venerdì 21 Novembre 2025
Home Blog Pagina 37

L’impero invisibile: radici e ascesa della famiglia Rockefeller

4
1975, April 28 – Oval Office – The White House – Washington, DC – Gerald R. Ford, Rockefeller, Kissinger – standing near desk – Prior to Walking to Roosevelt Room for National Security Council Meeting to Discuss the Situation in South Vietnam

Poche dinastie hanno modellato il panorama economico, politico e sociale mondiale con la stessa forza e discrezione della famiglia Rockefeller. La loro storia non è solo la cronaca di un successo finanziario, ma la parabola di come un’ambizione implacabile, nata dalle umili radici del Rhineland tedesco, abbia dato vita al più grande monopolio industriale della storia e, successivamente, a un’influenza globale che perdura ancora oggi. Tutto ebbe inizio con John Davison Rockefeller Sr e la creazione della Standard Oil Company. Questo gigante, che arrivò a controllare oltre il 90% dell’industria petrolifera statunitense, divenne il simbolo del potere illimitato nell’età d’oro del capitalismo americano, scatenando al contempo un dibattito feroce su etica e monopolio che portò al suo storico smembramento nel 1911. Ma l’eredità dei Rockefeller non si esaurisce con il petrolio. Dopo aver raggiunto la vetta della ricchezza personale, la famiglia ha saputo orchestrare una seconda, più sottile, ascesa al potere attraverso una filantropia sistematica su scala industriale, la politica e la creazione di influenti circoli elitari. Dalla fondazione dell’Università di Chicago alla “Rivoluzione Verde”, dal Rockefeller Center alla Banca Chase Manhattan, fino al ruolo chiave nel Gruppo Bilderberg e nella Commissione Trilaterale, così come nel lancio di figure come Henry Kissinger, i Rockefeller hanno intrecciato la loro fortuna con le trame del potere mondiale.

Radici e ascesa della famiglia Rockefeller

In foto: il patriarca della dinastia Rockefeller, John Davison Rockefeller Sr.

Le radici della famiglia Rockefeller affondano nel Rhineland, in Germania, da cui Johann Peter Rockefeller emigrò in America intorno al 1723, stabilendosi nella regione dell’attuale Stato della Pennsylvania, allora come oggi abitato da una maggioranza di persone di origine tedesca, la cui capitale è Harrisburg. Il patriarca della dinastia miliardaria fu John Davison Rockefeller Sr., nato l’8 luglio 1839, a Richford, New York. Il suo successo economico iniziò nel 1859, quando entrò nel settore petrolifero con la perforazione del primo pozzo in Pennsylvania. Nel 1870, John D. Rockefeller, insieme al fratello William e ad altri soci chiave come Henry M. Flagler, organizzò e incorporò la Standard Oil Company of Ohio con un capitale di 1 milione di dollari. Il nome “Standard” fu scelto per segnalare ai clienti la qualità costante del loro cherosene raffinato, che eliminava le impurità presenti nei prodotti della concorrenza. Rockefeller dominò l’industria attraverso un’estrema efficienza operativa (integrazione verticale) e tattiche di consolidamento aggressive.

Il monopolio di Standard Oil e la sua scorporazione

Standard Oil ridusse drasticamente i costi operativi controllando la propria produzione di barili, il recupero dei sottoprodotti (come la benzina, che molti scartavano) e la produzione di acido solforico. La mossa più controversa fu la negoziazione di sconti segreti sulle tariffe ferroviarie e sui pagamenti sul petrolio spedito dai suoi concorrenti, in cambio di un elevato volume di spedizioni garantite. Questo forniva a Standard Oil un enorme vantaggio sui costi che i concorrenti non potevano eguagliare. Acquistando i concorrenti in bancarotta o costringendoli a vendere, Standard Oil controllava la raffinazione di circa il 90-95% di tutto il petrolio prodotto negli Stati Uniti entro il 1880. 

La giornalista e scrittrice statunitense Ida Tarbell

Nel 1882, il controllo fu formalizzato con la creazione dello Standard Oil Trust, il primo grande trust aziendale degli Stati Uniti, che governava circa 40 società sotto un unico consiglio di nove fiduciari. Le pratiche di Standard Oil furono oggetto di intense critiche pubbliche, in particolare con la serie di articoli di inchiesta di Ida Tarbell nel 1902. Nel 1911, la Corte Suprema degli Stati Uniti, nel caso Standard Oil Co. of New Jersey vs. United States, ordinò lo smembramento della società per violazione dello Sherman Antitrust Act (1890). Dallo scioglimento emersero 34 società separate, tra cui i predecessori diretti di attuali giganti come ExxonMobil e Chevron

Filantropia sistematica e potere politico

John D. Rockefeller Sr., ritiratosi dalla leadership attiva nel 1896 pur restando il maggiore azionista, dedicò la seconda parte della sua vita alla filantropia sistematica. Nel secondo decennio del Novecento divenne il primo miliardario al mondo. Prima della sua morte, nel 1937, Rockefeller Sr. donò in totale 540 milioni di dollari, (cifra non aggiustata per l’inflazione) creando istituzioni che hanno plasmato il mondo moderno. Nel 1890 fondò l’Università di Chicago e nel 1902 il General Education Board, che promosse l’istruzione pubblica nel Sud degli Stati Uniti. Ovviamente, l’istruzione rispecchiava le visioni e i principi capitalistici della famiglia Rockefeller. Nel 1901 Rockefeller Sr. Fondò persino l’Istituto Rockefeller per la Ricerca Medica (oggi Rockefeller University) e fu strumentale nella creazione di scuole di sanità pubblica alla Johns Hopkins University così come ad Harvard. Le sue fondazioni sostennero la ricerca che portò al vaccino per la meningite e la febbre gialla. Sono tantissime le organizzazioni create dalla famiglia Rockefeller in vari settori della vita sociale e politica.

Rockefeller e la “Rivoluzione verde”

La Fondazione Rockefeller, creata nel 1913, è diventata nel tempo un attore globale, promotrice della Rivoluzione Verde e di programmi internazionali per la sanità e lo sviluppo. In alcuni periodi ha distribuito più aiuti esteri dell’intero governo statunitense. 

La rivoluzione messicana del 1910 diede avvio ad una stagione di tumulti in varie parti del mondo, tanto nei Paesi ricchi che in quelli poveri. Le rivendicazioni dei rivoluzionari contadini ebbero il loro apice quando venne eletto Presidente Lazaro Cardenas, il quale, oltre alla nazionalizzazione del settore petrolifero, compresa la compagnia statunitense Standard Oil, avviò un’ampia riforma agraria per rispondere alla fame delle masse povere del Paese: metà della terra coltivabile del Messico venne redistribuita ai contadini. La famiglia Rockefeller, proprietaria di Standard Oil, oltre ad aver subito l’oltraggio della nazionalizzazione, era ossessionata da principi e predizioni malthusiani rispetto a popolazione, cibo e ordine sociale.

Il premio Nobel per la Pace, l’agronomo e ambientalista statunitense Norman Borlaug. È stato definito il padre della ”Rivoluzione Verde”

Così, nel 1941, la Rockefeller Foundation mandò in Messico un giovane botanico di nome Norman Borlaug, futuro premio Nobel per la Pace (1970). La missione di Borlaug era quella di sviluppare specie coltivabili che aumentassero la produttività in modo da diminuire il prezzo del cibo per la popolazione urbana. Fu ciò che diede il via a quella che successivamente sarebbe stata definita come “rivoluzione verde”: applicazione su larga scala di specie vegetali geneticamente modificate (OGM), fertilizzanti, fitofarmaci, pesticidi e nuovi mezzi meccanici. E tante di queste cose andavano a nozze con il settore petrolifero e chimico e con quello delle banche.

Nel tempo, la rivoluzione verde si è espansa in tutto il mondo con l’obiettivo dichiarato della “lotta alla fame”. L’obiettivo non dichiarato era, ed è, quello di mantenere intatto lo status quo, l’ordine socioecologico capitalista. Abbiamo visto gli effetti di questa rivoluzione, specie in Sud America, Africa, Asia così come in India, il cui risultato è stato un aumento vertiginoso dei sucidi di contadini, morti a migliaia negli ultimi quarant’anni.

I successori: arte ma soprattutto banche, politica e circoli elitari

Sulla sinistra Nelson Rockefeller, quattro volte governatore di New York e vicepresidente degli Stati Uniti dal 1974 al 1977. Nella foto è insieme al 39º Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter

Il figlio, John D. Rockefeller Jr., si dedicò a consolidare l’immagine e l’eredità filantropica della famiglia. Costruì il Rockefeller Center a Manhattan (1940) e altri edifici prestigiosi. Sua moglie, Abby Aldrich Rockefeller, fu una delle fondatrici del Museum of Modern Art (MoMA) nel 1929. I figli di John D. Jr., noti come la “generazione dei fratelli” si divisero tra banche, politica e circoli elitari del gota della finanza e dei leader politici dell’Occidentale. Nelson Rockefeller fu quattro volte governatore di New York e vicepresidente degli Stati Uniti (1974-1977). Winthrop Rockefeller fu governatore dell’Arkansas. David Rockefeller Sr. (morto nel 2017) è stato un influente banchiere, presidente e CEO della Chase Manhattan Bank, che la famiglia ha a lungo controllato trasformandola in un’istituzione finanziaria globale. David Rockefeller Sr. è stato anche figura di spicco nella fondazione del Gruppo Bilderberg e della Commissione Trilaterale.

Gruppo Bilderberg e Commissione Trilaterale

David Rockefeller Sr. è stato banchiere, presidente e CEO della Chase Manhattan Bank. Inoltre è stato anche figura di spicco nella fondazione del Gruppo Bilderberg e della Commissione Trilaterale

Il Bilderberg Group, fondato nel 1954, è una sorta di “NATO economica” o una specie di consiglio d’amministrazione delle oligarchie mondialiste, che incarna lo spirito più estremo del neoliberismo e della globalizzazione. Il Gruppo, nato su iniziativa di David Rockefeller Sr., è nato con l’intento di riunire i leader europei con quelli statunitensi, con l’obiettivo di promuovere l’atlantismo e la cooperazione su questioni politiche, economiche e di difesa. Nella cerchia iniziale fu inserito il politico polacco Józef Retinger, preoccupato per la crescita dell’antiamericanismo nell’Europa occidentale, così come il principe Bernhard dei Paesi Bassi e l’ex primo ministro belga Paul van Zeeland e all’allora capo di Unilever, Paul Rijkens. Fu coinvolto anche Walter Bedell Smith, allora capo della CIA, che chiese al consigliere di Eisenhower, Charles Douglas Jackson, di occuparsi della cosa. Tra gli ex presidenti a capo del comitato direttivo del gruppo troviamo anche Peter Carington, VI barone Carrington, dal 1990 al 1998, il quale era stato Segretario generale della NATO fino a due anni prima. L’ultimo incontro del Gruppo Bilderberg è stato nel giugno di quest’anno a Stoccolma. Tra i partecipanti c’era anche Mark Rutte, attuale segretario generale della NATO. Tra i temi all’ordine del giorno la guerra in Ucraina, l’intelligenza artificiale, la sicurezza nazionale, l’industria della difesa, i minerali strategici e l’economia statunitense.  

David Rockefeller è stato anche ideatore della Commissione Trilaterale, organizzazione fondata nel 1973 per affrontare le sfide poste dalla crescente interdipendenza degli Stati Uniti e dei suoi principali alleati, Europa, Canada e Giappone, al fine di incoraggiare una maggiore cooperazione tra di loro. Insomma, una sorta di Bilderberg allargato a Canada e Giappone. Tra i lavori pubblicati da questa organizzazione è celebre quello del 1975, The Crisis of Democracyscritto da Michel Crozier, Samuel P. Huntington e Joji Watanuki. Il rapporto aveva osservato che i problemi di governance dei Paesi occidentali derivavano “da un eccesso di democrazia” chiedendo dunque azioni “per ripristinare il prestigio e l’autorità delle istituzioni governative centrali”.

Henry Kissinger: un prodotto della famiglia Rockefeller

Henry A. Kissinger nel 1975. In quell’anno, Kissinger era Segretario di Stato (il principale responsabile della politica estera USA) e fino a novembre anche Consigliere per la Sicurezza Nazionale. La carica di Segretario di Stato la mantenne dal 22 settembre 1973 al 20 gennaio 1977, sotto i presidenti Richard Nixon e Gerald Ford.

Per capire la profondità del potere politico della famiglia Rockefeller, talvolta nascosto, è utile e necessario parlare di un altro personaggio che ha avuto un’influenza e un potere non indifferente per lungo tempo: Henry Kissinger. Quest’ultimo incontrò per la prima volta David Rockefeller nel 1955, mentre era un insegnante ad Harvard. L’anno successivo, David presentò Kissinger ai suoi fratelli, i quali lo misero a capo del progetto di studi speciali del Rockefeller Brothers Fund, una delle fondazioni della famiglia. Nel 1957, per Kissinger si apre la porta del Bilderberg, quando David lo invitò alla conferenza di St. Simons Island, Georgia, USA. Il fratello maggiore di David Rockefeller, Nelson, prese allora Kissinger come suo stretto collaboratore.

Nella sua carriera politica, Nelson Rockefeller è stato assistente segretario di Stato per gli affari della Repubblica americana per i presidenti Franklin D. Roosevelt e Harry S. Truman (1944-1945), e come sottosegretario alla salute, all’istruzione e al benessere (HEW) sotto Dwight D. Eisenhower dal 1953 al 1954. È stato eletto per la prima volta governatore di New York nel 1958 ed è stato rieletto nel 1962, 1966 e 1970. Kissinger ha lavorato alle sue campagne per la nomination presidenziale repubblicana nel 1960, 1964 e 1968. Richard Nixon – due volte avversario di Rockefeller nelle primarie repubblicane – una volta eletto presidente degli Stati Uniti, scelse Kissinger prima come consigliere per la Sicurezza Nazionale (1969-1975) poi come segretario di Stato (1973-1977). Kissinger fu poi confermato da Gerald Ford dopo lo scandalo Watergate che obbligò Nixon a dimettersi nel 1974. Una volta che Ford divenne presidente scelse Nelson Rockefeller come suo vice-presidente.

Kissinger era di nuovo al Bilderberg nel 1964 e poi nel 1971, prima di essere finalmente cooptato dal Gruppo nel 1977, poche settimane dopo aver lasciato l’incarico di Segretario di Stato USA. Da allora non ha quasi mai mancato una riunione. È stato a lungo membro del comitato direttivo prima di essere inserito nel comitato consultivo del gruppo, una sorta di Bilderberg Hall of Fame. Questo organismo (che adesso non esiste più) ha garantito la coerenza e la continuità strategica dell’organizzazione ed era composto da diverse glorie precedenti del Comitato Direttivo, tra cui David Rockefeller, Giovanni Agnelli (allora presidente del gruppo FIAT), Henry J. Heinz II (allora CEO dell’H.J. Heinz Company) e William Bundy (alto funzionario della CIA, ex consigliere presidenziale, sottosegretario di Stato ed editore della rivista Foreign Affairs). 

Nel 1982, Henry Kissinger ha fondato la sua società di consulenza a New York, la Kissinger & Associates. Tra le personalità che Kissinger ha cooptato nel corso degli anni come partner di Kissinger Associates ci sono i tre ex presidenti del Gruppo Bilderberg fino ad allora: Barone Carrington (ex Segretario Generale della NATO), Barone Roll de Ipsden e Etienne Davignon: tutti con ruoli apicali nell’azienda di Kissinger. La società, durante la sua attività, ha consigliato aziende come American Express, Anheuser-Busch, Coca-Cola, Daewoo, Midland Bank, H. J. Heinz, ITT Corporation, LM Ericsson, Fiat e Volvo.

Inoltre, attraverso le sue parole, i suoi scritti e le sue azioni, Henry Kissinger ha formato generazioni di diplomatici, politici e strateghi di ogni tipo. Come professore universitario ha influenzato persone come Klaus Schwab, fondatore del World Economic Forum (WEF), il quale ha ammesso più volte di aver consultato regolarmente il suo “amico e mentore” Kissinger, e di essersi a lui ispirato. Kissinger ha partecipato regolarmente al WEF a partire dal 1980 fino all’anno prima della sua morte.

Nel corso della sua lunga vita, Kissinger ha fornito consulenze a diversi organismi del governo federale (National Security Council, Council on Foreign Relations, RAND Corporation, Arms Control and Disarmament Agency, Dipartimento di Stato. Tutto questo lo ha fatto come uomo della famiglia Rockefeller, lanciato da David e Nelson, e a loro rimasto fedele per tutta la vita.

La famiglia Rockefeller oggi

La dinastia Rockefeller, pur non avendo più un singolo membro in cima alle classifiche di ricchezza personale, rimane un nome di influenza duratura. 

Nel 1913, la fortuna di Rockefeller ha raggiunto il picco stimato in quasi un miliardo di dollari (circa 29,3 miliardi di dollari in dollari di oggi). Nel 1934, John D. Rockefeller Jr. istituì fondi irrevocabili per i suoi figli e poi fece lo stesso per i suoi nipoti nel 1952. Questi trust hanno permesso il trasferimento di ricchezza in gran parte esentasse attraverso le generazioni. Ora, la fortuna dei Rockefeller ammonta a poco più di 10 miliardi di dollari ed è divisa tra circa 200 membri della famiglia. Parte della ricchezza della famiglia è gestita anche da Rockefeller Capital Management

Poi ci sono le fondazioni. Molte di queste sono ancora oggi forti. Ad esempio, la Fondazione Rockefeller, il Fondo Rockefeller Brothers e il fondo David Rockefeller hanno una dotazione combinata di oltre 5 miliardi di dollari. Oltre al capitale economico, che rimane comunque di tutto rispetto, dobbiamo considerare il capitale sociale e politico accumulato dalla famiglia Rockefeller in un secolo e mezzo di storia al vertice delle trame statunitensi e mondiali. 

La storia dei Rockefeller è la quintessenza della trasformazione del potere nel capitalismo moderno. Nata dal monopolio spietato della Standard Oil, la dinastia ha saputo convertire la ricchezza in influenza strutturale. La loro filantropia sistematica non è stata un semplice atto di beneficenza, ma un meccanismo per plasmare l’istruzione, la scienza e, soprattutto, l’ordine sociale. L’esempio della “Rivoluzione Verde” ne è la prova più critica: un intervento presentato come lotta alla fame che, in realtà, ha consolidato il potere dei settori petrolifero e finanziario, con gravi conseguenze socio-ecologiche. Infine, attraverso la creazione di circoli elitari come Bilderberg e la Commissione Trilaterale (e il lancio di Henry Kissinger), la famiglia ha esercitato un’autorità discreta ma profonda sulla geopolitica occidentale. Il potere dei Rockefeller non risiede più in un singolo patrimonio, ma nel loro capitale sociale e politico.

Lituania: “jet russi hanno violato lo spazio aereo”. Mosca smentisce

0

Nella sera di ieri, mercoledì 23 ottobre, la Lituania ha denunciato una violazione dello spazio aereo da parte della Russia. Ad accusare Mosca è stato il presidente lituano, Gitanas Nausėda, che ha parlato di una «palese violazione del diritto internazionale e dell’integrità territoriale della Lituania» e annunciato che il ministero degli Esteri del Paese avrebbe convocato i rappresentanti dell’ambasciata russa per parlare dell’accaduto. A sconfinare in area lituana sarebbero stati due jet SU-30, per 18 secondi. Nella tarda sera, è arrivata la replica da Mosca: il ministero della Difesa ha affermato che gli aerei stavano conducendo un volo di addestramento nell’exclave russa di Kaliningrad e che non avrebbero sconfinato in territorio lituano.

Bologna: intera palazzina sfrattata con la violenza per far posto ai turisti

4

A Bologna gli affittuari degli appartamenti di un’intera palazzina sono stati sfrattati dalle proprie case per fare spazio a un b&b di lusso. È la denuncia della Piattaforma di Intervento sociale PLAT, sindacato metropolitano. L’edificio, spiega il PLAT, è di proprietà di un’impresa privata, che ha recentemente recapitato agli affittuari – da sempre in regola con i pagamenti – una lettera di fine locazione; ieri, giovedì 23 ottobre, continua il sindacato, sono stati effettuati gli sfratti di due tra gli ultimi appartamenti locati – entrambi abitati da famiglie con minori – per i quali è stata mobilitata la celere in tenuta antisommossa e manganelli. Le forze dell’ordine hanno caricato un gruppo di manifestanti radunatisi davanti alla palazzina in presidio solidale, e sono entrate negli appartamenti sfondando porta e pareti: dopo avere abbattuto la porta del primo appartamento con l’ausilio di una squadra di fabbri, hanno aperto un varco verso il secondo buttando giù il muro divisorio a martellate.

Gli sfratti nella palazzina sono stati effettuati da decine di agenti in tenuta antisommossa nella mattina di ieri. L’edificio si trova in Via Michelino 41 ed è, si legge in un post del PLAT, di una «multiproprietà dal fatturato di tre milioni di euro». Gli agenti hanno sfrattato le famiglie «ad appena pochi giorni» dal rinvio dei contratti di locazione, dopo che i proprietari dell’edificio hanno recapitato delle lettere di finita locazione agli affittuari. Sul posto, assieme agli agenti, è arrivata anche una squadra di fabbri: i video che circolano online, postati dallo stesso sindacato, mostrano i fabbri intenti a buttare giù la porta del primo appartamento con piede di porco e flessibile, mentre la famiglia si trovava ancora all’interno dell’alloggio. Mentre i fabbri abbattevano la porta, un individuo – presumibilmente un rappresentante del PLAT – discuteva con un agente fuori dall’appartamento chiedendo l’intervento degli assistenti sociali: «Gli assistenti sociali non possono venire sul posto», ha affermato l’agente, «perché hanno indicazioni che non devono venire».

Una volta abbattuta la porta, un folto gruppo di poliziotti è entrato nell’appartamento, abitato da una famiglia con tre minori, di cui una pare essere una bambina affetta da autismo; il padre, invece, avrebbe un disturbo cardiaco. Trascinato il nucleo familiare fuori dall’appartamento, gli agenti si sono spostati verso il secondo alloggio. Questo confina con il primo, ed è stato raggiunto dalla squadra di poliziotti a colpi di martellate: gli agenti hanno aperto una voragine nella parete che divideva i due appartamenti, e sono entrati mentre dentro si trovava ancora la famiglia di locatari. Nel frattempo, di fuori, una cinquantina di persone si sono riunite in presidio solidale per provare a fermare gli sfratti. Gli agenti hanno sfoderato scudi e manganelli e caricato il presidio nei pressi dell’ingresso dello stabile, ferendo alcuni dei presenti; in un video del PLAT si vede un rappresentante sindacale ferito alla testa.

Terminata la violenta operazione di sfratto dei due nuclei familiari, il sindacato ha simbolicamente portato la porta sfondata del primo appartamento in Comune: «L’assessore alla casa ha dichiarato che la responsabilità è del Governo che non investe soldi per calmierare gli affitti e taglia sul welfare, portando avanti con il decreto sicurezza un attacco alla vita delle persone», si legge in un post del gruppo. Dopo la visita in comune, il PLAT ha rilanciato la mobilitazione, e organizzato un presidio che si terrà oggi alle 19 in Piazza del Nettuno.

In Gran Bretagna le aziende stanno aumentando il salario minimo dei lavoratori a basso reddito

2
salario minimo

Dal prossimo aprile, migliaia di lavoratori britannici riceveranno un aumento di stipendio. Ma non per effetto di una legge. A riconoscere loro un salario più alto saranno oltre 16.000 aziende che hanno aderito volontariamente al programma del Real Living Wage, una forma di retribuzione alternativa al salario minimo legale, calcolata ogni anno in base al costo reale della vita. La tariffa salirà da 12,60 a 13,45 sterline l’ora nel resto del Paese (circa il 6,7% in più) e da 13,85 a 14,80 sterline a Londra, dove il costo della vita è più alto. Un incremento che riguarda circa mezzo milione di i...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Il genocidio a Gaza è un crimine collettivo: il nuovo rapporto di Francesca Albanese

3

«Il genocidio in corso a Gaza è un crimine collettivo, sostenuto dalla complicità di influenti Stati terzi, che hanno reso possibili politiche durature di occupazione, assedio e bombardamento». Con queste parole, la relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, introduce il suo ultimo rapporto, Gaza Genocide: A Collective Crime (A/80/492), in cui accusa Israele di condurre una campagna di distruzione «intenzionale e sistematica» contro la popolazione palestinese, con la complicità di Stati terzi e imprese che, attraverso il prolungato sostegno militare, politico, diplomatico ed economico, avrebbero reso possibile il massacro. Il documento evidenzia anche la riluttanza, da parte della comunità internazionale, a chiedere conto a Israele delle proprie azioni, che hanno consentito a quest’ultimo di consolidare nel territorio palestinese occupato «il proprio regime di apartheid coloniale d’insediamento», arrivando a un livello di violenza «senza precedenti». Il rapporto non parla più soltanto di “crimini di guerra” o “uso sproporzionato della forza”, ma di un progetto coordinato per annientare un gruppo umano protetto dal diritto internazionale. Un’accusa che, se accolta, potrebbe ridefinire le responsabilità globali nel conflitto e aprire la strada a incriminazioni per genocidio.

Un crimine collettivo

Nel rapporto A/80/492, la relatrice ONU identifica chiaramente una responsabilità estesa oltre i confini della Striscia. Il documento è stato elaborato attraverso una revisione dei materiali delle Nazioni Unite, incluso il rapporto del Segretario Generale A/79/588, e 40 contributi provenienti da attori statali e non statali. Tutti i 63 Stati menzionati nel rapporto hanno avuto la possibilità di commentare eventuali errori o inesattezze fattuali; 18 Stati hanno presentato una risposta. Il testo afferma che «la distruzione delle infrastrutture civili, la privazione dell’accesso ai mezzi di sussistenza essenziali, il trasferimento forzato di ampi segmenti della popolazione e l’imposizione di condizioni di vita intese a provocare la distruzione parziale o totale del gruppo protetto, in tutto o in parte» sono elementi che testimoniano l’intenzione genocidaria. Non si tratta, dunque, di danni collaterali o incidenti di guerra, ma di un progetto complessivo di distruzione.

Una responsabilità condivisa e radicata

La responsabilità, secondo Albanese, è condivisa e «non ricade solo sulla Potenza occupante». Oltre a Israele, infatti, anche gli Stati terzi «sono vincolati da obblighi non solo di astenersi dal prestare aiuto o assistenza nella commissione del genocidio o di altri atti gravi, ma anche di adottare misure attive per prevenire atti genocidari quando il rischio è noto o avrebbe dovuto essere noto». Negli ultimi due anni, invece, una «complicità radicata», che ha abbracciato la narrazione di Tel Aviv e ha promosso la propaganda israeliana, «ha messo a tacere gli appelli urgenti all’azione e offuscato la rete di interessi politici, finanziari e militari in gioco». L’uso della Convenzione sul genocidio del 1948 come quadro interpretativo è centrale: tre degli atti previsti dalla Convenzione sarebbero «ampiamente documentati», mentre gli altri due «richiedono approfondimento» ma nel complesso «suggeriscono un’intenzione genocidaria».

Le accuse agli USA

Il presidente Donald Trump pronuncia il suo discorso all’80ª sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, martedì 23 settembre 2025, presso la sede delle Nazioni Unite a New York

Durissime le accuse rivolte agli Stati Uniti. Da sempre, gli USA sostengono Israele con aiuti finanziari e militari, garantendone il “vantaggio militare qualitativo”. Dal 1967, Israele è il principale destinatario dei fondi FMF, ricevendo 3,3 miliardi l’anno più 500 milioni per la difesa missilistica. Washington fornisce armi, accesso agli arsenali USA e fondi per l’acquisto di jet e munizioni, anche da aziende israeliane. Parallelamente, l’acquisto israeliano di caccia F-15, F-16 e F-35 e di munizioni è sostenuto dall’accesso a fondi di approvvigionamento destinati alle filiali israeliane negli Stati Uniti. Dopo il 7 ottobre 2023, gli USA hanno usato sette volte il veto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, bloccando i cessate il fuoco e garantendo copertura diplomatica a Israele. Negli ultimi due anni, gli USA hanno inviato 742 spedizioni di armi a Israele e approvato vendite per decine di miliardi, riducendo la trasparenza e aggirando il Congresso e hanno fornito artiglieria, missili, fucili e bombe, oltre a droni e forze speciali impiegati nei raid su Hamas. Entro aprile 2025, Israele contava 751 contratti attivi per 39,2 miliardi.

La complicità degli altri Paesi

Il Primo Ministro Keir Starmer incontra Donald Trump, Presidente degli Stati Uniti d’America, per un incontro bilaterale alla Casa Bianca

Washington non è isolata: astensioni, ritardi e bozze di risoluzioni indebolite da parte dei suoi alleati hanno permesso la prosecuzione delle operazioni israeliane. Il Regno Unito, allineato agli USA fino al novembre 2024, ha svolto un ruolo chiave nella cooperazione militare con Israele, garantendo da Cipro i rifornimenti statunitensi e conducendo oltre 600 missioni di sorveglianza su Gaza, condividendo intelligence con Tel Aviv. Tra ottobre 2023 e ottobre 2025, 26 Paesi – tra cui Italia, Cina, India e Francia – hanno fornito armi o componenti a Israele, spesso attraverso canali opachi o “dual use (espressione che si riferisce a prodotti, tecnologie e servizi che possono avere sia un impiego civile sia uno militare). L’Italia, terzo esportatore verso Israele nel periodo 2020-2024, ha proseguito le forniture e consentito il transito di armamenti nei propri porti e aeroporti, pur dichiarando di rispettare i vincoli internazionali. Inoltre, partecipa con Israele a esercitazioni congiunte come INIOCHOS e manovre guidate da AFRICOM, contribuendo indirettamente al rafforzamento dell’apparato militare israeliano. Nel frattempo, Israele ha aumentato del 18% le esportazioni di armi, testate in Gaza, con l’Unione Europea come principale acquirente.

Dati, testimonianze e distruzioni

Il rapporto documenta una vasta gamma di violazioni: strutture civili distrutte o danneggiate, accesso all’acqua, all’elettricità e al carburante gravemente limitato, ospedali sovraccarichi o distrutti, e una popolazione che subisce mobilità quasi nulla. Albanese sottolinea che queste condizioni non sono conseguenze accidentali della guerra, ma «parte integrante di una strategia di distruzione». Le imprese internazionali svolgono un ruolo nel sistema descritto: secondo il rapporto, «i trasferimenti di armi da parte degli Stati, il mantenimento del supporto diplomatico e politico alle operazioni militari, e la prosecuzione di relazioni commerciali “business as usual” con la potenza occupante consentono alla macchina della distruzione a Gaza di operare con impunità». In questo modo, l’economia dell’occupazione si trasforma – secondo la relatrice – in un’economia del genocidio, alimentata da profitti e interessi privati e pubblici. Il precedente rapporto From Economy of Occupation to Economy of Genocide aveva già suscitato scalpore internazionale, parlando apertamente di “economia del genocidio“, citando le aziende conniventi con i crimini perpetrati da Israele. A seguito di quella denuncia, gli Stati Uniti, il 9 luglio 2025, hanno imposto sanzioni contro Francesca Albanese.

Il ruolo degli Stati terzi e delle imprese

Ora, il nuovo rapporto sfida direttamente governi e imprese oltreconfine: 63 Stati, molti dei quali europei, avrebbero mantenuto forme di sostegno politico, militare o economico a Israele pur essendo a conoscenza dei rischi di crimini internazionali. Le imprese globali sono chiamate in causa per avere «facilitato o acconsentito alla distruzione di un gruppo protetto» e, per questo, gli Stati dovrebbero considerare la «responsabilità penale delle imprese» sul modello dei precedenti processi internazionali. La relatrice invita i governi a intervenire con misure di sanzione, cessazione di accordi commerciali e revoca di licenze militari o dual-use verso Israele e le sue filiere.

Impatti umanitari e civili

Al centro del documento ci sono gli effetti sulla vita quotidiana della popolazione della Striscia di Gaza. La privazione di mezzi di sussistenza, il blocco prolungato degli aiuti, l’interruzione dei trasporti verso l’esterno e la costante minaccia di bombardamenti hanno portato a condizioni di sopravvivenza estreme. Secondo Albanese, l’intero sistema è progettato affinché «la distruzione della vita quotidiana nella Striscia di Gaza sia deliberata e concertata». La relatrice nota come l’intera popolazione venga trattata non come un danno collaterale, ma come un obiettivo deliberato. Le infrastrutture civili – centri sanitari, scuole, reti elettriche e idriche – sono ripetutamente distrutte o rese inoperanti; il risultato è una crisi umanitaria che non è semplice conseguenza della guerra, ma elemento integrante del progetto di estinzione del gruppo protetto.

Raccomandazioni e responsabilità internazionale

Alla fine del rapporto, Albanese formula raccomandazioni incisive: l’immediato cessate il fuoco, l’embargo sulle armi verso Israele, il blocco delle imprese che operano nei territori occupati, l’istituzione di una forza internazionale per proteggere la popolazione della Striscia e meccanismi giudiziari nazionali e internazionali per perseguire Stati e imprese che agevolano il genocidio. In tal senso, si afferma che «non c’è bisogno di attendere la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia per definire questa dinamica come genocidaria: il dovere di prevenire e reagire è già immediato». Il messaggio è chiaro: il sistema internazionale non può più trattare la Striscia di Gaza come un teatro periferico di conflitto, ma come un laboratorio di distruzione di un gruppo protetto, di cui tutti – occupante, Stati terzi, imprese – sono potenzialmente corresponsabili.

Quali implicazioni per l’Italia e l’Europa?

Per l’Italia e l’Europa, il rapporto impone una riflessione non più rinviabile. Se molti Stati europei sono indicati come “facilitatori” – direttamente o indirettamente – delle politiche messe in luce da Albanese, allora diventa urgente considerare strumenti normativi e politici che vanno oltre le dichiarazioni di condanna: revoca di licenze d’armamento, sospensione di accordi commerciali con Israele, esame dell’impatto delle imprese europee che operano nei territori occupati, e un cambio reale di strategia verso la protezione della popolazione palestinese.

I Paesi sono chiamati a scegliere

In foto: la Relatrice speciale delle Nazioni Unite Francesca Albanese

Dal rapporto di Albanese emerge un quadro allarmante e complesso: una popolazione sotto attacco continuato, una strategia di distruzione sistematica, un’economia della guerra che coinvolge imprese globali, e un sistema internazionale che collabora, resiste o resta inerte. Alla luce della gravità delle accuse avanzate, la pace e la stabilità del Medio Oriente – e di riflesso dell’Europa – si trovano di fronte a un bivio storico: intervenire concretamente, o restare complici per omissione. Il rapporto non rappresenta solo una denuncia delle politiche di occupazione o della distruzione degli insediamenti, è un richiamo all’intera architettura internazionale. «Il mondo» si legge nelle conclusioni, «sta osservando Gaza e l’intera Palestina. Gli Stati devono assumersi le proprie responsabilità. Solo garantendo al popolo palestinese il diritto all’autodeterminazione – così sfacciatamente violato dal genocidio in corso – potranno smantellare le strutture coercitive globali che perpetuano l’oppressione. Nessuno Stato può affermare con credibilità di aderire al diritto internazionale mentre arma, sostiene o protegge un regime genocidario. Tutto il sostegno militare e politico deve essere sospeso; la diplomazia deve servire a prevenire i crimini, non a giustificarli. La complicità nel genocidio deve finire». Anche l’Italia è chiamata a scegliere: continuare nella complicità di un sistema che beneficia del modello militare-economico delineato, oppure, impegnarsi nella protezione di un popolo sottoposto al genocidio. La posta in gioco non è solo diplomatica: è la credibilità del diritto internazionale e la protezione dell’umanità contro la distruzione sistematica di un gruppo vulnerabile.

Mongolia: la Corte Suprema blocca la destituzione del premier

0

La Corte Suprema della Mongolia ha dichiarato incostituzionale il voto parlamentare della scorsa settimana per destituire il primo ministro Zandanshatar Gombojav. Secondo la Corte, la mozione, approvata venerdì scorso, non ha fondamento giuridico per questioni tecniche; la Corte di preciso, ha contestato irregolarità procedurali e l’impiego di una «formula di voto errata». Il voto sulle dimissioni di Zandanshatar è avvenuto dopo che nel Paese sono scoppiate diverse proteste antigovernative contro la situazione di stagnazione economica. Zandanshatar è primo ministro da soli quattro mesi, ed è finito al centro di indagini per corruzione; è subentrato a Luvsannamsrai Oyun-Erdene, dimessosi per analoghi motivi.

Paranoia securitaria e caccia al nemico interno: la svolta autoritaria del potere negli USA

2

Mentre i riflettori del mondo sono puntati sul Medio Oriente e sull’immagine di Donald Trump come “artefice della pace” tra Israele e Hamas, sul fronte interno gli Stati Uniti sembrano imboccare una strada ben diversa. Nelle ultime settimane, la Casa Bianca ha intensificato l’impiego della Guardia Nazionale in numerose città, contro la volontà dei governatori statali, segnando un preoccupante scivolamento verso forme di governo coercitivo. Dietro la retorica della sicurezza e dell’ordine pubblico si delinea un paradosso politico: mentre si accredita come architetto della pace all’estero, Trump...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Maltempo in Nuova Zelanda: cancellati i voli

0
La Nuova Zelanda sta venendo colpita da una ondata di forti venti, che hanno costretto gli aeroporti a cancellare circa 200 voli, causato vasti blackout e forzato la chiusura delle scuole. Le tempeste di vento hanno colpito prevalentemente la parte meridionale dell’Isola del Nord, dove si trova la capitale Wellington, spingendosi fino alla parte centro-settentrionale dell’Isola del Sud, nei pressi della città di Christchurch. Il servizio meteorologico nazionale ha emesso avvisi di allerta massima. La tempesta di vento coincide con uno sciopero a cui hanno partecipato almeno 100.000 lavoratori, che ha contribuito alla interruzione dei servizi nel Paese. Alcune delle manifestazioni in programma sono state cancellate, ma i lavoratori continuano lo sciopero.

Olimpiadi Cortina ’26: escluse Russia e Bielorussia, Israele invece potrà partecipare

4

Mentre si avvicina l’inizio dei Giochi Olimpici invernali di Milano-Cortina 2026, riemerge con forza il differente trattamento riservato agli atleti di Paesi coinvolti in conflitti internazionali. Infatti, se la Federazione Internazionale Sci e Snowboard (FIS) ha infine deciso di escludere atleti russi e bielorussi dalle qualificazioni olimpiche, anche nella formula di atleti neutrali, il Comitato Olimpico Internazionale ha contemporaneamente ribadito la piena legittimità della partecipazione israeliana. Questa divergenza di approcci si basa sulla qualifica di «caso speciale» attribuita dal Comitato Olimpico alla situazione israeliano-palestinese, in netto contrasto con la linea dura adottata verso Mosca e Minsk, e continua a sollevare grossi interrogativi sulla coerenza dei criteri applicati.

Nel dettaglio, il consiglio della FIS ha votato per «non agevolare la partecipazione degli atleti provenienti da Russia e Bielorussia come atleti neutrali individuali (AIN) agli eventi di qualificazione FIS per i Giochi olimpici invernali e i Giochi paralimpici di Milano-Cortina 2026». Nello specifico, la scelta della Federsci esclude dalle competizioni tutti gli atleti di sci alpino, snowboard, freestyle, sci di fondo e combinata nordica dalle gare di disciplina. La Federazione, di preciso, ha tagliato fuori gli atleti dalle gare di qualificazione alle Olimpiadi, eliminandoli di fatto dall’evento sportivo. Anche l’Ibu, l’organismo internazionale per il biathlon, ha preso la stessa decisione; gli atleti russi e bielorussi saranno esclusi anche dagli sport di scivolamento come bob, slittino e skeleton, e dagli sport di squadra. La decisione è stata giudicata discriminatoria dalla federazione sciistica russa, che ha espresso «profonda delusione» e annunciato possibili azioni legali.

Dall’altro lato, il direttore esecutivo del CIO, Christophe Dubi, ha tracciato una linea di separazione netta riguardo a Israele. In occasione della conferenza stampa del Comitato organizzatore dei Giochi Olimpici dello scorso settembre, ha dichiarato: «Il caso è diverso da quello di Russia e Bielorussia. Su Israele e Palestina è un caso speciale perché abbiamo due comitati olimpici nazionali e entrambi ottemperano alla Carta Olimpica». Una posizione corroborata da Giovanni Malagò, presidente della Fondazione Milano-Cortina 2026, che ha precisato: «Attenzione, non stiamo parlando dei governi di quei Paesi, ma stiamo parlando dei comitati olimpici. Il Comitato Olimpico nazionale di Israele e quello di Palestina, per il CIO, sono entrambi riconosciuti da moltissimi anni». Nel 2023, il CIO aveva deciso di sospendere il Comitato olimpico russo (Roc) per violazione della Carta Olimpica, essendogli contestato di avere incluso tra i suoi componenti le organizzazioni sportive regionali di Donetsk, Kherson, Luhansk e Zaporizhzhya, che sono sotto l’autorità del Comitato olimpico ucraino.

Già nel marzo 2024 il movimento Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni (BDS) aveva organizzato una protesta davanti alla sede del CIO a Losanna, chiedendo l’esclusione di Israele dalle Olimpiadi di Parigi a causa dei crimini di guerra a Gaza. Gli attivisti avevano denunciato l’applicazione di un «doppio standard» nel trattamento di Israele rispetto ad altri Paesi, richiamando alla memoria gli anni in cui il Sudafrica dell’apartheid venne escluso dalle competizioni olimpiche. Il movimento sottolineava come, mentre alla Russia e alla Bielorussia venivano imposte severe restrizioni – partecipazione solo sotto bandiera neutrale, divieto di sfilare alle cerimonie e di esporre simboli nazionali – per Israele non fosse stata prevista alcuna misura analoga, nonostante le accuse di violazioni dei diritti umani e la stessa inchiesta della Corte Internazionale di Giustizia per genocidio.

Nigeria, scontri tra esercito e ribelli islamisti: 50 morti

0

L’esercito nigeriano ha ucciso 50 militanti di gruppi ribelli islamisti che hanno lanciato un attacco in quattro distretti dell’area nord-orientale del Paese. Di preciso, gli attacchi sono stati lanciati contro tre postazioni militari nello Stato di Borno e contro un’altra nello Stato di Yobe; i ribelli hanno lanciato attacchi con droni e granate, e dato fuoco a una caserma, ma sono stati respinti dalle truppe regolari. L’esercito nigeriano ha segnalato alcuni feriti, ma ora si trovano tutti in condizioni stabili. Veicoli ed edifici hanno invece subito ingenti danni. In seguito alla controffensiva, l’esercito ha affermato di avere recuperato armamenti e munizioni in mano ai ribelli.