sabato 6 Settembre 2025
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Gaza: il genocidio ricomincia con un massacro, l’Occidente non dice nulla

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«Israele combatterà e vincerà. Riporteremo a casa la nostra gente e distruggeremo Hamas. Non ci arrenderemo finché non raggiungeremo tutti questi obiettivi vitali». Così Benjamin Netanyahu chiude il suo messaggio alla nazione, rilasciato ieri sera dopo un’intensa giornata di bombardamenti sulla Striscia di Gaza che hanno ucciso oltre 400 persone. Tra ieri e oggi, l’esercito israeliano ha colpito tutti i governatorati della Striscia, e l’intenzione sembra quella di non fermarsi. Netanyahu ha infatti detto che l’attacco di ieri costituisce «solo un inizio» e che da ora in avanti tutti i negoziati per una tregua andranno avanti «sotto il fuoco», rilanciando la mobilitazione terrestre. Nel frattempo, l’impunità verso i crimini israeliani continua a regnare sovrana: gli Stati Uniti offrono il loro più incrollabile appoggio a Israele, mentre ONU e Unione Europea rilasciano le loro rituali condanne a Tel Aviv, come al solito, senza muovere realmente un dito.

I bombardamenti israeliani sono stati lanciati nella notte tra martedì e mercoledì 18 marzo, e sono andati avanti tutto il giorno. Nel corso di ieri e oggi sono stati attaccati tutti i governatorati: oggi, nella notte, a Rafah, nel sud della Striscia, sono state uccise almeno due persone che si trovavano presso una tenda per sfollati; nelle stesse ore, a Khan Younis analoghi attacchi hanno ucciso almeno quattro persone; a Deir al-Balah, nel centro, è stato ucciso un operatore umanitario, e altri cinque sono rimasti feriti in seguito a un attacco presso il quartier generale dell’ONU. Ucciso anche un civile presso il campo di Nuseirat, e pieno l’ospedale dei martiri di Al-Aqsa, uno dei maggiori della Striscia. Secondo i giornalisti dell’emittente Al Jazeera presenti sul campo, alcuni dei residenti starebbero preferendo non lasciare le proprie case perché non hanno «posto dove andare» né «più niente da perdere». Gaza City è stata colpita in diverse aree e quartieri, così come il governatorato di Nord Gaza, che in questo momento si trova sotto colpi di artiglieria; Israele si sta inoltre muovendo per prendere il controllo del corridoio di Netzarim, che divide il governatorato settentrionale dal resto della Striscia. In generale, dalla mattina di oggi, Israele ha ucciso 29 persone; da ieri, invece, si contano 436 morti, di cui 183 bambini. La situazione umanitaria, inoltre, resta emergenziale, con la fornitura di aiuti bloccata da settimane e le reti elettrica e idrica interrotte da giorni. A ora, circa l’85% delle strutture idriche e igienico-sanitarie di Gaza risultano contaminate o danneggiate.

L’annuncio della ripresa dei combattimenti è stato accolto con gioia dall’estrema destra israeliana di Ben Gvir, che ha deciso di rientrare nella coalizione di governo. Netanyahu, oggetto di pressioni politiche sin dalla firma degli accordi di gennaio, ha accolto a braccia aperte l’ex alleato di governo, e oggi il suo ufficio ha annunciato ufficialmente il suo rientro (e quello di altri esponenti di estrema destra) nell’esecutivo. Hamas, intanto, ha condannato le azioni israeliane e chiesto il supporto di tutte le «persone libere» del mondo, lanciando un appello alla mobilitazione globale. Il movimento palestinese, comunque, ha tenuto aperta la porta per proseguire con i negoziati, pur sottolineando che, almeno in teoria, degli accordi erano già stati raggiunti. Gli alleati e i Paesi vicini alla Palestina, oltre a supportare l’organizzazione e condannare le azioni israeliane, hanno risposto attivamente: gli Houthi, recentemente attaccati dagli Stati Uniti, hanno rilanciato le loro attività contro Israele, e l’Egitto ha annunciato che si mobiliterà per presentare il prima possibile un piano per la pace.

Dal resto del mondo, sono arrivate nella migliore delle ipotesi solo parole. Gli USA hanno rimarcato il loro supporto a Israele, sottolineando di essere stati consultati prima degli attacchi di ieri. L’Unione Europea, per voce dell’Alta Rappresentante per gli Affari Esteri Kaja Kallas, ha condannato gli attacchi israeliani in una fumosa dichiarazione che chiede ad Hamas di rilasciare gli ostaggi immediatamente, strizzando l’occhio alla interpretazione di Netanyahu per cui la rottura degli accordi sarebbe stata causata dall’organizzazione palestinese. Nel corso di questi due mesi di cessate il fuoco, Israele non ha mai cessato gli attacchi, e ha ritardato i colloqui per l’implementazione della seconda fase, che prevedeva di continuare gli scambi di ostaggi e prigionieri sullo sfondo di una cessazione permanente delle ostilità e del ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia. Al suo posto, fiancheggiata dagli USA, ha proposto un semplice prolungamento della tregua temporanea.

[di Dario Lucisano]

Bangladesh, arrestato il capo di un movimento ribelle Rohingya

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Le autorità del Bangladesh hanno arrestato il leader del gruppo ribelle Rohingya dell’Arakan Rohingya Salvation Army (ARSA), Ataullah Abu Ammar Jununi. Ataullah è stato arrestato assieme ad altre dieci persone con l’accusa di omicidio, ingresso illegale, sabotaggio e attività militanti. L’arresto è avvenuto ieri, martedì 18 marzo durante un raid nella città di Narayanganj, ed è stato annunciato oggi. L’ARSA è un gruppo musulmano di etnia Rohingya che denuncia di essere perseguitato dalla maggioranza buddista della Birmania. Gli scontri con le forze birmane hanno portato a una repressione militare nel Paese, costringendo centinaia di migliaia di Rohingya a fuggire in Bangladesh.

L’Ungheria ha vietato il Pride per “proteggere i bambini”

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Con l’approvazione di un emendamento alla legge sulle assemblee, il Parlamento ungherese ha vietato lo svolgersi, a Budapest, del Pride, manifestazione che si svolge ogni anno in vari Paesi nel mondo per riportare l’attenzione sulla tutela dei diritti della comunità LGBTI. Secondo il governo, il divieto, approvato con 136 voti a favore e 27 contrari, è stato imposto al fine di «proteggere» i minori, in quanto il Pride violerebbe «i diritti dei bambini a un corretto sviluppo fisico, intellettuale e morale».

La legge sulla «protezione dei bambini» era stata approvata in Ungheria nel 2021 ed era stata rinominata dai critici “anti-LGBT”, in quanto conteneva una serie di norme discriminatorie nei confronti di questa comunità. Proprio per questo motivo, la legge era stata duramente criticata anche da Parlamento e Commissione UE, che aveva aperto una procedura di infrazione contro l’Ungheria e accusato il governo di star gradualmente e intenzionalmente «smantellando i diritti fondamentali» della popolazione. La legge vietava, tra le altre cose, la diffusione di materiale afferente alla comunità LGBTQ+ nelle scuole e nei programmi televisivi per soggetti minori di 18 anni.

Gli organizzatori del Pride hanno criticato con forza la decisione del governo, facendo notare come in questo modo i diritti dei cittadini vengano ulteriormente ristretti. «Se una protesta può essere vietata perché non piace al governo ungherese, anche le altre proteste verranno vietate» ha commentato il gruppo Budapest Pride. Dal canto suo, il presidente ungherese Orbán ha espresso piena soddisfazione per la norma approvata: «Oggi abbiamo votato per vietare gli assembramenti che violano le leggi sulla tutela dei minori. In Ungheria, il diritto di un bambino a uno sviluppo fisico, mentale, intellettuale e morale sano viene prima di tutto. Non lasceremo che l’ideologia woke metta in pericolo i nostri figli» ha dichiarato.

Associazioni per i diritti umani come Amnesty International hanno definito il provvedimento un «attacco frontale» contro la comunità LGBTI, in quanto «riporta l’orologio indietro di tre decenni, minando ulteriormente i diritti faticosamente conquistati dalle persone LGBTI in Ungheria». La legge, aggiunge Amnesty, «è solo l’ultima di una serie di misure discriminatorie adottate dalle autorità che prendono di mira e stigmatizzano le persone e i gruppi LGBTI».

C’è da dire che sono tanti i fattori che potrebbero comportare un disturbo nel corretto sviluppo dei bambini, per i quali in Ungheria (come in molti altri Paesi del mondo) non esistono tuttavia norme regolatrici. Tra questi vi è, in primo luogo, l’utilizzo di dispositivi elettronici e social network già in giovanissima età, i quali comportani danni allo sviluppo evidenziati da numerosi studiosi. Le piattaforme digitali, inoltre, sono accusate di raccogliere una immensa mole di dati sensibili dei minori, nonostante i divieti, divenendo al contempo anche il mezzo principale per la socializzazione dei ragazzi. A questo si aggiunga il contesto di violenza generalizzata nel quale vivono immersi i bambini, tra narrazioni belliciste che dominano il discorso pubblico, immagini di genocidi, venti di guerra e un generale clima di incertezza e crisi diffusa. Un contesto non certo ideale per un «corretto sviluppo fisico, intellettuale e morale» dei più piccoli. Per il governo ungherese, tuttavia, il Pride potrebbe costituire una minaccia più grande.

[di Valeria Casolaro]

Cos’è il piano dell’UE che vuole “mobilitare” 10 mila miliardi di risparmi dei cittadini?

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Mobilitare i risparmi delle famiglie per sostenere il riarmo europeo: è una delle proposte lanciate dalla Commissione europea e contenuta nel Libro Bianco per il Futuro della Difesa Europa, il documento volto a organizzare il settore degli investimenti militari e della Difesa a livello comunitario. In particolare, i vertici di Bruxelles intendono creare una Unione dei risparmi e degli investimenti per mettere in circolo i 10 mila miliardi di risparmi presenti nei conti correnti, trasformandoli in capitali di rischio e in investimenti con l’obiettivo di sostenere la competitività dell’industria europea e il riarmo: “l‘Unione dei risparmi e degli investimenti aiuterà a convogliare l’investimento privato aggiuntivo nel settore della difesa. Essa potrebbe, da sola, attrarre centinaia di miliardi aggiuntivi all’anno nell’economia europea, rafforzando la sua competitività”, si legge nel Libro Bianco. La misura prevede, per la sua realizzazione, di eliminare le barriere finanziarie tra gli Stati membri e la possibile creazione di un “conto di risparmio e investimento” per incentivare e agevolare la partecipazione dei piccoli risparmiatori al mercato dei capitali. Inoltre, sono previste nuove regole di “due diligence” nel settore finanziario e dei provvedimenti per potenziare «l’alfabetizzazione finanziaria» tra i cittadini. Il piano sui risparmi sarà discusso oggi dalla Commissione, anche sulla scia delle considerazioni e delle proposte di Mario Draghi, e ai governi nazionali verrà presentata la proposta di comunicazione sull’Unione dei risparmi e gli investimenti.

I conti di risparmio e investimento – che potrebbero essere i principali mezzi per attivare le risorse economiche private – dovrebbero essere strumenti finanziari che combinano le caratteristiche dei conti di risparmio tradizionali con opportunità di investimento, permettendo così di accumulare capitale nel tempo e ottenere rendimenti superiori rispetto ai conti deposito o ai conti correnti standard. Per invogliare i cittadini a investire le loro risorse, infatti, sarebbe previsto l’aumento dei rendimenti sui risparmi e l’ampliamento delle opportunità di finanziamento per le imprese. Secondo quanto riferito dal Sole 24 Ore, in alcuni Paesi questo strumento è già utilizzato e ha dato buoni risultati, grazie a piattaforme digitali semplici da usare, regole fiscali semplificate e rendimenti preferenziali. Non a caso, la Commissione ha in programma di presentare, entro giugno, «proposte di revisione della due diligence, della trasparenza e dei requisiti prudenziali per banche e assicuratori» con «un’ulteriore semplificazione» delle regole, una sorta di “deregolamentazione finanziaria” che dovrebbe promuovere la capacità di convogliare gli investimenti nel settore bellico. L’adozione di un provvedimento sui conti di risparmio è prevista entro settembre e potrebbe essere un provvedimento legislativo o meno a seconda della posizione di Consiglio e Parlamento.

Fondamentale, però, per mobilitare i risparmi a favore della Difesa e della competitività europea, è l’abolizione delle barriere finanziarie tra gli Stati membri. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, «le barriere tra gli Stati membri sui servizi finanziari nel mercato interno equivalgono a dazi del 100%». Di conseguenza, la «necessità di rimuovere gli ostacoli alle attività transfrontaliere, di semplificare e rendere proporzionale la regolamentazione, e di una maggiore attenzione all’educazione finanziaria» sarebbero obiettivi condivisi da Stati membri, industria finanziaria e società civile, con cui la Commissione UE si è confrontata negli scorsi mesi. Sempre secondo Il Sole 24 ore, il piano della Commissione riguarda «l’intero sistema finanziario dell’Unione» e richiede «molto coraggio» da parte delle capitali europee, in quanto comporta una inevitabile cessione di sovranità. Quest’ultima riguarda sia il piano finanziario che quello militare. Del resto, lo stesso Mario Draghi, parlando ieri in audizione al Senato sul futuro della competitività europea ha detto, in relazione all’integrazione degli eserciti europei, che «occorre definire una catena di comando di livello superiore […] in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali».

A completare il quadro di cessione delle sovranità nazionali subentra poi la realizzazione di un sistema bancario integrato e l’Unione bancaria, fondamentali per rimuovere le barriere transfrontaliere e per il successo dell’Unione dei risparmi e degli investimenti. Il riarmo e il rilancio della competitività europea si configurano, dunque, come gli elementi cardine per raggiungere quegli obiettivi che l’Unione non ha raggiunto fino ad ora, vale a dire accentrare sempre di più il potere decisionale a livello comunitario e attingere al risparmio privato dei cittadini. Il tutto anche per risollevarsi da una crisi economico-industriale che sta pesando sulle industrie e il tessuto sociale, tanto che sta circolando l’ipotesi di una possibile riconversione del settore automobilistico verso la Difesa. Del resto, come disse il Senatore e ex primo ministro italiano Mario Monti, «non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi – e di gravi crisi – per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario». In questo caso, a pagare le conseguenze della crisi e il riarmo europeo potrebbero essere direttamente i cittadini con i loro risparmi.

[di Giorgia Audiello]

Serbia, confermate le dimissioni del premier

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Con 146 voti a favore, il Parlamento serbo ha convalidato le dimissioni del Primo Ministro Miloš Vučević. Vučević aveva rassegnato le proprie dimissioni alla fine di gennaio a causa dell’ingente mobilitazione sollevatasi dopo il crollo della tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad lo scorso 1° novembre, in seguito alla quale sono morte 15 persone. Ora, il governo serbo diventerà ufficialmente un governo tecnico e il Paese avrà 30 giorni per eleggere un nuovo esecutivo. Se ciò non dovesse avvenire, si andrà a elezioni.

Gli scienziati hanno scoperto centinaia di nuove specie animali oceaniche

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Ci sono squali a forma di chitarra, coralli a ventaglio e lumache velenose dotate di denti simili ad arpioni: è quanto scoperto grazie al lavoro di ricerca condotto da Ocean Census, iniziativa globale che punta ad accelerare la catalogazione della biodiversità marina. Grazie ad immersioni ed esplorazioni con sommergibili, la squadra ha catalogato ben 866 potenziali nuove specie, il che dimostra, secondo i ricercatori, la straordinaria diversità biologica ancora ignota agli scienziati e quanto ancora poco sappiamo degli abissi oceanici. «Queste ultime scoperte dimostrano come la collaborazione internazionale possa far progredire la nostra comprensione della biodiversità oceanica», ha dichiarato Mitsuyuki Unno, direttore esecutivo della Nippon Foundation-Nekton Ocean Census, il quale ha sottolineato però che le conferme e le registrazioni ufficiali potranno richiedere anni e che alcune specie potrebbero estinguersi ancora prima di essere documentate.

Gli oceani coprono oltre il 70% della superficie terrestre, ma rimangono tra gli ambienti meno esplorati del pianeta, in quanto si stima che solo il 10% delle specie marine sia stato identificato. Le profondità oceaniche ospitano ecosistemi complessi, ancora in gran parte sconosciuti, popolati da creature che si sono adattate a condizioni estreme, come alte pressioni e temperature variabili. Per colmare questa lacuna, nel 2023 è stato avviato Ocean Census, un’iniziativa globale che coinvolge più di 800 scienziati provenienti da 400 istituzioni. Il progetto, con un orizzonte decennale, punta a identificare 100.000 nuove specie e ad accelerare la catalogazione della biodiversità marina, utilizzando tecnologie all’avanguardia come il sequenziamento del DNA ambientale e l’imaging in tempo reale. Per quanto riguarda l’ultima scoperta, le nuove specie sono state individuate grazie a 10 spedizioni che hanno previsto immersioni di subacquei, esplorazioni con sommergibili pilotati e veicoli a comando remoto, in missioni che hanno raggiunto profondità comprese tra 1 e 4.990 metri. Gli scienziati hanno condotto analisi dettagliate, raccogliendo campioni per la classificazione e lo studio genetico delle specie rilevate.

Lo squalo chitarra scoperto durante le spedizioni. Credit: The Nippon Foundation-Nekton Ocean Census / Peter Stahlschmidt © 2025
Il nuovo “ottocorallo” scoperto durante le spedizioni. Credit: The Nippon Foundation-Nekton Ocean Census / Peter Stahlschmidt © 2025

I ricercatori hanno dichiarato che tra le scoperte più rilevanti figurano un elegante ottocorallo dalle Maldive capace di svolgere un ruolo chiave nella stabilità della barriera corallina, uno squalo chitarra del genere Rhinobatos – la 38esima specie simile al mondo, trovata a 200 metri di profondità al largo di Mozambico e Tanzania – e una lumaca predatrice, chiamata “Turridrupa magnifica”, capace di iniettare tossine nelle sue prede. Quest’ultima, spiegano i ricercatori, risulta particolarmente interessante perché i composti bioattivi del suo veleno potrebbero avere applicazioni mediche, come già avvenuto con specie affini per lo sviluppo di farmaci antidolorifici. In tutti i casi, nonostante il lavoro compiuto dimostri che le nuove tecnologie stanno rivoluzionando il settore della ricerca marina, gli esperti hanno sottolineato che ogni nuova specie scoperta necessita di un processo di identificazione, che spesso è lento e si protrae persino per anni: «Passare attraverso il processo di revisione paritaria accademica per avere il nome di quella specie in un articolo può richiedere un lasso di tempo così straordinario che quasi ostacola quella conoscenza. I nostri ambienti marini stanno affrontando sfide straordinarie e se vogliamo iniziare a comprendere la biodiversità, la connettività, la biogeografia e la potenziale perdita, come ad esempio l’impatto che questo cambiamento climatico avrà sul nostro ambiente marino, dobbiamo iniziare a trovare modi più rapidi», ha commentato Michelle Taylor, esperta di coralli presso l’Università dell’Essex e ricercatrice per Ocean Census, aggiungendo che in futuro l’organizzazione intraprenderà 10 nuove spedizioni allo scopo di fornire ulteriori dettagli sulla biodiversità marina e contribuire alla scoperta di nuove specie che popolano le profondità oceaniche.

[di Roberto Demaio]

Trasporti, oggi sciopero treni in tutta Italia

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Dalle 9 alle 17 oggi sarà in atto lo sciopero del personale delle Ferrovie, indetto dal sindacato autonomo Orsa, da Ugl e da Fast. Tra i punti della protesta, il mancato rinnovo del contratto, scaduto da un anno e mezzo. A causa della mobilitazione potrebbe verificarsi la cancellazione parziale o totale di Frecce, Intercity e Regionali, fa sapere Ferrovie dello Stato.

L’Italia si riempie di manifestazioni contro la ripresa del genocidio in Palestina

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Ieri mattina, alla notizia del massiccio bombardamento israeliano sulla Striscia di Gaza giovani e attivisti italiani hanno deciso di reagire, organizzando presidi di emergenza contro il genocidio in Palestina. Tra i primi a prendere parola sono stati i Giovani Palestinesi, Unione Democratica Arabo-Palestinese e Associazione dei Palestinesi Italiani, che hanno lanciato manifestazioni a Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Modena, Napoli, Padova e Torino. La maggior parte dei presidi si è tenuta nelle piazze principali delle rispettive città, a partire dalle 20. Alcune province, tuttavia, si sono mobilitate sin dalle prime ore del pomeriggio, come nel caso di Padova. Nelle stesse ore sono pervenuti anche appelli provenienti da movimenti solidali alla Palestina e da realtà islamiche italiane.

A Milano si è svolto in serata un corteo che ha attraversato le vie del centro cittadino, con un gruppo di manifestanti che ha sostato di fronte alla sede del consolato statunitense, in via Turati, protestando contro il supporto statunitense al genocidio in corso a Gaza. Centinaia di persone in piazza anche a Napoli e Bologna, dove erano presenti anche diverse sigle sindacali: «Siamo scese in piazza ieri e oggi, e continueremo le mobilitazioni per ribadire che Napoli è una città resistente e solidale, che non sarà complice del genocidio e che resterà al fianco della Resistenza palestinese fino alla vittoria» riporta un comunicato dell’Unione Democratica Arabo-Palestinese sui social. A Torino, un migliaio di persone hanno attraversato le vie del centro e annunciato nuove mobilitazioni per il prossimo 22 marzo e il 12 aprile, data della manifestazione nazionale che dovrebbe svolgersi a Milano. «Israele rompe la tregua, il genocidio non si è mai fermato» si legge sullo striscione a capo del corteo. A Padova, cinque manifestanti avrebbero ricevuto altrettanti fogli di via dopo alcuni brevi momenti di tensione con le forze dell’ordine.

Il grido sollevatosi dalle piazze in tutta Italia è il medesimo: stop al genocidio. Dopo l’ennesimo massacro compiuto da Israele ai danni della popolazione civile (il cui bilancio avrebbe superato le 400 vittime, per la maggior parte bambini), la cittadinanza è tornata a chiedere la fine dell’aggressione in corso e della complicità occidentale con Israele, oltre a ribadire la propria contrarietà verso la corsa al riarmo europea. Numerosi, infatti, sono stati gli striscioni contro i piani bellicistici dell’UE, insieme alle richieste rivolte ai governi di smettere di essere complici e di condannare, una volta per tutte e in maniera concreta, il piano genocida di Israele.

[di Valeria Casolaro]

Caos in Turchia: arrestato il sindaco di Istanbul, principale oppositore politico di Erdogan

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Le autorità turche hanno arrestato Ekrem İmamoğlu, sindaco di Istanbul e principale rivale politico del presidente Recep Tayyip Erdoğan. İmamoğlu è accusato nell’ambito di due indagini separate: la prima riguarda presunti episodi di corruzione legati all’assegnazione di gare d’appalto da parte del Comune, mentre la seconda il suo presunto favoreggiamento e aiuto al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), che la Turchia considera un’organizzazione terrorista. «È un colpo di Stato contro la volontà nazionale», denunciano i vertici del CHP, partito di cui İmamoğlu è esponente, puntando il dito contro le tempistiche dell’arresto. Domenica 23 marzo, infatti, sono previste le primarie per scegliere il candidato del partito alle prossime presidenziali del 2028, in cui İmamoğlu risultava il netto favorito. Secondo l’opposizione, insomma, si tratta di un arresto politico che, oltre a İmamoğlu, ha coinvolto un altro centinaio di persone, tutte accusate di estorsione, corruzione, frode, e turbativa d’asta o favoreggiamento del PKK.

L’arresto di İmamoğlu è stato annunciato dallo stesso sindaco di Istanbul con un video sul social X. Nella notte, decine di poliziotti hanno fatto irruzione nella sua casa, perquisendola e arrestandolo. Dopo l’arresto, uno dei suoi assistenti ha comunicato che il primo cittadino è stato portato al quartier generale della polizia. Secondo una dichiarazione della procura di Istanbul, con İmamoğlu sono indagate un totale di 100 persone, tra cui giornalisti e imprenditori, sospettate di essere coinvolte in attività criminali relative ad alcuni appalti aggiudicati dal Comune. Altre 6 sono invece finite al centro dell’indagine relativa al PKK. Le autorità turche, inoltre, hanno chiuso diverse strade di Istanbul e vietato le manifestazioni in sostegno di İmamoğlu per i prossimi quattro giorni. Dopo i vari raid condotti dagli agenti turchi, la lira turca è crollata del 12%, raggiungendo il minimo storico.

İmamoğlu è stato eletto due volte sindaco di Istanbul, la prima nel 2019 e la seconda l’anno scorso. Con l’elezione del 2019, che si dovette ripetere per decisione di Erdoğan, İmamoğlu mise fine a circa 25 anni di governo dell’AKP, il partito del presidente. Con i suoi mandati da sindaco, ha acquisito parecchia notorietà, diventando gradualmente il principale politico dell’opposizione turca. Domenica sarebbe dovuto essere confermato candidato alle prossime presidenziali, che si dovrebbero tenere nel 2028. Tuttavia, in molti ritengono che i cittadini possano venire chiamati alle urne ben prima, così da permettere la rielezione di Erdoğan, che ha esaurito il limite di mandati. Una modifica alla costituzione turca introdotta dallo stesso Erdoğan nel 2017, infatti, prevede una sola rielezione per presidente, ma solo se il suo mandato arriva alla scadenza naturale. Questo significa che, in caso di scioglimento del Parlamento, il presidente può ricandidarsi anche per un terzo mandato. In generale, le tempistiche dell’arresto, sottolineano esponenti dell’opposizione, risultano sospette: il raid segue infatti di soli due giorni la decisione dell’Università di Istanbul di ritirare a İmamoğlu il diploma di laurea, requisito fondamentale per candidarsi alle elezioni. İmamoğlu, inoltre, è finito più volte al centro di vicende giudiziarie che l’opposizione giudica come tentativi di delegittimazione e di fermare una sua possibile candidatura.

[di Dario Lucisano]

Turchia: dopo sette anni di persecuzione sono state assolte le “Madri del sabato”

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Dopo sette anni di battaglie giudiziarie, 45 rappresentanti del gruppo "Madri del Sabato", parenti di persone scomparse forzatamente negli anni ’80 e ’90 in Turchia durante il conflitto tra lo Stato turco e il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), sono state assolte dalle accuse di "partecipazione a raduno non autorizzato" e "rifiuto di disperdersi nonostante il preavviso". Il processo riguardava gli arresti del 25 agosto 2018, quando la polizia intervenne con violenza per disperdere la 700esima veglia del gruppo in piazza Galatasaray, a Istanbul, utilizzando gas lacrimogeni e idranti. L...

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