Non si ferma l’offensiva israeliana a Gaza, che nelle ultime ore ha provocato decine di morti in vari centri dell’enclave. 12 persone sono state uccise a Khan Younis, dopo che un’abitazione è stata bombardata e si è verificata la propagazione di un incendio. Le persone, riporta Al Jazeera, sono morte tra le fiamme. A Gaza City, sette persone sono state uccise in abitazioni residenziali. Nel nord, due missili hanno colpito una tenda che ospitava una famiglia sfollata, uccidendo tre figli insieme ai loro genitori. Secondo il Ministero della Salute dell’enclave, nelle ultime 24 ore almeno 26 palestinesi sono stati uccisi e 60 sono rimasti feriti
Turchia: duecento attivisti e giornalisti a processo per le proteste contro Erdogan
A Istanbul è iniziato il primo processo contro le persone che hanno partecipato alle proteste antigovernative in seguito all’arresto del sindaco Ekrem İmamoğlu, vietate dall’amministrazione centrale. İmamoğlu, considerato il principale rivale politico di Erdoğan, è stato arrestato lo scorso 19 marzo con accuse di corruzione, ma molti hanno interpretato la sua incriminazione come una mossa politica e hanno organizzato proteste di massa in tutto il Paese. Gli imputati, in totale 189, tra cui studenti, giornalisti e fotoreporter, sono accusati di partecipazione a una manifestazione non autorizzata, disobbedienza agli ordini della polizia e, in alcuni casi, porto d’armi e istigazione a delinquere. Le pene che potrebbero subire vanno dai sei mesi ai cinque anni di carcere. Ai quasi 200 imputati se ne aggiungeranno altre centinaia, che verranno giudicati in altri processi, così come annunciato dalla procura generale di Istanbul.
Il processo contro i 189 manifestanti è iniziato venerdì 18 aprile, giorno in cui si sono tenute le prime due udienze. La maggior parte degli imputati è composta da studenti, ma sono presenti anche due giornalisti e cinque fotogiornalisti, che stanno venendo considerati come manifestanti. Le accuse di cui devono rispondere sono tre: aver preso parte a una manifestazione non autorizzata e non aver rispettato l’ordine di disperdersi da parte della polizia; essersi coperti il volto per nascondere la propria identità e porto d’armi; e, infine, istigazione a delinquere. Le pene potenziali vanno dai sei mesi ai quattro anni per le prime due accuse, e fino a cinque anni per la terza. Secondo l’ONG Human Rights Watch, in quasi tutti i casi le accuse mancherebbero di prove concrete. «La natura affrettata e la portata imponente dei processi, in cui non vi sono prove di illeciti penali, dimostrano come le restrizioni imposte dalla Turchia al diritto di riunione siano arbitrarie e incompatibili con una società democratica basata sullo stato di diritto», scrive HRW. Anche gli avvocati hanno denunciato la natura politica del processo e hanno chiesto l’assoluzione degli imputati.
HRW ha visionato parte delle carte riguardanti i manifestanti accusati. Secondo l’ONG, dei 189 imputati alle udienze del 18 aprile, 62 sono accusati di porto d’armi o di aver nascosto il volto per non essere identificati durante la manifestazione. Tuttavia, scrive HRW, «l’unico elemento specifico fornito come prova nell’atto di accusa in merito al porto di armi è l’affermazione che un manifestante avesse una pietra in mano». Secondo quanto scrive HRW, «molte persone di tutte le età presenti alle proteste di massa si sarebbero coperte il volto per proteggersi dagli effetti dello spray al peperoncino e dei proiettili usati dalla polizia in diverse occasioni», e altrettante «potrebbero aver scelto di coprirsi il volto in considerazione delle restrizioni al diritto di protestare in Turchia negli ultimi anni». L’accusa di istigazione a delinquere, invece, riguarda 20 persone e sarebbe mossa sulla base di una serie di post sui social media. «Questi post consistono prevalentemente in inviti generalizzati a scendere in piazza e dichiarazioni contro il governo, e non inviti alla violenza o alla criminalità». Centosette, infine, sono accusati solo di aver partecipato a manifestazioni non autorizzate e di non aver risposto agli ordini di dispersione.
La procura generale di Istanbul ha annunciato che in totale verranno processate 819 persone nell’ambito di 20 indagini penali sulle proteste. In totale, dopo le proteste, sono state arrestate 1.879 persone, i tribunali di Istanbul hanno ordinato la detenzione preventiva per 278 presunti manifestanti, e imposto ad altri gli arresti domiciliari o il divieto di lasciare la città. Le proteste sono scoppiate dopo l’arresto di İmamoğlu dello scorso 19 marzo e hanno visto la partecipazione di decine di migliaia di persone in tutto il Paese. I manifestanti accusavano il governo di sfruttare la propria influenza sulla magistratura per mettere a tacere il dissenso nel Paese. Nel tentativo di arginare sul nascere ogni possibile mobilitazione, l’esecutivo turco ha vietato le manifestazioni, chiuso strade e metropolitane e limitato l’accesso ai social media.
İmamoğlu è stato eletto due volte sindaco di Istanbul, la prima nel 2019 e la seconda l’anno scorso. Con l’elezione del 2019, che si dovette ripetere per decisione di Erdoğan, İmamoğlu mise fine a circa 25 anni di governo dell’AKP, il partito del presidente. Con i suoi mandati da sindaco, ha acquisito grande notorietà, diventando gradualmente il principale politico dell’opposizione turca. Il raid in casa sua, che ha raggiunto uffici e abitazioni in tutto il Paese, fermando altre 100 persone, ha fatto seguito di soli due giorni alla decisione dell’Università di Istanbul di ritirare a İmamoğlu il diploma di laurea, requisito fondamentale per candidarsi alle elezioni. İmamoğlu, inoltre, è finito più volte al centro di vicende giudiziarie che l’opposizione giudica come tentativi di delegittimazione e di ostacolare una sua possibile candidatura.
Harvard ha fatto causa all’amministrazione Trump
L’Università di Harvard ha fatto causa all’amministrazione Trump presso una corte federale, accusandola di avere violato i propri diritti costituzionali. L’accusa segue il congelamento di 2,2 miliardi di finanziamenti per la ricerca universitaria, ordinato dal Dipartimento dell’Educazione su via libera della task force contro l’antisemitismo. Il congelamento dei finanziamenti è arrivato dopo che l’ateneo statunitense si era rifiutato di soddisfare le richieste avanzate da Trump, che chiedeva di adeguare le politiche interne all’università alle linee governative.
Bosnia, proteste dei trasportatori: centinaia di camion in piazza
Oltre 500 camion hanno occupato le strade della capitale bosniaca, Sarajevo, protestando contro quella che ritengono l’incapacità del governo di aiutare il settore dei trasporti. In particolare, i lavoratori criticano le eccessive barriere amministrative e le tasse troppo alte. I lavoratori chiedono il rimborso delle accise sul petrolio e procedure amministrative più snelle alla frontiera, da realizzare attraverso la digitalizzazione, per ridurre la burocrazia e le lunghe code.
La Casa Bianca pubblica le propria versione sull’origine del Covid e le politiche pandemiche
Nel pieno della guerra commerciale che si combatte a colpi di dazi, un’altra battaglia si affronta tramite stoccate in punta di veline e di documenti ufficiali. La Casa Bianca ha trasformato il sito istituzionale Covid.gov, un contenitore di notizie su test e vaccini Covid, in una lavagna digitale da guerra fredda, facendone una pagina intitolata Lab Leak: The True Origins of Covid-19. Per cinque anni, come abbiamo evidenziato spesso su L’Indipendente, la teoria dell’origine artificiale del SARS-CoV-2 è stata liquidata come “complottista” – con i media di massa schierati fin da subito a sostegno dell’ipotesi dell’origine naturale – finendo, con la complicità delle Big Tech, per essere censurata dai social dietro la pressione dell’intelligence e dell’amministrazione Biden.
In un periodo di elezioni, qual era il 2020, la politica è entrata a gamba tesa contro la ricerca della verità: sostenere la tesi della fuga dal laboratorio di Wuhan sarebbe stato un punto a favore di Trump. Ora, il vento è cambiato, il tycoon è tornato a Washington e ha intenzione di smantellare l’informazione dominante, non senza lesinare attacchi ad personam ai suoi vecchi e nuovi nemici. Con Trump di nuovo in sella e armato di tutto punto per la sua crociata contro il Deep State tecnosanitario, si segna un cambio di rotta, con il sostegno alla teoria dell’origine artificiale del virus, presentata dal sito della White House come la spiegazione più plausibile per l’origine della pandemia.
Apriti cielo: le testate mainstream sono tornate a strombazzare titoli in cui si attacca il tycoon, reo di diffondere teorie complottiste sulla pandemia, strizzando l’occhio ai no vax, sebbene con meno vigore rispetto a quando bastava citare Wuhan per essere banditi da YouTube. Sono, infatti, mesi che, come abbiamo già riscontrato in numerosi articoli, la teoria sull’origine artificiale del SARS-CoV-2, da vero proprio tabù, è diventata ormai la tesi dominante, attestata non solo da ammissioni, seppure a denti stretti, di eminenti scienziati, ma accreditata anche da numerose inchieste che riportano come i servizi segreti americani, tedeschi e britannici avessero da subito suffragato questa ipotesi, celandola però all’opinione pubblica.
La Casa Bianca nella pagina denominata «Lab Leak», allega e sintetizza un documento di 557 pagine: si tratta del Rapporto Finale del Comitato Selezionato sulla Pandemia di Coronavirus della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, datato 4 dicembre 2024, che analizza in modo critico la gestione della pandemia di Covid-19, con lo scopo di trarre lezioni e delineare una strategia per il futuro. Il rapporto conclude che il virus SARS-CoV-2 è molto probabilmente emerso a seguito di un incidente di laboratorio presso il Wuhan Institute of Virology (WIV), che il NIH (National Institutes of Health) ha finanziato le ricerche nel campo del guadagno di funzione in collaborazione con WIV, accusa la Cina e alcuni enti scientifici internazionali di aver cercato di coprire le informazioni sull’origine del virus e punta il dito contro il dr. Anthony Fauci (graziato preventivamente da Biden poche ore prima dell’insediamento ufficiale di Trump). Infine, demonizza la gestione della pandemia da parte dell’ex governatore di New York Andrew Cuomo, imputa ad alcuni funzionari, come il dr. David Morens, il reato di distruzione di prove e l’uso di e-mail personali per aggirare la legge e accusa l’amministrazione Biden di aver ostacolato le indagini del comitato, limitando l’accesso a testimoni e documenti chiave.

Riprendendo il rapporto della Camera dei rappresentanti, secondo la Casa Bianca il virus presenta caratteristiche biologiche non riscontrate in natura, («Secondo quasi tutti i parametri scientifici, se ci fossero state prove di un’origine naturale, sarebbero già emerse. Ma non è successo») e tutti i casi di Covid-19 derivano da un’unica introduzione nell’uomo, contrariamente a precedenti pandemie con eventi di spillover multipli. Inoltre, si evidenzia che il Wuhan Institute of Virology (WIV), situato nella città dove è emerso il virus, ha una storia di ricerche sul guadagno di funzione condotte con livelli di biosicurezza inadeguati.
La pubblicazione The Proximal Origin of SARS-CoV-2 sarebbe stata sollecitata da Fauci per screditare la teoria della fuga da laboratorio e indottrinare la stampa mainstream. Per quanto sia ormai nota la controversa condotta di Fauci e la sua opera di insabbiamento, il documento della Casa Bianca è chiaramente un pretesto per attaccare i nemici storici di Trump. Proprio Fauci e i suoi collaboratori vengono messi sotto accusa per aver ostacolato le indagini sul Covid della sottocommissione del Congresso.
La Casa Bianca, inoltre, punta il dito anche contro la EcoHealth Alliance, guidata dal dr. Peter Daszak, rea di aver utilizzato fondi pubblici statunitensi per facilitare ricerche pericolose sul guadagno di funzione a Wuhan, violando i termini del finanziamento del National Institutes of Health (NIH). Su questo punto erano emersi interessanti documenti quando il DOGE, su iniziativa di Elon Musk, aveva iniziato l’opera di smantellamento dell’USAID. Con un post su X, l’imprenditore sudafricano aveva incolpato l’Agenzia di aver finanziato indagini su armi biologiche e di essere coinvolta nella diffusione del Covid-19, citando indirettamente il programma PREDICT, poi soppiantato dal Global Virome Project (GVP), ideato proprio da Daszak per scoprire e catalogare migliaia di nuovi virus che potrebbero diffondersi in natura o rappresentare un rischio per la biosicurezza globale.
Tornando al Lab Leak, non mancano gli attacchi anche all’OMS, da cui gli Stati Uniti hanno deciso di sganciarsi: ed è proprio questo l’alibi per accusare la Cina, il nuovo nemico degli USA sullo scacchiere geopolitico: «La risposta dell’OMS alla pandemia di COVID-19 è stata un fallimento totale perché ha ceduto alle pressioni del Partito Comunista Cinese e ha anteposto gli interessi politici della Cina ai suoi doveri internazionali». Infine, si afferma che le raccomandazioni sul distanziamento sociale e l’uso delle mascherine non erano basate su prove scientifiche conclusive, e che i lockdown prolungati hanno causato danni incalcolabili alla salute mentale e fisica degli americani, «con un effetto particolarmente negativo sui cittadini più giovani».
Sebbene il Lab Leak non sia altro che un epico regolamento di conti in salsa MAGA – un modo elegante per decapitare (retoricamente) Fauci, delegittimare l’OMS, e addossare milioni di morti alla Cina – ripropone cruciali interrogativi sulla gestione della pandemia e sull’origine del virus, che sono stati troppo a lungo occultati. Dietro i riflettori puntati su Fauci, Daszak, EcoHealth e le e-mail notturne tra burocrati in camice e funzionari in doppiopetto, rimane il vero paradosso: non sappiamo con certezza da dove sia arrivato il virus, ma sappiamo esattamente chi ha fatto di tutto per non farcelo scoprire. E questa, più che una teoria del complotto, somiglia a un teorema dell’opportunismo. Tuttavia, anziché affrontare i dilemmi aperti con spirito critico, il dibattito resta impantanato tra l’accusa di “disinformazione” e il dogma della “scienza ufficiale” – come se la verità fosse una farfalla che si può acchiappare col retino dei fact-checkers.
Gaza, non si fermano i raid israeliani: almeno 11 morti
Secondo il Ministero della Salute, almeno 11 persone sono state uccise negli attacchi israeliani nella Striscia di Gaza dalle prime ore di lunedì mattina. Tra questi, come riferisce l’emittente Al Jazeera, un raid di droni che ha ucciso due bambini a est di Rafah, nella Striscia di Gaza meridionale, e un attacco contro una tenda per sfollati presso l’Al Jazeera Sports Club nel centro di Gaza City, dove sono rimasti uccisi tre palestinesi e feriti molti altri. Secondo il Ministero, almeno 1.864 persone sono state uccise e 4.890 sono rimaste ferite da quando Israele ha ripreso l’offensiva, ponendo fine al cessate il fuoco il 18 marzo.
Ponte sullo Stretto, il governo chiede il permesso all’UE: “Serve per truppe e NATO”
Il Ponte sullo Stretto di Messina non è solo un’opera infrastrutturale destinata a unire la Sicilia al continente: ora diventa anche una questione di sicurezza continentale. O almeno è quanto sostiene il governo italiano all’interno di un documento inviato alla Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen. La realizzazione del ponte viene definita dall’esecutivo «imperativa e prevalente per l’interesse pubblico» non soltanto per ragioni economiche o di protezione civile, ma anche e soprattutto per motivazioni geopolitiche e militari, fondamentali in caso di scenari di guerra per «il passaggio di truppe e mezzi della NATO».
È questo il passaggio centrale del dossier con cui il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro delle Infrastrutture e vicepremier Matteo Salvini stanno cercando di aggirare i ferrei vincoli ambientali europei. La strategia è infatti quella di inserire il ponte nel Military Mobility Action Plan dell’UE, il piano continentale per facilitare il movimento rapido delle forze armate, contando così sull’etichetta di “opera strategica militare” al fine di ottenere le indispensabili deroghe ambientali. Se la Commissione europea darà l’ok, il Ponte sullo Stretto potrebbe perfino rientrare nel novero delle spese militari utili a far crescere il rapporto spesa-difesa/Pil, come auspicato dall’Alleanza Atlantica. Nella relazione allegata alla richiesta, l’esecutivo ha enucleato le ragioni della scelta: «L’aumentata connettività della Sicilia rispetto al resto del Paese e dell’Europa ha delle chiare implicazioni geopolitiche e, quindi, per la difesa del territorio», si legge, in particolare per la vicinanza con importanti basi NATO come quelle di Sigonella, Trapani, Augusta e Catania. Il ponte, una volta operativo, «potrebbe elevare notevolmente i livelli di efficienza dei processi di safety e security». Esprimendo preoccupazione, il Comitato No Ponte ha pubblicato un comunicato in cui ha evidenziato come, nel caso in cui scoppiasse un conflitto, «il ponte sarebbe un facile obiettivo/bersaglio da colpire e distruggere».
Il documento del governo cita anche i recenti scenari internazionali di instabilità, dai Balcani al Medio Oriente, come fattori che rendono ancora più urgente e necessaria la costruzione dell’opera. Non mancano altri argomenti a sostegno dell’infrastruttura, come lo sviluppo economico regionale, il miglioramento della risposta in caso di calamità naturali e il superamento delle «limitazioni operative del trasporto marittimo» tra Sicilia e Calabria. Si menziona anche la possibilità di trasportare più rapidamente mezzi e personale di protezione civile, con tempi di intervento che, secondo il governo, si ridurrebbero significativamente.
Il vicepremier Salvini, da sempre promotore della realizzazione del ponte, si dice «determinato ad andare fino in fondo», promettendo 120mila nuovi posti di lavoro e uno sviluppo economico di lungo periodo per il Meridione. Sulle barricate le forze di opposizione. Il leader dei Verdi, Angelo Bonelli, punta il dito contro i membri del governo, accusandoli di essersi «inventati l’interesse militare per superare i vincoli ambientali europei» e annunciando che produrrà una diffida formale al Cipess, il Comitato interministeriale per la programmazione economica. «Si sono inventati l’interesse militare – attacca – per superare la verifica di impatto ambientale». Duro anche il Partito Democratico, che per bocca di Annalisa Corrado parla di uno scenario «comico, se non fosse tragico», mentre Agostino Santillo del Movimento 5 Stelle ha evidenziato le contraddizioni della Lega, facendo notare che «Salvini è contrario al piano di riarmo europeo, ma ora vuole infilare lì dentro il Ponte sullo Stretto».
Attualmente, l’iter per l’approvazione del Ponte sullo Stretto è in stallo. Nonostante gli annunci del Ministero delle Infrastrutture, il progetto non ha infatti ancora ottenuto l’autorizzazione ambientale e non può essere approvato dal Cipess. Il problema principale riguarda tre siti di interesse comunitario, per cui le compensazioni ambientali previste sono insufficienti: serve una deroga della Commissione Europea, che richiede una risposta formale, allungando i tempi. L’amministratore delegato di Stretto di Messina, Pietro Ciucci, ha confermato che i lavori potrebbero iniziare solo nel 2026, partendo con opere complementari. A gennaio, inoltre, è arrivato un nuovo ostacolo per il progetto del Ponte, avendo Il TAR del Lazio accolto il ricorso dei comuni di Reggio Calabria e Villa San Giovanni – i quali avevano contestato che i loro pareri non fossero stati considerati nel processo decisionale – contro l’ok del Ministero dell’Ambiente all’opera. Ai Comuni è stato infatti consentito di presentare nuovi documenti sui possibili impatti ambientali dell’opera. Il Ministero dei Trasporti e la società Stretto di Messina avevano chiesto l’inammissibilità del ricorso, ma il TAR ha deciso di esaminarlo nel merito.
La Cina ha iniziato a rispedire aerei Boeing negli USA
Le compagnie aeree della Cina hanno cominciato a rispedire gli aerei Boeing negli USA, con un 737Max atterrato nel fine settimana a Seattle presso l’hub del gruppo. Lo ha riportato l’emittente americana Fox, citando Reuters, secondo cui il primo rientro è avvenuto nel quadro delle ritorsioni della Cina contro i dazi statunitensi, saliti al 145% sull’import dei beni. Bloomberg News ha riferito all’inizio di questa settimana che la Boeing si è trovata ad affrontare un divieto di importazione imposto dalla Cina. Reuters ha scritto che Boeing ha rifiutato di rilasciare dichiarazioni.