domenica 14 Dicembre 2025
Home Blog Pagina 21

Israele: nuova violenta invasione nella Cisgiordania occupata, palestinesi giustiziati

2

TULKAREM, PALESTINA OCCUPATA – Nella notte tra il 25 e il 26 novembre scorso è iniziata una nuova, massiccia e violenta operazione militare nel nord della Cisgiordania occupata. Le città di Tubas, Tamun e Aqaba sono state isolate, le strade bloccate con quintali di terra portati dai bulldozer israeliani. Droni ed elicotteri Apache sorvolano la zona, mentre i soldati di Tel Aviv perquisiscono decine di case e interrogano uomini, donne e minori. Almeno 30 famiglie sono state mandate via dalle proprie case, occupate e vandalizzate dai soldati d’Israele che le stanno utilizzando come caserme militari. Mentre arrivano le immagini di civili palestinesi uccisi a sangue freddo dai soldati israeliani dopo essere stati fatti inginocchiare. In un comunicato congiunto, lo Shin Bet e l’esercito israliano (IDF) lo definiscono un attacco preventivo, come sempre giustificato come una «risposta alla volontà dei gruppi armati palestinesi di stabilire una presenza nell’area». Il governatore di Tubas, Ahmad Al-Assad, ritiene che in realtà Israele usi i raid «per forzare più palestinesi ad andarsene» impiegando la scusa dell’antiterrorismo, sottolineando anche come la città sia la porta d’accesso alla Valle del Giordano, una delle zone più colpite dalla pulizia etnica israeliana negli ultimi decenni.

Durante l’invasione della città, i soldati israeliani di occupazione hanno aggredito un palestinese nella città di Tammun, a sud di Tubas, nella Cisgiordania occupata.

Sarebbero almeno 162 i palestinesi portati in carcere (tra loro anche Samir Basharat, il sindaco di Tamun, poi rilasciato) e 70 i feriti. L’operazione si è estesa al campo profughi di Al Faraa all’alba di oggi, 28 novembre. Fonti sul campo riportano che le truppe israeliane si sarebbero ritirate dalla cittadina di Tamun, lasciando una grossa distruzione alle infrastrutture e alle proprietà. Continua invece l’incursione nelle città di Tubas e Tayasir, dove molte famiglie palestinesi sono state sfollate dalla proprie abitazioni, occupate dell’IDF per essere utilizzate come basi.

È stato imposto il coprifuoco, mentre decine di cecchini sono tuttora appostati sui tetti delle abitazioni più alte. Il sindaco di Tubas, Mahmoud Daraghmah, ha denunciato anche che nella giornata di mercoledì le IDF hanno sparato contro la popolazione dagli elicotteri militari e le stesse IDF hanno confermato che le loro forze aree hanno colpito più volte per isolare la zona prima dell’ingresso delle truppe di terra. «Sembra che si tratterà di una lunga incursione» ha detto Ahmed Al-Assad, giudicando il grosso dispiegamento di forze sul campo e l’occupazione di molte abitazioni.

Già lo scorso febbraio i militari israeliani avevano condotto un’operazione su larga scala nel campo profughi di Faraa, a sud di Tubas, distruggendo decine di case, strade, infrastrutture idriche ed elettriche e sfollando centinaia di abitanti. A differenza dei campi profughi di Tulkarem e di Jenin, occupati da ormai quasi 10 mesi e con oltre 40 mila persone sfollate, il campo rifugiati di Faraa era poi stato abbandonato dall’IDF dopo 10 giorni. Sempre in nome dell’antiterrorismo, Israele continua a emettere ordini di demolizioni di case e strutture palestinesi nei campi profughi deserti di Jenin e Tulkarem: l’ultimo è stato un ordine di demolizione per 12 strutture nel campo rifugiati di Jenin, insieme a un ordine di parziale demolizione di altre 11 case. Motivi militari, dicono. Questi ordini dovrebbero essere eseguiti a partire da oggi, 28 novembre, e rappresentano una nuova svolta negli sforzi volti a rimodellare la topografia all’interno dei campi, già semi-distrutti dalla lunga invasione israeliana.

Intanto da Jenin arriva un video che testimonia l’ordinaria brutalità dell’esercito di occupazione israeliano. Nel video si vede una ruspa che sfonda una saracinesca, i militari di Tel Aviv intorno. Due uomini escono, le mani alzate, e sollevano la maglietta per mostrare che non hanno armi. I soldati israeliani li fanno inginocchiare, rientrare nella specie di garage dove si trovavano, e aprono il fuoco. Una esecuzione a sangue freddo, per la quale Ben Gvir, il ministro della sicurezza di estrema destra israeliana, si congratula, mostrando ancora una volta il pensiero della politica israeliana. «Hanno agito (le IDF, ndr) esattamente come ci si aspettava da loro: i terroristi devono morire!». I due palestinesi uccisi si chiamavano Al-Muntasir Billah Abdullah, di 26 anni, e Youssef Asasa, di anni 37.

Non sono le uniche vittime. Almeno altri due giovani uomini sono stati uccisi a Nablus e a Jenin, l’uno a poche ore di distanza dall’altro tra il 24 e il 25 novembre. Entrambi erano ricercati dall’antiterrorismo, ed entrambi i corpi sono stati sequestrati dai militari israeliani. Nonostante – sembra – fossero le ultime due persone ricercate dall’intelligence israeliana, Tel Aviv continua ad arrestare, sfollare e uccidere palestinesi in nome della guerra alla violenza armata. Mentre il numero di palestinesi uccisi in Cisgiordania dal 7 di ottobre continua a crescere, non si fermano nemmeno gli assalti dei coloni, che attaccano quotidianamente i villaggi palestinesi da nord a sud della Cisgiordania.

Sri Lanka, inondazioni e frane causano almeno 56 morti

0

Lo Sri Lanka è in piena emergenza per le gravi inondazioni e frane che hanno colpito gran parte dell’isola. Il bilancio provvisorio è di 56 morti e almeno 21 dispersi, mentre le autorità valutano i danni provocati dalle intense piogge degli ultimi giorni. La situazione potrebbe peggiorare con l’arrivo del ciclone Ditwah, che minaccia ulteriori devastazioni. Le frane hanno distrutto case e infrastrutture, costringendo le autorità a sospendere i treni passeggeri e chiudere diverse strade principali. Squadre di soccorso sono al lavoro per cercare i dispersi e assistere le comunità colpite.

Correlazione vaccini-autismo: il Dipartimento della salute USA avvia un’indagine

0

Il Center for Disease Control and Prevention (CDC), agenzia federale degli Stati Uniti che opera sotto il Dipartimento della salute guidato da Robert F. Kennedy Jr., accusa le autorità sanitarie di aver ignorato la ricerca a supporto di un possibile legame tra autismo e vaccini e afferma che il dipartimento della Salute degli Stati Uniti «ha avviato una valutazione completa delle cause dell’autismo». Nei giorni scorsi, infatti, la pagina ufficiale dell’agenzia dedicata ad autismo e vaccini è stata modificata sottolineando che: «L’affermazione “i vaccini non causano l’autismo” non è un’affermazione basata sull’evidenza, poiché gli studi non hanno escluso la possibilità che i vaccini infantili causino l’autismo», che: «Gli studi a sostegno di un collegamento sono stati ignorati dalle autorità sanitarie» e che: «L’HHS (il Dipartimento della Salute, nda) ha avviato una valutazione completa delle cause dell’autismo, che include indagini su plausibili meccanismi biologici e potenziali nessi causali».

Non solo, perché nonostante non vengano forniti dati a supporto del cambio di linea, viene scritto chiaramente che: «L’aumento della prevalenza dell’autismo a partire dagli anni ’80 è correlato all’aumento del numero di vaccini somministrati ai neonati. Sebbene sia probabile che la causa dell’autismo sia multifattoriale, non sono state ancora stabilite le basi scientifiche per escludere del tutto un potenziale fattore contribuente. Ad esempio, uno studio ha rilevato che gli adiuvanti a base di alluminio nei vaccini presentavano la più alta correlazione statistica con l’aumento della prevalenza dell’autismo tra le numerose sospette cause ambientali. La correlazione non dimostra un nesso di causalità, ma merita ulteriori studi». Secondo i dati dello stesso CDC nel 2022 la prevalenza stimata di autismo fra bambini di 8 anni era di 1 su 31 bambini. Nel 2000 le rilevazioni parlavano una prevalenza stimata di 1 su 150 bambini. La prevalenza è il numero di persone in una popolazione affette da una patologia, in rapporto al totale della popolazione e può essere espressa in percentuale o in proporzione.

Precedentemente sulla pagina dei CDC si poteva leggere che gli studi non mostrano «alcun legame tra la somministrazione di vaccini e l’autismo» e si citavano una serie di ricerche scientifiche, tra cui uno studio del 2013 condotto dall’agenzia stessa. È lo stesso studio che viene citato come prima fonte dal nostro Istituto Superiore di Sanità dove si legge che: «La presenza di una possibile associazione causale tra vaccinazioni e autismo è stata estensivamente studiata e non è stata evidenziata alcuna correlazione».

«Siamo sconvolti nello scoprire che il contenuto della pagina web del CDC “Autismo e Vaccini” è stato modificato e distorto, ed è ora pieno di retorica anti-vaccini e vere e proprie bugie su vaccini e autismo» è la reazione della Autism Science Foundation, forte delle posizioni della stragrande maggioranza di scienziati e associazioni mediche americane, che hanno contestato il provvedimento, attribuendo la responsabilità a Robert Kennedy, che in passato aveva già sostenuto il possibile collegamento più volte smentito dagli scienziati. «Chiediamo al CDC di smettere di sprecare risorse governative per amplificare false affermazioni che seminano dubbi su uno dei migliori strumenti a nostra disposizione per mantenere i bambini sani e in salute: le vaccinazioni di routine», ha dichiarato Susan J. Kressly, Presidente dell’American Academy of Pediatrics, spigando che l’associazione è «al fianco dei membri della comunità autistica che hanno chiesto supporto per impedire che questa voce si diffonda ulteriormente».

La replica è stata affidata a Andrew Nixon, portavoce dell’HHS: «Come ha affermato il Presidente Trump nel suo discorso congiunto al Congresso, il tasso di autismo tra i bambini americani è salito alle stelle. Il CDC non lascerà nulla di intentato nella sua missione per capire esattamente cosa sta succedendo», si legge nella dichiarazione. «Il popolo americano si aspetta una ricerca di alta qualità e trasparenza, ed è proprio questo che il CDC sta offrendo».

Hong Kong, spento il rogo alla Wang Fuk Court: i morti sono 128

0

L’incendio divampato mercoledì alla Wang Fuk Court, grande complesso residenziale nel quartiere di Tai Po a Hong Kong, è stato finalmente spento. Il bilancio provvisorio è di 128 morti, ma decine di corpi devono ancora essere identificati e alcuni si trovano ancora all’interno degli edifici. Il rogo è iniziato intorno alle 14:50 locali di mercoledì, propagandosi rapidamente ai ponteggi in bambù montati per i lavori di ristrutturazione. La Wang Fuk Court comprende otto palazzi, per un totale di 1.984 appartamenti. Quando l’incendio è divampato, ospitava circa 4.600 residenti.

Cortina ’26, un’altra opera bocciata per i rischi per la sicurezza

1

La cabinovia Apollonio-Socrepes in programma per le prossime Olimpiadi non ha ancora superato le verifiche sulla sicurezza. A sottolinearlo è l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Infrastrutture (ANSFISA), in una nota stampa in cui si smarca dai ritardi nella consegna dell’opera. L’Agenzia ha precisato che il rilascio del nulla osta definitivo sull’impianto è subordinato ad analisi e letture che non è ancora stata nella posizione di effettuare: i progetti le sono stati consegnati solo il 12 novembre, ma presentavano «significative carenze», e «refusi» corretti solo in parte; inoltre, «risultano tuttora mancanti le certificazioni previste dalla normativa europea sui componenti di sicurezza degli impianti», e l’impresa di costruzione deve ancora acquisire il parere di compatibilità rispetto a frane e valanghe, che potrebbe rallentare ulteriormente i lavori. Cittadini ed enti locali denunciano infatti da tempo che l’area in cui è in costruzione la cabinovia risulta a rischio frane, e presenta pericolosità geologica compresa tra i valori medi ed elevati.

La nota stampa di ANSFISA è stata rilasciata ieri, giovedì 27 novembre. L’Agenzia intende «sottolineare che i tempi finora registrati nell’iter autorizzativo non sono riconducibili» a proprie «inerzie», bensì «alla progressiva e non ancora completata definizione del progetto»; progetto che, in teoria, dovrebbe venire in parte consegnato prima dell’inizio delle Olimpiadi, fra poco più di due mesi. Società Infrastrutture Milano Cortina (SIMICO), l’azienda che si occupa della costruzione delle opere per l’evento sportivo, ha infatti consegnato la dovuta documentazione solo due settimane fa, nonostante l’Agenzia ne abbia in diverse occasioni «sollecitato la trasmissione». Gli elaborati progettuali che le sono pervenuti, inoltre, presentavano diverse lacune, che, dopo una richiesta di integrazione, sono state colmate «solo in parte». I lavori di accertamento di ANSFISA non sono ancora terminati, ma è certo che non potranno portare ad alcun nulla osta definitivo, perché mancano certificazioni europee e analisi della Regione Veneto sui rischi ambientali.

La cabinovia Apollonio-Socrepes era finita in mezzo ai riflettori lo scorso settembre, quando i lavori del cantiere per la sua costruzione avevano causato un cedimento del terreno, aprendo una voragine di 15 metri di lunghezza. L’opera sarebbe composta da tre stazioni, e dovrebbe collegare il centro di Cortina con le piste delle Tofane; se anche dovesse venire consegnata in tempo per l’inizio dell’evento, è certo che sarà ultimata solo a partire da luglio 2026. Prima dell’incidente, nel 2024, l’opera era stata bloccata dal Comitato Tecnico Regionale, che ne aveva sospeso l’approvazione proprio per via delle criticità ambientali. Il progetto presentava agli occhi degli esperti «discordanze e carenza di indagini», motivo per cui era stato chiesto che fossero fatte tutta una serie di integrazioni. La zona risulta infatti di pericolosità compresa tra il livello P2 (pericolosità geologica media) e P3 (periocolosità geologica elevata).

L’impianto a fune non è la prima opera olimpionica a registrare problemi di sicurezza e mancanza di documentazione. Come evidenziato da Open Olympics 2026, un gruppo composto da diverse associazioni ambientaliste che da mesi porta avanti una campagna di monitoraggio civico sulle Olimpiadi, per il 60% delle opere non c’è stata alcuna verifica di impatto ambientale, ritenuta non necessaria o non applicabile secondo le normative vigenti; lo scorso settembre, tre atlete di altissimo livello si sono infortunate nell’arco di 48 ore durante i test sui nuovi trampolini della Val di Fiemme, facendo temere per la sicurezza degli impianti e causando una polemica internazionale; quest’estate ci sono stati numerosi smottamenti proprio nella zona di Cortina e della Strada Statale “Alemagna, dove sono in cantiere diversi svincoli e varianti, inquadrati come opere collaterali alle Olimpiadi.

Trump ordina un riesame dei visti di persone di Paesi “di interesse”

0

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato che sospenderà «definitivamente l’immigrazione da tutti i Paesi del terzo mondo». Dopo l’annuncio del presidente, l’Ufficio per l’immigrazione statunitense (USCIS) ha diffuso un comunicato in cui annuncia di avere iniziato una operazione di riesame dei visti rilasciati alle persone provenienti da ogni Paese «di interesse». Non è chiaro quali siano i «Paesi di interesse»; un comunicato dell’Ufficio rimanda a un decreto presidenziale che elenca 19 Paesi: Afghanistan, Birmania, Burundi, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Cuba, Guinea Equatoriale, Eritrea, Haiti, Iran, Laos, Libia, Sierra Leone, Somalia, Sudan, Togo, Turkmenistan, Venezuela, Yemen. L’USCIS ha inoltre sospeso le richieste di immigrazione provenienti dai cittadini afghani.

“Contro la finanziaria di guerra”: oggi in Italia è sciopero generale

2

Oggi, 28 novembre, è sciopero generale. A proclamare lo sciopero sono stati USB, Cobas e altri sindacati di base, rilanciando il motto “Blocchiamo Tutto” che ha riecheggiato per le piazze italiane durante gli scioperi dello scorso settembre e paralizzato il Paese in nome del sostegno alla Palestina. Lo sciopero di oggi è stato chiamato per contestare la legge di Bilancio, e specialmente l’aumento delle spese militari a discapito degli investimenti in sanità, scuola, servizi di assistenza e trasporti; centrale anche in questo caso, il coinvolgimento italiano nel genocidio palestinese, per cui è prevista una manifestazione anche domani. A venire coinvolti sono il settore dei trasporti su ogni scala, la sanità e le scuole. In parallelo è stato indetto anche uno sciopero dei giornalisti, che tuttavia risulta slegato dalle richieste dei sindacati di base. Per la giornata sono in programma cortei e presidi in tutte le maggiori città, alcuni dei quali iniziati sin dall’alba.

Lo sciopero di oggi è stato chiamato settimane fa dai sindacati di base, e ha raccolto subito diverse adesioni all’interno del mondo civile e sociale. Nonostante gli appelli, CGIL, CISL e UIL non hanno risposto alla chiamata e hanno organizzato scioperi per il prossimo mese. I sindacati contestano la «Finanziaria di guerra», criticando l’aumento delle spese militari a scapito dei servizi pubblici, il sottofinanziamento di sanità, scuola e trasporti, e l’assenza di misure per ridurre il precariato e incrementare i salari. Chiedono «massicci investimenti nei settori pubblici di Sanità, Scuola, Università, Trasporti, Servizi di assistenza e il taglio drastico delle spese militari». Tra le richieste anche il rinnovo dei contratti pubblici e privati, un adeguamento salariale e delle pensioni all’inflazione e «la rottura dei legami economici e del sostegno militare allo Stato di Israele, in solidarietà con la lotta per l’autodeterminazione del popolo palestinese». Proprio per la Palestina, domani è in programma una manifestazione nazionale che si svolgerà nelle città di Milano e Roma. Oggi si muoveranno anche i collettivi studenteschi di diverse città e il Global Movement to Gaza.

Il primo settore a sollevarsi è stato quello dei trasporti ferroviari, con i lavoratori di Ferrovie dello Stato che hanno interrotto la garanzia dei treni per 24 ore da ieri alle 21; a venire coinvolti sono anche il trasporto regionale, che incrocerà le braccia dalle 9 alle 18 e dalle 21 al termine del servizio, e quello locale della maggior parte dei centri urbani, Milano esclusa. Alle 6 di oggi, inoltre, sono iniziati i presidi presso il varco portuale di Livorno e quello di Massa, mentre alle 8:30 i manifestanti hanno iniziato a riunirsi in piazza Verdi a Genova; proprio a Genova sono presenti anche i noti attivisti Greta Thunberg e Thiago Avila, conosciuto per la sua partecipazione alla Freedom Flotilla e alla Global Sumud Flotilla. Sono poi previste manifestazioni in tutte le maggiori città, e non solo: il 24 novembre USB ha diffuso una lista dei presidi e delle manifestazioni in programma per oggi, nella quale si contavano 40 piazze.

Parallelamente allo sciopero generale è previsto anche uno sciopero dei giornalisti contro il mancato rinnovo del contratto collettivo nazionale, scaduto nel 2016. Lo sciopero è svincolato dalle richieste dei sindacati di base ed è stato lanciato dopo l’interruzione della trattativa tra FNSI, sindacato unitario dei giornalisti, con gli editori.

Il buco dell’ozono continua a restringersi

0

Nel 2025 il buco dell’ozono sopra l’Antartide è risultato tra i più piccoli mai registrati negli ultimi decenni. Secondo il monitoraggio congiunto degli scienziati della NASA e della NOAA, la sua estensione massima ha raggiunto i 22,86 milioni di chilometri quadrati il 9 settembre, una superficie comunque vasta, ma circa il 30% più contenuta rispetto al picco storico osservato nel 2006. È il quinto valore più basso registrato dal 1992, anno di entrata in vigore di uno degli ultimi emendamenti al Protocollo di Montreal, trattato internazionale che ha dato il via all’eliminazione progressiva del...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Bulgaria, dopo le proteste il governo ritira la proposta di bilancio

0

Dopo le proteste di ieri contro la manovra finanziaria bulgara, il governo del Paese ha deciso di ritirare la propria proposta di bilancio e di aprire un nuovo tavolo di negoziati con i datori di lavoro e i sindacati. Le proteste di ieri hanno interessato prevalentemente la capitale Sofia, e hanno visto la partecipazione di almeno 20.000 persone. Esse erano state lanciate per contestare il potenziale aumento dei contributi sociali e il raddoppio dell’imposta sui dividendi, contenuti nella legge di bilancio.

TSO, elettroshock, psicofarmaci: il lato oscuro della psichiatria in Italia

4

Roma, 18 aprile 1938. Ugo Cerletti, psichiatra e neurologo, insieme al suo assistente Lucio Bini, riesce per la prima volta a provocare una crisi epilettica mediante la corrente elettrica su un uomo arrestato dalla polizia perché si aggirava sul treno senza biglietto. È lo stesso Cerletti a ricordare che, dopo avergli applicato due grandi elettrodi alla regione fronto-parietale e così avergli somministrato una scarica elettrica, l’uomo dice: «Non un’altra volta! È terribile». La richiesta non viene accolta e l’esperimento prosegue. È da questo episodio che prende piede nell’ambito psichiatrico l’elettroshock terapia, ora chiamata, nel tentativo di ammorbidire l’immaginario, terapia elettro convulsivante (TEC), che consiste nell’induzione di convulsioni nel paziente mediante passaggio di una corrente elettrica attraverso il cervello. Oggi in Italia è eseguita in almeno otto strutture sanitarie, sei pubbliche e due private accreditate. Una realtà poco nota e con ampi profili di discrezione e non del tutto chiari.

La TEC è proposta soprattutto nei casi di grave depressione, alcuni quadri maniacali, catatonia acuta e schizofrenia resistenti ai farmaci, ma non solo. Piero Cipriano, psichiatra di Roma e autore di diversi libri sulla salute mentale, ha spiegato a L’Indipendente che l’elettroshock è un’opzione proposta anche alle donne incinte impossibilitate ad assumere farmaci. Sebbene siano presenti molte ricerche pubblicate nella letteratura scientifica, non sono mai stati stabiliti con certezza i meccanismi di azione che determinano il risultato terapeutico della TEC, anche se Cipriano una risposta ce l’ha data. Uno degli effetti collaterali dell’elettroshock è la perdita temporanea della memoria a breve termine, controindicazione che porta con sé un apparente beneficio: con lo svanimento dei ricordi si possono affievolire anche i sintomi della depressione, ma appena la memoria torna, spariscono gli effetti positivi. Tesi avallata anche da una delle testimonianze raccolte nel libro Elettroshock del collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud: «Come prima istanza mi fecero l’elettroshock per farmi dimenticare quello che avevo di rabbia dentro».

Da quel giorno di aprile del ’38 bisogna aspettare il finire degli anni ’50 per vedere diminuire l’uso dell’elettroshock, anche grazie all’introduzione di nuove e migliorate molecole farmacologiche. Con la chiusura dei manicomi, la TEC diventa un trattamento residuale, ma a metà degli anni ’80 subisce una nuova espansione prima negli Stati Uniti e poi anche, seppur in maniera molto più ridotta, in Italia. Nel 1996, Rosy Bindi, allora ministra della Salute, emette una direttiva ministeriale in cui viene rivalutata la terapia elettro convulsivante. La circolare, presentata in seguito al parere positivo del Comitato nazionale di bioetica, mira ad aggiornare e revisionare le linee guida sull’uso del trattamento. Questa ripresa si fa sentire anche nel decennio successivo quando, nell’ambito della Società italiana di psicopatologia, un gruppo di psichiatri fa girare una petizione indirizzata alla ministra della Salute Livia Turco per sdoganare l’elettroshock. Sebbene in Italia l’elettroshock sia una pratica tutto sommato poco usata, il dibattito intorno a esso è stato ridotto alle linee guida per l’utilizzo e confinato nei soli ambiti medici e politici, una scelta discutibile se si pensa che si tratta dell’unico trattamento che prevede una grave crisi organica dei pazienti indotta a scopo di “cura”. 

Una pillola per tutto 

Lo studio e la classificazione dei disturbi mentali si basa sul Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) dell’American Psychiatric Association e sull’International Classification Diseases (ICD) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nella quinta e ultima edizione del DSM sono classificati 370 disturbi mentali, numero tre volte maggiore rispetto alla prima edizione. Sebbene non direttamente redatto da case farmaceutiche, queste contribuiscono significativamente allo sviluppo e alla revisione del DSM: una parte consistente dei membri della commissione ha legami finanziari con l’industria farmaceutica, un conflitto d’interessi che contribuisce ad abbassare le soglie diagnostiche e, di conseguenza, aumentare il numero delle malattie e prescrivere più farmaci. Un esempio concreto di cosa significa questa relazione si può constatare osservando in che modo si sono ristretti i tempi per dichiarare una persona depressa. Nel DSM-III del 1989 se la tristezza superava l’anno, si parlava di depressione; nel DSM-IV del 1994 la tristezza doveva protrarsi per tre mesi; nel DSM-5 del 2013 il tempo necessario per dichiarare un fenomeno depressivo si è ridotto a due settimane.

Per quanto riguarda l’Italia, negli ultimi dieci anni il consumo di psicofarmaci ha subìto un progressivo aumento. L’anno che ha rappresentato il picco è stato il 2020: a seguito dell’emergenza Covid, i consumi tra la popolazione adulta e quella pediatrica hanno toccato livelli che non sono più tornati ai valori pre-pandemici. Per dare forma a queste informazioni, basti pensare che nel 2021 circa il 7% della popolazione italiana ha utilizzato antidepressivi. Nel 2023 questa tipologia di psicofarmaci è arrivata a registrare una spesa pubblica di oltre 432 milioni di euro (1,7% sul totale) con un numero di confezioni pari a quasi 38 milioni che equivale a 47 pillole al giorno ogni mille abitanti. Gli antidepressivi insieme alle benzodiazepine (ansiolitici) sono due tra gli psicofarmaci più utilizzati. Come denunciato da Cipriano, si assiste a una generale superficialità delle prescrizioni: in particolare per quanto riguarda le benzodiazepine vengono prescritte da medici di base e specialisti per le condizioni più varie tra cui stress o somatizzazioni, senza avvertire il paziente che il loro uso deve essere scalato e sospeso dopo qualche settimana a causa della rapidità con cui creano dipendenza. Può succedere dunque che per un mal di stomaco psicosomatico venga consigliato da un medico di base o da un gastroenterologo il consumo di ansiolitici, un approccio che non prevede l’ascolto ma la caccia alla diagnosi.

La ricerca di un giudizio clinico è una tendenza che abbraccia anche i più giovani. Secondo i dati ISTAT, nell’ultimo decennio, le certificazioni in ambito scolastico sono aumentate del 39,9% a fronte di una generale diminuzione di studenti, mentre per l’Associazione italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza circa 2 milioni di minori soffrono di disturbi mentali. Questo fenomeno dovrebbe spingerci a interrogarci su due aspetti: se da una parte esiste una tendenza a cercare cause neuropsichiatriche per ogni difficoltà, dall’altra si sta assistendo a un generale malessere. Interrogato sull’argomento, Cipriano trova una risposta sull’insicurezza nei confronti del futuro con cui i giovani devono fare i conti. La precarietà personale – la fine del percorso “obbligato” studio, lavoro, casa, famiglia ha restituito maggiore libertà da dover gestire – insieme a quella mondiale – come la costante minaccia di una guerra nucleare – generano un malessere esistenziale le cui cause devono essere trovate non tanto nel cervello dei giovani quanto nella società. Di simile avviso è anche il collettivo Artaud che ha ribadito a L’Indipendente come oramai ci sia una pillola per tutto: in una società performante come la nostra sembra non esserci spazio per chi esce dalla “norma”.

Psichiatrizzati a vita 

Uno degli aspetti più critici di come è gestita la salute mentale è la difficoltà di uscire dal sistema una volta che si è psichiatrizzati. Dopo le dimissioni dal Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura (SPDC) – cioè i reparti presenti negli ospedali –, si viene seguiti dal Centro di Salute Mentale (CSM) per la somministrazione dei farmaci prescritti, medicinali che in molti casi vengono assunti per interi decenni se non il resto della vita. Come denunciato dal collettivo Artaud, nell’ambito della sanità pubblica è difficile trovare uno psichiatra intenzionato a scalare i farmaci portando l’utente verso la fine dell’obbligo terapeutico. Il ricorso a uno psichiatra privato è una possibilità ma non è sempre facile trovarne uno disposto a prendere in carico la persona in modo da sollevarla dall’obbligo di andare al CSM. Questa opzione, inoltre, porta con sé la questione economica. Il binomio condizione economica-cura non è sfuggito nemmeno a Piero Cipriano quando, nel suo La fabbrica della cura mentale, scrive: «Molti medici della mente continuano a usare, nella loro pratica, due misure, come facevano i loro colleghi di manicomio: la cura violenta, basata su farmaci e fasce, in SPDC e la cura tranquilla, argomentata, spiegata, nel silenzio costoso del proprio studio privato».

Come abbiamo appena visto, essere seguiti dal CSM significa anche essere costretti a prendere una terapia farmacologica, in caso contrario le opzioni sono generalmente due: l’iniezione dello psicofarmaco a rilascio prolungato che assicura una copertura per diverse settimane o il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) con il quale una persona è sottoposta a cure mediche a prescindere dalla sua volontà. In Italia vengono fatti circa 6000 TSO all’anno, ma è difficile ottenere dati precisi. Spesso i ricoveri volontari proseguono oltre l’intenzione del paziente con la minaccia di un TSO: il numero a nostra disposizione non include tutti i TSO mascherati. Oltre a essere l’unica disciplina medica che può obbligare alla cura, la psichiatria è anche la pratica che più attribuisce uno stigma. Con la psichiatrizzazione le persone rischiano di perdere credibilità e per questo motivo possono essere messe sempre in discussione. Nella pratica, significa che se una persona in precedenza ricoverata in SPDC va in ospedale perché le fa male la gamba rischia di essere prima visitata da uno psichiatra per capire la sua attendibilità.

Dall’alto, l’ex manicomio di Pergine Valsugana a Trento. Foto di Gianni Zotta

Quello di “malato mentale” è un marchio che può persistere per una vita intera e di questo ne sanno qualcosa gli utenti della Residenza sanitaria assistenziale Pandolfi di Pergine Valsugana (TN). Sorta in alcuni degli spazi dell’ex manicomio, è una RSA a esaurimento il che significa che una volta deceduto un utente il suo posto non viene occupato da un’altra persona. Un sanitario della RSA Pandolfi ci ha raccontato che i pazienti presenti – in totale ventidue – sono tutti ex ricoverati del manicomio i quali, dopo la chiusura definitiva dell’ospedale psichiatrico nel 2002, non hanno abbandonato la struttura. Si tratta dunque di persone che da oltre vent’anni vivono rinchiuse in quattro mura e gestite come pazienti psichiatrici, una situazione che, inevitabilmente, degrada la salute. È lo stesso sanitario a dirci che secondo lui, se non vissuti in quella condizione, alcuni degli utenti avrebbero potuto condurre una esistenza “normale”. Che quella dei “malati mentali” sia una vita considerata non degna di essere vissuta ce lo ricorda anche la storia. Il programma nazista “Aktion 4”, che prevedeva lo sterminio di malati tedeschi considerati improduttivi e dunque sacrificabili, coinvolse anche i ricoverati degli istituti psichiatrici su cui il governo di Hitler sperimentò per la prima volta le camere a gas poi usate nei campi di concentramento.