giovedì 4 Dicembre 2025
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Repubblica Ceca, scontro tra treni: 57 feriti, alcuni gravi

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Nella prima mattinata di oggi, giovedì 20 novembre, un treno espresso si è scontrato con un convoglio passeggeri vicino a Ceske Budejovice, nel sud della Repubblica Ceca. Nell’incidente sarebbero rimaste ferite in tutto 57 persone. Secondo l’ospedale locale, inizialmente due e poi cinque passeggeri sono stati ricoverati in condizioni gravi. La collisione ha interrotto il traffico ferroviario sulla linea tra Ceske Budejovice e Plzen, che non dovrebbe essere ripristinato prima del pomeriggio. Le autorità hanno avviato un’indagine per chiarire le cause dell’incidente.

Pace in Ucraina: Russia e USA avrebbero elaborato un piano in 28 punti

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L’amministrazione Trump starebbe lavorando in segreto con Mosca a un piano in 28 punti per chiudere la guerra in Ucraina, secondo fonti statunitensi e russe citate da Axios. Il documento, modellato sull’impianto diplomatico statunitense che ha portato a un accordo per Gaza, ridisegnerebbe le garanzie di sicurezza per Kiev, riaprirebbe il dossier dei territori contesi e tenterebbe di fissare nuovi equilibri nei rapporti tra Washington, Mosca e Kiev. Dopo le rivelazioni filtrate sui media, il Cremlino ha negato di aver ricevuto proposte ufficiali dagli Stati Uniti, mentre da Bruxelles arriva un monito: senza il coinvolgimento diretto di Kiev e dei partner europei, qualsiasi ipotesi di accordo rischia di restare un esercizio teorico.

Stando alla ricostruzione esclusiva di Axios, i 28 punti del piano rientrano in quattro categorie generali: pace in Ucraina, garanzie di sicurezza, sicurezza in Europa e future relazioni degli Stati Uniti con Russia e Ucraina. Nel dettaglio, si prevede che Kiev accolga le garanzie fornite da Washington, limiti la propria adesione alla NATO e accetti la smilitarizzazione, con la riduzione del numero delle forze armate ucraine e la rinuncia formale all’uso o allo schieramento di armi a lungo raggio. Secondo un articolo del Financial Times, il piano costringerebbe l’Ucraina a cedere il controllo su territori attualmente contesi, tra cui Donbass e Crimea. Il documento rappresenterebbe la base per un possibile accordo scritto prima di un vertice tra il presidente statunitense e quello russo. Il summit programmato a Budapest, però, resta sospeso. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha smentito in un’intervista a Tass la ricostruzione dei mezzi di informazione, sostenendo che la Russia non ha ricevuto alcuna proposta ufficiale dagli Stati Uniti attraverso i canali diplomatici, mettendo in discussione la trasparenza del piano. La presidente della Commissione europea Kaja Kallas ha invece puntualizzato che, affinché l’iniziativa abbia senso, «serve che l’Europa e l’Ucraina siano a bordo», precisando di non essere a conoscenza di un coinvolgimento degli europei alla costruzione del piano di pace USA. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è limitato a ribadire da Ankara che solo gli Stati Uniti hanno la forza per porre fine alla guerra e che l’Ucraina è pronta a negoziare, sottolineando al contempo che ogni decisione deve avvenire in coordinamento con i partner internazionali.

Dietro al piano, ci sarebbe il lavoro riservato dell’inviato di Trump Steve Witkoff, che avrebbe discusso a lungo la bozza con il diplomatico russo Kirill Dmitriev. Quest’ultimo, a capo del fondo sovrano di Mosca e figura chiave nei negoziati sull’Ucraina, ha raccontato di aver trascorso tre giorni a Miami con Witkoff e altri membri dell’amministrazione di Trump dal 24 al 26 ottobre. Secondo Dmitriev, gli Stati Uniti stanno illustrando a ucraini ed europei i vantaggi del loro approccio, in un contesto in cui la Russia ritiene di avere consolidato la propria posizione militare e di godere di una crescente influenza sul campo. Witkoff avrebbe dovuto incontrare Zelensky ieri in Turchia, salvo rinviare la visita. Fonti ucraine confermano tuttavia che il piano è stato discusso a Miami con Rustem Umerov, consigliere per la sicurezza nazionale.

Secondo Politico, che cita un alto funzionario della Casa Bianca, un quadro per la fine del conflitto dovrebbe essere concordato entro la fine del mese e, possibilmente, «già questa settimana». Secondo le fonti, Washington ritiene concreta la possibilità di ottenere il sostegno sia degli ucraini sia degli alleati europei, adattando la proposta ai contributi delle diverse parti. Se l’accordo in 28 punti venisse formalizzato, rappresenterebbe una svolta significativa nel conflitto ucraino, spostando il fulcro dall’offensiva militare a un quadro diplomatico di lungo termine. In assenza di un impegno condiviso, il piano rischia di restare al livello delle intenzioni, mentre sul terreno la guerra prosegue. L’intensificazione dei raid russi, incluso quello su Ternopil, non sarebbe una smentita della volontà di negoziare da parte del Cremlino, ma il tentativo di presentarsi al tavolo con una posizione di forza. Resta da vedere se le parti riusciranno a trovare un accordo scritto e trasparente, e se questo potrà effettivamente tradursi in misure concrete di pace e sicurezza.

Trump firma la legge per la pubblicazione dei file su Epstein

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Il presidente Usa Donald Trump ha firmato la legge che impone la divulgazione completa dei documenti legati al caso Epstein da parte del Dipartimento di Giustizia. In un post sul suo social “Truth”, Trump accusa i Democratici di aver occultato informazioni sui legami di Epstein, sostenendo che le donazioni e i rapporti con numerosi esponenti del partito siano state taciute. La legge impone al procuratore generale Pam Bondi di divulgare tutti i documenti non classificati relativi a Epstein entro 30 giorni. La legge consente a Bondi di nascondere o censurare informazioni che potrebbero compromettere un’indagine federale.

In Val di Susa sono iniziati gli sfratti per la TAV

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Sono iniziati ufficialmente ieri, 19 novembre, gli sfratti degli inquilini della Val di Susa le cui abitazioni dovranno essere abbattute per far posto ai cantieri dell’Alta Velocità. A San Giuliano, infatti, vedrà la luce la stazione internazionale della TAV Torino-Lione, costruita da TELT – la società incaricata di portare a termine la grande opera. Nella giornata di ieri, quindi, funzionari dell’azienda, accompagnati da agenti della Digos e delle forze dell’ordine, hanno iniziato a prendere possesso degli immobili, che nei prossimi giorni verranno abbattuti. «Oggi si è scritta una delle pagine più buie della storia del popolo valsusino», ha commentato il Movimento in un comunicato.

Il decreto di esproprio era stato emesso nel 2023. Il 9 ottobre 2024, quindi, erano iniziate le convocazioni dei proprietari dei terreni. Come spiegato da TELT, infatti, nei prossimi anni l’area servirà prima per la logistica dei cantieri di «valorizzazione dei materiali del tunnel di base» e, successivamente, vedrà il sorgere della stazione internazionale di interscambio tra l’alta velcità verso Parigi, le linee ferroviarie regionali e la mobilità verso l’alta Val di Susa e le stazioni sciistiche. E ieri come un anno fa, le operazioni sono avvenute nell’usuale contesto di militarizzazione della valle, alla presenza di un nutrito gruppo di agenti delle forze dell’ordine, riferisce il Movimento. Sono tre le abitazioni che verranno abbattute, dodici le persone che hanno dovuto trovare altrove un luogo dove andare a vivere. L’estensione complessiva dei terreni espropriati è di circa quattromila metri quadrati, per un totale di oltre un migliaio di proprietari. Tanti erano stati, infatti, gli attivisti che nel 2012 avevano comprato una porzione di territorio a testa. L’iniziativa era stata denominata Compra un posto in prima fila: allora la costruzione della stazione internazionale era soltanto un’ipotesi, ma i cittadini della Valle avevano scelto di muoversi per tempo, per rendere più difficoltosa per le aziende l’appropriazione dei terreni.

«Perdere una casa non è solo una questione economica: significa vedere cancellata una parte della propria vita. Quello di stamattina è stato l’ennesimo atto imposto con la forza in un territorio che da oltre trent’anni resiste a un’opera inutile, costosa e distruttiva, già obsoleta ancora prima di essere completata», scrive il Movimento, che aggiunge: «il “progresso” che TELT e le istituzioni cercano di imporci si traduce da anni in espropri forzati, abbattimento di case e violazione dei nosrti legami affettivi e comunitari. Il loro “progresso sostenibile” è solo retorica e propaganda, è distruzione e violenza cammuffate da sviluppo».

Il Brasile restituirà 10 territori indigeni alle comunità native

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In Brasile, dieci nuovi territori saranno ufficialmente riconosciuti come terre indigene. La firma è arrivata pochi giorni dopo le proteste organizzate a Belém, dove si sta tenendo la COP30, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima che quest’anno conta il numero più alto di delegati indigeni mai registrato. Migliaia di attivisti, molti dei quali appartenenti a comunità native, hanno marciato fuori dalla sede del summit chiedendo la demarcazione immediata degli ambienti abitati e protetti dalle comunità ancestrali. 
Le richieste sono state ascoltate. Con la nuova misura, i territori ufficial...

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La Polonia chiude l’ultimo consolato russo

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La Polonia ha annunciato la chiusura del consolato russo di Danzica, l’ultimo operativo nel proprio territorio. La scelta della Polonia arriva dopo i presunti «atti di sabotaggio» sulle proprie ferrovie, che il Paese attribuisce alla Russia. L’annuncio è stato dato dal ministro degli Esteri polacco alla stampa; il ministro ha precisato che la chiusura del consolato di Danzica verrà formalizzata alla Russia nelle prossime ore, sottolineando che essa non comporta una rottura delle relazioni diplomatiche con Mosca e che l’ambasciata a Varsavia continuerà a lavorare regolarmente.

Messico, la Generazione Z scende in piazza: 20 arresti e scontri con la polizia

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Dopo l’uccisione del sindaco di Uruapan, Carlos Alberto Manzo Rodríguez, da parte del cartello messicano, il Messico sta vivendo una forte ondata di proteste. L’ultima, nonché più rumorosa, è stata lanciata da pagine social della cosiddettagenerazione Z”, i giovani nati tra il 1997 e il 2012. La manifestazione si è svolta in diverse città messicane lo scorso 15 novembre, ma la piazza più partecipata è stata quella di Città del Messico, dove sono scoppiati scontri con la polizia che hanno portato a 20 arresti. La presidente Claudia Sheinbaum ha messo in dubbio la spontaneità del movimento, affermando che le proteste non sarebbero state partecipate dai giovani, ma sponsorizzate dalla destra; nei giorni, diversi giornalisti hanno provato a gettare luce sulle origini del movimento giovanile messicano, ipotizzando collegamenti con attori politici. Intanto le stesse pagine della Generazione Z hanno lanciato un’altra manifestazione, che si svolgerà domani, 20 novembre, in parallelo alla tradizionale marcia per l’anniversario della Rivoluzione Messicana.

La protesta del 15 novembre ha visto la partecipazione di migliaia di persone in oltre 50 località del Messico. La più grande e partecipata si è svolta nella capitale, dove circa 17mila persone hanno marciato pacificamente fino all’arrivo presso lo Zócalo, la maggiore piazza di Città del Messico. Qui un gruppo di persone in blocco nero ha provato a sfondare le entrate del Palazzo Nazionale, sede del governo, provocando scontri con le forze dell’ordine, che hanno usato lacrimogeni ed estintori contro i manifestanti. Gli scontri sono stati particolarmente violenti, e hanno causato il ferimento di 120 persone, tra cui 20 civili e 100 agenti; 40 di questi ultimi sono stati portati in ospedale. Al termine degli scontri, una ventina di persone sono state fermate e a oggi ancora 20 manifestanti risultano in stato di arresto.

Le proteste della “gen Z” sono nate in risposta all’uccisione di Manzo Rodríguez da parte di gruppi del narcotraffico messicano, lo scorso 1° novembre. Il sindaco di Uruapan è stato ucciso mentre partecipava a un evento per il giorno dei morti, celebrazione molto sentita in Messico, colpito da tre colpi di pistola provenienti dalla folla. Manzo Rodríguez era molto attivo nella lotta al narcotraffico e ha più volte chiesto al governo federale maggiori fondi per contrastare il cartello messicano. Sin da subito, la sua morte ha causato una forte ondata di indignazione, che si è rapidamente trasformata in contestazioni nei confronti della presidente Sheinbaum e del suo partito, Morena. I movimenti giovanili sono nati in questo contesto. Il primo a vedere la luce ha come portavoce un ragazzo di nome Iván Mero Perro, e ha lanciato una protesta l’8 novembre. Pochi giorni dopo, tuttavia, a catalizzare la maggior parte dell’attenzione è stata un’altra pagina, che ha promosso la manifestazione del 15 novembre.

La medesima pagina che ha lanciato la protesta del 15 novembre ha promosso una manifestazione per domani. La protesta si terrà in diverse città, ma la più grande è prevista all’Università di Città del Messico; le manifestazioni si terranno in parallelo allo svolgimento del corteo per la celebrazione del centoquindicesimo anniversario della Rivoluzione Messicana, a cui parteciperanno vari rami dell’esercito del Paese. A causa delle proteste, il percorso del corteo di commemorazione nazionale è stato deviato. La piattaforma di Mero Perro ha annunciato che non parteciperà alla manifestazione, affermando che essa non rispecchia gli obiettivi del movimento.

Dopo gli eventi del 15 novembre, diversi politici e giornali messicani hanno commentato le proteste mettendo sul piatto interpretazioni diametralmente opposte dell’evento. Il Partito di Azione Nazionale (PAN), forza di opposizione di orientamento conservatore, ha contestato l’uso della forza da parte della polizia, attribuendone la responsabilità al governo, mentre il Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), anch’esso di opposizione e di stampo liberale, ha accusato Morena di essere un «narcopartito al servizio del crimine». La presidente Sheinbaum, invece, ha puntato il dito proprio contro la destra, affermando che la maggior parte delle persone che hanno partecipato alla manifestazione non fossero giovani e che il movimento della gen Z sia nato su spinta e orientamento di attori politici nazionali e internazionali con il fine di delegittimare il governo.

A fare eco alle parole di Sheinbaum sono stati diversi giornalisti politicamente vicini alla sinistra messicana. Il coordinatore di Infomedia, Miguel Ángel Elorza, ha presentato un rapporto ripreso dai media nazionali in cui sostiene che la protesta del 15 novembre non fosse spontanea, ma finanziata e promossa dalla destra internazionale e da membri di PAN e PRI; secondo Ángel Elorza, dietro al movimento vi sarebbero in verità imprenditori come Ricardo Salinas Pliego, proprietario del canale Azteca Noticias, influencer di destra e politici di spicco. Tale accusa, che si è diffusa rapidamente in rete, è stata ripresa anche dal movimento di Mero Perro, che inizialmente si era allontanato dalla protesta del 15 novembre, per poi tuttavia cambiare posizione e decidere di parteciparvi, rivendicandone i risultati. In generale, la piattaforma di Mero Perro accusa la pagina social che ha lanciato la manifestazione dello scorso sabato di essere vicina alla destra.

La pagina social al centro della bufera ha sollevato sospetti in diversi ambienti, perché fino a pochi giorni fa aveva tra i propri “follow” pagine e attivisti di destra. Essa è stata creata nel 2024, ma è rimasta pressoché inattiva per oltre un anno. I post pubblicati prima di novembre, inoltre, non riguardano il Messico, bensì il Venezuela, e sono apertamente schierati a favore di Maria Corina Machado, la golpista filo-americana che ha vinto il premio nobel per la pace. Uno dei link condivisi dalla pagina rimanda a un gruppo sulla piattaforma Discord, creato per coordinare il movimento. Le persone all’interno del gruppo sembrano mostrare un interesse genuino, e rivendicano la loro posizione lontana dalle firme politiche, rigettando le accuse pubbliche mosse contro la piattaforma.

La disputa su Taiwan riaccende la tensione tra Cina e Giappone

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A poco meno di un mese dall’insediamento della nuova premier del Giappone, Sanae Takaichi, le relazioni tra Pechino e Tokyo sono precipitate, compromettendo rapidamente gli equilibri dell’area. Ancora una volta a catalizzare i nervosismi tra i due Paesi è l’isola di Taiwan, che gode de facto di autonomia politica e commerciale, ma che dal 1949 è sotto le mire del colosso cinese.

Le nuove tensioni non si presentano come un fulmine a ciel sereno. Già nel 2022, durante la controversa visita a Taipei dell’ex speaker della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi, la Cina mise in atto varie esercitazioni militari intorno all’isola e, con la caduta di alcuni razzi nella Zona Economica Speciale del Giappone, pose in allerta il governo di Tokyo sulla possibilità di entrare in un conflitto armato in caso di invasione di Taiwan.

Questa volta la crisi diplomatica è stata innescata dalle dichiarazioni pronunciate il 7 novembre dalla premier giapponese. «La presenza di navi da guerra e l’utilizzo della forza potrebbero costituire una minaccia alla sopravvivenza» ha affermato Takaichi in occasione della sua prima interrogazione parlamentare in merito a un ipotetico attacco cinese verso Taiwan. Differentemente dai suoi predecessori, la premier ha messo in luce con una certa schiettezza la necessità di fare ricorso alle forze di autodifesa del paese per intervenire in una situazione nella quale il Giappone non sarebbe direttamente interessato. 

Le reazioni di Pechino non si sono fatte attendere. Inizialmente i media cinesi hanno attaccato duramente la postura del governo giapponese, successivamente i vertici militari di Pechino hanno messo in guardia Tokyo e hanno parlato di «sconfitta schiacciante» in caso di intervento. Alle parole hanno fatto seguito le ritorsioni: il governo cinese ha caldamente sconsigliato ai suoi cittadini di recarsi in Giappone e alcune agenzie turistiche hanno annullato tour e viaggi verso il paese del Sol levante, mettendo così a repentaglio l’economia turistica giapponese, che solo nei primi otto mesi del 2025 ha visto il transito di 6,7 milioni di turisti cinesi, pari a un quinto dei visitatori totali. L’invito del governo cinese a fare ritorno in madrepatria si è esteso anche ai 100.000 studenti residenti in Giappone.

La crisi ha colpito anche l’importazione di prodotti audiovisivi giapponesi verso il territorio cinese, in particolar modo ha rinviato l’uscita in sala di due film. Per ultimo, il governo di Pechino, dopo i colloqui ritenuti insufficienti con Masaaki Kanai, responsabile degli affari con l’Asia e l’Oceania del ministero degli esteri giapponese, ha annunciato l’interruzione delle importazioni di prodotti ittici dall’arcipelago nipponico.

L’ambasciata giapponese a Pechino, invece, ha invitato i residenti in Cina a prestare attenzione a possibili rappresaglie, facendo implicitamente riferimento alle aggressioni che si verificarono nel 2024 contro due cittadini giapponesi in territorio cinese.

La situazione infiamma ulteriormente le relazioni già rese complicate a causa delle eredità storiche presenti tra i due Paesi. Se da un lato la Cina nutre ancora rancore verso i crimini di guerra commessi dal paese nipponico durante gli anni del colonialismo e della guerra mondiale, dall’altro la figura di Sanae Takaichi non può che inasprire la diplomazia tra le due potenze dell’area. La premier ultranazionalista, difatti, in passato ha più volte rappresentato l’ala revisionista del paese e nel corso degli anni ha espresso più volte sostegno verso attivisti uiguri, tibetani e hongkonghesi, mettendo in evidenza la propria vicinanza verso cause “anti-cinesi”. Lo scorso aprile, inoltre, Takaichi si è recata in visita proprio a Taiwan e in quell’occasione aveva reiterato la cooperazione tra i due Paesi in ambito commerciale ed economico, facendo riferimento alle condizioni geografiche dei due territori insulari. Il presidente taiwanese Lai Ching-Te, invece, in occasione dell’insediamento della premier ha rivolto le proprie congratulazioni affiancate dall’augurio per una collaborazione duratura improntata sulla ricerca del benessere di entrambi i Paesi.

Le nuove tensioni si iscrivono in un contesto geopolitico fortemente delicato. La situazione sembra precipitare subito dopo gli incontri tra Xi Jinping, Donald Trump e la stessa Takaichi, durante i quali il futuro di Taiwan è stato astutamente messo da parte dinanzi alla necessità di risolvere problematiche commerciali evidentemente considerate più urgenti. La Cina adesso pretende la ritrattazione sulla questione da parte del Giappone; in attesa di improbabili scuse, l’equilibrio dell’intera area si è fatto irrimediabilmente precario.

Ddl Violenza, primo sì dalla Camera

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Con 227 voti favorevoli e nessuno contrario, la Camera dei Deputati ha approvato il DDL Violenza, che introduce il concetto di consenso nel codice penale. L’approvazione è arrivata dopo un accordo tra maggioranza e opposizioni. Con il DDL, chiunque compia o faccia compiere atti sessuali “senza il consenso libero e attuale” altrui potrebbe essere punito con la reclusione da sei a dodici anni. Oggi, il reato di violenza sessuale è normato dall’articolo 609-bis del codice penale, e punisce chi “con violenza o minaccia o mediante l’abuso di autorità” costringe un’altra persona “a compiere o a subire atti sessuali”. Con il sì unanime alla Camera, ora la parola passa al Senato.

Le gemelle Kessler, il fine vita e il diritto di scelta

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Le gemelle Alice ed Ellen Kessler arrivarono in Italia nel 1961, nel pieno boom economico che il nostro Paese stava vivendo e sono mancate nei giorni scorsi, insieme, all’età di 89 anni. Negli anni avevano più volte ribadito che nessuna delle due avrebbe voluto sopravvivere alla scomparsa dell’altra, e così si erano organizzate per tempo, richiedendo il suicidio assistito e scegliendo la data, il 17 novembre scorso.
Quando arrivarono nel nostro Paese erano gli anni della nascita dei grandi complessi industriali, con l’Autostrada del sole in via di ultimazione per essere percorsa in lungo e in ...

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