venerdì 21 Novembre 2025
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I G20 dell’economia sbarcano a Venezia: dal basso si organizza il controvertice

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A pochi giorni dal ventennale del G8 di Genova, una Venezia spettrale, perimetrata e sorvegliata da uno schieramento sorprendente di forze dell’ordine, sarà teatro del nuovo G20 dell’Economia. 63 delegazioni composte dai ministri dell’Economia e delle Finanze e dai direttori delle banche centrali dei 20 paesi più sviluppati al mondo si riuniranno dall’8 all’11 luglio negli spazi dell’Arsenale.

Quella presieduta e patrocinata da Mario Draghi rappresenta la sedicesima edizione della riunione che, dal 1999 a Berlino al giorno d’oggi, riunisce i 20 paesi più industrializzati al mondo (ad eccezione di Spagna e Paesi Bassi), i rappresentanti dell’80% del PIL mondiale, con l’obiettivo di favorire internazionalità e globalizzazione economica. Stavolta all’ordine del giorno ci saranno, oltre alla riunione a porte chiuse dei ministri delle finanze, il «Global Forum of Productivity», che si occuperà principalmente di strategie di ripresa economica a seguito della pandemia, l’«International Conference on Climate» e soprattutto il «G-20 High Level Tax Symposium» che discuterà dell’introduzione di un’imposta del 15% sui profitti delle grandi multinazionali a livello globale. La stessa aliquota definita dal coordinatore dellOsservatorio fiscale europeo Gabriele Zucman come «un tasso ridicolmente basso», da alzare almeno al 25%.

Nonostante alcuni quotidiani nazionali, seguendo una moda sempre verde nel giornalismo italiano, si sono limitati a parlare dell’incubo black bloc, sono molte le iniziative di contestazione del G20, in preparazione. Un presidio di attivisti si riunirà sabato 10 alle 14.30 in riva delle Zattere al grido di «Noi siamo una marea, voi solo (G)20!», per una giornata di mobilitazione contro il meeting ufficiale. A partecipare saranno gli stessi attivisti che il 5 luglio, a Padova, Bologna, Roma e Milano, hanno occupato gli ingressi delle banche legate al gruppo Intesa San Paolo, pesantemente coinvolto nel finanziamento dell’industria fossile. Venerdì 9, alle 18.30, si terrà il dibattito «La vita a valore: lotte sociali, ecologiche, transfemministe contro la finanziarizzazione della vita». Un vero e proprio controvertice che dibatterà delle dinamiche dell’estrazione del valore all’interno di economie completamente finanziarizzate, mettendo a tema proprio quella connessione tra lotte ecologiche e lotte sociali che la pandemia ha imposto all’attenzione di tutti.

[di Jacopo Pallagrosi]

Siamo troppi sulla Terra? No, ma alcune cose devono cambiare subito

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Era il 2009 quando un gruppo composto da 28 scienziati di fama internazionale elaborò il concetto di Planetary Boundaries, in italiano, ‘Limiti del Pianeta’. Nove "confini" essenziali per la stabilità e la resilienza del sistema Terra entro i quali, se non valicati, l'umanità avrebbe potuto continuare a svilupparsi e prosperare. Tuttavia, quattro di questi limiti sono già stati ampiamente superati e in tutti i casi c’è lo zampino dei modelli agroalimentari odierni.
Un sistema di produzione insostenibile
L’attuale sistema di produzione e consumo di cibo è insostenibile, e in buona parte lo è il...

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Patrick Zaki: Camera approva mozione per cittadinanza italiana

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La Camera dei deputati ha approvato con 358 voti a favore, 30 astenuti e nessun contrario la mozione con cui viene chiesto al governo di concedere la cittadinanza italiana a Patrick Zaki, lo studente dell’Università di Bologna detenuto in Egitto. Il governo non solo dovrà «avviare tempestivamente mediante le competenti istituzioni le necessarie verifiche al fine di conferire a Patrick Zaki la cittadinanza italiana», ma anche «continuare a monitorare, con la presenza in aula della rappresentanza diplomatica italiana al Cairo, lo svolgimento delle udienze processuali a suo carico e le sue condizioni di detenzione». Inoltre, il testo impegna l’esecutivo a «continuare a sostenere l’immediato rilascio di Zaki».

Diritto all’eutanasia: in Italia l’ultima strada rimane il referendum

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L’associazione Luca Coscioni ha iniziato a raccogliere firme per un referendum sull’eutanasia. L’obiettivo è raccoglierne 500mila entro il 30 settembre. Il quesito prevede l’abrogazione dell’articolo 579 del codice penale che definisce l’omicidio del consenziente (che rende la persona che pratica l’eutanasia passibile di pesanti sanzioni) e propone la legalizzazione dell’eutanasia attiva.

In Italia, la battaglia per il diritto ad esser lasciati morire è iniziata nel 1979. In più di 40 anni, nonostante l’attivismo, le numerose proposte di legge e il diffuso sostegno popolare, la politica è sempre riuscita ad ignorare la questione. Considerata la storia dell’eutanasia in Italia, fatta di negligenza, moralismo, indifferenza verso la dignità umana, e decenni di battaglie parlamentari infruttuose un referendum sembra l’unico modo per dare ad una pratica sostenuta dai più ed esistente in forma clandestina una dimensione istituzionale e regolamentata.

In Italia, la lotta per l’eutanasia è cominciata con una raccolta firme nel 1979. Una serie di casi hanno, negli anni, spaccato in due l’opinione pubblica. Uno dei primi quello di Elena Moroni, che si trovava in una condizione di coma irreversibile a causa di un edema cerebrale. Nel 1998 il marito staccò il respiratore, scampando una pena di 9 anni in carcere solo perché all’ultimo la donna fu riconosciuta come clinicamente morta. Nel 2006, Piergiorgio Welby, affetto da una distrofia muscolare progressiva, morì dopo 15 anni di atroci sofferenze, grazie ad un medico che per aiutarlo rischiò una condanna per omicidio colposo. Nel 2009 morì dopo ben 17 anni trascorsi in stato vegetativo persistente Eluana Englaro, la giovane donna di Lecco vittima di un incidente stradale. Due anni prima, nel 2007, si spegneva a seguito di uno sciopero della fame Giovanni Nuvoli, malato di sclerosi laterale amiotrofica e completamente paralizzato. Più recentemente, nel 2017, dopo un incidente che lo aveva lasciato cieco e tetraplegico, DJ Fabo ottenne il suicidio assistito in Svizzera. Anche lui, completamente abbandonato dal suo paese. Si tratta di una serie di casi agghiaccianti che hanno segnato il dibattito pubblico. Persone costrette non a vivere, ma a sopravvivere, nonostante la loro volontà.

Non che il paese non abbia provato a muoversi verso la legalizzazione dell’eutanasia. Nel 2016, quattro proposte di legge in materia di eutanasia e rifiuto dei trattamenti sanitari obbligatori per i malati terminali sono state presentate in Parlamento, ma sommariamente analizzate e poi accantonate. Gli ultimi tentativi sono stati fatti dal Movimento 5 stelle, nel 2019, ancora una volta senza successo. Eppure, la maggior parte degli italiani sono favorevoli all’eutanasia. Secondo i sondaggi Eurispes, si parla di più della metà della popolazione nel 2015, una quota che nel 2021 è salita al 70,4%.

L’eutanasia è completamente legalizzata in 4 paesi europei: il Belgio, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Spagna (in quest’ultima già dal 1995). In molti paesi dell’Europa orientale la pratica è vietata sia nella sua forma passiva (come interruzione delle cure sanitarie) che attive (come suicidio assistito), mentre in Italia e nel resto dell’Europa la forma passiva è implicitamente tollerata.

[di Anita Ishaq]

Frode fiscale: Gdf sequestra beni per 128 mln di euro

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Più di 200 militari della Guardia di Finanza stanno effettuando, nelle province di Salerno, Napoli, Potenza, Roma, Chieti, L’Aquila, Mantova e Milano, una quarantina di perquisizioni e stanno dando esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo di beni per un valore di oltre 128 milioni di euro. Gli interventi riguardano sia persone fisiche che società coinvolte a vario titolo in frodi fiscali collegate a: contrabbando internazionale di prodotti petroliferi, autoriciclaggio ed intestazione fittizia di beni. Grazie alle indagini, infatti, sono state ricostruite le attività di due associazioni criminali, operanti nell’Agro nocerino-sarnese, che commercializzavano carburante adulterato importato dall’estero eludendo il pagamento delle imposte.

6 anni fa Draghi guidava la repressione della democrazia in Grecia

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Sei anni fa, il 5 luglio 2015, il popolo greco affermava la propria sovranità democratica con un referendum storico che vide la larga vittoria di coloro che non volevano cedere la propria libertà e dignità ad un sistema incentrato a conservare e incrementare gli interessi del grande capitale industriale e finanziario. La risposta del popolo greco fu netta e rigettava la prepotente volontà della Trojka (Commissione europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale), portatrice d’istanza di paesi quali Germania e Francia, personalmente esposti con le proprie banche, che intendeva porre la Grecia sotto un rigido controllo economico tramite una profonda ristrutturazione dell’economia. In tutto questo però, ebbe un ruolo importante, sebbene sotto traccia, la Banca Centrale Europea capitanata dall’attuale Primo Ministro italiano, Mario Draghi.

Come ricorderete, in quei concitati giorni di luglio, colui che annunciò il referendum, il Primo Ministro greco Alexīs Tsipras, finì per disattendere il risultato espresso dalla consultazione popolare nazionale che aveva rifiutato il piano proposto dalla Tojka in cambio di un nuovo programma di supporto finanziario.

Dopo il referendum, l’11 di luglio, Tsipras presentò ai creditori un diverso programma che prevedeva la mitigazione di alcune delle richieste fatte dalla Trojka, spalmandone l’adozione in più anni o limando alcuni punti percentuali, e rifiutando la selvaggia privatizzazione richiesta (anche dei pubblici servizi come acqua e energia elettrica). Il governo di Tsipras proponeva anche soluzioni nuove come il taglio della spesa militare. Il giorno seguente, la Trojka rifiutò la proposta greca e mise all’angolo il governo del Paese ponendo due sole opzioni: accettare la ristrutturazione proposta dalla Trojka oppure procedere con l’uscita della Grecia dall’Eurozona. Alla fine il governo guidato da Tsipras si piegò e Syriza, partito di maggioranza vittoriosa alle elezioni di quell’anno, si divise. La sera del 20 agosto 2015, dopo aver perso la maggioranza parlamentare, Tsipras rassegna le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica, Prokopīs Paulopoulos.

Questo fu l’epilogo dell’attacco sferrato alla Grecia, iniziato già il 4 febbraio 2015, nove giorni dopo la vittoria elettorale di Syriza, partito di sinistra radicale che aveva raccolto la maggioranza alle elezioni promettendo di disobbedire alle imposizioni europee. Infatti, la BCE decise di togliere al governo greco una delle sue principali linee di credito: le banche greche non avrebbero più potuto accedere alla “normale” liquidità della BCE. Da quel momento in poi, le banche avrebbero dovuto fare affidamento sul più costoso Emergency Liquidity Assistance (ELA). Questa decisione dette alla Grecia pochi giorni di vita se non fosse stato raggiunto, in appena tre settimane, un nuovo accordo con i creditori. Iniziò un estenuante trattativa che ebbe una svolta negativa il 28 giugno del 2015, quando la BCE rifiutò alla Banca centrale greca il diritto di aumentare la propria liquidita nel quadro dell’ELA. Sull’orlo improvviso del fallimento, il governo dovette chiudere le banche e imporre un controllo sui capitali e le persone si affrettarono agli sportelli per prelevare denaro per un massimo di 60 euro al giorno. Tre giorni prima, il 25 giugno, Tsipras aveva annunciato la volontà di sottoporre la decisione al popolo greco.

La BCE pose un macigno sulle spalle della Grecia, in preda al mare agitato delle acque finanziarie ed economiche a cui Syriza voleva rispondere con un programma economico-politico non gradito dall’Unione Europea, in particolar modo da Francia e Germania, e dal FMI.

[di Michele Manfrin]

Israele: l’efficacia del vaccino Pfizer contro le varianti diminuisce al 64%

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In Israele, il Ministero della Salute ha comunicato alcuni dati dai quali si apprende che il vaccino Pfizer, con cui sono stati immunizzati in massa i cittadini, sia molto meno efficace nel prevenire la diffusione dei nuovi ceppi di Covid-19. Nello specifico, in seguito all’abolizione delle restrizioni nel mese di giugno ed alla circolazione della variante Delta, a cui sono stati attribuiti in Israele il 90% dei nuovi casi nelle ultime due settimane, l’efficacia del siero è scesa al 64%: precisamente, mentre a maggio essa era del 94,3%, a partire dal 6 giugno (cinque giorni dopo che il governo aveva cancellato le restrizioni) si è verificata questa riduzione dell’efficacia del 30%. Inoltre, un’analoga diminuzione dell’efficacia è stata registrata anche in termini di insorgenza dei sintomi della malattia, sebbene si tratti di quelli lievi.

A tal proposito, infatti, i dati sottolineano che l’utilità del vaccino per ciò che concerne la protezione contro la malattia grave ed il ricovero sia ancora piuttosto elevata. L’efficacia infatti si mantiene superiore al 90%, tuttavia anche in questo caso è stata comunque registrata una leggera riduzione: tra il 2 maggio e il 5 giugno essa era del 98,2%, mentre dal 6 giugno al 3 luglio la percentuale è scesa al 93%.

A confermare tutto ciò, poi, vi sono i dati sull’andamento dei casi, secondo cui molti dei contagiati si sono sottoposti al siero: venerdì scorso in Israele le persone vaccinate rappresentavano infatti il 55% dei nuovi contagi. D’altro canto, appunto a sostegno della attuale efficacia del siero nel prevenire l’ospedalizzazione, vi è il fatto che il tasso dei ricoverati in condizioni critiche stia crescendo in maniera lenta e moderata.

Ad ogni modo, a causa di questa situazione il governo non solo recentemente ha reintrodotto l’obbligo di indossare la mascherina al chiuso, ma sta anche prendendo in considerazione l’ipotesi di adottare ulteriori misure di distanziamento nonché di raccomandare una terza dose di vaccino. A tal proposito, va infatti ricordato che già il 57,2% degli israeliani ha completato il ciclo di vaccinazione.

Detto ciò, ad essere preoccupato per quello che si sta verificando in Israele è anche Yaniv Erlich, scienziato israeliano-americano nonché Professore Associato di Informatica presso la Columbia University, il quale ha affermato che i dati abbiano «importanti implicazioni per l’immunità di gregge» e che «il virus possa evolversi ancora negli individui vaccinati». 

Infine, va ricordato che non si tratta comunque della prima volta che i vaccini anti Covid si rivelano essere non totalmente efficaci nei confronti della variante Delta. Basterà ricordare che nel Regno Unito (altro paese con un alto tasso di vaccinazione), precisamente in Inghilterra, dai dati diffusi nelle scorse settimane da Public Health England (Phs) si è appreso che 12 persone morte a causa di questa variante avevano ricevuto la doppia dose di vaccino da almeno 14 giorni. Inoltre, nel Regno Unito i contagi sono in aumento nonostante, appunto, i tanti sieri somministrati.

[di Raffaele De Luca]

Argentina, vietati gli allevamenti di salmoni: è il primo caso al mondo

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Nella provincia più a sud dell’Argentina, la Terra del Fuoco, è stato approvato all’unanimità il disegno di legge che vieta l’allevamento del salmone in recinti a rete aperta. Si tratta del primo paese al mondo ad abolire tale pratica. Il Canale di Beagle, al confine col Cile, ha visto per anni questo tipo di allevamento intensivo, fortemente dannoso per l’economia e l’ambiente, in cui il salmone viene ingrassato in “gabbie galleggianti”, solitamente situate in baie e fiordi lungo le coste. Una tecnica introdotta dalla Norvegia alla fine degli anni ’60, la quale negli ultimi decenni è cresciuta esponenzialmente. Ma con il rifiuto sociale dei principali paesi produttori e una serie di scandali esplosi per via della mancanza di trasparenza, della fuga e mortalità dei pesci e l’uso spropositato di antibiotici, il paese nordico ha portato la sua produzione in Argentina per beneficiare delle acque incontaminate del Canale di Beagle, firmando un accordo nel 2019 con l’allora governo provinciale.

L’industria del salmone non è mai stata accettata dalla gente del posto, la quale non ha esitato a fare sentire la sua voce unendosi alle vicine comunità cilene, a varie organizzazioni ambientaliste e al marchio di abbigliamento outdoor Patagonia, noto per il suo attivismo ambientale. Ed ecco il cambiamento: l’attuale governo ha deciso di vietare l’allevamento intensivo dei salmoni nelle acque della Terra del Fuoco, autorizzando esclusivamente la coltivazione e lo stoccaggio di trote per promuovere la pesca sportiva, una delle principali attrazioni turistiche e non industriali del posto.

Un passo importantissimo per il benessere delle comunità e dell’ambiente. I salmoni di allevamento vengono infatti nutriti con olio di pesce e pesci più piccoli, piume, lievito transgenico, soia e grasso di pollo, diversamente dal salmone selvatico che prende il suo tipico colore nutrendosi di krill e gamberetti. Le conseguenze di questo tipo di produzione includono sicuramente l’alto tasso di mortalità dell’animale, l’aumento delle fioriture di alghe tossiche, l’alterazione degli ecosistemi, la resistenza batterica e, naturalmente, un enorme impatto socio-ambientale. Per tali motivi, adesso si spera che il cambiamento in atto in Argentina – il quale dimostra quanto sia possibile dirigersi verso un nuovo e migliore modello economico a beneficio delle comunità locali e dello sviluppo sostenibile – coinvolga altri paesi come il Cile, il secondo produttore di salmone al mondo, che porta sulle spalle una lunga serie di disastri ambientali. 

[di Eugenia Greco]

TG3: come fare un servizio sul nuovo stabilimento Amazon dando voce solo all’azienda

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Per definizione, un’analisi costi-benefici dovrebbe misurare e comparare tutti i costi e i benefici connessi all’attuazione di un progetto. Non sembra questa la strategia giornalistica adottata dal TGR Emilia-Romagna che ieri, nell’edizione del pomeriggio, ha deciso di coprire la notizia dell’inaugurazione del cantiere del nuovo centro di smistamento Amazon a Spilamberto (provincia di Modena) in modo a dir poco sbrigativo, se non pubblicitario.

In apertura del servizio il giornalista riporta i dati più generali: un polo logistico di 35.000 mila metri quadrati che aprirà ufficialmente in autunno, 15 mesi di lavori durante il lockdown per realizzare il secondo centro di smistamento Amazon dell’Emilia Romagna dopo quello di San Giovanni nel piacentino (aperto nel 2011), senza contare i 3 depositi a Parma, Crespellano e Sant’Arcangelo di Romagna. Un investimento totale di 80 milioni di euro. Da questo punto in poi il servizio assume toni vaghi: un rappresentante dell’azienda annuncia l’imprecisata intenzione di creare 200 posti di lavoro a tempo indeterminato per poi limitarsi a dire che le assunzioni previste per il momento sono 50 o 60 al massimo. Naturalmente il responsabile non si pronuncia né sul salario dei neoassunti né tantomeno sulle condizioni di lavoro cui saranno sottoposti. L’autore del servizio non ritiene importante integrare la voce dell’azienda qualche informazione, provata,  sulle condizioni di lavoro solitamente imposte dalla multinazionale o sui metodi che adopera per impedire ai suoi lavoratori di reclamare migliori condizioni lavorative. 

Per il TG3 dopo le dichiarazioni dell’azienda è anzi il momento di quelle politiche del sindaco Umberto Costantini, molto interessato ad autocelebrarsi con toni enfatici. Il primo cittadino, assieme al rappresentante di Amazon, si premura di minimizzare le critiche, rivolte da una generica «opposizione», riguardo ai grossi problemi di viabilità e inquinamento che si troveranno ad affrontare gli abitanti locali. Una media giornaliera di 2000 veicoli in più e un aumento del 20% di mezzi pesanti nei soli 3 chilometri tra lo stabilimento e lo svincolo autostradale. A questo problema il sindaco risponde dicendo che cercherà di «ottenere ulteriori sviluppi dal punto di vista viario». Ma da chi proverranno questi sviluppi infrastrutturali a beneficio della cittadinanza e dei lavoratori? Saranno a carico di Amazon o dell’amministrazione pubblica? Non è affatto chiaro. Il portavoce aziendale risponde sviando il discorso: i problemi di viabilità saranno risolti con la creazione di parcheggi dedicati per i camion. E i veicoli in transito come saranno gestiti? E quale sarà l’impatto ambientale di questo aumento del traffico locale? Tutte questioni su cui non vengono date risposte ma nemmeno fatte domande.

Infine il sindaco chiosa dicendo che «mettendo insieme sulla bilancia benefici e negatività, oggi siamo sicuramente a una somma positiva». Una sentenza definitiva, che il giornalista accoglie e consegna senza ulteriori commenti al telespettatore: l’apertura di un nuovo stabilimento Amazon è una questione positiva e non vi è discussione né dibattito possibile. Ma questo è un esempio emblematico di un’analisi costi-benefici liquidatoria e incompleta propria di un’informazione che fa il gioco delle aziende. Se da una parte gli unici benefici per ora ravvisabili sono 50 assunzioni, dall’altra il computo dei costi si sarebbe dovuto concentrare seriamente sui reali costi sociali, economici e ambientali. Quale sarà l’impatto economico che il colosso dell’e-commerce avrà sulle attività locali? Per ogni dipendente assunto quanti nuclei familiari si ritroveranno in difficoltà? Sarebbe stato interessante intervistare anche qualche rappresentante dei commercianti oltre ai responsabili aziendali di Amazon. Quale sarà poi il beneficio per le casse dello Stato e quindi per i cittadini? Sarebbe stato semplice – volendo – par l’autore del servizio riprendere una notizia di poche settimane fa, che raccontava come l’azienda di Jeff Bezos nel 2020 abbia pagato 0 (zero!) euro di tasse in Europa a fronte di 44 miliardi di fatturato. 

Insomma, ancora una volta la televisione pubblica italiana ha perso un’occasione per fare un’informazione al servizio di coloro che pagano il canone, preferendo altri criteri che poco hanno a che fare con la qualità del giornalismo.

[di Jacopo Pallagrosi]

Usa: almeno 150 morti per armi da fuoco nel weekend

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Nello scorso weekend, durante le celebrazioni dell’Independence Day, negli Stati Uniti almeno 150 persone hanno perso la vita a causa delle armi da fuoco, in oltre 400 sparatorie. Lo si apprende dai dati del “Gun Violence Archive”, un gruppo di ricerca senza scopo di lucro che si occupa di catalogare ogni episodio di violenza armata negli Stati Uniti. Tali dati precisamente si riferiscono al periodo che va da venerdì a domenica scorsa e da essi si apprende anche che il bilancio più grave appartenga a Chicago, dove sono stati contati 14 morti ed 83 feriti.