venerdì 21 Novembre 2025
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USA, vittoria delle comunità indigene: Keystone XL non si fa più

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Dopo un decennio di lotte, i popoli indigeni possono dire di aver vinto una importante battaglia sul fronte ecologico: l’oleodotto Keystone XL non si farà più. La società che si occupava della costruzione dell’oleodotto, la TC Energy, ha comunicato che non andrà più avanti con il progetto che, ormai, può dirsi fallito. L’oleodotto, che avrebbe trasportato sabbie bituminose sporche attraverso 1.700 miglia dall’Alberta, in Canada, alle raffinerie della costa del Golfo del Texas, era stato bloccato dall’amministrazione Biden nel gennaio di quest’anno. Tuttavia, questo annuncio di TC Energy è l’ultimo chiodo nella bara per l’oleodotto e una straordinaria vittoria per le comunità che hanno combattuto per quasi un decennio.

David Turnbull, Direttore delle comunicazioni strategiche di Oil Change International, ha affermato: «Questo progetto viene finalmente abbandonato grazie a più di un decennio di resistenza da parte di comunità indigene, proprietari terrieri, agricoltori, allevatori e attivisti per il clima lungo il suo percorso e in tutto il mondo. Questa è una vittoria per il movimento per la giustizia climatica e una conferma che Big Oil non è all’altezza del potere delle persone. La cancellazione di Keystone XL ci ricorda che questo progetto non è mai stato necessario all’interesse pubblico».

La costruzione dell’oleodotto era iniziata l’anno scorso quando l’ex Presidente Donald Trump ha rilanciato il progetto a lungo ritardato dopo che si era bloccato sotto l’amministrazione Obama. Keystone XL avrebbe trasportato fino a 830.000 barili (35 milioni di galloni) di greggio al giorno, collegandosi in Nebraska ad altri oleodotti che alimentano raffinerie di petrolio sulla costa del Golfo degli Stati Uniti. Al suo insediamento, Biden ha annullato il permesso di attraversamento delle frontiere tra il Canada e gli USA. I funzionari dell’Alberta, da cui l’oleodotto aveva origine, nelle ultime settimane hanno espresso grande frustrazione per il fatto che il Primo Ministro canadese, Justin Trudeau, non stesse spingendo Biden a valutare nuovamente di concedere il permesso e procedere con la costruzione della linea di trasporto del greggio. Lo Stato dell’Alberta ha investito più di 1 miliardo sull’avvio dell’opera che si era arenata grazie alla decisa opposizione da parte delle tribù di nativi americani dislocate lungo il percorso di Keystone XL.

Questa grande vittoria fa ben sperare e fornisce coraggio per le altre lotte attualmente in corso come quella portata avanti contro la Line 3, in Minnesota, oppure per coloro che si oppongono ormai da diversi anni al Dakota Access Pipe Line (DAPL) che si sarebbe intersecato, insieme a Keystone XL, nella maxi rete di oleodotti che attraversa gli Stati Uniti.

[di Michele Manfrin]

G8 di Genova 2001: Luca torna in carcere 20 anni dopo

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Nel prossimo luglio saranno passati vent’anni dal G8 di Genova del 2001. In quei giorni, nel capoluogo ligure, si riunirono i potenti della terra in una città blindata e militarizzata. Un fiume di persone si riversò in città da tutte le parti d’Italia e da altre nazioni europee per protestare contro la globalizzazione neoliberista e i suoi già tragici effetti. Assistemmo all’omicidio di Carlo Giuliani, le torture inflitte a Bolzaneto e la brutalità e la ferocia premeditata della scuola Diaz. Lo Stato si è assolto e i vertici allora in carica hanno fatto carriera. Eppure c’è chi, tra i manifestanti, a distanza di vent’anni paga ancora lo scotto per aver protestato contro un sistema che proprio in quei giorni ha mostrato il suo vero volto. Luca Finotti è una di queste persone contro cui la repressione violenta e vendicativa dello Stato si è riversata.

Finotti, oggi 42 anni, è tornato nel carcere di Cremona dopo che gli è stata revocata la possibilità di scontare la propria pena all’interno della comunità “La tenda di Cristo”, cui era entrato nel settembre del 2019. Secondo i responsabili della comunità Finotti avrebbe violato più volte le regole, l’ultima delle quali aver introdotto del tabacco senza autorizzazione.

La pena di Finotti sarà conclusa nel dicembre del 2022, a seguito di una riduzione da parte della Corta d’Appello e successivamente confermata in Cassazione. Finotti era stato condannato in primo grado a 10 anni di carcere con l’accusa di “devastazione e saccheggio” prevista dal Codice Rocco di epoca fascista. Una pena sproposita che venne comminata, in contumacia o meno, anche a molti altri manifestati di quei giorni di Genova del 2001. Severissime sentenze hanno comminato condanne che vanno dagli 8 ai 14 anni di carcere. Alcuni hanno scontato l’intera pena mentre altri sono fuggiti all’estero – soprattutto tra Francia e Svizzera – in attesa di sentenze di estradizione e dell’intervento della Corte d’Appello europea.

[di Michele Manfrin]

Terrorismo: documenti falsi a foreign fighters, 7 arresti

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A seguito di un indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) e Antiterrorismo della Procura di Milano e condotta dalla Digos, in diverse città della Lombardia, sono state arrestate sette persone con l’accusa di aver prodotto migliaia di documenti falsi per i foreing fighters. Le persone sono sospettate di far parte di un organizzazione internazionale dedita alla produzione di documenti falsi

AstraZeneca: morta 18enne ligure colpita da trombosi dopo vaccino

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È morta Camilla Canepa, la ragazza 18enne di Sestri Levante ricoverata nella giornata di domenica al Policlinico San Martino di Genova dopo una trombosi al seno cavernoso ed operata per rimuovere il trombo e ridurre la pressione intracranica. La ragazza si era sottoposta al vaccino AstraZeneca il 25 maggio, durante l’open day per gli over 18. «Purtroppo, poche ore fa, Sestri Levante è stata colpita da un lutto che mai avremmo voluto vivere. L’amministrazione comunale e tutta la città si stringono intorno alla famiglia della ragazza scomparsa oggi», ha affermato la sindaca di Sestri Valentina Ghio.

Garante Privacy: ok al green pass, ma con adeguate garanzie

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Il Garante per la Privacy ha dato il suo parere favorevole sullo schema di decreto attuativo che attiva la Piattaforma nazionale-DGC per il rilascio del green pass, prevedendo però adeguate garanzie circa l’utilizzo delle certificazioni verdi. Infatti il green pass, introdotto dal decreto “Riaperture” per spostarsi tra Regioni e per accedere ad eventi pubblici e sportivi, è ora previsto nelle zone gialle anche per partecipare alle feste in occasione di cerimonie civili e religiose. Ma l’Autorità sottolinea l’indeterminatezza delle circostanze in cui è richiesta l’esibizione del green pass e ricorda la «necessità di individuarle con chiarezza, in sede di conversione in legge del decreto».

L’Italia aumenta le forze in Gibuti: il microstato da cui si controlla il Corno d’Africa

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La piccola città stato della Repubblica di Gibuti ex colonia francese, nell’ottica dell’accresciuta attenzione politico-militare per la sua posizione geo-strategica, è diventata un punto fondamentale per tutto il territorio del Corno d’Africa. Pur non avendo risorse naturali, è però percepito come Paese stabile in una regione assai critica. Infatti il Gibuti confina con stati spesso teatro di conflitti come l’Eritrea a nord, l’Etiopia a ovest, il Somaliland (stato non riconosciuto separatosi dalla Somalia) a sud-est e si affaccia sul Golfo di Aden e sul Mar Rosso con lo Yemen, nella penisola araba, a soli 30 km dalla costa. Da non dimenticare più a nord, anche se non confinante, la tormentata zona sub-sahariana del Sahel. E proprio per questa sua posizione le potenze globali si concentrano sul Gibuti per controllare tutto il territorio dell’Africa orientale sia per interessi politici che commerciali.

A tal proposito il Ministro della Difesa Guerini aveva incontrato a Roma nel gennaio 2020 il suo omologo gibutiano Bourhan siglando un nuovo accordo bilaterale in ambito ricerca e sviluppo, supporto logistico, acquisizione di prodotti e servizi e attività formative e addestrative. Una nota della Difesa evidenzia: «Fra le modalità attuative dell’accordo sono previsti scambi di esperienze tra esperti e partecipazione a corsi ed esercitazioni da parte del personale delle Forze Armate».

Nell’ambito di “Atalanta”, la missione diplomatico-militare dell’UE per prevenire e reprimere gli atti di pirateria marittima lungo le coste degli stati del Corno d’Africa iniziata nel dicembre 2008, le forze armate italiane nell’ottobre 2013 hanno installato in Gibuti, la BMIS (Base Militare Italiana di Supporto). Lo Stato maggiore della difesa italiano ha comunicato: «La BMIS di Gibuti è stata realizzata in un’area che è crocevia strategico per le linee di comunicazione marittime che dal Mediterraneo sono dirette, attraverso il Canale di Suez, verso il Golfo Persico, il Sud Est asiatico, il Sudafrica e viceversa».

Attualmente nella base italiana di Gibuti possono essere presenti fino a 117 militari e 18 mezzi terrestri. In particolare nella BMIS Amedeo Guillet si trovano nuclei della Brigata San Marco destinati all’imbarco sui mercantili in transito diretti nell’Oceano Indiano e i team delle forze speciali interforze. Presente anche un contingente dell’arma dei Carabinieri, che ha addestrato oltre 2,600 unità della Polizia Somala, della Polizia Nazionale e della Gendarmeria Gibutiana. In particolare sono stati implementati corsi di preparazione per interventi ad alto rischio e all’uso progressivo della forza in ambito securitario-militare per il personale delle unità mobili para-militari dette “Darawish”.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e l’UE hanno previsto un sostanziale aumento delle unità para-militari sotto addestramento, ma pare non abbiano tenuto conto della pericolosità di tale decisione. Come asserisce l’analista statunitense Vanda Felbab-Brown, «le unità Darawish operano indipendentemente dall’Alleanza Nazionale Somala e agiscono sotto la direzione dei vari presidenti degli stati membri della federazione. Risultano quindi essere una base di potere importante per l’élite politica. Una vera e propria guardia pretoriana che fornisce protezione e minaccia contro i rivali». Le Nazioni Unite e Bruxelles sembra che ignorino anche le autorevoli denunce di abusi e violazioni dei diritti umani da parte delle forze Darawish.

[di Federico Mels Colloredo]

Birmania: aereo militare si schianta, 12 morti

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Dodici persone hanno perso la vita in seguito allo schianto di un aereo militare in Birmania. Nello specifico, all’interno del velivolo vi erano 14 persone: sei membri dell’equipaggio ed otto passeggeri. Due di esse sono sopravvissute e sono state ricoverate in ospedale. A rendere noto il tutto è stato il portavoce della giunta che ha preso il potere nel Paese, il quale ha dichiarato che l’incidente sia stato causato dal maltempo.

Vaccini AstraZeneca: per l’Ema sotto i 50 anni più rischi che benefici

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In Italia, sulla base dell’attuale circolazione del Covid-19, i vaccini AstraZeneca somministrati alle persone al di sotto dei 50 anni generano più rischi che benefici. È quanto si deduce da un grafico fatto dall’Ema (Agenzia europea per i medicinali) il 23 aprile che si basa sui dati relativi a settembre 2020, mese in cui vi era una bassa circolazione del virus: l’ente chiarisce come per i giovani (fino a 49 anni) il rischio di trombosi provocata dal vaccino anglo-svedese superi quello di morire a causa del Covid. E per capire perché tali dati siano più che mai attuali, basterà ricordare che nel mese preso in considerazione dall’Ema vi erano 55 contagiati ogni 100 mila abitanti alla settimana ed in Italia attualmente sono 7 le regioni “bianche”, in cui vi è una situazione simile: per essere classificate in tal modo, infatti, esse devono avere avere un’incidenza settimanale sotto i 50 casi ogni 100mila abitanti.

Tuttavia proprio in Italia, nonostante quanto riportato dall’Ema, sono stati ultimamente somministrati i vaccini AstraZeneca e Johnson&Johnson (entrambi a vettore virale) negli open day dedicati ai giovani, in particolare ai maturandi. Si tratta di una scelta che, con ogni probabilità, è stata presa a causa della necessità di smaltire le dosi e di accelerare le somministrazioni. Successivamente, però, alcune regioni hanno cancellato gli open day in questione per i casi di trombosi verificatisi in due giovani donne vaccinatesi con AstraZeneca. Motivo per cui nella giornata di oggi è atteso un nuovo parere del Comitato tecnico scientifico (Cts) a riguardo. Purtroppo, però, c’era da aspettarselo: l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) infatti non ha mai cancellato la raccomandazione a non somministrare AstraZeneca e Johnson&Johnson al di sotto dei 60 anni. Anzi, il 26 maggio ha ribadito che l’uso preferenziale resti quello dedicato alle fasce più anziane e che «la sicurezza della somministrazione di AstraZeneca nei soggetti di età inferiore a 60 anni rimane un tema ancora aperto, e sul quale vi sono margini di incertezza». Ma, trattandosi appunto di un semplice consiglio, i ragazzi hanno potuto comunque vaccinarsi: è bastato firmare il modulo del consenso informato per accettare i rischi e ricevere l’iniezione.

Riguardo tale questione, inoltre, c’è stata anche la reazione di alcuni dottori e scienziati. Nello specifico, l’Associazione Luca Coscioni ha inviato una lettera firmata da esperti,  medici vaccinatori e scienziati al presidente Mario Draghi, al generale Figliuolo e ai presidenti delle Regioni, nella quale si chiede di «sospendere immediatamente la distribuzione del vaccino anti-covid19 Astrazeneca e Johnson and Johnson alle persone giovani di età a causa dei documentati rischi per la salute e la vita». Infatti, i firmatari affermano come sia ormai risaputo che «i vaccini a vettore adenovirale possono causare in soggetti probabilmente predisposti la trombosi venosa trombocitopenica (VITT)1, un effetto collaterale raro che può avere esito fatale». In tal senso, «la nota informativa del vaccino AZ riporta la VITT come possibile effetto indesiderato che può interessare fino a 1 persona su 10.000». Dunque, siccome i maturandi italiani sono quest’anno circa 500.000, «se anche solo metà di loro fossero vaccinati con AZ, secondo la nota informativa di questo vaccino in 25 potrebbero essere colpiti da VITT». Infine, conclude l’associazione, anche una sola eventuale morte non potrebbe essere giustificata, dato che «conosciamo i rischi e abbiamo le dosi necessarie di Pfizer e Moderna per vaccinare in maniera sicura anche i nostri ragazzi».

INTEGRAZIONE DELLE 19:00 DEL 16/06/2021: In seguito ad ulteriori approfondimenti abbiamo appreso che questa analisi dell’Ema attualmente non costituisce una definitiva valutazione del rapporto rischi-benefici del vaccino, motivo per cui essa potrebbe essere soggetta a delle modifiche. Ad ogni modo peró, come abbiamo correttamente riportato all’interno dell’articolo, tali dati avrebbero potuto essere presi in considerazione dal governo. Infatti, l’Ema afferma che l’analisi sia stata effettuata proprio per «supportare le autorità nazionali nel prendere decisioni che permettano di utilizzare al meglio il vaccino nei loro territori».

[di Raffaele De Luca]

Un minuscolo animale è tornato a vivere dopo 24.000 anni di congelamento 

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Uno straordinario evento scientifico è di recente accaduto: un microscopico essere vivente, prelevato dal permafrost siberiano, si è ripreso e riprodotto nonostante sia rimasto congelato per 24mila anni. Un’importantissima prova, hanno affermato i ricercatori, la quale potrebbe dimostrare che gli organismi multicellulari sono in grado di resistere per moltissimo tempo in criptobiosi, uno stato di metabolismo quasi completamente arrestato. Degli esseri viventi ritrovati esiste il discendente, un invertebrato microscopico chiamato rotifero. Si tratta di un piccolissimo verme acquatico, il quale vive in tutti gli specchi d’acqua dolce del mondo e possiede la capacità di sopravvivere a condizioni estreme, quali il congelamento e la disidratazione. Studi precedenti hanno infatti dimostrato che questo è in grado di rimanere in uno stato latente, in cui l’organismo rallenta drasticamente tutte le funzioni biologiche, anche per un decennio.

Il campione di permafrost è stato raccolto a 3,5 metri sottoterra presso il fiume Alazeya, nella Siberia nord-orientale. Questo conteneva terriccio ricco di ghiaccio del tardo Pleistocene, con all’interno una serie di organismi, tra cui i rotiferi. In laboratorio, le creature si sono riprodotte per partenogenesi, cioè clonazione asessuata, l’unico modo in cui questi possono riprodursi. Il team di ricerca ha selezionato casualmente 144 degli individui del ceppo che si era ripreso e li ha congelati nuovamente per una settimana, a una temperatura di -15° C. I sopravvissuti sono stati poi confrontati con i simili contemporanei, anche loro congelati e rianimati. Il confronto ha dimostrato che gli antichi rotiferi non sono significativamente più resistenti al congelamento dei loro successori.

Il processo per cui questi esseri viventi riescano a sopravvivere anche migliaia di anni in quelle condizioni è ancora un mistero. Gli scienziati sperano infatti di, conducendo ulteriori ricerche, arrivare ad identificare tale meccanismo. Un passo che, hanno affermato, potrebbe forse aiutare ad escogitare un modo per proteggere le cellule di organismi più complessi.«Naturalmente, più l’organismo è complesso, più è difficile conservarlo vivo congelato e, per i mammiferi, non è attualmente possibile. Tuttavia, passare da un organismo unicellulare a un organismo con un intestino e un cervello, sebbene microscopici, è un grande passo avanti» hanno spiegato.

[di Eugenia Greco]

Pedro Castillo, il maestro marxista che ha conquistato il Perù

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Pedro Castillo si è aggiudicato le elezioni peruviane con un esiguo scarto di voti rispetto a Keiko Fujimori. Castillo risulta essere vincitore con il 50,2% dei voti e lo scarto minimo farà scatenare settimane di dispute politiche. Fujimori, erede di una potente famiglia politica, ha sollevato accuse di brogli elettorali rivolgendosi al Tribunale Elettorale Nazionale (JNE) chiedendo di annullare i risultati di 802 seggi elettorali, l’equivalente di 200.000 voti. Inoltre, ha anche chiesto il riconteggio di 300.000 schede. Osservatori elettorali internazionali ed esperti hanno però affermato che la votazione si è svolta in modo pulito.

Castillo fu il vincitore a sorpresa del primo turno di aprile, segnando un possibile nuovo scenario per il Perù che adesso sembra delinearsi in maniera più chiara. Castillo, nome completo Pedro Castillo Terrones, laureato in psicologia e insegnante elementare, è figlio di agricoltori analfabeti e ha scosso l’élite politica della nazione andina ottenendo un enorme sostegno dalle zone rurali e dalle classi disagiate del Paese. Divenne noto nel 2017 quando era capo sindacalista degli insegnanti durante lo sciopero nazionale di quell’anno, in cui si chiedeva di aumentare gli stipendi, di ripagare il debito sociale, di abrogare la legge sulla carriera degli insegnanti pubblici e aumentare il bilancio del settore dell’istruzione. L’ex presidente boliviano Evo Morales, il cui partito socialista è nuovamente al potere, si è congratulato con Castillo per la sua vittoria, vedendo in lui una speranza di risorgimento, fratellanza e giustizia sociale per i popoli latinoamericani.

Il partito che ha sostenuto Carillo, Perù Libre, è un organizzazione marxista-leninista che crede nel decentramento politico, nella sovranità, nell’internazionalismo e nell’anti-imperialismo, si è schierato più volte dalla parte del Venezuela per gli attacchi subiti. Perù Libre è contrario alla dittatura del mercato poiché quando il Paese adottò il neoliberismo e i mercati furono deregolamentati, le compagnie straniere assunsero il controllo dell’economia facendo aumentare lo sfruttamento del lavoro e la disuguaglianza sociale, facendo piombare nuovamente il Perù ad una condizione di colonia.

Il Perù è il secondo produttore di rame al mondo e Castillo ha spaventato i mercati con proposte per ridistribuire la ricchezza mineraria e aumentare le tasse sulle imprese minerarie, spiegando però che gli investimenti internazionali nel settore son ben accetti finché le operazioni di estrazione siano permesse da popolazioni e contesti naturali. Il neo Presidente vuole inoltre varare una riforma agraria che metta fine alla dipendenza dall’importazione estera e che incentivi l’uso di prodotti alimentari locali che non siano da produrre esclusivamente come materia per l’esportazione. Castillo propone inoltre un cospicuo aumento dei bilanci per l’istruzione e per la sanità, pari ad almeno il dieci per cento del PIL.

Un’altra proposta è quella di eleggere un‘Assemblea Costituente che sostituisca la costituzione ereditata dal regime di Alberto Fujimori (padre della rivale, Keiko Fujimori). Castillo ha spiegato che la nuova carta costituzionale dovrà essere elaborata su espresso mandato del popolo, tramite suoi delegati e con approvazione finale tramite referendum.

Alberto Fujimori, il cui nome completo è Alberto Kenya Fujimori Inomoto, è stato Presidente e poi dittatore del Paese dal 1990 al 2000. Insediatosi alla presidenza del Perù nel ‘90, due anni più tardi operò un colpo di Stato assumendo pieni poteri e promulgando, nel 1993, una nuova Costituzione. Fujimori adottò misure liberiste e di austerità molto severe nel tentativo di combattere l’inflazione. La valuta nazionale perse il 200% del suo valore e centinaia di aziende pubbliche furono privatizzate, causando la perdita diretta di 300.000 posti di lavoro. Fujimori fu protagonista di autoritarismo, dell’uso di squadroni della morte e della repressione politica. Nel periodo in cui fu al potere, Fujimori istituì anche un programma di sterilizzazione forzata per le popolazioni indigene: 330.000 donne e 25.000 uomini ne furono vittime. Nonostante nel 2000 fosse stato rieletto, Fujimori rinunciò alla presidenza con un fax inviato dal Giappone, in cui si trovava.

[di Michele Manfrin]