lunedì 24 Novembre 2025
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Il più antico DNA mai sequenziato appartiene a un mammut di 1,6 milioni di anni fa

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Nei resti di denti conservati nel permafrost siberiano è stato isolato il DNA più antico mai ritrovato fino ad oggi, appartenenti a un mammut vissuto 1,6 milioni di anni fa. Non solo, i resti di DNA genomico ha permesso di scoprire una nuova specie di mammut fino ad oggi sconosciuta, denominata mammut delle steppe, una specie europea che i ricercatori ritengono sia antecedente ai mammut lanosi e ai mammut colombiani (Mammuthus columbi) e che avrebbe dato origine alla successiva specie nordamericana. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Nature. «Non possiamo affermare con certezza che sia una specie diversa – scrivono i ricercatori – ma sembra proprio che lo sia». Anche se il campione analizzato proviene dalla Russia, si sospetta che il suo lignaggio sia rimasto isolato da altri mammut delle steppe nel Nord America. Una scoperta importante perché suggerisce che antiche specie possano essersi incontrate e mescolate per ibridazione quando l’espansione dei ghiacci permise loro di trasferirsi dai continenti originari. «L’idea che nuove specie possano formarsi mescolandosi – e non solo scindendosi da una singola specie madre – sta guadagnando terreno tra i biologi evoluzionisti. Ma questa è la prima prova di “speciazione ibrida” dal DNA antico», concludono i ricercatori.

Fino ad oggi il DNA più antico isolato apparteneva all’osso di una gamba di cavallo che era vissuto tra i 560.000 a 780.000 anni fa.

 

Congo: l’ambasciatore italiano è stato ucciso in un attentato

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L’ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo Luca Attanasio è stato ucciso in un attentato nel nord-est del paese. Il diplomatico viaggiava a bordo di un convoglio Onu, insieme a lui è stato ucciso anche un carabiniere della scorta. La dinamica non è ancora chiara ma la notizia è stata confermata. A quanto si apprende nell’attacco l’ambasciatore era stato ferito e rapito, immediatamente i rangers di Virunga hanno lanciato un’operazione per liberarlo, ma quando è stato recuperato era già morto.

Nel silenzio internazionale, Israele continua ad aumentare il suo arsenale atomico

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Mentre il mondo continua a concentrarsi sull’ancora inattivo nucleare iraniano, nulla trapela sull’allargamento dell’impianto nucleare israeliano di Dimona. Lo stabilimento è posto nel deserto del Negev ed è il luogo dove storicamente lo stato ebraico realizza il materiale fissile per il suo arsenale nucleare. Nuove costruzioni sono evidenti nelle nuove immagini satellitari pubblicate giovedì dall’International Panel on Fissile Material (IPFM), un gruppo di esperti indipendenti.

Israele si sta rivelando il paese più rigoroso nel negare all’Iran la possibilità di fare ricerca nucleare, schierandosi apertamente contro l’accordo tra Ue, Usa e Iran. Tuttavia per quanto riguarda i propri piani nucleari lo stato israeliano nega qualsiasi tipo di trasparenza. Sui lavori alla centrale di Dimona nessuna autorità ha rilasciato dichiarazioni, una condotta in linea con la politica di deliberata ambiguità sul suo arsenale nucleare che storicamente Israele persegue, non confermando né negando la sua esistenza. La Federation of American Scientists stima che Israele abbia circa 90 testate nucleari, ma l’esistenza di nessuna di queste è mai stata ammessa.

Il reattore di Dimona venne costruito negli anni ’50 con l’aiuto clandestino del governo francese e la città è stata a lungo abitata da 2.500 cittadini francesi sotto copertura. A rivelare l’esistenza del sito e i segreti del programma nucleare israeliano fu nel 1986 l’ex tecnico Mordechai Vanunu, che per questo è stato condannato a 18 anni di carcere.

Ancora guai per gli aerei Boeing: ispezioni in Usa e Giappone

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I Boeing 777 con motori PW4000 sono stati ritirati per essere ispezionati di emergenza negli Stati Uniti, mentre in Giappone dovranno rimanere a terra fino a nuovo ordine. La decisione segue l’incidente di un 777 con PW4000 della United Airlines a Denver, costretto a rientrare dopo il decollo a causa di un motore in fiamme che ha causato una pioggia di detriti. Un incidente simile aveva coinvolto un altro Boeing 777 della Japan Airlines lo scorso 4 dicembre durante un volo partito da Tokyo Haneda e diretto a Naha.

L’allevamento di salmone sta causando gravi danni ambientali ed economici

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L’allevamento di salmone nuoce all’ecosistema marino e comporta perdite da miliardi di dollari l’anno. Secondo il rapporto condotto da Just Economics intitolato Dead Loss, a livello globale, i costi sono ammontati a quasi 50 miliardi di dollari dal 2013. Il primo problema di questo tipo di pescicoltura, è l’alto tasso di mortalità. Questo infatti – solo negli allevamenti scozzesi – è passato dal 3% nel 2002 a circa il 13,5% nel 2019. Le cause? Inquinamento e parassiti. Circa un quinto dei decessi infatti, è causato dalle infestazioni di pidocchi di mare, i quali si nutrono di pelle e muco di salmone, mangiando letteralmente il pesce vivo.

L’altro grande problema, è l’enorme quantità di pesce selvatico utilizzato per la produzione di mangime. Circa 18 milioni di tonnellate di pesce selvatico all’anno, viene utilizzato per produrre farina di pesce e olio di pesce, di cui circa il 70% è destinato proprio agli allevamenti ittici. Pratica che si ripercuote su molte specie marine. Come le sardine dell’Africa occidentale, attualmente a rischio estinzione. Secondo Dead Loss, l’alternativa al pescato sarebbe l’olio di alga – anche questo fonte di Omega 3 per i pesci di allevamento – che renderebbe la pescicoltura una pratica più sostenibile. Pare però non ci sia alcuna volontà di cambiamento da parte dei grandi allevatori di salmone – come Norvegia e Scozia – i quali prevedono di aumentare ancora di più la produzione a causa della crescente domanda dei consumatori.

Israele: tonnellate di petrolio invadono le coste

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Grandi quantità di greggio stanno invadendo le coste israeliane, decine di macchie ritrovate in tutto il litorale per oltre 170 km di costa. Sarebbero decine di tonnellate e già sono state rinvenuti pesci e tartarughe morte ricoperte di petrolio. L’origine dello sversamento non è conosciuto, Il ministro dell’Ambiente ha aperto un’inchieste e chiesto informazioni dettagliate all’Ente europeo per il traffico marino ricostruire i movimenti di una decina di navi che una settimana fa erano nelle vicinanze di una vasta macchia oleosa sospinta poi dalla corrente verso Israele.

In Egitto è stato scoperto un antico birrificio vecchio di 5.000 anni

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Il più antico birrificio mai rinvenuto al mondo è stato scoperto da un gruppo di archeologi statunitensi all’interno di un vasto sito ad Abydos, antica necropoli posta circa 450 chilometri a sud del Cairo, in Egitto. Gli scavi hanno permesso di identificare una fabbrica di birra suddivisa in otto aree, ciascuna munita di circa 40 vasi di ceramica dove veniva contenuta la bevanda. Il birrificio risale ai tempi del re Narmer, vissuto intorno al 3.125 a.C. Secondo quanto dichiarato dal team di ricerca alla CNN, l’entità del ritrovamento fa pensare che ad Abydos si producesse birra «su larga scala, con circa 22.400 litri per ogni ciclo di produzione». Inoltre, i ricercatori ritengono che la birra venisse utilizzata «nei rituali di sepoltura reale per i primi re egiziani, inoltre precedenti scavi nella zona avevano trovato prove che la birra venisse usata durante i riti sacrificali».

La birra è una delle bevande più antiche prodotte dall’uomo, ipotesi storiche la ritengono databile al settimo millennio a.C, ma prima di questo ritrovamento più antica testimonianza nota era datata intorno al 3500-3100 a.C. Oltre che nell’antico Egitto si hanno testimonianze di produzione della birra già presso i Sumeri. Gli ingredienti base della birra sono i medesimi del pane, per questo si ritiene le due scoperte siano coeve ed abbiano contribuito alla capacità dell’uomo di sviluppare tecnologie e diventare sedentario, formando civiltà stabili.

Nell’ultimo anno 331 attivisti per i diritti umani sono stati uccisi nel mondo

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Almeno 331 dal primo gennaio al 30 dicembre 2020, quasi uno al giorno. Questo il conto degli attivisti per i diritti che sono stati uccisi nel mondo nell’ultimo anno, secondo un rapporto pubblicato da Front Line Defenders. Il 69% degli attivisti uccisi lottava per i diritti dell’ambiente, della terra o delle popolazioni indigene. Il continente dove gli operatori in difesa dei diritti umani sono più in pericolo si conferma l’America Latina, in particolare oltre la metà delle uccisioni globali (177) si sono verificate in Colombia, dove attivisti e leader sociali delle comunità indigene e contadine sono abitualmente presi di mira da gruppi armati. Seguono le Filippine con 25 uccisioni, poi Honduras, Messico, Afghanistan, Brasile e Guatemala. Molto spesso, rileva il rapporto, gli attivisti uccisi si occupano semplicemente di fornire aiuti a fasce svantaggiate o minoranze della popolazione, andando a colmare lacune nell’assistenza da parte dello stato.

Il rapporto rileva altri dati interessanti. Gli attivisti indigeni rappresentavano quasi un terzo del totale di 331 difensori dei diritti umani uccisi in tutto il mondo, anche se le popolazioni indigene costituiscono solo il 6% circa della popolazione mondiale. Un numero significativo di persone uccise stava lavorando per fermare i progetti dell’industria estrattiva. Il 13% di tutte le vittime registrate erano donne. Nel 2020 sono stati uccisi anche venti difensori dei diritti umani che lavoravano sulla lotta alla corruzione, la cifra più alta mai documentata.

Vela, Coppa America: Luna Rossa va in finale

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Nella notte l’equipaggio di Luna Rossa ha chiuso i conti con l’imbarcazione inglese Ineos nella Prada Cup, vincendo la settima regata che vale la vittoria. 7-1 il risultato finale. Luna Rossa affronterà quindi la finale della Coppa America, dove sfiderà il Team New Zealand. La finale di coppa America si terrà nelle acque del golfo Hauraki (Nuova Zelanda), dal 6 al 15 marzo.

Birmania, due morti nelle nuove proteste contro il golpe

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Due manifestanti uccisi e oltre 30 feriti, questo il bilancio della repressione odierna in Birmania, di fronte alle nuove proteste della popolazione contro il golpe militare che il primo febbraio scorso ha rovesciato il governo di Aung San Suu Kyi. Le vittime sono due giovanissimi, un minorenne e una ragazza di 20 anni, entrambi colpiti alla testa. Intanto le proteste proseguono con epicentro nella capitale economica del paese, Rangoon.