venerdì 28 Novembre 2025
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Rifiuti spaziali, al via nel 2025 la prima missione europea di pulizia

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Ripulire lo spazio da milioni di detriti fluttuanti che potrebbero compromettere il funzionamento dei satelliti operativi. Questo l’obiettivo di una start-up svizzera, Clear Space. La missione, sostenuta con 86 milioni di euro dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA), partirà nel 2025. Di fatto, nascerà un nuovo settore, quello dei servizi di pulizia spaziali. Nel dettaglio, il fine del primo lancio sarà quello di raccogliere e riportare sulla Terra la parte superiore di un adattatore, chiamato VESPA, utilizzato con il lanciatore Vega e mandato nello spazio nel 2013. Stiamo parlando di tecnologie dotate di Intelligenza Artificiale basata sulla visione e di sistemi avanzati di guida, navigazione e controllo. Questo – come ha illustrato l’ESA – consentirà al satellite di acquisizione di avvicinarsi all’obiettivo autonomamente e in sicurezza, nonché permettere ai bracci robotici di catturare l’obiettivo.

Sono oltre 6.000 i frammenti grandi più di un centimetro e decine di milioni i piccoli resti di satelliti e apparecchiature varie che attualmente orbitano nello spazio. Questi ed altri rifiuti spaziali contribuiscono ad inquinare l’atmosfera terrestre, ma il problema non è solo di natura ambientale. “Alle velocità orbitali – ha spiegato Luc Piguet, amministratore delegato di ClearSpace –  anche una vite può colpire con una forza esplosiva. I responsabili di missione non possono garantire alcuna protezione – ha aggiunto – piuttosto, il rischio deve essere gestito attraverso operazioni di rimozione attiva dei rifiuti spaziali”.

Nel silenzio internazionale Israele ha attaccato 350 volte Siria e Palestina nel 2020

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Nel 2020 Israele ha colpito circa 50 obiettivi in Siria e altri 300 in Palestina, nella Striscia di Gaza. Lo rivela il rapporto diffuso dall’IDF, l’esercito israeliano, che dettaglia il quadro delle operazioni compiute. L’ultima aggressione israeliana in Siria è avvenuta mercoledì mattina: un soldato siriano ha perso la vita e altri tre sono rimasti feriti. Per quanto riguarda gli attacchi alla Striscia di Gaza, nel rapporto l’esercito si giustifica affermando di aver agito in risposta ai 176 razzi lanciati dalla Palestina contro Israele e agli attacchi terroristici in Cisgiordania. L’esercito israeliano avrebbe anche effettuato 2.277 arresti e chiuso 50 impianti sospettati di produrre armi. Ma gli attacchi di Israele, con pochissime eccezioni, sono avvenuti nella violazione del diritto e nel silenzio della comunità internazionale.

Nel documento si legge anche che i caccia israeliani hanno pattugliato Gaza 1.400 volte e gli elicotteri dell’esercito 400 volte. Inoltre, quest’anno sono state registrate 35.000 ore di volo da parte dei droni israeliani. Il regime israeliano utilizza regolarmente droni per operazioni di ricognizione e per commettere omicidi mirati, il che comporta la violazione degli spazi aerei palestinesi, siriani e libanesi. Le autorità palestinesi condannano i crimini di Israele – rivolti contro i civili e le loro terre – e chiedono alla comunità internazionale di porre fine alla sua passività di fronte alle violenze perpetrate contro il popolo palestinese e alla violazione dei suoi diritti.

 

Microplastiche trasportate dal vento hanno contaminato anche le zone remote della Terra

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Le microplastiche viaggiano nel vento. A confermarlo è una recente ricerca condotta dall’Istituto di Scienze Weizmann. Questa ha dimostrato che pezzi di plastica microscopici viaggiano attraverso l’aria del vento anche per lunghe distanze, riuscendo ad arrivare in spazi remoti e difficilmente raggiungibili dall’uomo. Sembra inoltre che, particelle di diametro inferiore a 5 mm che si staccano dagli oggetti di plastica, passino dalla superficie marina all’atmosfera e raggiungano aree non frequentate dall’essere umano e quindi apparentemente non inquinate.

La ricerca è cominciata nel 2016, quando gli scienziati del team Weizmann si sono riuniti sulla Tara, nave da ricerca dove si effettuano studi sugli effetti del cambiamento climatico. In quel frangente, navigando nell’oceano Atlantico settentrionale, hanno rilevato nell’aria notevoli quantità di plastica comune – polistirolo, polietilene, polipropilene e altro – sotto forma di “microplastica”, che le permette di essere trasportata dal vento. Inoltre, analizzando campioni di acqua marina nei punti sottostanti ai ritrovamenti aerei di microplastiche, hanno trovato le stesse tipologie di rifiuti. Con ciò, gli studiosi sono giunti alla conclusione che questo materiale, una volta inquinato il mare, riesca ad entrare nell’atmosfera tramite lo scoppio delle bolle in superficie. Una volta nell’aria poi, non solo diventa più dannoso e tossico a causa del contatto con la luce ultravioletta, ma viene anche trasportato dai venti in aree remote del globo.

 

Bosnia, continua l’odissea di centinaia di migranti costretti al gelo

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Per i migranti bloccati in Bosnia la situazione continua a peggiorare. Soprattutto da quando, il 23 dicembre si è verificata la chiusura del Lipa, un campo di tende sopra l’altopiano gestito dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Circa 900 persone sono rimaste accampate nei resti di questo campo, sotto la neve, senza un riparo, senza acqua né cibo, prima che gli ex ospiti, in segno di protesta per la chiusura, dessero alle fiamme la gran parte del campo.

Il loro previsto trasferimento nell’altro campo nel centro abitato di Bihac non è ancora avvenuto, soprattutto a causa della forte opposizione della popolazione locale. La polizia, infatti, presidia tutta la zona per controllare che le persone non provino ad andare proprio verso la città di Bihać. La Croce Rossa, che opera sul posto insieme ad alcune organizzazioni locali (sono gli unici autorizzati a farlo), portano loro del cibo una volta al giorno. Sono pasti non cucinati, quindi freddi, che non aiutano a scaldarsi.

Nel 2018, quando è iniziata la migrazione, la rotta balcanica si è spostata verso la Bosnia. Sin dall’inizio, il paese è stato considerato come incapace di gestire situazioni di questa portata. L’assetto politico amministrativo della Bosnia Erzegovina è caratterizzato da forti rallentamenti burocratici e continue dispute tra le istituzioni. Difatti è stata sempre tenuta sotto controllo dall’ Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.

Usa, dopo 70 anni una donna subirà la pena capitale

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Lisa Montgomery, l’unica donna attualmente nel braccio della morte nel Paese, è stata ufficialmente condannata alla pena di morte da una Corte d’appello americana. Se l’esecuzione del 12 gennaio sarà confermata, la Montgomery diventerà la prima detenuta in un carcere federale ad essere giustiziata dopo quasi 70 anni. Alla donna era stata inflitta la pena capitale per avere strangolato nel 2004 una signora incinta ed estratto il feto dal suo corpo, che poi aveva rapito.

Un quinto della popolazione mondiale vive in territori che rischiano di sprofondare

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Secondo una nuova ricerca finanziata dall’Unesco, la subsidenza, o il progressivo affondamento della terra, potrebbe colpire il 19% della popolazione mondiale entro il 2040. Se non verrà intrapresa alcuna azione, le attività umane, combinate con la siccità e l’innalzamento del livello del mare, potrebbero mettere molte delle città costiere a rischio di gravi inondazioni.

Negli ultimi anni, ad esempio, Jakarta è affondata di oltre 2,5 metri, portando il governo indonesiano a fare piani per trasferire la capitale del Paese. In Europa, la subsidenza è responsabile del posizionamento del 25% dei Paesi Bassi sotto il livello del mare. In Iran, la popolazione è più che raddoppiata negli ultimi 50 anni, mentre il pompaggio delle acque sotterranee è rimasto non regolamentato. Le città del paese sono ora tra i centri urbani che affondano più velocemente al mondo (fino a 25 cm all’anno).

Sebbene la subsidenza sia una minaccia comune per l’ambiente globale, potrebbe essere risolta molto più facilmente del cambiamento climatico. Le tecnologie, come i satelliti e i radar, potrebbero identificare rapidamente le aree di cedimento, mentre “semplici politiche e strumenti” potrebbero essere utilizzati dalle autorità locali. Come è accaduto a Tokyo. Il Paese aveva avuto un grosso problema di cedimento nella prima parte del secolo scorso. Così il governo ha implementato le normative sulle acque sotterranee ed ha risolto il problema.

Nei territori indigeni del Sud America deforestazione e violenza avanzano di pari passo

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Tra il 2010 e il 2020, il Sud America ha perso una media di 2,6 milioni di ettari di foresta all’anno. Secondo quanto riportato dall’Onu, è come se il continente avesse rinunciato a un’area delle dimensioni dell’Ecuador, nell’arco di un solo decennio. Non è un dato negativo solo per l’ambiente. In posti in cui il territorio è tutto, sradicarne una parte significa generare un’ondata di violenze. Decine di leader indigeni sono stati ammazzati dagli invasori della terra e trafficanti di droga, nel tentativo di difendere il proprio ambiente. Centinai sono stati intrappolati, minacciati e picchiati. Molte delle comunità sudamericane dipendono dalla foresta per sopravvivere. Strappargli di mano la terra per destinarla, ad esempio, alle coltivazioni di coca, significa condannarli alla fame.

Anche se spesso il governo interviene in loro difesa, gli abitanti del luogo hanno riferito che gli spray usati per sradicare i raccolti illegali, ad esempio, hanno recato danni alle fattorie vicine. Da un punto di vista normativo, pesa per le comunità indigene di tutto il mondo la mancanza di una proprietà fondiaria ufficiale. Questo li rende vulnerabili e spesso impotenti dinanzi alla deforestazione forzata. Sarebbe opportuno, invece, fornire loro assistenza e protezione, perché gli indigeni rappresentano una sorta di barriera, ostacolo alla deforestazione. Basti pensare che negli ultimi anni l’area indigena adibita a coca e marijuana è cresciuta del 22% solo in Perù.

UE, da domani in vigore nuove norme per evitare il traffico di rifiuti plastici

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Migliorare la qualità dei materiali da riciclare, limitare lo smaltimento illegale e ridurre la quantità di rifiuti plastici sversati in mare. Questi alcuni degli obiettivi previsti dalle nuove norme internazionali che entreranno in vigore da domani 1° gennaio 2021. Le norme puntano poi a bloccare il fenomeno del dumping, ovvero, la produzione o l’esportazione di materiali in paesi con vincoli ambientali minori o assenti. E ancora, maggiore trasparenza per i rifiuti in plastica. Per esportare rifiuti plastici, i paesi dovranno dichiarare il contenuto esatto dei carichi, indicando le tipologie di plastiche presenti. Inoltre, le informazioni dovranno essere messe a disposizione dei paesi riceventi prima che partano le spedizioni.

Negli ultimi anni i paesi più sviluppati, dove vigono norme ambientali maggiormente restrittive, hanno spesso alimentato il dumping ambientale. Leggi particolarmente restrittive sul riciclo dei materiali e il trattamento dei rifiuti, hanno spinto questi paesi a spedire, per convenienza economica, determinate tipologie di rifiuti verso paesi terzi, generalmente, in via di sviluppo. Di fatto, complici norme ambientali più blande, alimentando l’inquinamento negli Stati più poveri. Con questo nuovo pacchetto normativo, ci si aspetta quindi che tale fenomeno venga scoraggiato o quantomeno limitato. E che, di riflesso, si assista ad una riduzione dei rifiuti in plastica sversati in mare, potendo i paesi in via di sviluppo gestire meglio i processi di smaltimento.

 

Brexit, Spagna e Regno Unito trovano accordo su Gibilterra

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Spagna e Regno Unito hanno trovato un accordo sul futuro di Gibilterra, in vista dell’uscita del Regno Unito dall’UE. La colonia britannica in territorio spagnolo, pur uscendo effettivamente dall’Unione, sarà inclusa nell’area Schengen. Ciò significa che in futuro non ci saranno più controlli alla frontiera con la Spagna. Non è ancora chiaro quando l’accordo entrerà in vigore, ma è probabile che verrà incluso nel testo definitivo sull’accordo commerciale fra Regno Unito e Unione Europea ai primi di gennaio.

Cina e UE, dopo 7 anni di trattative siglato un grande patto per gli investimenti

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La Cina e l’Unione Europea hanno concluso i negoziati per l’Accordo globale sugli investimenti, ponendo fine alle trattative durate sette anni. L’obiettivo dell’accordo è quello di consentire a Cina e UE un maggior accesso ai rispettivi mercati e una competizione equa. Prevede inoltre piena attuazione degli accordi di Parigi in materia di clima e ambiente. L’intesa è stata raggiunta durante una video conferenza tenutasi il 30 dicembre e co-presieduta dal presidente cinese Xi Jinping, dal presidente del Consiglio europeo Charles Michael, e dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Erano presenti anche la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron. L’accordo, che dovrà prima essere ratificato dal Parlamento UE, dovrebbe entrare in vigore nel 2023. 

Nel raggiungimento dell’accordo, due questioni sono state maggiormente dibattute. La prima riguardava gli investimenti cinesi nel mercato energetico europeo, in particolare in quello nucleare. In base all’accordo, la Cina avrà un accesso limitato al settore dell’energia dell’UE. Le due parti attueranno progetti di cooperazione volti a combattere il cambiamento climatico. L’altra era la questione dei diritti dei lavoratori e dei diritti umani: la Cina è sospettata di sottoporre la minoranza degli uiguri a lavori forzati. L’intesa permetterà di regolare le imprese statali cinesi e la trasparenza nei sussidi. L’UE ha dichiarato che la Cina implementerà le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite.