martedì 1 Luglio 2025
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Studi mancanti, rischi ignorati: il caso del vaccino COVID autoreplicante approvato in UE

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Il 12 febbraio 2025, la Commissione Europea ha concesso l’autorizzazione all’immissione in commercio del prodotto farmaceutico Kostaive® (Zapomeran), il primo vaccino genetico contro la COVID-19 basato sulla tecnologia dell’mRNA autoreplicante (sa-mRNA). A differenza dei prodotti farmaceutici di Pfizer/BioNTech e Moderna, le molecole di mRNA contenute nel Kostaive® sono autoreplicanti. Una volta all’interno della cellula, l’mRNA autoreplicante è in grado di replicare se stesso autonomamente, consentendo una produzione più prolungata e sostenuta della proteina spike del virus SARS-CoV-2, rispetto all’mRNA utilizzato nelle piattaforme vaccinali precedenti1. Il Governo Italiano avrebbe tempo fino al 23 giugno per opporsi formalmente alla decisione della Commissione Europea ma, almeno fino a oggi, non è trapelata nessuna intenzione in questo senso. Tra dettagli ignoti, studi mancanti e numerose domande scientificamente doverose eppure ad oggi senza risposta, sono molti – come vedremo – gli aspetti controversi di questo nuovo farmaco.

Il 27 settembre 2024, ho avuto l’onore di essere invitato a intervenire presso la Camera dei Rappresentanti del Parlamento giapponese, dagli Onorevoli Kazuhiro Haraguchi e Ryuhei Kawada, in occasione della sesta edizione della conferenza International Crisis Summit, che si è svolta a Tokyo dal 24 al 28 settembre. Insieme ad altri partecipanti al congresso, siamo stati invitati per informare sia i cittadini, sia i legislatori giapponesi riguardo ai potenziali rischi associati alle piattaforme vaccinali a mRNA, con l’obiettivo di fermare l’introduzione del vaccino autoreplicante nel sistema sanitario nazionale giapponese, prevista per ottobre del 20242. L’intervento può essere visto a questo link.

Il concetto che ho voluto rimarcare durante il mio discorso, rivolto verso un popolo così attento e preciso come quello giapponese, è stata la negligenza e il pressappochismo con il quale sono stati affrontati molti aspetti cruciali legati alla sicurezza di questi prodotti farmaceutici. Infatti, a oltre quattro anni dall’introduzione di queste piattaforme vaccinali, rimango profondamente sconvolto dai risultati allarmanti che derivano dagli studi scientifici. I vaccini genetici contro la COVID-19 sono stati presentati (e lo sono tutt’oggi) come il risultato di uno strabiliante progresso scientifico, con una “sicurezza ed efficacia” che venivano garantite a priori, ma le evidenze che continuano a emergere, spesso e volentieri ignorate dai media mainstream, testimoniano una realtà opposta. Spesso mi viene contestato che queste siano “mie opinioni personali”. Per evitare tali critiche semplicistiche, tutto ciò che verrà riportato in questo articolo sarà supportato da solide prove scientifiche. Questo servirà a dimostrare alcune importanti lacune nella sicurezza di questi prodotti farmaceutici, nonché la superficialità con cui sono stati distribuiti a miliardi di persone, inclusi donne in stato di gravidanza e neonati.

Non è noto l’esatto contenuto delle fiale

È stato dimostrato che i vaccini a mRNA di Pfizer/BioNTech e Moderna contengono elevati livelli di contaminazione da DNA plasmidico residuo. Un studio pubblicato il 28 dicembre 2024, condotto presso il campus della Food and Drug Administration (FDA) di White Oak da studenti sotto la supervisione di scienziati dell’agenzia, ha rilevato livelli di DNA residuo in una singola dose da 6 a 470 volte superiori ai limiti accettabili fissati dalla FDA stessa (10 ng/dose)3. Inoltre, sono state rilevate sequenze di DNA dell’oncovirus Simian Virus 40 (SV40). Considerando la potenziale capacità del DNA a doppio filamento di integrarsi nel genoma dell’organismo ospite, è sconcertante che questa contaminazione sia stata scoperta solo dopo che miliardi di dosi sono già state somministrate. Non è forse questa una grave negligenza?

Come ha spiegato il Prof. Buckhaults durante l’audizione al Senato della Carolina del Sud il 15 settembre 2023, la contaminazione da DNA deriva dal processo di produzione, che prevede l’uso di vettori plasmidici nei quali viene clonato il gene che codifica la proteina spike4. Dopo la trascrizione in mRNA tramite RNA-polimerasi, i produttori hanno scelto di utilizzare DNasi per frammentare il DNA plasmidico in piccoli pezzi, al fine di eliminarlo. Tuttavia, come ha dichiarato il Prof. Buckhaults, frammentando il DNA hanno aumentato la probabilità che questi frammenti si integrino nel genoma dell’ospite, dato che vengono moltiplicati i potenziali siti d’integrazione. Inoltre, la presenza randomica di questi frammenti di lunghezza variabile, rende praticamente impossibile definire l’esatto contenuto delle fiale. Non è forse una grave irresponsabilità “aver cercato di nascondere la polvere sotto il tappeto”, provando a eliminare il DNA spezzettandolo, senza aggiungere un’adeguata fase di purificazione nel processo produttivo e senza testare i potenziali effetti genotossici di queste specie contaminanti?

Non è noto se la proteina spike viene sintetizzata correttamente, e quali sottoprodotti proteici derivano dalla traduzione dell’mRNA vaccinale

La scelta di utilizzare la N1-metilpseudouridina al posto dell’uridina, per migliorare la stabilità del materiale genetico vaccinale all’interno delle cellule (scoperta per la quale è stato assegnato il Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina 2023 a Katalin Karikó e Drew Weissman), può causare un frameshift durante la lettura del messaggio genetico, alterando la sequenza di aminoacidi prodotta e generando una forma della proteina spike troncata o proteine anomale5. Di conseguenza, a causa di questo meccanismo, descritto nello studio di Mulroney e coautori pubblicato su Nature, non è possibile determinare con precisione quali specie proteiche vengano effettivamente prodotte, né prevedere con certezza i loro potenziali effetti all’interno della cellula.

Non è noto dove si distribuisce il materiale genetico vaccinale all’interno del corpo

Tre anni fa ho cercato di avvertire la comunità scientifica sui rischi della distribuzione del materiale genetico vaccinale oltre il sito d’iniezione, ipotizzando per la prima volta nella letteratura scientifica il meccanismo infiammatorio autoimmune responsabile della miocardite indotta dalla vaccinazione6. Il meccanismo descritto in quella pubblicazione, inizialmente etichettata come disinformazione dall’apparato diffamatorio, si è successivamente dimostrato reale. Tuttavia, le campagne vaccinali indiscriminate sono proseguite senza sosta, causando numerose reazioni avverse dovute alla biodistribuzione incontrollata del materiale genetico vaccinale7. Il tragico caso di una ragazza giapponese di 14 anni, morta per infiammazione autoimmune multiorgano due giorni dopo la terza dose del vaccino Pfizer/BioNTech, è emblematico di questo fenomeno8. I dati istopatologici mostrano infiltrazione di linfociti infiammatori nel cuore, polmoni, fegato, reni, diaframma, stomaco, duodeno e vescica. Chi si scuserà con i genitori della sfortunata ragazza giapponese che ha perso la vita prematuramente a causa della grave negligenza di un sistema che l’ha indotta a vaccinarsi con un prodotto farmaceutico non adeguatamente testato, contro un’infezione che nella sua fascia d’età aveva lo 0.0003% di mortalità9? Perché non sono stati effettuate valutazioni razionali del rapporto beneficio/rischio per fascia d’età?

La cosa più sconcertante è che i produttori e le agenzie regolatorie erano consapevoli del rischio di biodistribuzione oltre il sito d’iniezione, come dimostra il report di valutazione dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), basato sullo studio Pfizer n° 185350 condotto su ratti10, che a pagina 47 afferma chiaramente: «In 48 ore, la distribuzione dal sito di iniezione alla maggior parte dei tessuti si è verificata» (Figura 1).

Screenshot tratto da pagina 47 del Rapporto di Valutazione EMA su Comirnaty®, datato 19 febbraio 2021

Dunque, sia i produttori, sia le agenzie regolatorie, erano a conoscenza di tale rischio e nonostante ciò, hanno ignorato completamente il problema, inoculando miliardi di persone con questi prodotti.

Lo studio di Hanna e coautori dimostra che il materiale genetico vaccinale può diffondersi nell’organismo, entrando non solo nella circolazione sistemica, ma anche nelle secrezioni corporee, come il latte materno11. Milioni di donne in stato di gravidanza sono state vaccinate con i prodotti farmaceutici a mRNA, escludendo a priori la possibilità che il materiale genetico vaccinale potesse attraversare la placenta e raggiungere il feto. Tuttavia, lo studio di Chen e coautori ha recentemente evidenziato nei topi, la permeabilità della placenta all’mRNA-1273 (Moderna) e l’attivazione di una risposta immunogena nel feto12.

Per quale motivo gli studi sopracitati sono stati condotti solo dopo che milioni di donne in stato di gravidanza erano già state inoculate, senza che fosse garantita loro la possibilità di fornire un reale consenso informato?

Non è noto per quanto tempo il materiale genetico vaccinale persiste nelle cellule, continuando a indurre la sintesi della proteina spike

L’articolo scientifico che finora ha fornito i risultati più agghiaccianti sulla prolungata sintesi della proteina spike vaccinale è lo studio del Prof. Shigetoshi Sano e coautori, che descrive il caso di una donna di 53 anni che ha sviluppato lesioni vescicolo-papulari sul braccio e papulonecrotiche sulle gambe dopo la terza dose del vaccino di Pfizer/BioNTech13. Attraverso analisi immunoistochimiche delle lesioni, la proteina spike vaccinale è stata rilevata nei cheratinociti dello strato corneo e nella parte interna dell’epidermide, fino a 15 mesi dopo la vaccinazione. Gli autori concludono che un fenomeno del genere può essere spiegato da una prolungata persistenza del materiale genetico vaccinale, o ancor peggio, dalla sua integrazione nel genoma delle cellule dell’epidermide della paziente. Per brevità, non elencherò tutti gli studi istopatologici che dimostrano la sintesi prolungata della proteina spike, ma vi assicuro che ne esistono ormai diversi. L’importanza degli studi istopatologici risiede nella loro chiarezza, che non lascia spazio a interpretazioni diverse rispetto a ciò che avviene nei tessuti dell’organismo. È possibile individuare la proteina spike vaccinale e ci sono test immunoistochimici che permettono di distinguerla da quella derivante dall’infezione da SARS-CoV-2. Nonostante queste prove scientifiche, la narrativa ufficiale continua imperterrita e addirittura enti pubblici che svolgono il ruolo di organo tecnico-scientifico del Servizio Sanitario Nazionale, come l’Istituto Superiore di Sanità riportano ancora che il l’mRNA dei vaccini «si degrada entro pochi giorni dalla vaccinazione» (Figura 2).

Screenshot tratto dalla pagina epicentro.iss.it, aggiornata al 10 ottobre 2024.

Non è nota l’effettiva efficacia della vaccinazione nel prevenire l’infezione da SARS-CoV-2

Infine, va considerato che tutti i rischi di gravi effetti avversi sopracitati si corrono per ricevere dei vaccini genetici la cui protezione non solo diminuisce nel tempo, ma può addirittura diventare negativa, com’è stato ormai ampiamente dimostrano da diversi studi retrospettivi di coorte14-16 .

I dati emersi dagli studi sopracitati confermano teorie che in passato venivano liquidate come deliranti speculazioni di lunatici e complottisti. Eppure, l’industria farmaceutica è rimasta talmente soddisfatta dalle piattaforme vaccinali a mRNA “1.0”, che ha deciso di andare oltre, implementando le piattaforme “2.0” autoreplicanti, come nel caso del Kostaive®. Tuttavia, per quanto riguarda le piattaforme autoreplicanti, oltre alle significative lacune già emerse nelle precedenti piattaforme a mRNA (lacune che non sono state adeguatamente testate, né risolte) esistono purtroppo ulteriori incognite che potrebbero aggravare i loro effetti sulla salute.

Non è nota la dose dell’mRNA autoamplificato

Solitamente, nei farmaci, la dose somministrata al paziente viene indicata chiaramente, poiché è direttamente correlata all’effetto terapeutico desiderato. Nel caso del Kostaive®, non è stato ancora definito con precisione l’effetto di amplificazione che si verifica all’interno delle cellule. Di conseguenza, non è possibile stimare con esattezza la dose effettiva, la quale può variare significativamente da cellula a cellula, da tessuto a tessuto (dato che non sono stati effettuati studi di farmacocinetica) e da individuo a individuo, in funzione della fisiologia delle cellule esposte al prodotto farmaceutico.

Non è stata testata la potenziale diffusione di mRNA autoreplicante tramite vescicole extracellulari

Secondo le conoscenze scientifiche attuali, un eccessivo accumulo intracellulare di mRNA, induce la cellula, tramite meccanismi di autodifesa, a eliminarlo incapsulandolo in nanovescicole (come esosomi e vescicole extracellulari) che vengono rilasciate nello spazio extracellulare. Lo studio di Bansal e colleghi ha dimostrato un meccanismo analogo per la secrezione di esosomi contenenti la proteina spike vaccinale, rilevati nel sangue da due settimane fino a quattro mesi dopo la vaccinazione17. Dunque, secondo questo meccanismo, nanovescicole contenenti mRNA autoreplicante potrebbero diffondersi in vari tessuti, e propagarsi tra individui di specie diverse tramite vie respiratorie o scambio di liquidi biologici. Questa possibilità è stata ampiamente discussa nel recente studio del Dr. Maurizio Federico, dirigente dell’Istituto Superiore di Sanità18.

Conclusioni

Alla luce degli aspetti allarmanti e delle numerose domande ancora senza risposta legate alla sicurezza di queste piattaforme vaccinali, inserire il Kostaive® nel Sistema Sanitario Nazionale italiano non rappresenta in alcun modo una decisione prudente. Per questo motivo, il 6 giugno scorso, l’Associazione di Studi e Informazione sulla Salute (AsSIS) ha presentato formale istanza a EMA e AIFA (i) chiedendo l’accesso completo alla documentazione tecnico-scientifica approvata dalle due agenzie; (ii) sollecitando la sospensione cautelare immediata dell’AIC per Kostaive®, ai sensi dell’art. 21-quinquies della Legge 241/90; e (iii) richiamando le autorità regolatorie al rispetto del principio di precauzione, per evitare conseguenze irreversibili sulla salute pubblica19. Inoltre, l’avvocatessa Renate Holzeisen ha recentemente presentato un ricorso presso il tribunale dell’Unione Europea contro l’autorizzazione e l’immissione in commercio del vaccino a mRNA autoreplicante. Il ricorso contesta la decisione della Commissione Europea e dell’EMA, sottolineando gravi preoccupazioni legate alla sicurezza, alla mancanza di studi indipendenti e alle possibili conseguenze biologiche e ambientali del nuovo vaccino20.

Come ho scritto nella parte introduttiva, i vaccini genetici contro la COVID-19 sono stati ostentatamente presentati al pubblico come un prodotto scientifico all’avanguardia, come l’ultima frontiera della vaccinologia. Al contempo, chiunque abbia sollevato dubbi o perplessità è stato spesso etichettato come lunatico, complottista, antiscientifico e svariati altri aggettivi utilizzati abilmente dall’impianto di diffamazione. Tuttavia, la novità di per sé non costituisce garanzia di sicurezza ed efficacia. Un’automobile, per esempio, per quanto tecnologica e innovativa deve comunque superare rigorosi test di sicurezza. Sarebbe prudente mettersi al volante di un’automobile senza impianto frenante, per quanto accattivante e all’avanguardia essa appaia? In modo analogo, come ha ammesso l’EMA «in 48 ore, la distribuzione dal sito di iniezione alla maggior parte dei tessuti si è verificata», apparentemente senza freno. Di fronte alle gravi negligenze elencate in questa analisi, qualcuno potrebbe cercare vacillanti giustificazioni, sostenendo che durante l’emergenza sanitaria pandemica non c’era tempo per effettuare test di sicurezza approfonditi, dato che le terapie intensive erano sature e il sistema sanitario stava per collassare. Tuttavia, poiché l’emergenza COVID-19 è ormai terminata, non sussiste più alcuna giustificazione per decisioni prese in modo affrettato.

Post Scriptum: Chiunque desideri confutare i dati presentati in questo articolo, basati su rigorosi studi scientifici sottoposti a revisione paritaria, è invitato a fornire risposte solide e documentate (possibilmente per iscritto, come sto facendo io) alle seguenti domande legittime, finalizzate non ad alimentare teorie antiscientifiche, ma ad approfondire aspetti fondamentali riguardanti la sicurezza delle piattaforme vaccinali a mRNA:

  • Qual è l’esatto contenuto delle fiale dei vaccini genetici, e tale contenuto è identico da fiala a fiala? Oppure, l’esistenza delle eterogenee contaminazioni da DNA plasmidico, rende impossibile definire con esattezza la composizione molecolare di ogni fiala?
  • Esiste la garanzia, che il materiale genetico vaccinale, o prodotti di contaminazione derivati dal processo di produzione, non interagiscano in alcun modo con il genoma delle cellule dell’organismo ospite?
  • Quali specie proteiche vengono sintetizzate durante la traduzione dell’mRNA, considerando il fenomeno del frameshift e quali effetti possono avere nella cellula?
  • Dopo l’inoculazione, il materiale genetico vaccinale rimane localizzato nel sito d’iniezione o può raggiungere altri tessuti dell’organismo? In tal caso, quali tessuti possono essere coinvolti e con quali effetti?
  • Qual è la durata della persistenza del materiale genetico vaccinale nelle cellule e, di conseguenza, per quanto tempo continua l’induzione della sintesi della proteina spike? Come si giustifica la sintesi della proteina spike anche a più di un anno dalla vaccinazione, riscontrata in alcuni pazienti?
  • Qual è l’efficacia e la durata della protezione conferita dalla vaccinazione nel prevenire l’infezione da SARS-CoV-2?
  • Qual è la quantità esatta di mRNA che agisce all’interno dell’organismo nel caso di Kostaive®, tenendo conto dell’effetto di autoreplicazione? 
  • È stata adeguatamente valutata la potenziale diffusione dell’mRNA autoreplicante tramite vescicole extracellulari?

Elenco citazioni bibliografiche:

  1. N.T. Hồ, ed altri, Safety, immunogenicity and efficacy of the self-amplifying mRNA ARCT-154 COVID-19 vaccine: pooled phase 1, 2, 3a and 3b randomized, controlled trials, Nat Commun 15 (2024) 4081.
  2. P. Polykretis, Il mio discorso al Parlamento giapponese sulle reazioni infiammatorie autoimmuni causate dai vaccini genetici COVID-19, Dr. Panagis Polykretis Substack (2024).
  3. T.J. Wang, A. Kim, K. Kim, A rapid detection method of replication-competent plasmid DNA from COVID-19 mRNA vaccines for quality control, Journal of High School Science 8 (2024) 427–439.
  4. SC Senate Hearing – USC Professor Dr. Phillip Buckhaults, 2023.
  5. T.E. Mulroney, ed altri, N1-methylpseudouridylation of mRNA causes +1 ribosomal frameshifting, Nature 625 (2024) 189–194. https://doi.org/10.1038/s41586-023-06800-3.
  6. P. Polykretis, Role of the antigen presentation process in the immunization mechanism of the genetic vaccines against COVID-19 and the need for biodistribution evaluations, Scandinavian Journal of Immunology 96 (2022) e13160.
  7. P. Polykretis, A. Donzelli, J.C. Lindsay, D. Wiseman, A.M. Kyriakopoulos, M. Mörz, P. Bellavite, M. Fukushima, S. Seneff, P.A. McCullough, Autoimmune inflammatory reactions triggered by the COVID-19 genetic vaccines in terminally differentiated tissues, Autoimmunity 56 (2023)
  8. H. Nushida, ed altri, A case of fatal multi-organ inflammation following COVID-19 vaccination, Legal Medicine 63 (2023) 102244.
  9. A.M. Pezzullo, ed altri, Age-stratified infection fatality rate of COVID-19 in the non-elderly population, Environmental Research 216 (2023)
  10. EMA, 2020a. Assessment report Comirnaty (2021)
  11. N. Hanna, ed altri, Detection of Messenger RNA COVID-19 Vaccines in Human Breast Milk, JAMA Pediatrics (2022).
  12. J.-C. Chen, ed altri, mRNA-1273 is placenta-permeable and immunogenic in the fetus, Molecular Therapy Nucleic Acids 36 (2025)
  13. S. Sano, M. Yamamoto, R. Kamijima, H. Sano, SARS-CoV-2 spike protein found in the acrosyringium and eccrine gland of repetitive miliaria-like lesions in a woman following mRNA vaccination, The Journal of Dermatology 51 (2024) e293–e295.
  14. N.K. Shrestha, ed altri, Effectiveness of the Coronavirus Disease 2019 Bivalent Vaccine, Open Forum Infect Dis 10 (2023)
  15. H. Chemaitelly, ed altri, Duration of mRNA vaccine protection against SARS-CoV-2 Omicron BA.1 and BA.2 subvariants in Qatar, Nat Commun 13 (2022) 3082.
  16. H. Chemaitelly, ed altri, Long-term COVID-19 booster effectiveness by infection history and clinical vulnerability and immune imprinting: a retrospective population-based cohort study, The Lancet Infectious Diseases 23 (2023) 816–827.
  17. S. Bansal, ed altri, Cutting Edge: Circulating Exosomes with COVID Spike Protein Are Induced by BNT162b2 (Pfizer–BioNTech) Vaccination prior to Development of Antibodies: A Novel Mechanism for Immune Activation by mRNA Vaccines, The Journal of Immunology 207 (2021) 2405–2410.
  18. M. Federico, The Potential of Extracellular Vesicle-Mediated Spread of Self-Amplifying RNA and a Way to Mitigate It, International Journal of Molecular Sciences 26 (2025)
  19. AsSIS chiede la sospensione cautelare all’immissione in commercio di vaccino per la prevenzione di COVID-19 a RNA autoreplicante (sa-RNA), AsSIS, (2025)
  20. C. Porta, EU Court of First Instance Appeal Against Self-Replicating mRNA Vaccine: Announcement by Renate Holzeisen, PRESSKIT (2025).

Sudan, paramilitari delle RSF conquistano altre aree strategiche

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Le Forze di supporto rapido (RSF) sudanesi hanno dichiarato di aver conquistato l’area strategica di Karb al Toum, vicino al confine con Libia ed Egitto, consolidando le linee di rifornimento verso il nord. La conquista segue quella del “Triangolo”, punto d’intersezione tra i tre Paesi. Le RSF, guidate dal generale Dagalo, puntano a rafforzare le operazioni in Kordofan e Darfur tramite rifornimenti dalla Libia. L’avanzata arriva dopo l’annuncio di Dagalo sull’offensiva nel nord. Secondo fonti locali, le RSF hanno espulso l’esercito sudanese da vari punti di confine, inclusa l’area di Jabal Kasu.

Scuola: da settembre vietati gli smartphone in classe (anche alle superiori)

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Con una circolare diffusa ieri, il ministro dell’Istruzione Valditara ha annunciato il divieto, a partire dal prossimo settembre, di utilizzo dello smartphone a scuola per gli studenti del primo e secondo ciclo di istruzione (quindi compresi quelli delle scuole superiori), anche se per fini didattici. Una misura ormai «improcrastinabile», riporta la circolare del ministro, «alla luce degli effetti negativi dimostrati dalla ricerca scientifica», secondo i quali un uso eccessivo degli smartphone può impattare su salute e benessere degli studenti, oltre che sulle prestazioni scolastiche. L’Italia non è il primo Paese europeo ad aver adottato tale politica: misure analoghe sono infatti state prese anche in Francia, Finlandia, Svezia, Paesi Bassi e Belgio.

La circolare di Valditara fa seguito alla nota ministeriale 5274 rilasciata lo scorso luglio, che vietava l’utilizzo dei cellulari nelle scuole fino alle medie. Con la nuova nota, rilasciata ieri, lunedì 16 giugno, «si dispone anche per gli studenti del secondo ciclo di istruzione il divieto di utilizzo del telefono cellulare durante lo svolgimento dell’attività didattica e più in generale in orario scolastico». Gli istituti scolastici, di preciso, sono tenuti a imporre il divieto di utilizzo dello smartphone in tutte le ore scolastiche e per tutte le attività, e a individuare specifiche sanzioni disciplinari per gli studenti che lo violano. Ogni istituto deciderà autonomamente come imporre tale divieto e assicurarsi che venga rispettato. Le nuove regole non si applicano agli studenti con disabilità o con disturbi specifici di apprendimento o nel caso in cui lo smartphone «sia strettamente funzionale all’efficace svolgimento dell’attività didattica». Il divieto, inoltre, non riguarda gli altri dispositivi tecnologici impiegati per fini didattici, quali computer, tablet e lavagna elettronica.

Il ministero giustifica la propria scelta citando studi che proverebbero l’effetto negativo dell’uso degli smartphone sulla salute degli studenti e sul loro rendimento scolastico, sottolineando la «sempre maggiore attenzione da parte degli organismi internazionali e delle istituzioni sanitarie sulla necessità di adottare politiche in grado di contrastare i preoccupanti fenomeni che tali ricerche mettono in luce». L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), si legge nella nota, «ha evidenziato fenomeni di dipendenza quali l’incapacità di controllare l’uso degli smartphone, sintomi da astinenza e il trascurare altre attività con conseguenze negative sulla vita quotidiana»; anche secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) l’uso «problematico» dello smartphone, sarebbe causa di una dipendenza comportamentale che «colpisce oltre il 25% degli adolescenti, con effetti negativi su sonno, concentrazione e relazioni». Sul fronte dei rendimenti scolastici, lo stesso ISS rileva come la dipendenza dai social media nei ragazzi tra i 14 e i 17 anni «è associata a un peggiore rendimento scolastico rispetto a chi non ne è dipendente». Anche l’OCSE evidenzia gli effetti negativi dell’uso di smartphone e social media sul rendimento scolastico e suggerisce di «adottare programmi per un uso responsabile di Internet».

Il dibattito sulla stretta all’uso dello smartphone e dei social nelle scuole è aperto da molti anni, e solleva questioni complesse. Secondo uno studio coordinato dalla ricercatrice Sara Abrahamsson per l’Istituto norvegese della Sanità Pubblica, la rimozione degli smartphone durante le lezioni si tradurrebbe in effetti positivi di varia natura. Lo studio, di preciso, evidenzia un «calo significativo» dello sviluppo di sintomi e malattie di natura psicologica, specialmente nelle ragazze. Secondo alcuni, la riduzione dell’uso dello smartphone migliorerebbe la salute mentale di tutti, e non solo dei giovani: uno studio condotto da ricercatori tedeschi pubblicato sulla rivista Computers in Human Behavior sostiene che coloro che riescono a ridurre drasticamente l’uso dello smartphone possono sperimentare numerosi effetti significativi sull’attività cerebrale, tanto che i risultati inizierebbero a vedersi in soli tre giorni.

Gli studi, tuttavia, non sono tutti concordi. Un’analisi pubblicata su The Lancet Regional Health – Europe sostiene che «la maggior parte degli studi a favore della messa al bando degli smartphone nelle scuole, evidenziano una correlazione piuttosto che una causalità e non tengono conto dei potenziali fattori confondenti». L’analisi, di preciso, confronta il benessere mentale, il sonno e i risultati scolastici di 1.227 adolescenti di età compresa tra 12 e 15 anni in 30 scuole nel Regno Unito, di cui 20 dotate di politiche restrittive nell’uso ricreativo del telefono e 10 di politiche permissive. Sebbene concordi col fatto che «il divieto di usare il telefono a scuola potrebbe rappresentare un intervento appropriato per favorire il funzionamento della scuola e l’impegno educativo», lo studio non rileva differenze significative tra gli studenti degli istituti che vietano l’uso dello smartphone e quelli delle scuole che non lo vietano.

In generale, il dibattito sulla cosiddetta “dipendenza da smartphone” è ancora aperto: sebbene da una parte il termine sia spesso utilizzato nei test psicologici, dall’altra alcuni esperti ritengono che non rifletta la complessità delle dinamiche emotive, mentali e sociali associate all’uso intensivo dei dispositivi digitali. Per tale motivo c’è chi suggerisce l’adozione di un approccio più totalizzante, che riesca ad affrontare il problema dell’uso degli smartphone da diverse angolature, senza limitarsi ai divieti.

Cina, esplosione in una fabbrica: 9 morti

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Alle 8:23 di oggi, martedì 17 giugno, in Cina, si è verificata una esplosione in una fabbrica di fuochi d’artificio, a seguito di cui sono morte 9 persone e altre 26 sono state ferite. Di preciso l’esplosione è avvenuta nella contea di Linli, nella provincia di Hunan, nella Cina centrale. Ancora ignote le cause dell’incidente. Attualmente è in corso un’operazione di ricerca e soccorso per cercare eventuali dispersi, ed è stata istituita una squadra investigativa per indagare sulle dinamiche dell’esplosione.

La verità dietro le mele tutte perfettamente uguali che si trovano al supermercato

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Ormoni della crescita usati per coltivare le mele esteticamente perfette dei supermercati: queste sono le conclusioni di una ricerca dell’Università di Zurigo condotta tra 200 agricoltori, che mette in evidenza come i supermercati pagano di più le mele senza difetti che si ottengono con i cosiddetti “regolatori della crescita”, in grado di evitare ammaccature ed eliminare i frutti più “brutti”. Ma si tratta di ormoni della crescita veri e propri, e sono considerati dalla ricerca scientifica interferenti endocrini, cioè sostanze che interferiscono con il funzionamento ormonale dell’organismo umano.

Avete tutti presente di certo come sono le mele che si vendono nei supermercati: lucide, bellissime, di colore acceso, grosse, senza ammaccature e difetti estetici. Sono così perché i supermercati acquistano dai fornitori solo mele aventi queste caratteristiche, e sono disposti a pagarle anche qualche centesimo in più se il produttore gliele fornisce con queste specifiche. Ma le mele sugli alberi in realtà non nascono tutte uguali e perfette, come qualsiasi altro frutto o ortaggio. Se l’albero le produce tutte della stessa pezzatura e forma estetica, allora c’è sotto qualcosa di più, che come consumatori critici forse è bene sapere. 

I coltivatori per raggiungere questo risultato sono “costretti” ad usare delle sostanze chimiche particolari definite fitormoni, in grado di standardizzare la qualità estetica dei frutti. Questi agenti chimici sono noti anche come ormoni della crescita o, in gergo più tecnico e apparentemente innocuo e scientifico, “regolatori della crescita”. Ma lo dice la parola stessa se facciamo attenzione: regolano, modificano e forzano la crescita della pianta e dei frutti, in particolare possono fare diverse cose, a seconda della tipologia di prodotto che si sceglie di spruzzare in campo: aumentare la colorazione dei frutti, irrobustire i rami e i frutti, produrre frutti di calibro più grande, produrre frutti più lucidi e rotondi, aumentare lo spessore della buccia in modo che sia meno soggetta ad ammaccature, ritardare o accelerare la crescita del frutto, oppure far seccare e cadere i rametti più fragili della pianta che darebbero dei frutti più piccoli e meno belli esteticamente.

Il problema che però dovrebbe suscitare il nostro interesse, come consumatori attenti alla produzione e al consumo di cibo e quindi rispettosi della salute nostra e dell’ambiente, è che questi fitormoni, oltre ad imbellettare le mele, sono però riconosciuti dalla scienza come interferenti endocrini, sostanze capaci cioè di alterare il nostro funzionamento ormonale, in particolare degli ormoni sessuali legati alla riproduzione e alla fecondazione. Inoltre queste sostanze svolgono la funzione di pesticida nella pianta, in grado di allontanare o uccidere gli insetti e gli uccelli interessati al frutto.

Tossicità dei regolatori della crescita delle piante negli esseri umani

I regolatori di crescita delle piante sono attualmente tra i pesticidi più ampiamente utilizzati, in quanto si considera che abbiano una tossicità relativamente bassa rispetto ad altri pesticidi. Tuttavia, un uso diffuso può portare a una sovraesposizione negli esseri umani da molteplici fonti. L’esposizione è associata a diversi effetti tossici che colpiscono molti organi del nostro corpo, come la tossicità per testicoli, ovaie, fegato, reni e cervello. Esistono prove di tossicità riproduttiva e per lo sviluppo associate all’esposizione prenatale e postnatale sia negli animali che nell’uomo. I regolatori della crescita delle piante possono influenzare la sintesi e la secrezione degli ormoni sessuali, distruggere la struttura e la funzione dell’apparato riproduttivo e danneggiare la crescita e lo sviluppo della prole. Va saputo che tali ormoni della crescita si utilizzano da molti anni in tutta l’agricoltura intensiva industriale, senza eccezioni e per molti frutti e ortaggi. Parliamo di sostanze che vengono impiegate per esempio anche nella coltivazione di pomodori, peperoni, zucchine e melanzane. In Italia non sono così numerosi come in altri Paesi gli ormoni e i principi attivi ammessi nelle coltivazioni degli ortaggi e della frutta, ma sta di fatto che quei pochi ammessi si usano regolarmente nell’agricoltura industriale e il loro residuo passa dal cibo all’interno del nostro organismo. Anche se non sembra esserci una tossicità acuta, gli studiosi esprimono dubbi e timori sul reale effetto di queste sostanze, ad oggi poco studiato e conosciuto nell’uomo.

Lo studio dell’Università di Zurigo che alimenta le preoccupazioni

Questo studio è stato pubblicato a Maggio 2024 sulla rivista scientifica Agricultural economics. Gli autori dello studio parlano espressamente di «pesticidi cosmetici» e affermano che «l’uso di pesticidi solleva preoccupazioni a causa degli effetti negativi sulla salute e sull’ambiente, pertanto sono stati stabiliti ambiziosi obiettivi politici per la loro riduzione. Il ruolo dell’uso di pesticidi “cosmetici” non è ancora ben documentato e compreso. In questo studio, quantifichiamo l’uso di pesticidi cosmetici e l’influenza delle caratteristiche della filiera sul loro utilizzo. Ci concentriamo sulla produzione di mele da tavola, dove la qualità visiva dei prodotti è un aspetto chiave. Utilizzando un campione di 196 coltivatori di mele in Svizzera, scopriamo che il 23,5%-59,2% dei coltivatori utilizza pesticidi cosmetici per l’aspetto visivo delle mele. Le aziende agricole che commercializzano principalmente tramite intermediari hanno una probabilità maggiore del 23,9-29,6% di spruzzare pesticidi cosmetici per scopi visivi rispetto alle aziende agricole che commercializzano principalmente direttamente. I nostri risultati evidenziano il ruolo delle filiere di approvvigionamento nel processo decisionale degli agricoltori, raccomandando di prestare meno attenzione alla qualità visiva del prodotto, soprattutto negli ambienti di vendita al dettaglio, riducendo così al minimo i rischi inutili e irreversibili di esposizione ai pesticidi da parte degli agricoltori senza compromettere la sicurezza alimentare». Tra le osservazioni conclusive degli autori di questo studio vi è anche quella di «facilitare schemi di commercializzazione diretta, con filiere corte, che diano meno importanza alle caratteristiche visive delle mele da tavola, potrebbe rivelarsi utile per ridurre i rischi di pesticidi senza compromettere le rese». 

Infine, a scanso di equivoci, nessuna delle sostanze di cui abbiamo parlato in questo articolo è ammessa nelle coltivazioni in agricoltura biologica, sebbene nel BIO siano ammessi dei “pesticidi naturali”, con caratteristiche di tossicità su insetti e sull’uomo ben diverse rispetto ai pesticidi chimici, di sintesi, tipici dell’agricoltura industriale convenzionale e intensiva. Non a caso, quando acquistiamo delle mele BIO, oppure dal contadino locale che non fa produzioni il cui sbocco è la Grande Distribuzione, le mele sono solitamente di calibro e taglia differenti tra loro, sono più piccole, hanno segni e difetti nella buccia, non sono lucide e non sono tutte tonde come quelle industriali. E sono spesso più saporite e gustose di quelle del supermercato. Se sono così diverse un motivo ci sarà.

Harvard, giudice estende blocco alle restrizioni sugli studenti internazionali

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Un giudice federale ha disposto una breve proroga dell’ordinanza che sospende il piano del presidente Trump di vietare l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini stranieri ammessi a Harvard, estendendola fino al 23 giugno. Il termine sarebbe scaduto giovedì. La giudice distrettuale Allison Burroughs, dopo l’udienza di Boston, si è presa più tempo per valutare se concedere un’ingiunzione preliminare più duratura, già richiesta da Harvard. L’ordine originario – emesso il 5 giugno – impedisce l’attuazione del proclama firmato il 4 giugno. Nell’ultimo anno accademico, l’ateneo ha ospitato circa 6.800 studenti internazionali, pari al 27% del corpo studentesco.

Israele ora lo dice chiaramente: l’obiettivo è rovesciare il regime iraniano

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A meno di una settimana dall’attacco unilaterale lanciato da Israele contro l’Iran, lo Stato ebraico inizia a svelare le carte: uno degli obiettivi è il rovesciamento della leadership della Repubblica Islamica. In un’intervista rilasciata ad ABC News, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che Israele non esclude l’eventualità di colpire la casa della Guida Suprema iraniana Khamenei, circostanza che – a suo avviso – «non causerebbe un’escalation del conflitto», ma «vi porrebbe fine». Nel frattempo, gli attacchi reciproci non si fermano: nella notte, Israele ha colpito tre località nel nordest di Teheran e l’Iran ha preso di mira il centro e il nord di Israele; stamattina la Repubblica Islamica ha continuato gli attacchi, colpendo Tel Aviv, Haifa e altre località nella Cisgiordania occupata. Dall’altra parte del mondo, il presidente Trump ha lasciato il vertice del G7 in Canada con un giorno di anticipo, per dedicarsi alla situazione nella regione; poco dopo ha pubblicato un post sul proprio social Truth in cui esorta i cittadini a lasciare Teheran.

L’intervista di Netanyahu è stata rilasciata ieri, lunedì 16 giugno, mentre era in corso il quarto giorno consecutivo di bombardamenti reciproci tra Israele e Iran. Alla domanda se Israele avrebbe preso di mira Khamenei, Netanyahu ha risposto che lo Stato ebraico starebbe «facendo ciò che deve fare». «Non entrerò nei dettagli», ha detto Netanyahu, «ma abbiamo preso di mira i loro migliori scienziati nucleari. È praticamente la squadra nucleare di Hitler». Le parole di Netanyahu sono in linea con quanto affermato nei giorni che hanno seguito l’aggressione israeliana sull’Iran lanciata nella notte tra il 12 e il 13 giugno. Sin dal lancio dell’operazione “Leone Nascente” (“Rising Lion”), Netanyahu si è infatti rivolto ai cittadini iraniani sostenendo che gli obiettivi di Israele e del popolo iraniano viaggerebbero in parallelo: «Questa», ha detto Netanyahu subito dopo l’attacco, «è la vostra opportunità per far sentire la vostra voce». Le parole utilizzate dai vertici israeliani per giustificare le proprie aggressioni sono sempre le stesse: l’Iran, come prima il Libano e ancor prima la Palestina, costituirebbe una minaccia esistenziale nei confronti di Israele, nel caso di Teheran avallata dalla presunta volontà di dotarsi di un armamento nucleare; la guerra dello Stato ebraico, «non è contro i cittadini iraniani», ma «contro il regime» di Teheran.

Mentre Netanyahu compariva di fronte ai microfoni statunitensi per rendere più chiare le proprie intenzioni, i bombardamenti aerei non si sono fermati. Ieri, Israele ha bombardato l’emittente di Stato Islamic Republic of Iran Broadcasting. Nell’attacco sono stati registrati alcuni feriti, ma le trasmissioni sono riprese poco dopo. Nella notte, inoltre l’esercito israeliano ha attaccato Teheran, dove avrebbe ucciso il Capo di Stato Maggiore delle Forze armate iraniane, Ali Shadmani. Mentre Israele colpiva la capitale iraniana, la Repubblica Islamica ha risposto attaccando diverse aree del Paese, tra cui Haifa; proprio ad Haifa, Israele ha vietato la copertura mediatica dell’area ai giornalisti stranieri. Questa mattina, invece, a partire dalle 7, l’Iran ha colpito diverse aree del Paese, tra cui la capitale; alcuni dei missili lanciati avrebbero superato le difese di Tel Aviv, e avrebbero distrutto un edificio di otto piani, un magazzino, e un deposito di autobus.

Sullo sfondo delle dichiarazioni di Netanyahu e dei continui bombardamenti, Trump ha lasciato la riunione del G7 in corso a Kananaskis, in Canada, per «ciò che sta succedendo in Medio Oriente». La partenza prematura del presidente statunitense è stata accolta positivamente dall’omologo francese Macron, che ha parlato dell’importanza di un cessate il fuoco nella regione. Questa mattina, tuttavia, Trump ha smentito Macron, sostenendo di non stare tornando alla Casa Bianca per lavorare a una eventuale tregua tra Israele e Iran: «[Macron] non ha idea del perché io sia ora in viaggio per Washington, ma di certo non ha nulla a che fare con un cessate il fuoco. È molto più importante. Che lo voglia o no, Emmanuel sbaglia sempre. Restate sintonizzati!». Non è ancora chiaro quali siano le intenzioni degli Stati Uniti, ma ieri Trump ha ribadito che «l’Iran non può dotarsi di un’arma nucleare» invitando «tutti» a «evacuare immediatamente Teheran».

Quello del possibile armamento nucleare iraniano è sempre stato l’argomento centrale su cui poggiano gli attacchi israeliani, tanto diplomatici quanto militari, nei confronti dell’Iran. Teheran, tuttavia, ha sempre negato sia di essere in possesso di armi nucleari, sia di volerle costruire. A gennaio, in occasione della conferenza di sicurezza Cipher Brief, il direttore della CIA William Burns ha affermato che malgrado l’Iran stia aumentando la propria produzione di uranio arricchito, non starebbe producendo alcuna arma nucleare, ipotesi che ha poi ribadito all’emittente statunitense NPR. A marzo, la direttrice dell’intelligence statunitense Tulsi Gabbard ha sottoscritto quanto detto da Burns in occasione di una seduta davanti al Senato. L’Iran, inoltre, è uno dei Paesi firmatari del trattato di non proliferazione nucleare, carta che, di contro, Israele non ha mai ratificato. È a tal proposito noto che lo Stato ebraico sia dotato di armi nucleari sebbene il governo israeliano non abbia mai confermato ufficialmente di possedere un arsenale nucleare.

Ucraina-Austria, firmato accordo di cooperazione

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Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy e il presidente federale austriaco Alexander Van der Bellen si sono incontrati per la prima volta in Austria dallo scoppio della guerra nel 2022. In occasione dell’incontro, i due leader hanno firmato accordi su sminamento, energia, sicurezza informatica, e ricostruzione post-bellica dell’Ucraina. Rilanciata anche la cooperazione sul piano politico e su quello umanitario. Restano invece esclusi dal tavolo accordi militari: in sede di conferenza stampa, il presidente austriaco Van der Bellen ha rimarcato la «neutralità militare» dell’Austria, sottolineando tuttavia che il Paese «non è neutrale politicamente».

Il Brasile ha registrato il più basso tasso di omicidi degli ultimi 10 anni

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rio de janeiro

Nel 2023, il Brasile ha registrato una significativa riduzione degli omicidi, con un totale di 45.747 vittime, il tasso più basso degli ultimi undici anni. Secondo le statistiche ufficiali, il Paese ha visto un abbassamento del 2,3% rispetto al 2022 e una diminuzione del 20,3% rispetto al periodo tra il 2013 e il 2023. Un calo che se paragonato al 2017, l'anno più violento della sua storia recente con 65.602 omicidi, sfiora il 30,2%. 
L'Atlante della Violenza 2025, il rapporto redatto dall'Istituto di Ricerca Economica Applicata (Ipea) in collaborazione con il Forum Brasiliano per la Sicurezza...

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L’omicidio di Melissa Hortman e la violenza politica negli Stati Uniti

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Sabato scorso, nella periferia a nord di Minneapolis, due case sono diventate teatri di sangue. La deputata democratica del Minnesota, Melissa Hortman, è stata uccisa insieme al marito da colpi d’arma da fuoco. Poche ore dopo, una seconda sparatoria ha ferito gravemente il senatore John Hofmann e sua moglie. Il presunto autore delle sparatorie, Vance Boelter, 57 anni, ex funzionario pubblico, direttore della sicurezza presso la Praetorian Guard Security – un’azienda fondata su metodi militari e disciplina paramilitare, è stato arrestato dopo un’intensa caccia all’uomo. L’uomo era in possesso di una lista di 70 nomi, possibili obiettivi: politici democratici, imprenditori, medici di cliniche pro-aborto.

La notizia, già drammatica di per sé, si inserisce in un contesto ben più ampio e inquietante che non è certo recente: quello di una nazione in cui la violenza armata e l’eliminazione di figure scomode sono stati a lungo strumenti di “normalizzazione” politica, altre volte si manifestano come lo sfogo di una aggressività connaturata alle radici e alla storia americane e mette in luce la profonda divisione sociale e politica che attraversa l’America e il clima d’odio che caratterizza il dibattito politico esasperato con l’istigazione verso gli oppositori politici (che ha avuto il suo apice nell’ultima campagna elettorale). 

Negli Stati Uniti, la violenza non è recente, non è un incidente e non è nemmeno all’insegna di un’unica parte politica. È parte integrante del loro DNA. L’America, “esportatrice di democrazia”, si racconta come terra di libertà, ma la sua storia è costellata da esecuzioni politiche, attentati, guerre civili e cospirazioni. E non solo da parte di squilibrati solitari: in molti casi, dietro le quinte si muove l’ombra di poteri più grandi e di veri e propri complotti. Basti pensare all’assassinio di John Fitzgerald Kennedy nel 1963. La Commissione Warren ha liquidato il caso come opera solitaria di Lee Harvey Oswald, ma decenni di indagini indipendenti e desecretazioni progressive hanno mostrato un panorama torbido, popolato da CIA, mafia e falchi della guerra fredda. Non fu il solo. Suo fratello, Robert F. Kennedy, venne assassinato nel 1968. Anche qui, un colpevole ufficiale – Sirhan Sirhan – e una miriade di misteri e incongruenze. Il tutto in un clima da guerra civile strisciante, con le strade infuocate per la lotta dei diritti civili. Martin Luther King Jr. fu eliminato lo stesso anno. Malcolm X, tre anni prima. Tutti accomunati da un destino tragico e, forse, da una minaccia che infastidiva chi governa davvero nell’ombra.

Negli Stati Uniti, la figura presidenziale è spesso il catalizzatore delle fratture sociali. Quando Abraham Lincoln fu ucciso nel 1865 da un simpatizzante confederato, l’atto fu l’estensione diretta della guerra civile. James A. Garfield (fu ferito gravemente da Charles J. Guiteau, un avvocato deluso che aveva cercato invano un incarico governativo nel 1881) e William McKinley (assassinato dall’anarchico Leon Czolgosz durante l’Esposizione Panamericana nel 1901) furono vittime di attentatori solitari, sì, ma in un clima in cui la violenza era l’unico linguaggio rimasto a chi si sentiva escluso.

Nel 1981, Ronald Reagan fu colpito da John Hinckley Jr., ma il proiettile, che ferì anche il portavoce James Brady, portò a una timida riforma sul controllo delle armi. Persino presidenti come Jackson (1835), Roosevelt (1933), Truman (1950), Ford (due volte nel 1975), Clinton (1994) e Bush (2005) sono stati il bersaglio di attentati. Nonostante questo, gli Stati Uniti continuano ad avere un arsenale privato pari a quello di un esercito in tempo di guerra.

Più recentemente, Donald Trump è sopravvissuto a ben due tentativi di omicidio. Il primo, il più noto è avvenuto il 14 luglio 2024. L’attentatore, Thomas Matthew Crooks, è stato ucciso sul posto, lasciando dietro di sé una serie di domande senza risposta e il sospetto di una regia occulta. Il tentato omicidio del tycoon, infatti, è stato oggetto di svariate speculazioni e ha immediatamente sollevato i sospetti di un complotto orchestrato dal Deep State americano. Come ha fatto Thomas Matthew Crooks a sparare almeno sette colpi da un tetto situato a poco più di cento metri dal palco da dove parlava il politico americano, nonostante le segnalazioni del pubblico? Perché non è stato fermato, nonostante alcuni video lo riprendano chiaramente mentre prende la mira, prima di sparare? 

In molti parlano oggi di “gladio americana”, evocando una struttura simile a quella delle operazioni coperte in Europa durante la guerra fredda: operazioni false flag, destabilizzazione e manipolazione sociale. Il clima che si respira oggi negli USA, con la radicalizzazione crescente, la polarizzazione dell’opinione pubblica e l’odio tra fazioni politiche, sembra il terreno fertile perfetto per operazioni pilotate da apparati non eletti, ma non è nuova e fa parte del cuore dell’America stessa, una macchina imperiale alimentata dalla teoria dello shock e dalla destabilizzazione. A spiegare come la Casa Bianca usasse questo metodo su scala globale fu l’ex banchiere ed economista John Perkins che Confessioni di un sicario dell’economia descrisse una lunga scia di sangue, violenza e guerre all’interno del meccanismo di perpetuazione del processo di espansione dell’Impero globale a stelle e strisce, attraverso la figura del “sicario dell’economia”, un’élite di economisti che hanno il compito di trasformare la modernizzazione dei Paesi in via di sviluppo in un progressivo e continuo processo di indebitamento e asservimento agli interessi delle multinazionali, delle lobby e dei governi più potenti al mondo, USA su tutti. Quando, però, i sicari dell’economia falliscono il loro obiettivo, subentrano gli “sciacalli” della CIA, che hanno il compito di sopprimere fisicamente l’obiettivo considerato “scomodo” dai gruppi di potere. 

L’arresto di Boelter si colloca esattamente in questa tradizione, sebbene ogni caso sia diverso. Il suo passato da funzionario nominato dal governatore Tim Walz, la sua carriera militare e il suo ruolo in un’azienda di sicurezza paramilitare suggeriscono una figura perfettamente inserita nel sistema che a un certo punto, con lucida premeditazione, ha imbracciato un fucile. Anche nel suo caso, le domande superano le risposte: chi ha ispirato Boelter? È stato un lupo solitario o l’esecutore di una volontà collettiva, magari non esplicita, ma socialmente instillata attraverso la polarizzazione mediatica?
I fatti di Minneapolis rappresentano il capitolo di una lunga saga che attesta come la violenza politica non sia un’eccezione, ma la regola: è un sintomo di una malattia endemica, il simbolo di una costante che nessuna legge sul porto d’armi potrà mai curare. Perché la vera “arma letale” è la cultura della violenza che permea ogni livello dell’America profonda ed è connaturata con le sue origini.