970). La missione di Borlaug era quella di sviluppare specie coltivabili che aumentassero la produttività in modo da diminuire il prezzo del cibo per la popolazione urbana. Fu ciò che diede il via a quella che successivamente sarebbe stata definita come “rivoluzione verde”: applicazione su larga scala di specie vegetali geneticamente modificate (OGM), fertilizzanti, fitofarmaci, pesticidi e nuovi mezzi meccanici. E tante di queste cose andavano a nozze con il settore petrolifero e chimico e con quello delle banche.
Nel tempo, la rivoluzione verde si è espansa in tutto il mondo con l’obiettivo dichiarato della “lotta alla fame”. L’obiettivo non dichiarato era, ed è, quello di mantenere intatto lo status quo, l’ordine socioecologico capitalista. Abbiamo visto gli effetti di questa rivoluzione, specie in Sud America, Africa, Asia così come in India, il cui risultato è stato un aumento vertiginoso dei sucidi di contadini, morti a migliaia negli ultimi quarant’anni.
I successori: arte ma soprattutto banche, politica e circoli elitari

Il figlio, John D. Rockefeller Jr., si dedicò a consolidare l’immagine e l’eredità filantropica della famiglia. Costruì il Rockefeller Center a Manhattan (1940) e altri edifici prestigiosi. Sua moglie, Abby Aldrich Rockefeller, fu una delle fondatrici del Museum of Modern Art (MoMA) nel 1929. I figli di John D. Jr., noti come la “generazione dei fratelli” si divisero tra banche, politica e circoli elitari del gota della finanza e dei leader politici dell’Occidentale. Nelson Rockefeller fu quattro volte governatore di New York e vicepresidente degli Stati Uniti (1974-1977). Winthrop Rockefeller fu governatore dell’Arkansas. David Rockefeller Sr. (morto nel 2017) è stato un influente banchiere, presidente e CEO della Chase Manhattan Bank, che la famiglia ha a lungo controllato trasformandola in un’istituzione finanziaria globale. David Rockefeller Sr. è stato anche figura di spicco nella fondazione del Gruppo Bilderberg e della Commissione Trilaterale.
Gruppo Bilderberg e Commissione Trilaterale

Il Bilderberg Group, fondato nel 1954, è una sorta di “NATO economica” o una specie di consiglio d’amministrazione delle oligarchie mondialiste, che incarna lo spirito più estremo del neoliberismo e della globalizzazione. Il Gruppo, nato su iniziativa di David Rockefeller Sr., è nato con l’intento di riunire i leader europei con quelli statunitensi, con l’obiettivo di promuovere l’atlantismo e la cooperazione su questioni politiche, economiche e di difesa. Nella cerchia iniziale fu inserito il politico polacco Józef Retinger, preoccupato per la crescita dell’antiamericanismo nell’Europa occidentale, così come il principe Bernhard dei Paesi Bassi e l’ex primo ministro belga Paul van Zeeland e all’allora capo di Unilever, Paul Rijkens. Fu coinvolto anche Walter Bedell Smith, allora capo della CIA, che chiese al consigliere di Eisenhower, Charles Douglas Jackson, di occuparsi della cosa. Tra gli ex presidenti a capo del comitato direttivo del gruppo troviamo anche Peter Carington, VI barone Carrington, dal 1990 al 1998, il quale era stato Segretario generale della NATO fino a due anni prima. L’ultimo incontro del Gruppo Bilderberg è stato nel giugno di quest’anno a Stoccolma. Tra i partecipanti c’era anche Mark Rutte, attuale segretario generale della NATO. Tra i temi all’ordine del giorno la guerra in Ucraina, l’intelligenza artificiale, la sicurezza nazionale, l’industria della difesa, i minerali strategici e l’economia statunitense.
David Rockefeller è stato anche ideatore della Commissione Trilaterale, organizzazione fondata nel 1973 per affrontare le sfide poste dalla crescente interdipendenza degli Stati Uniti e dei suoi principali alleati, Europa, Canada e Giappone, al fine di incoraggiare una maggiore cooperazione tra di loro. Insomma, una sorta di Bilderberg allargato a Canada e Giappone. Tra i lavori pubblicati da questa organizzazione è celebre quello del 1975, The Crisis of Democracy, scritto da Michel Crozier, Samuel P. Huntington e Joji Watanuki. Il rapporto aveva osservato che i problemi di governance dei Paesi occidentali derivavano “da un eccesso di democrazia” chiedendo dunque azioni “per ripristinare il prestigio e l’autorità delle istituzioni governative centrali”.
Henry Kissinger: un prodotto della famiglia Rockefeller

Per capire la profondità del potere politico della famiglia Rockefeller, talvolta nascosto, è utile e necessario parlare di un altro personaggio che ha avuto un’influenza e un potere non indifferente per lungo tempo: Henry Kissinger. Quest’ultimo incontrò per la prima volta David Rockefeller nel 1955, mentre era un insegnante ad Harvard. L’anno successivo, David presentò Kissinger ai suoi fratelli, i quali lo misero a capo del progetto di studi speciali del Rockefeller Brothers Fund, una delle fondazioni della famiglia. Nel 1957, per Kissinger si apre la porta del Bilderberg, quando David lo invitò alla conferenza di St. Simons Island, Georgia, USA. Il fratello maggiore di David Rockefeller, Nelson, prese allora Kissinger come suo stretto collaboratore.
Nella sua carriera politica, Nelson Rockefeller è stato assistente segretario di Stato per gli affari della Repubblica americana per i presidenti Franklin D. Roosevelt e Harry S. Truman (1944-1945), e come sottosegretario alla salute, all’istruzione e al benessere (HEW) sotto Dwight D. Eisenhower dal 1953 al 1954. È stato eletto per la prima volta governatore di New York nel 1958 ed è stato rieletto nel 1962, 1966 e 1970. Kissinger ha lavorato alle sue campagne per la nomination presidenziale repubblicana nel 1960, 1964 e 1968. Richard Nixon – due volte avversario di Rockefeller nelle primarie repubblicane – una volta eletto presidente degli Stati Uniti, scelse Kissinger prima come consigliere per la Sicurezza Nazionale (1969-1975) poi come segretario di Stato (1973-1977). Kissinger fu poi confermato da Gerald Ford dopo lo scandalo Watergate che obbligò Nixon a dimettersi nel 1974. Una volta che Ford divenne presidente scelse Nelson Rockefeller come suo vice-presidente.
Kissinger era di nuovo al Bilderberg nel 1964 e poi nel 1971, prima di essere finalmente cooptato dal Gruppo nel 1977, poche settimane dopo aver lasciato l’incarico di Segretario di Stato USA. Da allora non ha quasi mai mancato una riunione. È stato a lungo membro del comitato direttivo prima di essere inserito nel comitato consultivo del gruppo, una sorta di Bilderberg Hall of Fame. Questo organismo (che adesso non esiste più) ha garantito la coerenza e la continuità strategica dell’organizzazione ed era composto da diverse glorie precedenti del Comitato Direttivo, tra cui David Rockefeller, Giovanni Agnelli (allora presidente del gruppo FIAT), Henry J. Heinz II (allora CEO dell’H.J. Heinz Company) e William Bundy (alto funzionario della CIA, ex consigliere presidenziale, sottosegretario di Stato ed editore della rivista Foreign Affairs).
Nel 1982, Henry Kissinger ha fondato la sua società di consulenza a New York, la Kissinger & Associates. Tra le personalità che Kissinger ha cooptato nel corso degli anni come partner di Kissinger Associates ci sono i tre ex presidenti del Gruppo Bilderberg fino ad allora: Barone Carrington (ex Segretario Generale della NATO), Barone Roll de Ipsden e Etienne Davignon: tutti con ruoli apicali nell’azienda di Kissinger. La società, durante la sua attività, ha consigliato aziende come American Express, Anheuser-Busch, Coca-Cola, Daewoo, Midland Bank, H. J. Heinz, ITT Corporation, LM Ericsson, Fiat e Volvo.
Inoltre, attraverso le sue parole, i suoi scritti e le sue azioni, Henry Kissinger ha formato generazioni di diplomatici, politici e strateghi di ogni tipo. Come professore universitario ha influenzato persone come Klaus Schwab, fondatore del World Economic Forum (WEF), il quale ha ammesso più volte di aver consultato regolarmente il suo “amico e mentore” Kissinger, e di essersi a lui ispirato. Kissinger ha partecipato regolarmente al WEF a partire dal 1980 fino all’anno prima della sua morte.
Nel corso della sua lunga vita, Kissinger ha fornito consulenze a diversi organismi del governo federale (National Security Council, Council on Foreign Relations, RAND Corporation, Arms Control and Disarmament Agency, Dipartimento di Stato. Tutto questo lo ha fatto come uomo della famiglia Rockefeller, lanciato da David e Nelson, e a loro rimasto fedele per tutta la vita.
La famiglia Rockefeller oggi
La dinastia Rockefeller, pur non avendo più un singolo membro in cima alle classifiche di ricchezza personale, rimane un nome di influenza duratura.
Nel 1913, la fortuna di Rockefeller ha raggiunto il picco stimato in quasi un miliardo di dollari (circa 29,3 miliardi di dollari in dollari di oggi). Nel 1934, John D. Rockefeller Jr. istituì fondi irrevocabili per i suoi figli e poi fece lo stesso per i suoi nipoti nel 1952. Questi trust hanno permesso il trasferimento di ricchezza in gran parte esentasse attraverso le generazioni. Ora, la fortuna dei Rockefeller ammonta a poco più di 10 miliardi di dollari ed è divisa tra circa 200 membri della famiglia. Parte della ricchezza della famiglia è gestita anche da Rockefeller Capital Management
Poi ci sono le fondazioni. Molte di queste sono ancora oggi forti. Ad esempio, la Fondazione Rockefeller, il Fondo Rockefeller Brothers e il fondo David Rockefeller hanno una dotazione combinata di oltre 5 miliardi di dollari. Oltre al capitale economico, che rimane comunque di tutto rispetto, dobbiamo considerare il capitale sociale e politico accumulato dalla famiglia Rockefeller in un secolo e mezzo di storia al vertice delle trame statunitensi e mondiali.
La storia dei Rockefeller è la quintessenza della trasformazione del potere nel capitalismo moderno. Nata dal monopolio spietato della Standard Oil, la dinastia ha saputo convertire la ricchezza in influenza strutturale. La loro filantropia sistematica non è stata un semplice atto di beneficenza, ma un meccanismo per plasmare l’istruzione, la scienza e, soprattutto, l’ordine sociale. L’esempio della “Rivoluzione Verde” ne è la prova più critica: un intervento presentato come lotta alla fame che, in realtà, ha consolidato il potere dei settori petrolifero e finanziario, con gravi conseguenze socio-ecologiche. Infine, attraverso la creazione di circoli elitari come Bilderberg e la Commissione Trilaterale (e il lancio di Henry Kissinger), la famiglia ha esercitato un’autorità discreta ma profonda sulla geopolitica occidentale. Il potere dei Rockefeller non risiede più in un singolo patrimonio, ma nel loro capitale sociale e politico.
Lituania: “jet russi hanno violato lo spazio aereo”. Mosca smentisce
Nella sera di ieri, mercoledì 23 ottobre, la Lituania ha denunciato una violazione dello spazio aereo da parte della Russia. Ad accusare Mosca è stato il presidente lituano, Gitanas Nausėda, che ha parlato di una «palese violazione del diritto internazionale e dell’integrità territoriale della Lituania» e annunciato che il ministero degli Esteri del Paese avrebbe convocato i rappresentanti dell’ambasciata russa per parlare dell’accaduto. A sconfinare in area lituana sarebbero stati due jet SU-30, per 18 secondi. Nella tarda sera, è arrivata la replica da Mosca: il ministero della Difesa ha affermato che gli aerei stavano conducendo un volo di addestramento nell’exclave russa di Kaliningrad e che non avrebbero sconfinato in territorio lituano.
Il genocidio a Gaza è un crimine collettivo: il nuovo rapporto di Francesca Albanese
«Il genocidio in corso a Gaza è un crimine collettivo, sostenuto dalla complicità di influenti Stati terzi, che hanno reso possibili politiche durature di occupazione, assedio e bombardamento». Con queste parole, la relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, introduce il suo ultimo rapporto, Gaza Genocide: A Collective Crime (A/80/492), in cui accusa Israele di condurre una campagna di distruzione «intenzionale e sistematica» contro la popolazione palestinese, con la complicità di Stati terzi e imprese che, attraverso il prolungato sostegno militare, politico, diplomatico ed economico, avrebbero reso possibile il massacro. Il documento evidenzia anche la riluttanza, da parte della comunità internazionale, a chiedere conto a Israele delle proprie azioni, che hanno consentito a quest’ultimo di consolidare nel territorio palestinese occupato «il proprio regime di apartheid coloniale d’insediamento», arrivando a un livello di violenza «senza precedenti». Il rapporto non parla più soltanto di “crimini di guerra” o “uso sproporzionato della forza”, ma di un progetto coordinato per annientare un gruppo umano protetto dal diritto internazionale. Un’accusa che, se accolta, potrebbe ridefinire le responsabilità globali nel conflitto e aprire la strada a incriminazioni per genocidio.
Un crimine collettivo
Nel rapporto A/80/492, la relatrice ONU identifica chiaramente una responsabilità estesa oltre i confini della Striscia. Il documento è stato elaborato attraverso una revisione dei materiali delle Nazioni Unite, incluso il rapporto del Segretario Generale A/79/588, e 40 contributi provenienti da attori statali e non statali. Tutti i 63 Stati menzionati nel rapporto hanno avuto la possibilità di commentare eventuali errori o inesattezze fattuali; 18 Stati hanno presentato una risposta. Il testo afferma che «la distruzione delle infrastrutture civili, la privazione dell’accesso ai mezzi di sussistenza essenziali, il trasferimento forzato di ampi segmenti della popolazione e l’imposizione di condizioni di vita intese a provocare la distruzione parziale o totale del gruppo protetto, in tutto o in parte» sono elementi che testimoniano l’intenzione genocidaria. Non si tratta, dunque, di danni collaterali o incidenti di guerra, ma di un progetto complessivo di distruzione.
Una responsabilità condivisa e radicata
La responsabilità, secondo Albanese, è condivisa e «non ricade solo sulla Potenza occupante». Oltre a Israele, infatti, anche gli Stati terzi «sono vincolati da obblighi non solo di astenersi dal prestare aiuto o assistenza nella commissione del genocidio o di altri atti gravi, ma anche di adottare misure attive per prevenire atti genocidari quando il rischio è noto o avrebbe dovuto essere noto». Negli ultimi due anni, invece, una «complicità radicata», che ha abbracciato la narrazione di Tel Aviv e ha promosso la propaganda israeliana, «ha messo a tacere gli appelli urgenti all’azione e offuscato la rete di interessi politici, finanziari e militari in gioco». L’uso della Convenzione sul genocidio del 1948 come quadro interpretativo è centrale: tre degli atti previsti dalla Convenzione sarebbero «ampiamente documentati», mentre gli altri due «richiedono approfondimento» ma nel complesso «suggeriscono un’intenzione genocidaria».
Le accuse agli USA

Durissime le accuse rivolte agli Stati Uniti. Da sempre, gli USA sostengono Israele con aiuti finanziari e militari, garantendone il “vantaggio militare qualitativo”. Dal 1967, Israele è il principale destinatario dei fondi FMF, ricevendo 3,3 miliardi l’anno più 500 milioni per la difesa missilistica. Washington fornisce armi, accesso agli arsenali USA e fondi per l’acquisto di jet e munizioni, anche da aziende israeliane. Parallelamente, l’acquisto israeliano di caccia F-15, F-16 e F-35 e di munizioni è sostenuto dall’accesso a fondi di approvvigionamento destinati alle filiali israeliane negli Stati Uniti. Dopo il 7 ottobre 2023, gli USA hanno usato sette volte il veto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, bloccando i cessate il fuoco e garantendo copertura diplomatica a Israele. Negli ultimi due anni, gli USA hanno inviato 742 spedizioni di armi a Israele e approvato vendite per decine di miliardi, riducendo la trasparenza e aggirando il Congresso e hanno fornito artiglieria, missili, fucili e bombe, oltre a droni e forze speciali impiegati nei raid su Hamas. Entro aprile 2025, Israele contava 751 contratti attivi per 39,2 miliardi.
La complicità degli altri Paesi

Washington non è isolata: astensioni, ritardi e bozze di risoluzioni indebolite da parte dei suoi alleati hanno permesso la prosecuzione delle operazioni israeliane. Il Regno Unito, allineato agli USA fino al novembre 2024, ha svolto un ruolo chiave nella cooperazione militare con Israele, garantendo da Cipro i rifornimenti statunitensi e conducendo oltre 600 missioni di sorveglianza su Gaza, condividendo intelligence con Tel Aviv. Tra ottobre 2023 e ottobre 2025, 26 Paesi – tra cui Italia, Cina, India e Francia – hanno fornito armi o componenti a Israele, spesso attraverso canali opachi o “dual use” (espressione che si riferisce a prodotti, tecnologie e servizi che possono avere sia un impiego civile sia uno militare). L’Italia, terzo esportatore verso Israele nel periodo 2020-2024, ha proseguito le forniture e consentito il transito di armamenti nei propri porti e aeroporti, pur dichiarando di rispettare i vincoli internazionali. Inoltre, partecipa con Israele a esercitazioni congiunte come INIOCHOS e manovre guidate da AFRICOM, contribuendo indirettamente al rafforzamento dell’apparato militare israeliano. Nel frattempo, Israele ha aumentato del 18% le esportazioni di armi, testate in Gaza, con l’Unione Europea come principale acquirente.
Dati, testimonianze e distruzioni

Il rapporto documenta una vasta gamma di violazioni: strutture civili distrutte o danneggiate, accesso all’acqua, all’elettricità e al carburante gravemente limitato, ospedali sovraccarichi o distrutti, e una popolazione che subisce mobilità quasi nulla. Albanese sottolinea che queste condizioni non sono conseguenze accidentali della guerra, ma «parte integrante di una strategia di distruzione». Le imprese internazionali svolgono un ruolo nel sistema descritto: secondo il rapporto, «i trasferimenti di armi da parte degli Stati, il mantenimento del supporto diplomatico e politico alle operazioni militari, e la prosecuzione di relazioni commerciali “business as usual” con la potenza occupante consentono alla macchina della distruzione a Gaza di operare con impunità». In questo modo, l’economia dell’occupazione si trasforma – secondo la relatrice – in un’economia del genocidio, alimentata da profitti e interessi privati e pubblici. Il precedente rapporto From Economy of Occupation to Economy of Genocide aveva già suscitato scalpore internazionale, parlando apertamente di “economia del genocidio“, citando le aziende conniventi con i crimini perpetrati da Israele. A seguito di quella denuncia, gli Stati Uniti, il 9 luglio 2025, hanno imposto sanzioni contro Francesca Albanese.
Il ruolo degli Stati terzi e delle imprese
Ora, il nuovo rapporto sfida direttamente governi e imprese oltreconfine: 63 Stati, molti dei quali europei, avrebbero mantenuto forme di sostegno politico, militare o economico a Israele pur essendo a conoscenza dei rischi di crimini internazionali. Le imprese globali sono chiamate in causa per avere «facilitato o acconsentito alla distruzione di un gruppo protetto» e, per questo, gli Stati dovrebbero considerare la «responsabilità penale delle imprese» sul modello dei precedenti processi internazionali. La relatrice invita i governi a intervenire con misure di sanzione, cessazione di accordi commerciali e revoca di licenze militari o dual-use verso Israele e le sue filiere.
Impatti umanitari e civili

Al centro del documento ci sono gli effetti sulla vita quotidiana della popolazione della Striscia di Gaza. La privazione di mezzi di sussistenza, il blocco prolungato degli aiuti, l’interruzione dei trasporti verso l’esterno e la costante minaccia di bombardamenti hanno portato a condizioni di sopravvivenza estreme. Secondo Albanese, l’intero sistema è progettato affinché «la distruzione della vita quotidiana nella Striscia di Gaza sia deliberata e concertata». La relatrice nota come l’intera popolazione venga trattata non come un danno collaterale, ma come un obiettivo deliberato. Le infrastrutture civili – centri sanitari, scuole, reti elettriche e idriche – sono ripetutamente distrutte o rese inoperanti; il risultato è una crisi umanitaria che non è semplice conseguenza della guerra, ma elemento integrante del progetto di estinzione del gruppo protetto.
Raccomandazioni e responsabilità internazionale
Alla fine del rapporto, Albanese formula raccomandazioni incisive: l’immediato cessate il fuoco, l’embargo sulle armi verso Israele, il blocco delle imprese che operano nei territori occupati, l’istituzione di una forza internazionale per proteggere la popolazione della Striscia e meccanismi giudiziari nazionali e internazionali per perseguire Stati e imprese che agevolano il genocidio. In tal senso, si afferma che «non c’è bisogno di attendere la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia per definire questa dinamica come genocidaria: il dovere di prevenire e reagire è già immediato». Il messaggio è chiaro: il sistema internazionale non può più trattare la Striscia di Gaza come un teatro periferico di conflitto, ma come un laboratorio di distruzione di un gruppo protetto, di cui tutti – occupante, Stati terzi, imprese – sono potenzialmente corresponsabili.
Quali implicazioni per l’Italia e l’Europa?
Per l’Italia e l’Europa, il rapporto impone una riflessione non più rinviabile. Se molti Stati europei sono indicati come “facilitatori” – direttamente o indirettamente – delle politiche messe in luce da Albanese, allora diventa urgente considerare strumenti normativi e politici che vanno oltre le dichiarazioni di condanna: revoca di licenze d’armamento, sospensione di accordi commerciali con Israele, esame dell’impatto delle imprese europee che operano nei territori occupati, e un cambio reale di strategia verso la protezione della popolazione palestinese.
I Paesi sono chiamati a scegliere

Dal rapporto di Albanese emerge un quadro allarmante e complesso: una popolazione sotto attacco continuato, una strategia di distruzione sistematica, un’economia della guerra che coinvolge imprese globali, e un sistema internazionale che collabora, resiste o resta inerte. Alla luce della gravità delle accuse avanzate, la pace e la stabilità del Medio Oriente – e di riflesso dell’Europa – si trovano di fronte a un bivio storico: intervenire concretamente, o restare complici per omissione. Il rapporto non rappresenta solo una denuncia delle politiche di occupazione o della distruzione degli insediamenti, è un richiamo all’intera architettura internazionale. «Il mondo» si legge nelle conclusioni, «sta osservando Gaza e l’intera Palestina. Gli Stati devono assumersi le proprie responsabilità. Solo garantendo al popolo palestinese il diritto all’autodeterminazione – così sfacciatamente violato dal genocidio in corso – potranno smantellare le strutture coercitive globali che perpetuano l’oppressione. Nessuno Stato può affermare con credibilità di aderire al diritto internazionale mentre arma, sostiene o protegge un regime genocidario. Tutto il sostegno militare e politico deve essere sospeso; la diplomazia deve servire a prevenire i crimini, non a giustificarli. La complicità nel genocidio deve finire». Anche l’Italia è chiamata a scegliere: continuare nella complicità di un sistema che beneficia del modello militare-economico delineato, oppure, impegnarsi nella protezione di un popolo sottoposto al genocidio. La posta in gioco non è solo diplomatica: è la credibilità del diritto internazionale e la protezione dell’umanità contro la distruzione sistematica di un gruppo vulnerabile.
Mongolia: la Corte Suprema blocca la destituzione del premier
La Corte Suprema della Mongolia ha dichiarato incostituzionale il voto parlamentare della scorsa settimana per destituire il primo ministro Zandanshatar Gombojav. Secondo la Corte, la mozione, approvata venerdì scorso, non ha fondamento giuridico per questioni tecniche; la Corte di preciso, ha contestato irregolarità procedurali e l’impiego di una «formula di voto errata». Il voto sulle dimissioni di Zandanshatar è avvenuto dopo che nel Paese sono scoppiate diverse proteste antigovernative contro la situazione di stagnazione economica. Zandanshatar è primo ministro da soli quattro mesi, ed è finito al centro di indagini per corruzione; è subentrato a Luvsannamsrai Oyun-Erdene, dimessosi per analoghi motivi.








