La giunta militare del Burkina Faso ha annunciato di aver sventato un tentativo di colpo di Stato. La notizia è stata data dal ministro della Sicurezza Mahamadou Sana, che ha spiegato che il piano avrebbe portato a un tentativo di rovesciamento previsto per mercoledì 16 aprile. La giunta del Burkina Faso ha dichiarato che i cospiratori erano due ex ufficiali dell’esercito, il maggiore Joanny Compaoré e il tenente Abdramane Barry, che si trovavano in Costa d’Avorio.
Imprese italiane, aumentano i fallimenti: sono oltre 9 mila nel 2024
C’è un dato che racconta bene la fragilità del tessuto imprenditoriale italiano nel 2024: il numero di aziende fallite ha superato quota 9 mila, con un incremento del 17,2% rispetto all’anno precedente. Un aumento netto rispetto al già preoccupante +9,8% registrato nel 2023. A rilevarlo è l’Osservatorio Procedure e Liquidazioni di Cerved, che segnala una decisa inversione di tendenza dopo anni di calo, culminati con la moratoria sui prestiti del 2020. Il dato restituisce l’immagine di un’economia che, tra inflazione, costi energetici alle stelle e congiuntura sfavorevole, fatica a reggere l’urto del nuovo contesto post-pandemico e post-bonus.
Nel dettaglio, come attestato dal report, i casi di fallimento sono passati da 7.848 nel 2023 a 9.194 nel 2024. A pagarne le conseguenze maggiori sono le aree tradizionalmente più produttive del Paese, in particolare il Nord-Ovest, che da solo rappresenta il 30% delle procedure (2.803 casi), con la Lombardia in cima alla classifica regionale. Seguono il Centro (2.232 casi, 24,3%), il Sud (1.748, 19%), il Nord-Est (1.615, 17,6%) e le Isole (796, 8,7%). La fotografia settoriale conferma che a soffrire maggiormente sono le società di capitali, protagoniste dell’82% dei fallimenti, mentre le ditte individuali e le società di persone rappresentano rispettivamente il 10% e l’8,4%. Tra i comparti più colpiti emergono i servizi (35% dei casi), seguiti da distribuzione (21,2%), costruzioni (18,7%) e industria (12,6%). L’analisi più approfondita dei settori evidenzia situazioni critiche in comparti specifici. Le costruzioni registrano un’impennata del +25,7%, l’industria del +21,2%. Tra i settori industriali, i più colpiti sono quello dei metalli (+48,4%) e il sistema moda (+41,1%), seguiti da elettrotecnica e informatica (+33,3%) e sistema casa (+22,9%). Dall’altro lato, settori come largo consumo (-6,5%), chimica e farmaceutica (-9,1%) si confermano più resilienti, evidenziando una tendenza opposta.
Un elemento particolarmente allarmante è l’età delle imprese colpite. Le realtà più giovani, ossia quelle nate da meno di cinque anni, rappresentano oggi il 12% dei fallimenti totali, a fronte del 2% nel 2022. Anche le aziende con un’età compresa tra i cinque e i dieci anni risultano più vulnerabili (28% nel 2024 contro il 25% nel 2022), segno che le imprese meno strutturate stanno accusando pesantemente gli shock degli ultimi anni. Le cause principali che hanno determinato questo peggioramento sono molteplici, ma ruotano attorno ad alcuni fattori chiave: l’aumento vertiginoso dei costi di produzione, in primis quelli energetici, il caro debiti, con oneri finanziari sempre più difficili da sostenere, e la generale debolezza del contesto economico, che ha visto un peggioramento nel corso del 2024.
Il fenomeno non si limita ai soli fallimenti. Crescono infatti anche tutte le altre modalità di uscita dal mercato. Le liquidazioni volontarie, ad esempio, sono passate da 106.155 a 119.597 in un solo anno, con un incremento del +12,7% (dopo il +11,9% del 2023). Boom anche per le nuove procedure introdotte dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, come i procedimenti unitari e le misure cautelari e protettive, pensate per anticipare le crisi aziendali. Solo queste ultime sono passate da 1.177 nel 2022 a 4.389 nel 2024, con una crescita del +37,4% nell’ultimo anno. Secondo Serenella Monforte, responsabile delle analisi settoriali di Cerved, «le difficoltà dell’ultimo periodo hanno scoraggiato il proseguimento dell’attività per molte imprese, in particolare per le società di capitali». Il nuovo Codice ha spinto molte aziende a utilizzare i nuovi strumenti di prevenzione della crisi, ma non sempre con esiti positivi.
Papa Francesco, governo proclama 5 giorni di lutto nazionale
Il governo Meloni, riunitosi nel Consiglio dei ministri straordinario di oggi, ha proclamato cinque giorni di lutto nazionale in Italia per la morte di Papa Francesco. Il lutto nazionale parte da oggi, martedì 22 aprile, e si protrarrà fino a sabato 26 aprile. Nelle ultime ore si era ipotizzato che sarebbero stati stabiliti soltanto tre giorni di lutto, ma fonti vicine all’esecutivo hanno spiegato che la prassi per la morte dei capi di Stato, anche in occasioni passate, è stata di cinque giorni di lutto. Inoltre, questa scelta fa sì che il lutto possa estendersi fino a sabato, giorno dei funerali del pontefice.
Il nuovo codice della Strada è già stato rinviato alla Corte Costituzionale
Il Tribunale di Pordenone ha rinviato alla Corte costituzionale il nuovo Codice della Strada, promosso dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini, dopo il caso di una donna risultata positiva a oppiacei in seguito a un incidente. Ricoverata, la conducente – che ora rischia un decreto di condanna – aveva riferito di aver assunto codeina a scopo terapeutico nei giorni precedenti all’incidente e ansiolitici subito dopo. I giudici hanno sospeso il giudizio e rinviato la questione alla Consulta, ritenendo la norma potenzialmente incostituzionale: eliminando il requisito dell’alterazione psicofisica, la legge punirebbe infatti chiunque presenti tracce di sostanze, anche se non compromette la capacità di guida. Ora la Corte Costituzionale dovrà valutare se la disposizione rispetta i principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità.
Il caso che ha acceso il faro sulla riforma si è verificato nella notte della vigilia di Natale del 2024, quando una donna, alla guida della propria auto, ha tamponato un’altra vettura. Condotta in ospedale per accertamenti, ha dichiarato di aver assunto, nei giorni precedenti, un farmaco contenente codeina – un oppiaceo – dietro regolare prescrizione, e «subito dopo» l’incidente alcune gocce di un ansiolitico. Gli esami del sangue hanno dato esito negativo, ma quelli delle urine sono risultati positivi agli oppiacei. Ed è qui che si inserisce il nodo giuridico: secondo la nuova normativa, introdotta nel novembre 2024, basta infatti un test positivo per configurare una responsabilità penale, anche se non vi è stato alcun segno di alterazione psicofisica al momento del fatto. Il legislatore ha infatti eliminato ogni riferimento allo “stato di alterazione”, che nel vecchio impianto normativo era condizione imprescindibile per contestare la guida sotto effetto di droghe. Ora, invece, l’eventuale presenza di tracce di sostanze stupefacenti o psicotrope – anche a distanza di giorni – è sufficiente per far scattare sanzioni che possono arrivare fino a 6.000 euro di multa, un anno di arresto e due anni di sospensione della patente.
Una trasformazione che ha suscitato forte perplessità nella gip Granata, la quale ha accolto le osservazioni del pubblico ministero Enrico Pezzi e ha rimesso la questione alla Corte costituzionale. Il cortocircuito, ha spiegato la giudice, consiste nel fatto che il reato di guida sotto l’effetto di droghe si è trasformato da reato di pericolo concreto a reato di pericolo astratto, in cui non è più necessaria la prova che l’assunzione abbia inciso sulla capacità di condurre il veicolo. Le analisi delle urine, infatti, possono rilevare tracce anche settimane dopo l’assunzione, al contrario degli esami del sangue, che si negativizzano nel giro di 48-72 ore.
Il nuovo Codice della strada ha generato forti critiche, soprattutto per le potenziali implicazioni nei confronti dei pazienti che utilizzano cannabis terapeutica. La norma prevede infatti sanzioni severe per chi risulti positivo al test antidroga, che rileva la presenza di cannabinoidi nell’organismo senza distinguere chi è sotto effetto della sostanza da chi ha assunto una dose terapeutica giorni prima. Tracce di THC possono infatti persistere fino a tre giorni nel corpo, ben oltre la durata degli effetti psicotropi. Nelle scorse settimane, è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale – il caso è in mano al giudice di Pace di Udine – anche dalla difesa della 32enne friulana Elena Tuniz, la quale, dopo un improvviso malore alla guida e la successiva diagnosi di epilessia, si è trovata coinvolta in un procedimento penale e con la patente sospesa per un anno a causa di una «dubbia» positività al THC, principio psicotropo della cannabis. In una conferenza stampa alla Camera dei Deputati, L’associazione Meglio Legale, che ha preso in carico la difesa di Elena, ha parlato di «una storia che grida vendetta».
Gaza, a Khan Younis 12 morti tra le fiamme dopo raid israeliano
Non si ferma l’offensiva israeliana a Gaza, che nelle ultime ore ha provocato decine di morti in vari centri dell’enclave. 12 persone sono state uccise a Khan Younis, dopo che un’abitazione è stata bombardata e si è verificata la propagazione di un incendio. Le persone, riporta Al Jazeera, sono morte tra le fiamme. A Gaza City, sette persone sono state uccise in abitazioni residenziali. Nel nord, due missili hanno colpito una tenda che ospitava una famiglia sfollata, uccidendo tre figli insieme ai loro genitori. Secondo il Ministero della Salute dell’enclave, nelle ultime 24 ore almeno 26 palestinesi sono stati uccisi e 60 sono rimasti feriti
Turchia: duecento attivisti e giornalisti a processo per le proteste contro Erdogan
A Istanbul è iniziato il primo processo contro le persone che hanno partecipato alle proteste antigovernative in seguito all’arresto del sindaco Ekrem İmamoğlu, vietate dall’amministrazione centrale. İmamoğlu, considerato il principale rivale politico di Erdoğan, è stato arrestato lo scorso 19 marzo con accuse di corruzione, ma molti hanno interpretato la sua incriminazione come una mossa politica e hanno organizzato proteste di massa in tutto il Paese. Gli imputati, in totale 189, tra cui studenti, giornalisti e fotoreporter, sono accusati di partecipazione a una manifestazione non autorizzata, disobbedienza agli ordini della polizia e, in alcuni casi, porto d’armi e istigazione a delinquere. Le pene che potrebbero subire vanno dai sei mesi ai cinque anni di carcere. Ai quasi 200 imputati se ne aggiungeranno altre centinaia, che verranno giudicati in altri processi, così come annunciato dalla procura generale di Istanbul.
Il processo contro i 189 manifestanti è iniziato venerdì 18 aprile, giorno in cui si sono tenute le prime due udienze. La maggior parte degli imputati è composta da studenti, ma sono presenti anche due giornalisti e cinque fotogiornalisti, che stanno venendo considerati come manifestanti. Le accuse di cui devono rispondere sono tre: aver preso parte a una manifestazione non autorizzata e non aver rispettato l’ordine di disperdersi da parte della polizia; essersi coperti il volto per nascondere la propria identità e porto d’armi; e, infine, istigazione a delinquere. Le pene potenziali vanno dai sei mesi ai quattro anni per le prime due accuse, e fino a cinque anni per la terza. Secondo l’ONG Human Rights Watch, in quasi tutti i casi le accuse mancherebbero di prove concrete. «La natura affrettata e la portata imponente dei processi, in cui non vi sono prove di illeciti penali, dimostrano come le restrizioni imposte dalla Turchia al diritto di riunione siano arbitrarie e incompatibili con una società democratica basata sullo stato di diritto», scrive HRW. Anche gli avvocati hanno denunciato la natura politica del processo e hanno chiesto l’assoluzione degli imputati.
HRW ha visionato parte delle carte riguardanti i manifestanti accusati. Secondo l’ONG, dei 189 imputati alle udienze del 18 aprile, 62 sono accusati di porto d’armi o di aver nascosto il volto per non essere identificati durante la manifestazione. Tuttavia, scrive HRW, «l’unico elemento specifico fornito come prova nell’atto di accusa in merito al porto di armi è l’affermazione che un manifestante avesse una pietra in mano». Secondo quanto scrive HRW, «molte persone di tutte le età presenti alle proteste di massa si sarebbero coperte il volto per proteggersi dagli effetti dello spray al peperoncino e dei proiettili usati dalla polizia in diverse occasioni», e altrettante «potrebbero aver scelto di coprirsi il volto in considerazione delle restrizioni al diritto di protestare in Turchia negli ultimi anni». L’accusa di istigazione a delinquere, invece, riguarda 20 persone e sarebbe mossa sulla base di una serie di post sui social media. «Questi post consistono prevalentemente in inviti generalizzati a scendere in piazza e dichiarazioni contro il governo, e non inviti alla violenza o alla criminalità». Centosette, infine, sono accusati solo di aver partecipato a manifestazioni non autorizzate e di non aver risposto agli ordini di dispersione.
La procura generale di Istanbul ha annunciato che in totale verranno processate 819 persone nell’ambito di 20 indagini penali sulle proteste. In totale, dopo le proteste, sono state arrestate 1.879 persone, i tribunali di Istanbul hanno ordinato la detenzione preventiva per 278 presunti manifestanti, e imposto ad altri gli arresti domiciliari o il divieto di lasciare la città. Le proteste sono scoppiate dopo l’arresto di İmamoğlu dello scorso 19 marzo e hanno visto la partecipazione di decine di migliaia di persone in tutto il Paese. I manifestanti accusavano il governo di sfruttare la propria influenza sulla magistratura per mettere a tacere il dissenso nel Paese. Nel tentativo di arginare sul nascere ogni possibile mobilitazione, l’esecutivo turco ha vietato le manifestazioni, chiuso strade e metropolitane e limitato l’accesso ai social media.
İmamoğlu è stato eletto due volte sindaco di Istanbul, la prima nel 2019 e la seconda l’anno scorso. Con l’elezione del 2019, che si dovette ripetere per decisione di Erdoğan, İmamoğlu mise fine a circa 25 anni di governo dell’AKP, il partito del presidente. Con i suoi mandati da sindaco, ha acquisito grande notorietà, diventando gradualmente il principale politico dell’opposizione turca. Il raid in casa sua, che ha raggiunto uffici e abitazioni in tutto il Paese, fermando altre 100 persone, ha fatto seguito di soli due giorni alla decisione dell’Università di Istanbul di ritirare a İmamoğlu il diploma di laurea, requisito fondamentale per candidarsi alle elezioni. İmamoğlu, inoltre, è finito più volte al centro di vicende giudiziarie che l’opposizione giudica come tentativi di delegittimazione e di ostacolare una sua possibile candidatura.
Harvard ha fatto causa all’amministrazione Trump
L’Università di Harvard ha fatto causa all’amministrazione Trump presso una corte federale, accusandola di avere violato i propri diritti costituzionali. L’accusa segue il congelamento di 2,2 miliardi di finanziamenti per la ricerca universitaria, ordinato dal Dipartimento dell’Educazione su via libera della task force contro l’antisemitismo. Il congelamento dei finanziamenti è arrivato dopo che l’ateneo statunitense si era rifiutato di soddisfare le richieste avanzate da Trump, che chiedeva di adeguare le politiche interne all’università alle linee governative.
Bosnia, proteste dei trasportatori: centinaia di camion in piazza
Oltre 500 camion hanno occupato le strade della capitale bosniaca, Sarajevo, protestando contro quella che ritengono l’incapacità del governo di aiutare il settore dei trasporti. In particolare, i lavoratori criticano le eccessive barriere amministrative e le tasse troppo alte. I lavoratori chiedono il rimborso delle accise sul petrolio e procedure amministrative più snelle alla frontiera, da realizzare attraverso la digitalizzazione, per ridurre la burocrazia e le lunghe code.