sabato 6 Settembre 2025
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L’Italia si riempie di manifestazioni contro la ripresa del genocidio in Palestina

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Ieri mattina, alla notizia del massiccio bombardamento israeliano sulla Striscia di Gaza giovani e attivisti italiani hanno deciso di reagire, organizzando presidi di emergenza contro il genocidio in Palestina. Tra i primi a prendere parola sono stati i Giovani Palestinesi, Unione Democratica Arabo-Palestinese e Associazione dei Palestinesi Italiani, che hanno lanciato manifestazioni a Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Modena, Napoli, Padova e Torino. La maggior parte dei presidi si è tenuta nelle piazze principali delle rispettive città, a partire dalle 20. Alcune province, tuttavia, si sono mobilitate sin dalle prime ore del pomeriggio, come nel caso di Padova. Nelle stesse ore sono pervenuti anche appelli provenienti da movimenti solidali alla Palestina e da realtà islamiche italiane.

A Milano si è svolto in serata un corteo che ha attraversato le vie del centro cittadino, con un gruppo di manifestanti che ha sostato di fronte alla sede del consolato statunitense, in via Turati, protestando contro il supporto statunitense al genocidio in corso a Gaza. Centinaia di persone in piazza anche a Napoli e Bologna, dove erano presenti anche diverse sigle sindacali: «Siamo scese in piazza ieri e oggi, e continueremo le mobilitazioni per ribadire che Napoli è una città resistente e solidale, che non sarà complice del genocidio e che resterà al fianco della Resistenza palestinese fino alla vittoria» riporta un comunicato dell’Unione Democratica Arabo-Palestinese sui social. A Torino, un migliaio di persone hanno attraversato le vie del centro e annunciato nuove mobilitazioni per il prossimo 22 marzo e il 12 aprile, data della manifestazione nazionale che dovrebbe svolgersi a Milano. «Israele rompe la tregua, il genocidio non si è mai fermato» si legge sullo striscione a capo del corteo. A Padova, cinque manifestanti avrebbero ricevuto altrettanti fogli di via dopo alcuni brevi momenti di tensione con le forze dell’ordine.

Il grido sollevatosi dalle piazze in tutta Italia è il medesimo: stop al genocidio. Dopo l’ennesimo massacro compiuto da Israele ai danni della popolazione civile (il cui bilancio avrebbe superato le 400 vittime, per la maggior parte bambini), la cittadinanza è tornata a chiedere la fine dell’aggressione in corso e della complicità occidentale con Israele, oltre a ribadire la propria contrarietà verso la corsa al riarmo europea. Numerosi, infatti, sono stati gli striscioni contro i piani bellicistici dell’UE, insieme alle richieste rivolte ai governi di smettere di essere complici e di condannare, una volta per tutte e in maniera concreta, il piano genocida di Israele.

[di Valeria Casolaro]

Caos in Turchia: arrestato il sindaco di Istanbul, principale oppositore politico di Erdogan

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Le autorità turche hanno arrestato Ekrem İmamoğlu, sindaco di Istanbul e principale rivale politico del presidente Recep Tayyip Erdoğan. İmamoğlu è accusato nell’ambito di due indagini separate: la prima riguarda presunti episodi di corruzione legati all’assegnazione di gare d’appalto da parte del Comune, mentre la seconda il suo presunto favoreggiamento e aiuto al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), che la Turchia considera un’organizzazione terrorista. «È un colpo di Stato contro la volontà nazionale», denunciano i vertici del CHP, partito di cui İmamoğlu è esponente, puntando il dito contro le tempistiche dell’arresto. Domenica 23 marzo, infatti, sono previste le primarie per scegliere il candidato del partito alle prossime presidenziali del 2028, in cui İmamoğlu risultava il netto favorito. Secondo l’opposizione, insomma, si tratta di un arresto politico che, oltre a İmamoğlu, ha coinvolto un altro centinaio di persone, tutte accusate di estorsione, corruzione, frode, e turbativa d’asta o favoreggiamento del PKK.

L’arresto di İmamoğlu è stato annunciato dallo stesso sindaco di Istanbul con un video sul social X. Nella notte, decine di poliziotti hanno fatto irruzione nella sua casa, perquisendola e arrestandolo. Dopo l’arresto, uno dei suoi assistenti ha comunicato che il primo cittadino è stato portato al quartier generale della polizia. Secondo una dichiarazione della procura di Istanbul, con İmamoğlu sono indagate un totale di 100 persone, tra cui giornalisti e imprenditori, sospettate di essere coinvolte in attività criminali relative ad alcuni appalti aggiudicati dal Comune. Altre 6 sono invece finite al centro dell’indagine relativa al PKK. Le autorità turche, inoltre, hanno chiuso diverse strade di Istanbul e vietato le manifestazioni in sostegno di İmamoğlu per i prossimi quattro giorni. Dopo i vari raid condotti dagli agenti turchi, la lira turca è crollata del 12%, raggiungendo il minimo storico.

İmamoğlu è stato eletto due volte sindaco di Istanbul, la prima nel 2019 e la seconda l’anno scorso. Con l’elezione del 2019, che si dovette ripetere per decisione di Erdoğan, İmamoğlu mise fine a circa 25 anni di governo dell’AKP, il partito del presidente. Con i suoi mandati da sindaco, ha acquisito parecchia notorietà, diventando gradualmente il principale politico dell’opposizione turca. Domenica sarebbe dovuto essere confermato candidato alle prossime presidenziali, che si dovrebbero tenere nel 2028. Tuttavia, in molti ritengono che i cittadini possano venire chiamati alle urne ben prima, così da permettere la rielezione di Erdoğan, che ha esaurito il limite di mandati. Una modifica alla costituzione turca introdotta dallo stesso Erdoğan nel 2017, infatti, prevede una sola rielezione per presidente, ma solo se il suo mandato arriva alla scadenza naturale. Questo significa che, in caso di scioglimento del Parlamento, il presidente può ricandidarsi anche per un terzo mandato. In generale, le tempistiche dell’arresto, sottolineano esponenti dell’opposizione, risultano sospette: il raid segue infatti di soli due giorni la decisione dell’Università di Istanbul di ritirare a İmamoğlu il diploma di laurea, requisito fondamentale per candidarsi alle elezioni. İmamoğlu, inoltre, è finito più volte al centro di vicende giudiziarie che l’opposizione giudica come tentativi di delegittimazione e di fermare una sua possibile candidatura.

[di Dario Lucisano]

Turchia: dopo sette anni di persecuzione sono state assolte le “Madri del sabato”

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Dopo sette anni di battaglie giudiziarie, 45 rappresentanti del gruppo "Madri del Sabato", parenti di persone scomparse forzatamente negli anni ’80 e ’90 in Turchia durante il conflitto tra lo Stato turco e il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), sono state assolte dalle accuse di "partecipazione a raduno non autorizzato" e "rifiuto di disperdersi nonostante il preavviso". Il processo riguardava gli arresti del 25 agosto 2018, quando la polizia intervenne con violenza per disperdere la 700esima veglia del gruppo in piazza Galatasaray, a Istanbul, utilizzando gas lacrimogeni e idranti. L...

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Caso Huawei, convalidati gli arresti di 4 lobbisti

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L’autorità giudiziaria belga ha convalidato l’arresto di quattro lobbisti legati a Huawei che giovedì scorso sono stati fermati con l’accusa di aver corrotto ex e attuali parlamentari europei per favorire gli interessi della multinazionale cinese presso le istituzioni UE. Lo ha reso noto la Procura del Belgio, precisando che nei loro confronti sono contestati i reati di «corruzione attiva e organizzazione criminale». Nel frattempo, rimane dietro le sbarre il principale indagato nell’inchiesta, l’italo-belga Valerio Ottati, mentre un quinto lobbista – un consulente italiano di Huawei – è stato rilasciato con condizioni.

Telefonata Trump-Putin: la Russia accetta il cessate il fuoco di 30 giorni in Ucraina

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Si è conclusa da poco, dopo oltre due ore di colloquio, l’attesa telefonata tra il presidente statunitense Donald Trump e il suo omologo russo Vladimir Putin, incentrata in particolare sul conflitto tra Russia e Ucraina. Il primo resoconto su quanto convenuto arriva da un comunicato rilasciato dal Cremlino, che ha reso noto come il presidente russo abbia accettato la proposta di Trump affinché le parti in conflitto si astengano reciprocamente dagli attacchi alle infrastrutture energetiche per 30 giorni, impartendo immediatamente il comando corrispondente al suo esercito. Contestualmente è uscita con una nota anche la Casa Bianca, che ha confermato che i due leader hanno concordato che il percorso verso una pace permanente proseguirà con negoziati tecnici sull’attuazione di un cessate il fuoco marittimo nel Mar Nero e un cessate il fuoco completo.

Nel comunicato diramato dal governo russo si legge che «Vladimir Putin ha espresso gratitudine a Donald Trump» per il suo desiderio di «contribuire al raggiungimento del nobile obiettivo di porre fine alle ostilità e alle perdite umane», sottolineando che, «dopo aver confermato il suo impegno fondamentale per una risoluzione pacifica del conflitto, il presidente russo ha dichiarato la sua disponibilità a collaborare con i suoi partner americani per esplorare a fondo le possibili modalità per raggiungere una soluzione che sia globale, sostenibile e a lungo termine». Tenendo conto, puntualizza la nota, «dell’assoluta necessità di eliminare le cause profonde della crisi, gli interessi legittimi della Russia nel campo della sicurezza». Durante la telefonata, spiega ancora il Cremlino, «è stato sottolineato che la condizione fondamentale per impedire l’escalation del conflitto e lavorare alla sua risoluzione attraverso mezzi politici e diplomatici dovrebbe essere la cessazione completa degli aiuti militari stranieri e la fornitura di informazioni di intelligence a Kiev», rilevando «i gravi rischi legati all’incapacità di negoziare» del governo ucraino, che ha «ripetutamente sabotato e violato gli accordi raggiunti». Putin ha inoltre riferito che domani avrà luogo uno scambio di prigionieri con la controparte ucraina, «175 per 175 persone», e che «verranno trasferiti 23 militari ucraini gravemente feriti, attualmente ricoverati presso strutture mediche russe». Inoltre, Putin e Trump hanno convenuto che bisognerà intraprendere sforzi congiunti per «stabilizzare» la situazione in Medio Oriente e nella regione del Mar Rosso.

«Oggi, il Presidente Trump e il Presidente Putin hanno parlato della necessità di pace e di un cessate il fuoco nella guerra in Ucraina – si legge nel comunicato diffuso da Washington –. Entrambi i leader hanno concordato che questo conflitto deve concludersi con una pace duratura». Oltre a dare atto dell’accordo raggiunto sul cessate il fuoco e sulle tappe funzionali a una pace duratura, la nota si spiega che «i leader hanno parlato ampiamente del Medio Oriente come di una regione di potenziale cooperazione per prevenire futuri conflitti», discutendo inoltre della «necessità di fermare la proliferazione di armi strategiche e si impegneranno con altri per garantire la più ampia applicazione possibile» e condividendo l’opinione che «l’Iran non dovrebbe mai essere in grado di distruggere Israele». Il comunicato si chiude attestando che Trump e Putin hanno concordato che «un futuro con un rapporto bilaterale migliorato tra Stati Uniti e Russia ha un enorme potenziale positivo», includendo «enormi accordi economici e stabilità geopolitica quando la pace sarà raggiunta».

[di Stefano Baudino]

Ecuador: emergenza ambientale per una grave fuoriuscita di petrolio

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In Ecuador una fuoriuscita di petrolio sta causando un vero e proprio disastro ambientale che ha già colpito diverse riserve naturali e un tratto del fiume principale della provincia, causando anche il blocco di diverse linee di distribuzione di acqua potabile. L’incidente è avvenuto nel settore El Vergel-El Mirador del cantone di Quinindé, nella provincia di Esmeraldas, e sarebbe stato causato da una frana che avrebbe danneggiato gli oleodotti della società statale Petroecuador. Il sindaco di Esmeraldas, Vicko Villacís, ha affermato che la perdita ha causato «danni senza precedenti». Le autorità hanno dichiarato lo stato di emergenza ambientale, mentre alcuni abitanti tentano di contenere i danni con mezzi di fortuna. Il governo, invece, ha annunciato misure straordinarie per gestire la crisi e avviare la bonifica della zona.

La causa dell’incidente è stata la rottura di un tratto dell’oleodotto transecuadoriano (SOTE) che, secondo i media locali, sarebbe dovuta a una frana che ha danneggiato l’infrastruttura nel chilometro 431 della condotta. Il petrolio si è poi riversato nel fiume Esmeraldas, alterandone il colore e penetrando nei pendii circostanti. Nelle aree più colpite, gli abitanti si sarebbero persino impegnati a costruire dighe improvvisate nel tentativo di arginare il flusso di greggio. Il sindaco Vicko Villacís, intanto, ha bloccato l’approvvigionamento cittadino per evitare contaminazioni, ma ciò ha causato una crisi idrica che ha comportato razionamenti e il conseguente utilizzo dei 35 milioni di litri di riserva per distribuirli alla popolazione locale. Nel frattempo, Petroecuador, la compagnia petrolifera statale, ha avviato interventi di emergenza, ma non ha ancora quantificato l’ammontare della fuoriuscita. In totale, il Ministero dell’Ambiente ha stimato che l’incidente ha colpito almeno 966 famiglie residenti in zona.

Il presidente dell’Ecuador, Daniel Noboa Azin, ha dichiarato: «Convocherò il Comitato per le operazioni di emergenza a livello nazionale. Petroecuador deve assumersi le proprie responsabilità. A differenza del passato, questa volta risponderà delle sue azioni con l’obbligo di effettuare la bonifica a Esmeraldas. Per questo motivo verrà creato un fondo con due obiettivi: il risanamento ambientale e il risarcimento a tutte le famiglie colpite. Il Ministro dell’Ambiente si mobiliterà immediatamente per coordinare queste azioni». L’Agenzia nazionale per l’acqua, invece, ha pubblicato un comunicato che riassume le strategie messe in atto per contenere l’emergenza: è stata definita una tabella di marcia per ridurre al minimo l’impatto sulla fornitura di acqua potabile nei cantoni colpiti, sono stati monitorati quattro punti che potrebbero fungere da fonti alternative di raccolta dell’acqua, sono stati prelevati otto campioni di acque profonde all’interno della struttura di presa dell’impianto di trattamento di San Mateo – con il supporto di subacquei e laboratori accreditati – allo scopo di analizzare il rientro dell’acqua sulla spiaggia e il riavvio dell’impianto di trattamento e, infine, è stato elaborato un piano per individuare i luoghi in cui dare priorità alla distribuzione dell’acqua, tra cui ospedali, macelli, mercati, asili nido e istituti di aiuti umanitari.

Il disastro si aggiunge all’emergenza che era già in vigore in zona a causa delle piogge. Tuttavia, al momento, stando alle fonti locali, rimane un interrogativo tutt’altro che ignorabile: Petroecuador aveva già riportato una perdita nella stessa zona domenica 9 marzo, attraverso un comunicato che parlava di «perforazioni clandestine» come cause. Non è ancora noto se si tratti della stessa perdita che si è amplificata o di un altro evento simile in zona. Quello che è certo, per ora, è che sembra difficile pensare che la zona non necessiti di un’accurata manutenzione e bonifica per impedire il ripetersi di disastri simili.

[di Roberto Demaio]

Rapporto: una patrimoniale europea del 3% sui super ricchi porterebbe 121 miliardi l’anno

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Una tassa del 3% sui patrimoni superiori ai 100 milioni di euro potrebbe generare 15 miliardi in Italia e 121 miliardi a livello europeo. È quanto emerge dal rapporto dell’Osservatorio fiscale europeo, guidato dall’economista Gabriel Zucman. La misura, già discussa al G20, è stata ripresentata oggi all’annuale Tax Symposium di Bruxelles. Essa, secondo le stime, neutralizzerebbe l’attuale regressività fiscale, per cui i più ricchi pagano aliquote inferiori rispetto alla classe media. Oggi, fase in cui l’imposizione effettiva sui miliardari si attesta solo allo 0,2%, l’introduzione di questo patrimonio garantirebbe risorse per investimenti e servizi pubblici, senza aumentare il debito.

Nello specifico, il report suggerisce l’introduzione di un’imposta minima del 2% sulla ricchezza delle persone con un patrimonio superiore a 100 milioni di euro, o una tassa del 3% per chi possiede più di un miliardo di euro. Uno strumento che, secondo gli autori, potrebbe generare entrate significative senza impattare la crescita economica. La logica alla base della proposta è semplice: attualmente, i super-ricchi pagano aliquote fiscali effettive inferiori rispetto al resto della popolazione. Secondo l’EU Tax Observatory, i sistemi fiscali moderni non riescono infatti a tassare efficacemente questa fascia di contribuenti, permettendo loro di sfruttare scappatoie e paradisi fiscali. Durante la Seconda guerra mondiale, evidenzia il rapporto, Francia e Regno Unito introdussero tasse straordinarie sui ricchi per finanziare le spese belliche, e l’idea di una tassazione più equa su questa fascia di popolazione è ampiamente supportata dai cittadini europei: secondo un sondaggio Eurobarometro, il 67% si è espresso favorevolmente.

Una delle principali critiche alle imposte patrimoniali è la possibile mancanza di liquidità per i contribuenti colpiti. Tuttavia, il report evidenzia che un’imposta del 2% sulla ricchezza sarebbe inferiore al rendimento medio del capitale per i super-ricchi, stimato oltre il 7% annuo negli ultimi 40 anni, al netto dell’inflazione. Inoltre, la proposta include un meccanismo di compensazione: chi già paga imposte sul reddito elevate non dovrebbe versare ulteriori somme, garantendo così equità ed evitando doppia imposizione. La proposta ha già trovato spazio nel dibattito politico europeo. A febbraio 2025, l’Assemblea Nazionale francese ha approvato una tassa del 2% sui centi-milionari, e altri Stati membri potrebbero seguire l’esempio. La ricerca presenta inoltre una serie di simulazioni per calcolare il gettito fiscale nei diversi Paesi europei. Ad esempio, in Francia la tassa potrebbe generare fino a 34,8 miliardi di euro con un’aliquota del 3%, mentre in Germania si arriverebbe a 30,4 miliardi di euro. In Italia, il gettito stimato sarebbe di 15 miliardi con un’imposta del 3% e 8,3 miliardi con un’aliquota del 2%.

Ma come potrebbe concretamente impattare l’introduzione di una tassa del 3% sui patrimoni superiori ai 100 milioni di euro in Italia e in Europa? Tali risorse potrebbero essere destinate a numerosi investimenti pubblici strategici. A livello europeo, oltre che per il potenziamento delle infrastrutture di trasporto e la promozione della sostenibilità – settori per i quali la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) ha stanziato oltre 15 miliardi – i 121 miliardi recuperati dalla tassa sui patrimoni dei super-ricchi coprirebbero interamente la quota del contributo offerti dai fondi strutturali e di investimento europei (SIE) per il miglioramento della ricerca e innovazione, alla competitività delle piccole e medie imprese e allo sviluppo del mercato unico digitale. Nel nostro Paese, per esempio, contribuendo all’ammodernamento e alla digitalizzazione delle infrastrutture elettriche nei prossimi 10 anni, stimato da Terna in 23 miliardi, così come ad investimenti nelle energie rinnovabili per il settore ferroviario, dopo che Ferrovie dello Stato ha annunciato un piano di 1,3 miliardi di euro destinato a coprire il 19% del fabbisogno energetico del settore ferroviario entro il 2029. Altro capitolo potrebbe essere quello del welfare studentesco: basti pensare che il PNRR prevede 1,91 miliardi di euro per triplicare i posti disponibili per gli studenti fuori sede e aumentare importo e platea di riferimento delle borse di studio.

[di Stefano Baudino]

Bosnia, ancora mandati d’arresto per capi della Repubblica Srpska

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La Corte statale bosniaca ha emesso un mandato di arresto nazionale per il presidente della Republika Srpska, l’entità del Paese a maggioranza serba, Milorad Dodik. Emanati mandati anche per Radovan Višković e Nenad Stevandić, rispettivamente primo ministro e presidente dell’Assemblea Nazionale della Republika Srpska. La decisione della Corte arriva dopo l’emissione di mandati d’arresto da parte della Procura generale del Paese, rilasciati il 12 marzo, dopo che i tre non si sono presentati a delle convocazioni per un interrogatorio. Ora qualsiasi agente di polizia nel Paese che li incontri sarebbe tenuto ad arrestarli immediatamente. I tre sono accusati di aver “attaccato l’ordine costituzionale”.

Il libro bianco della Difesa Europea definisce la Russia «minaccia esistenziale»

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La Russia è la minaccia principale per l’Europa, seguita dalla Cina. Questo il messaggio centrale del libro bianco sul futuro della difesa europea, documento strategico approvato dalla Commissione UE che delinea un’Europa in stato di allerta permanente. La Russia, «minaccia esistenziale» per la sicurezza stessa dell’Unione, si avvale poi dell’appoggio di altri Paesi quali «la Bielorussia, la Cina, la Corea del Nord e l’Iran», i quali costituiscono, di riflesso, pericoli altrettanto seri per l’Unione. Pechino, in particolare, è accusata di alterare gli equilibri nell’Indo-Pacifico, sfruttando strumenti economici e informatici, mettendo così in atto una politica estera pericolosa per Bruxelles. Il quadro delineato dall’Unione appare così giustificare pienamente la corsa al riarmo e le politiche belliciste europee, nelle quali Bruxelles sta spendendo tutte le sue risorse.

La difesa dell’Ucraina contro «una minaccia esistenziale per la sicurezza europea» diventa così un obiettivo a breve termine di primaria importanza per l’Unione, che esorta i suoi Stati a rimanere «fermamente» dalla parte di Kiev. La Russia rappresenta infatti, al momento, «la minaccia diretta e indiretta più significativa per l’UE e la sua sicurezza, nonché per la sicurezza dei Paesi candidati e dei partner dell’UE». Una eventuale svolta nel conflitto con l’Ucraina, scrive il documento, «dipende quasi interamente dagli europei», motivo per il quale all’Ucraina servono più armi «prima della fine dei negoziati». L’ombra è quella di una plausibile (secondo Bruxelles) volontà di conquista della Russia, che potrebbe muoversi «contro altri Paesi, compresi eventualmente Stati membri dell’UE». Per questo motivo gli Stati membri sono invitati a «revocare tutte le restrizioni all’uso dei sistemi d’arma occidentali forniti all’Ucraina contro obiettivi militari nel territorio russo». Allo stesso tempo, tuttavia, si invitano gli Stati a «individuare una soluzione pacifica alla guerra», basata «sul pieno rispetto dell’indipendenza, della sovranità e dell’integrità nazionale dell’Ucraina».

Proprio «dati i suoi precedenti [della Russia, ndr] di invadere i suoi vicini e le sue attuali politiche espansionistiche, il bisogno di una deterrenza da un’aggressione armata russa rimarrà anche dopo un giusto e duraturo accordo di pace con l’Ucraina». La minaccia russa, insomma, è presente e costante per l’Europa, che si arrivi o meno a una pace con l’Ucraina. In questo contesto, la Cina, oltre a rappresentare un rischio in quanto alleata della Russia, sta «erodendo l’ordine internazionale» perseguendo politiche estere «assertive e ostili in ambito economico e di concorrenza» e costituendo quindi una minaccia per gli interessi europei. In questo contesto, Pechino sta anche «investendo somme ingenti nelle sue forze armate». A completare il quadro vi è poi l’instabilità del Medio Oriente, che minaccia i confini dell’Europa meridionale.

La «minaccia esistenziale» per l’Europa delle ipotetiche mire espansionistiche della Russia funge quindi da intero motore per il supporto alle politiche bellicistiche e di riarmo dell’Unione. Solamente una settimana fa, infatti, il Parlamento europeo ha dato il via libera al piano ReArm Europe, che prevede l’investimento di 800 miliardi di euro nella difesa – ovvero nel mercato della guerra. Nelle scorse ore, inoltre, l’Alto Rappresentante dell’UE Kaja Kallas ha proposto lo stanziamento di 40 miliardi aggiuntivi per armare Kiev, che tuttavia sembra non aver trovato il favore dei Paesi UE.

[di Valeria Casolaro]

Siria e Libano, concordato il cessate il fuoco dopo gli scontri

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Il ministro della Difesa libanese Michel Menassa e il suo omologo siriano Murhaf Abu Qasra hanno concordato un cessate il fuoco, hanno affermato i ministeri della Difesa libanese e siriano in dichiarazioni rilasciate oggi, mentre gli scontri transfrontalieri degli ultimi due giorni hanno causato in tutto 10 morti. I ministri hanno inoltre concordato di proseguire i contatti tra le direzioni dei servizi segreti dell’esercito per impedire un ulteriore deterioramento della situazione al confine, punto critico nei tre mesi trascorsi da quando i ribelli islamici hanno rovesciato il regime siriano di Bashar al-Assad, installato le proprie istituzioni e il proprio esercito.