domenica 7 Settembre 2025
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L’assegno di inclusione del governo Meloni ha lasciato senza supporto 850 mila famiglia povere

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Il passaggio dal reddito di cittadinanza all’assegno di inclusione (Adi) ha penalizzato 850 mila famiglie tra le più povere d’Italia. A certificarlo è l’Istat nel rapporto 2024 sulla redistribuzione del reddito, che ha evidenziato come le politiche del governo Meloni abbiano penalizzato principalmente le fasce economicamente più in difficoltà della popolazione, contribuendo a un aumento delle diseguaglianze. Le famiglie che percepiscono il nuovo sostegno, introdotto dal governo Meloni, hanno perso in media 2.600 euro annui: tre quarti di esse sono state escluse dal beneficio, il restante quarto è stato svantaggiato dal nuovo metodo di calcolo.

L’Adi è stato pensato per supportare le famiglie in condizioni di povertà assoluta, con criteri più stringenti rispetto al Reddito di cittadinanza. Tuttavia, la misura ha lasciato scoperta una larga fetta della popolazione precedentemente beneficiaria del Rdc, aggravando la situazione economica di molti nuclei familiari già fragili. La riduzione del supporto economico ha colpito in modo particolare le famiglie con minori, quelle in affitto e i nuclei in cui è presente almeno un componente con disabilità, sebbene alcune di queste ultime abbiano potuto beneficiare di un aumento dell’importo ricevuto. Nello specifico, 620mila famiglie hanno perso completamente il diritto a qualsiasi forma di sostegno economico, mentre le restanti 230mila hanno continuato a ricevere un aiuto, seppur inferiore a quello precedente.

L’impatto della riforma non si è limitato alle famiglie direttamente coinvolte: il rapporto dell’Istat evidenzia che le misure economiche varate dal governo hanno reso più diseguale la distribuzione del reddito in Italia. L’indice di Gini, che misura il livello di diseguaglianza (dove 0 indica una perfetta equità), è passato dal 30,25% al 30,40%. Questo incremento, seppur modesto, segnala un’inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti. Oltre all’Adi, il governo ha introdotto il Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl), destinato agli “occupabili” che si impegnano in percorsi di inserimento lavorativo. Tuttavia, questa misura non ha compensato la perdita del Reddito di cittadinanza: solo una famiglia su dieci tra quelle escluse dall’Adi potrebbe avere un componente avente diritto al Sfl. Inoltre, i dati mostrano che nel 2024 solo circa 100mila persone sono riuscite ad accedere effettivamente al Sfl, a dimostrazione della sua scarsa efficacia.

Uno degli effetti più contestati della riforma è il taglio drastico delle risorse destinate al contrasto della povertà. Secondo la Cgil, nel 2024 sono stati erogati 2 miliardi di euro in meno rispetto al 2023 per le misure di sostegno alla povertà e 3,3 miliardi in meno rispetto al 2022, quando il Reddito di cittadinanza operava a pieno regime. Il risparmio complessivo per le casse dello Stato è stato di circa 2,5 miliardi di euro rispetto a quanto previsto dalla Legge di Bilancio 2024. Questi tagli non sono stati accompagnati da un aumento significativo dell’occupazione, come spesso affermato dal governo. L’Istat ha infatti confermato che in Italia ci sono ancora 5,7 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta.

L’Assegno di Inclusione (ADI) è stato introdotto dall’esecutivo italiano a partire dal 1° gennaio 2024 in sostituzione del Reddito di Cittadinanza (RDC), abolito l’anno precedente. La misura è stata voluta dall’esecutivo guidato da Giorgia Meloni per riformare il sistema di sostegno ai cittadini in difficoltà economica, distinguendo tra “non occupabili” e “occupabili”. L’ADI è rivolto esclusivamente ai nuclei familiari con almeno un membro in condizioni di fragilità, come minori, disabili o over 60. L’obiettivo dichiarato dal governo era quello di incentivare l’inserimento lavorativo e a ridurre la spesa pubblica. Tuttavia, già a dicembre 2023 la Banca d’Italia aveva stimato che la nuova misura sarebbe stata meno efficace nel contrasto alla povertà e alla disuguaglianza, dal momento che “nel passaggio dall’RdC all’AdI risultano maggiori sia l’incidenza della povertà assoluta (di 0,8 punti) sia l’indice di Gini (di 0,4 punti)”, e lo stesso allarme era stato successivamente lanciato dalla Commissione Europea. I dati Istat, oggi, lo hanno confermato.

[di Stefano Baudino]

Congo, l’M23 si ritira dai colloqui di pace per le sanzioni UE

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I ribelli dell’M23 sostenuti dal Ruanda si sono ritirati dai colloqui di pace con il governo della Repubblica Democratica del Congo. Il portavoce del movimento, Lawrence Kanyuka, ha scritto su X che «certe istituzioni internazionali stanno deliberatamente lavorando per sabotare gli sforzi di pace nella Repubblica Democratica del Congo e rendere impossibili i colloqui tanto attesi», riferendosi alle sanzioni imposte dall’UE al capo del movimento ribelle e a militari e funzionari ruandesi. I negoziati si sarebbero dovuti tenere oggi a Luanda, capitale dell’Angola.

La Terra dei Fuochi non è più sola

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Un grido da anni attraversa la Terra dei Fuochi, muove le labbra dei suoi abitanti che denunciano, resistono e chiedono giustizia: «stop al biocidio!». Il termine «biocidio», diventato oggi di uso comune, nasce proprio da questa vicenda e dal basso, dalla riflessione interna ai movimenti che da tempo si oppongono alla devastazione ambientale. A Scampia, quartiere dell’area nord di Napoli, si parla di «biocidio» per indicare la distruzione sistematica della vita umana e dell’ambiente causata dallo smaltimento illecito di rifiuti tossici. Proprio in questo quartiere si è riunita lo scorso febbra...

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UE aumenta sostegno ai siriani: stanziati 2,5 miliardi in aiuti

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La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha presentato un piano da 2,5 miliardi di euro di aiuti supplementari per sostenere i siriani nei prossimi due anni, sia nel Paese che nei territori in cui molti di essi sono fuggiti. L’annuncio è avvenuto durante una conferenza dei donatori. Si prevede che anche i Paesi UE dichiarino impegni finanziari aggiuntivi. Il governo tedesco ha già reso noto che metterà a bilancio 300 milioni di euro in aiuti. Il sostegno europeo alle autorità de facto, guidate dall’ex comandante di al-Qaeda Ahmed al-Sharaa, arriva nonostante l’esplosione di violenze negli ultimi giorni nelle regioni costiere nord-occidentali della Siria.

Gaza, Israele rompe definitivamente la tregua compiendo un nuovo massacro: oltre 300 morti

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Israele ha lanciato un bombardamento su larga scala nella Striscia di Gaza, uccidendo oltre 300 persone. Gli attacchi sono stati motivati come una «risposta al ripetuto rifiuto di Hamas di rilasciare i nostri ostaggi», si legge in un comunicato rilasciato dall’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu. Il riferimento è alle proposte provenienti da Israele e USA di prolungare il cessate il fuoco temporaneo, che di fatto stravolgerebbero il piano concordato, ritardando l’entrata in vigore di una tregua permanente. Il bombardamento, lanciato nella notte, costituisce il maggior attacco israeliano dall’inizio del cessate il fuoco e, pur senza annunciarlo apertamente, rompe di fatto gli accordi siglati lo scorso gennaio: «Da ora in poi, Israele», si legge infatti nel comunicato, «agirà contro Hamas con una forza militare crescente. Il piano operativo è stato presentato dall’IDF nel fine settimana e approvato dalla leadership politica».

Gli attacchi israeliani nella Striscia di Gaza sono stati lanciati nella notte tra ieri e oggi, martedì 18 marzo, e si sono concentrati sulle città di Khan Younis e Rafah, nel sud della Striscia, e Gaza City e Deir al-Balah, nel centro. Secondo l’ultimo aggiornamento ufficiale, l’esercito israeliano avrebbe ucciso 326 persone, ferendone oltre 440; il bilancio, tuttavia, si aggiorna costantemente. I bombardamenti arrivati nella notte sebbene improvvisi, non sembrano affatto improvvisati: essi sono stati coordinati dal capo di stato maggiore, dal capo del servizio di sicurezza generale e dal comandante dell’aeronautica militare, riunitisi all’interno della base dell’aeronautica militare. Inoltre, giungono in concomitanza con una riorganizzazione delle forze militari di Tel Aviv. Ieri, Netanyahu ha annunciato di voler cambiare il vertice dello Shin Bet, l’agenzia di intelligence per gli affari interni israeliani, e sono stati annunciati diversi cambi nella gestione dei campi di addestramento militare.

Verso le 8 di oggi, il portavoce delle IDF in lingua araba ha diffuso un ordine di evacuazione generalizzato, in cui chiede ai residenti di Beit Hanoun, Khuza’a, Abasan al-Kabira e al-Jadida di lasciare le proprie case, in quanto «le aree designate sono considerate pericolose zone di combattimento». All’ordine di evacuazione è stata allegata una mappa della Striscia, che colora in rosso tutto il confine, suggerendo che l’intenzione israeliana sarebbe quella di schiacciare gli abitanti all’interno di Gaza. L’intento, insomma, sembra quello di rilanciare l’operazione militare nella Striscia, riprendendo i bombardamenti in maniera generalizzata. A conferma di ciò, arrivano le parole della portavoce del presidente USA, Karoline Leavitt, che ha detto che, prima degli attacchi, Washington era stata consultata, dando la propria approvazione. «Come ha chiarito il presidente, Hamas, gli Houthi, tutti quelli che cercano di terrorizzare non solo Israele ma anche gli USA vedranno il prezzo da pagare», ha detto Leavitt. «Si scatenerà l’inferno».

Israele ha giustificato gli attacchi come una risposta «al rifiuto di tutte le proposte ricevute dall’inviato presidenziale statunitense Steve Witkoff e dai mediatori». A partire dall’inizio di marzo, i colloqui per l’evoluzione della tregua sono infatti entrati in una fase di stallo: lo Stato ebraico, sostenuto dagli USA, ha chiesto un ampliamento della prima fase della tregua, che prevede un cessate il fuoco finalizzato allo scambio di prigionieri e ostaggi. Hamas, invece, chiede che vengano rispettati gli accordi iniziali, che in questo momento prevederebbero l’instaurazione di una tregua permanente e il completo ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia.

[di Dario Lucisano]

Per la prima volta un tribunale internazionale ha riconosciuto i diritti dei popoli indigeni incontattati dell’Ecuador

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La Corte interamericana dei diritti umani, uno dei tribunali regionali per la protezione dei diritti umani insieme alla Corte europea e a quella africana, ha ordinato all’Ecuador di garantire la protezione del territorio e del diritto a rimanere isolati dei suoi popoli indigeni incontattati Tagaeri e Taromenane.  In particolare, la Corte ha attribuito allo Stato la responsabilità di gravi violazioni dei diritti umani, tra cui il diritto alla proprietà collettiva, all'autodeterminazione, alla salute, al cibo, all'identità culturale e a un ambiente salubre. Un evento che le associazioni per i di...

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Il “pericolo antisemita” e la post-verità di regime

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Nei giorni scorsi è uscito un rapporto dai contenuti allarmanti: in Italia ci sarebbe un aumento esponenziale dell’antisemitismo. Solo nel 2024 sono stati contati 877 atti di odio contro gli ebrei, praticamente il doppio dei 455 dell’anno precedente. La situazione appare inquietante, almeno a leggere i titoli di tutti i principali quotidiani. Solo alcuni esempi: Antisemitismo in Italia: aumento mai visto di insulti, minacce e vandalismi (La Repubblica); Allarme: mai così tanto antisemitismo in Italia dal dopoguerra (Avvenire); L’antisemitismo è una vera emergenza: i dati choc (Il Giornale). All’interno degli articoli si riportano acriticamente le conclusioni del documento: «Oggi siamo di fronte a una crescita di antisemitismo mai misurata prima in Italia dalla fine della guerra». Come l’etica del lavoro giornalistico prevede, in un esercizio che nessun collega pare aver avuto voglia di fare, mi sono preso un po’ di tempo per andare a verificare un campione di questi 877 atti di odio antiebraico che certificherebbero la poderosa crescita dell’antisemitismo in Italia: non c’è voluto molto per capire che si tratta di un rapporto spazzatura

Il rapporto in questione è stato pubblicato dalla Fondazione CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), il cui consiglio di amministrazione è nominato direttamente dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ossia la principale organizzazione in difesa degli interessi israeliani in Italia. Non certo una garanzia di imparzialità. D’altra parte, la stessa introduzione al rapporto fa una certa confusione, scrivendo che in Italia si è diffusa «la demonizzazione e la delegittimazione dell’esistenza di Israele, accusata di rispondere in modo asimmetrico all’atroce massacro di civili». Non sarà che anche questo rapporto sia parte del solito esercizio intellettualmente scorretto di confondere volutamente antisionismo e antisemitismo per criminalizzare le critiche contro il genocidio commesso da Israele a Gaza?

Gli 877 casi sono tutti catalogati sul sito internet della CDEC. Dentro c’è di tutto e sono catalogati come atti antisemiti, ad esempio: un murales con la scritta «Palestina libera»; un adesivo dove l’acronimo RAI è storpiato in Radio Televisione Israeliana; una scritta fuori da una scuola elementare che dice «In Palestina i coetanei di tuo figlio muoiono sotto le bombe»; altri adesivi che invitano a boicottare i prodotti israeliani e la scritta «AS Roma = Israele» vergata con la bomboletta su un muro del litorale romano, evidentemente da un tifoso laziale. Secondo il rapporto rappresentano casi di antisemitismo anche lo striscione “Intifada studentesca” degli studenti dell’Università di Torino, nonché il rifiuto da parte del Consiglio comunale di Pinerolo di conferire la cittadinanza onoraria a Liliana Segre. Casi come questi rappresentano la gran parte degli 877 «atti antisemiti» e gli unici episodi che dimostrano reale odio contro gli ebrei sono limitati al commento solitario di qualche mentecatto trovato a caso su Facebook e a un manipolo di scritte sui muri (cose del tipo «ebrei criminali») firmate con svastiche o croci celtiche. Azioni propriamente dette, violenze o minacce dirette all’interno del centinaio di casi che ho controllato? Nessuna.

Non è finita qui. Il 19 febbraio scorso, il Consiglio dei Ministri ha approvato la nuova Strategia nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, che prevede strumenti di monitoraggio, contrasto ed educazione nelle scuole per contrastare quella che viene definita la «difficile fase di riesplosione del fenomeno» che l’Italia sta attraversando. All’interno delle 34 pagine del piano, l’unica fonte che si utilizza per giustificare la necessità della misura è proprio la relazione del CDEC, citata come un autorevole rapporto che certifica gli 877 atti di antisemitismo che hanno colpito l’Italia nel 2024.

Viviamo in una strana democrazia, dove un rapporto del genere non solo viene ripreso senza nessuna verifica da tutti i mezzi d’informazione ma addirittura è diventato la fonte per una nuova legge. E così, mentre ogni voce critica viene passata al setaccio e bollata come disinformazione, un rapporto falso diventa dogma e la narrazione di regime diviene norma. E in questo gioco di illusioni, l’uso politico di quella che George Orwell definiva la post-verità ci trascina dritti nell’era della post-democrazia.

[di Andrea Legni – direttore de L’Indipendente]

UE, sanzioni a individui ruandesi per il coinvolgimento in Congo

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L’Unione Europea ha sanzionato nove persone e una raffineria d’oro legati al Ruanda e al movimento ribelle M23, a causa dell’avanzamento delle truppe ribelli nel Paese. Le sanzioni, nello specifico, prendono di mira il leader politico dell’M23, Bertrand Bisimwa, e alcuni comandanti dell’esercito ruandese, accusato di sostenere direttamente e indirettamente il movimento. Analoghe sanzioni sono state applicate anche al direttore esecutivo di Rwanda Mines, Petroleum and Gas Board, e alla raffineria Gasabo Gold Refinery di Kigali, che l’UE ha accusato di aver esportato illecitamente risorse naturali dal Congo. Il Ruanda, intanto, ha annunciato che romperà le relazioni diplomatiche con il Belgio perché «schierato» nel conflitto con la RdC.

Uno studio fa luce sull’origine dei misteriosi impulsi cosmici che attraversano la Via Lattea

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Per circa dieci anni, gli scienziati hanno rilevato impulsi radio enigmatici provenienti dall’interno della Via Lattea, che si ripetevano ogni due ore e duravano tra i 30 e i 90 secondi. Ora, grazie all’analisi degli archivi dei telescopi e allo sviluppo di un nuovo metodo di identificazione, è stata individuata la loro origine: una coppia di stelle strettamente legate in un’orbita ravvicinata. La scoperta, descritta in uno studio sottoposto a revisione paritaria e guidato da ricercatori dell’Università di Oxford, è stata pubblicata sulla rivista Nature Astronomy. Si tratta di una novità che apre una nuova finestra sulla comprensione degli impulsi radio, spiegano gli autori, poiché fenomeni simili finora erano stati attribuiti solo alle stelle di neutroni, i densi resti di supernove: «Per la prima volta abbiamo stabilito quali stelle producono gli impulsi radio in una misteriosa nuova classe di “transitori radio a lungo periodo”. Grazie a questa scoperta, ora sappiamo che oggetti compatti diversi dalle stelle di neutroni sono in grado di produrre emissioni radio intense», commentano i coautori.

I segnali radio transitori non sono una novità nel panorama astronomico. Negli ultimi anni, per esempio, gli scienziati hanno individuato i Fast Radio Bursts (FRB), lampi di onde radio brevissimi e intensi, spesso provenienti da galassie lontane. I FRB sono eventi ancora poco compresi e talvolta si ripetono, ma differiscono significativamente dagli LPT, ovvero transienti radio di lungo periodo, che risultano molto più lunghi e meno energetici. Finora, i lunghi impulsi radio osservati nella Via Lattea erano stati attribuiti alle pulsar – stelle di neutroni che ruotano rapidamente e generano fasci di onde radio intermittenti – ma la coppia chiamata nel nuovo studio ILTJ1101 ha dimostrato che tale teoria è incompleta: gli LPT possono originarsi anche da sistemi binari come quello analizzato, che comprende una nana bianca – oggetto molto meno denso e con caratteristiche magnetiche differenti – e una nana rossa, il tipo di stella più comune del cosmo. Per svelare e confermare questo mistero, il team di ricerca ha utilizzato l’archivio del telescopio Low-Frequency Array (LOFAR), il più grande radiotelescopio europeo, sviluppando un nuovo metodo per identificare segnali di durata intermedia. L’autrice principale dello studio, la dott.ssa Iris de Ruiter dell’Università di Sydney, ha individuato il primo impulso analizzando dati del 2015 e, focalizzandosi sulla stessa regione di cielo, ha trovato altri sei segnali compatibili. Le osservazioni di follow-up, condotte con telescopi ottici avanzati come l’MMT in Arizona e l’Hobby-Eberly in Texas, hanno permesso di confermare la presenza di una nana bianca in orbita stretta attorno a una nana rossa, situata a 1.600 anni luce dalla Terra.

Secondo i risultati ottenuti, il moto reciproco delle due stelle – con un periodo orbitale di 125,5 minuti – coincide con la periodicità degli impulsi radio, il che ha spinto i ricercatori a formulare due ipotesi sulla loro origine: la fonte dei segnali potrebbe essere il forte campo magnetico della nana bianca oppure l’interazione tra i campi magnetici delle due stelle. Entrambe le teorie saranno approfondite quando sarà possibile osservare il sistema a raggi X durante un evento a impulsi, ha spiegato il coautore de Ruiter. In ogni caso, sottolinea il radioastronomo Kaustubh Rajwade dell’Università di Oxford, la scoperta offre nuovi elementi per comprendere gli LPT, che «stanno emergendo nei dati radio», e «ci dice qualcosa di nuovo sugli oggetti astrofisici estremi che possono creare l’emissione radio che vediamo».

[di Roberto Demaio]

Il ministro Urso annuncia un piano per collegare il settore auto a quello militare

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Tra le sempre più pressanti discussioni sul riarmo, il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, ha annunciato un possibile piano per convertire le fabbriche del settore auto in industrie per la difesa. La crisi dell’auto, aggravata dalla transizione all’elettrico e dal disimpegno di Stellantis, impone secondo il governo una riconversione industriale che, dicono nell’esecutivo, potrebbe trovare nel comparto militare un’opportunità di crescita. «Siamo un governo responsabile», ha detto Urso, spiegando che l’obiettivo sarebbe quello di «mettere in sicurezza le imprese e tutelare i lavoratori» al Tavolo Nazionale Automotive. Eppure, si sono sollevate aspre critiche da parte di sindacati e forze di opposizione, le quali considerano il progetto di Urso come un preoccupante passo verso un’economia di guerra. Il piano sembra in fase di lavorazione, ma entro giugno dovrebbe essere presentato all’Unione Europea.

La strategia governativa punta sulla riconversione industriale per rispondere alla crisi del settore, colpito da un calo della produzione di autovetture del 63,4% nel mese di gennaio 2025 rispetto all’anno precedente, secondo i dati di Anfia. Presiedendo il Tavolo Automotive a Palazzo Piacentini, il ministro ha sottolineato come il comparto auto, con le sue componenti e le sue lavorazioni meccaniche, abbia da tempo affinità con il settore della difesa, promuovendo l’ottica del “dual use” (l’utilizzo delle stesse tecnologie per scopi civili e militari): «Un microchip può servire per un’auto o per un satellite, una scheda elettronica funziona sia in un veicolo urbano che in un elicottero, un cingolato muove un trattore come un blindato», ha detto. Urso ha annunciato che il piano sarà dettagliato a giugno con la presentazione del «primo documento di strategia industriale dopo trent’anni». Intanto, ha confermato che dal 2025 al 2027 saranno investiti 2,5 miliardi di euro nel settore auto, di cui 1,6 miliardi solo nel 2025, destinati a contratti di sviluppo, accordi di innovazione e incentivi per veicoli di nuova generazione. Tuttavia, ha ribadito che l’Ecobonus non sarà rinnovato, definendolo «inefficace» e proponendo un piano europeo per incentivi più uniformi.

Il piano di Urso si inserisce nel più ampio contesto del progetto “ReArm Europe”. Sponsorizzato dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, approvato a inizio marzo dal Consiglio Europeo e successivamente appoggiato dall’Eurocamera, esso prevede investimenti per 800 miliardi di euro nei prossimi quattro anni per la difesa, con gli Stati membri che potranno aumentare significativamente le spese militari senza incorrere nelle restrizioni del Patto di stabilità e crescita. Anche la Germania sta valutando la riconversione di impianti automobilistici alla produzione bellica, con Rheinmetall pronta ad acquistare uno stabilimento Volkswagen per la produzione di carri armati. In tale contesto, il piano di Urso potrebbe rappresentare un cambio di paradigma per l’industria del Belpaese. In Italia, Stellantis ha una lunga tradizione di collaborazione con il settore della difesa, con la sua divisione Iveco Defence Vehicles specializzata in veicoli militari. Inoltre, a ottobre 2024 è nata la joint venture Leonardo Rheinmetall Military Vehicles, con sede operativa a La Spezia, per lo sviluppo di veicoli da combattimento avanzati.

La reazione dei sindacati all’annuncio di Urso non si è fatta comunque attendere ed è stata tutt’altro che entusiasta. La Fiom-Cgil ha bocciato l’idea come «assurda dal punto di vista etico, industriale e occupazionale», mentre la Uilm l’ha definita «non realistica». Più cauta la Fim-Cisl, favorevole a «cogliere opportunità», ma contraria alla chiusura di impianti per destinare risorse alla produzione bellica. Critiche aspre sono arrivate anche dalle opposizioni. Luana Zanella, capogruppo di Avs alla Camera, ha parlato di «trovata agghiacciante, priva di un vero ragionamento economico», mentre il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte ha definito la proposta «una follia», accusando il governo di voler trasformare l’Italia in un’economia di guerra per mascherare il fallimento della politica industriale.

Nel frattempo, Stellantis resta al centro dell’attenzione. Urso ha elogiato il gruppo per gli ultimi annunci diramati, tra cui quello sulla nuova produzione dei cambi per le auto ibride a Termoli e l’anticipo dell’avvio della produzione della 500 ibrida a Mirafiori, chiedendo al contempo «un’accelerazione sugli investimenti». I sindacati restano scettici, con la Fiom che ha avviato una raccolta firme negli stabilimenti per chiedere un piano di integrazione salariale. Nel frattempo, mercoledì 19 marzo il presidente John Elkann sarà ascoltato in Parlamento per chiarire le strategie future del colosso automobilistico.

[di Stefano Baudino]