giovedì 20 Novembre 2025
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L’Etiopia sta esplodendo nel silenzio generale

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etiopia

Secondo il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed, premio Nobel per la pace, quella contro il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (TPLF) sarebbe dovuta essere una guerra lampo. Dall’inizio degli scontri sono passati nove mesi, un lasso di tempo che ha visto schierati in campo eserciti di diverse fazioni, nonché innumerevoli soprusi sui civili.

I rapporti tra Governo e TPLF si sono deteriorati velocemente nel 2019 a seguito di brusche evoluzioni politiche che, mal digerite, sono degenerate al punto che i due movimenti politici si considerano reciprocamente illegittimi. A inizio del novembre 2020, uno scontro tra miliziani e esercito ha fatto scattare la scintilla di quella che ha presto assunto i tratti di una guerra vera e propria. Una guerra estremamente sanguinaria.

Si parla di contadini «macellati come polli», di saccheggi, di violenze sessuali e di una fame profonda che le Nazioni Unite catalogano senza mezzi termini come catastrofica. Una situazione comprensibile, visto che decine di migliaia di profughi hanno abbandonato case, campi e allevamenti per evitare di finire sterminati da un qualche plotone.

Tutte le parti coinvolte sembrano indulgere nelle brutalità, tuttavia è difficile comprendere con precisione cosa stia accadendo: il Tigré è stato accuratamente isolato, la regione non è più servita dalle rete di comunicazioni e dal servizio elettrico, mentre i rifornimenti umanitari hanno ripreso a circolare nell’area solamente da pochi giorni.

Ciò che è chiaro è che il TPLF stia portando avanti la sua conquista e che stia cercando di allargarsi nelle regioni di Agar e Amhara con l’intenzione strategica di occupare alcune delle tratte mercantili più importanti della nazione, vere e proprie arterie economiche da cui passano molte delle merci e dei rifornimenti in movimento da e verso il Sudan e l’Eritrea.

Proprio l’Eritrea e le armate dell’Amhara sembra stiano assistendo Abiy Ahmed nella lotta contro il TPLF, macchiandosi di crimini di guerra tanto efferati da colmare il fiume Tacazzè con decine di cadaveri appartenenti a detenuti sottoposti a fucilazione.

Il Governo eritreo non commenta, quello etiope archivia la faccenda come una propaganda diffamatoria, arrivando a suggerire che i miliziani si vestano deliberatamente con le uniformi dei militari stranieri pur di diffondere zizzania e frustrazione. Nel caso, la strategia ha funzionato perfettamente, visto che molti dei contadini del Tigré, un tempo alieni alla politica, stanno sempre più simpatizzando per il TPLF. La situazione sembra dunque pronta a degenerare ulteriormente.

Da parte sua, Abiy Ahmed ha dichiarato unilateralmente il cessate il fuoco, un gesto che potrebbe essere letto come un tentativo di risolvere la questione attraverso il dialogo, se non fosse che il Primo Ministro ha approfittato di questa tregua per lanciare una vera e propria chiamata alle armi, chiedendo che ogni cittadino partecipi alla guerra contro le milizie ribelli.

[di Walter Ferri]

 

Antitrust: multa da 1 milione di euro a Trenitalia

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L’ Autorità Antitrust ha comminato una sanzione da 1 milione di euro a Trenitalia. In una nota dell’Autorità si legge che la multa è stata anche ridotta a causa delle perdite economiche registrate dalla società nel 2020. Inoltre, la motivazione alla base della stessa risiede nel fatto che, secondo quanto emerso da rilevazioni d’ufficio e da accertamenti ispettivi, nel periodo gennaio-febbraio 2021 si sono verificati dei problemi alla stazione di Roma Termini: molti pendolari abbonati ai treni ad alta velocità non sono infatti riusciti ad accedere ai treni della linea Roma-Napoli/Caserta, nonostante i posti non fossero occupati o riservati per il posizionamento “a scacchiera”.

Brasile, gli indigeni denunciano Bolsonaro alla Corte internazionale per genocidio

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L’Articolazione dei popoli indigeni del Brasile (Apib) è attiva da anni per riuscire a fare valere i diritti degli indigeni brasiliani, i quali subiscono più di ogni altro le conseguenze delle decisioni prese dal presidente Jair Bolsonaro. Lunedì 9 agosto, l’Apib ha così  presentato un’istanza alla Corte penale internazionale per denunciare il genocidio da parte del governo di Bolsonaro. Ai giudici sono stati presentati, da parte dell’Apib, diversi documenti volti a dimostrare alcuni provvedimenti del presidente, che sono la prova di come Bolsonaro abbia applicato «Un’esplicita, sistematica e intenzionale politica anti-indigena». L’accusa per il presidente brasiliano è dunque quella di genocidio ma anche di ecocidio, visto che il tipo di scelte prese dal 2019 – anno in cui Bolsonaro si è insediato – remano contro qualsiasi forma di tutela ambientale e rispetto del territorio; il progetto  Monitoring of the Andean Amazon, con uno studio pubblicato lo scorso aprile, ha dimostrato che nel 2021, oltre 1.700 i chilometri quadrati di foresta pluviale amazzonica sono stati abbattuti o bruciati in Brasile.

Le conseguenze delle scelte politiche di Bolsonaro hanno portato a una sempre minore attenzione per i territori brasiliani, dove il tasso di deforestazione è, nell’anno corrente, aumentato del 17 per cento rispetto al 2020. Una noncuranza per il tema ambientale di tale portata, non va solo a discapito di flora e fauna – oltre ad avere conseguenze riflesse sul Pianeta intero – ma chi paga in primis sono i circa 900mila indigeni brasiliani. Senza reale difesa da parte delle istituzioni e con leggi sempre più malleabili, volte a dare spazio ad attività illegali come quella mineraria, con i continui incendi e con l’avvento del Covid-19, i popoli indigeni sono stati sottoposti ai più grandi rischi. Se un contesto di questo tipo dovesse perdurare, le conseguenze saranno irreversibili; e si parla della vera e propria sopravvivenza degli indigeni, completamente e continuamente minacciata. Così gli indigeni si sono mobilitati per far sì che gli attacchi da loro subiti, le deforestazioni, le concessioni minerarie e l’assenza di aree protette per i popoli originari, possano avere una fine.

Per farlo, l’unica soluzione per l’Apib – vista l’inazione della giustizia locale – è portare Bolsonaro nel tribunale della Corte penale internazionale, che deve ora decidere se aprire o meno un’inchiesta. Il materiale presentato dall’Apib dimostra che da quando Bolsonaro ha preso il potere nel 2019, il presidente ha attuato specifiche politiche contro gli indigeni, privandoli dei loro territori; già nel gennaio scorso, Raoni Metuktire e Almir Narayamoga Surui, due leader indigeni, avevano presentato un dossier in cui si palesava quanto deforestazioni, trasferimenti di comunità intere, omicidi, violenze e attività illegali sui territori brasiliani avessero raggiunto picchi mai visti prima dal momento in cui Bolsonaro è diventato Presidente del Brasile. Tutto ciò che gli indigeni hanno nuovamente presentato alla Corte è per loro un vero e proprio crimine contro l’umanità e, intanto, un reale ecocidio. Nel caso in cui la Corte decida di aprire un’inchiesta ufficiale, sarà per la prima volta indagato, dal Tribunale internazionale dell’Aja, un presidente brasiliano.

[di Francesca Naima]

Giappone, una nave si è divisa in due: petrolio nel mare

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Nel Giappone settentrionale, precisamente nel porto di Hachinohe, una nave di 39.910 tonnellate, la Crimson Polaris, si è divisa in due, iniziando a perdere petrolio. Nel mare, si è dispersa una chiazza di petrolio lunga 5,1 km e larga 1 km, e le motovedette hanno subito agito per attuare le giuste misure di contenimento. La Guardia Costiera giapponese ha fatto sapere che, tra i ventuno membri dell’equipaggio, non ci sono stati feriti e che la perdita di petrolio sembra non avere raggiunto la riva.

 

Violenza e grossi rischi sanitari: il lato oscuro dell’industria dei salmoni

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Pratiche di stordimento scorrette, pessime condizioni igieniche e mangimi ricchi di antibiotici. Sono solo alcuni dei lati oscuri che si celano dietro l’industria di salmoni. L’ennesima denuncia, viene da un’inchiesta di Animal Equality, un’organizzazione internazionale per la difesa del benessere animale. Gli attivisti, sotto copertura, hanno documentato quanto quotidianamente avviene in un macello scozzese di salmoni della The scottish salmon company. Quel che è emerso – a detta dell’organizzazione – è agghiacciante. I pesci, ad esempio, non vengono storditi nel modo corretto. E questo causa delle inutili sofferenze. Inoltre, la rimozione delle branchie, spesso – rivelano i video – viene effettuata prima, quando l’animale è pienamente cosciente.

Nel Regno Unito, ogni anno, vengono allevati e macellati fino a 77 milioni di pesci. Dopo Norvegia e Cile, la Scozia è, invece, il terzo produttore globale di salmone allevato. Ma quel che è pubblicizzato come un’eccellenza, nasconde pratiche in netto contrasto con il benessere animale. In particolare, viene denunciata l’assenza di una regolamentazione specifica per l’industria ittica. Infatti, seppur timidamente, per gli altri allevamenti qualcosa sta cambiando, mentre la tutela del benessere di milioni di pesci pescati giornalmente è ancora lontana. «Con il rilascio di queste indagini – ha dichiarato Alice Trombetta, direttrice di Animal Equality Italia – vogliamo dimostrare che il mercato della pesca industriale e degli allevamenti intensivi di pesce colpisce duramente il benessere dei pesci con conseguenze pesanti anche sulla salute dei consumatori, nonché per l’ambiente».

Le violenze nei confronti degli animali e le pessime condizioni di allevamento, infatti, non sono le uniche ombre del settore. Quel che preoccupa è ancor di più lo stato igienico-sanitario e gli inevitabili impatti ambientali. A rafforzare queste accuse ci sono, ancora una volta, le testimonianze raccolte e registrate da Animal Equality. In questo caso l’inchiesta si è focalizzata su un allevamento industriale di salmoni indiano. L’India contribuisce a circa il 6,3% della produzione ittica globale, ma il settore sta adottando pratiche deleterie per la salute pubblica, l’ambiente e i diritti umani, specie quelli dei minori. I bambini spesso lavorano in tali allevamenti ed «esposti a certe crudeltà – spiegano gli animalisti – perdono sensibilità nei confronti della sofferenza di altri esseri viventi, inclusa quella umana».

Gli allevamenti intensivi nascono con lo scopo di produrre tanto col minimo sforzo. Tanti animali vengono quindi ammassati in spazi ben al di sotto di quanto avrebbero bisogno. Come evidenziano le immagini registrate in India, quel che ne deriva è un aumento dello stress, dell’aggressività e delle patologie. Di conseguenza, per ridurre la trasmissione di malattie nell’allevamento, l’unico aspetto tra quelli elencati che potrebbe compromettere la produttività dello stesso, i pesci vengono alimentati con mangimi ricchi di antibiotici. Con il risultato che consumare alimenti provenienti dalla maggior parte degli allevamenti intensivi contribuisce ad aumentare l’antibiotico-resistenza nella popolazione. Una minaccia alla salute pubblica globale. Questo fenomeno deriva dall’adattamento cui i batteri vanno in contro a seguito di una sempre più intensa esposizione a farmaci concepiti per debellarli. Le comunità microbiche sono così via via meno suscettibili agli antibiotici e il rischio, già ampiamente sperimentato, è che molte patologie batteriche possano essere curate con difficoltà progressivamente crescenti. L’abuso medico di tali farmaci, è bene precisarlo, resta comunque la principale causa di antibiotico-resistenza. Non è da ignorare poi il passaggio di antibiotici dagli animali alle acque. L’impatto sulla salute dei fiumi è altrettanto drammatico. Senza contare lo spreco idrico: gli allevamenti ittici sfruttano grandi quantitativi d’acqua che provengono, nel caso indiano, da fiumi come Krishna, Godavari e Kaveri, riducendo così le disponibilità per l’agricoltura e la popolazione locale.

[di Simone Valeri]

I talebani conquistano il decimo capoluogo di provincia, minacciata Kabul

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I talebani continuano a occupare terre in Afghanistan. In una sola settimana, sono dieci i capoluoghi di provincia occupati dai talebani; l’ultimo capoluogo conquistato è Ghazni che dista 150 km dalla capitale, Kabul. Mentre in alcune parti della città stanno andando avanti i combattimenti – come ha fatto sapere il capo del consiglio provinciale di Ghazni – dagli Stati Uniti l’amministrazione Biden si prepara alla caduta di Kabul nelle mani dei talebani molto prima del previsto. Ora che le truppe statunitensi sono fuori dall’Afghanistan, si pensa che la capitale afghana possa cadere entro novanta giorni.

Caldo: record europeo in Sicilia, raggiunti i 48,8 °C

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Nella giornata di oggi in Sicilia sono stati raggiunti i 48,8 °C. Nello specifico, tale temperatura è stata registrata alle 13:14 a Siracusa, nei pressi del comune di Floridia, ed è stata riportata dal Servizio informativo agrometeorologico siciliano (Sias). Mai in Europa era stata registrata una temperatura così alta: si tratta dunque di un vero e proprio record, che però dovrà essere confermato dall’Organizzazione meteorologica mondiale.

Vaccini Covid: in Francia da metà settembre terza dose per fragili

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In Francia, a partire dalla metà di settembre si inizierà a somministrare la terza dose del vaccino anti Covid alle persone più vulnerabili ed a rischio. Lo ha reso noto nella giornata di oggi il portavoce del governo, Gabriel Attal, in seguito ad una riunione del Consiglio dei ministri.

Valsusa: consulenza nega lacrimogeni ad altezza d’uomo, per i No Tav è depistaggio

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«La Stampa gioca di sponda con la Procura per tentare la strategia dell’insabbiamento»: è questa la prima parte del testo pubblicato sul sito Notav.info in seguito alla notizia, data dal quotidiano italiano, avente ad oggetto la consulenza della Procura sul caso di Giovanna Saraceno, attivista No Tav rimasta gravemente ferita nel mese di aprile durante le manifestazioni di protesta svoltesi in Val di Susa. La consulenza esclude il fatto che la donna abbia riportato le ferite a causa di un lacrimogeno lanciato dalla polizia, al contrario di quanto sostenuto dai No Tav, secondo cui quest’ultima sarebbe invece stata colpita in pieno volto. «Un tentativo di depistaggio bello e buono, a cui siamo fin troppo abituati nel nostro Paese», affermano gli attivisti, che si rifanno non solo alla testimonianza di Giovanna ma anche alla «pratica degli spari ad altezza d’uomo», che è «comune in Val Susa».

In tal senso, basterà ricordare che negli scorsi mesi la Corte d’Appello di Torino ha messo nero su bianco, in una sentenza, che le forze dell’ordine hanno compiuto diversi atti illeciti nei confronti del movimento No Tav durante gli scontri avvenuti in Valsusa il 3 luglio 2011. Tra questi l’esplosione di «ordigni lacrimogeni con un’angolazione insufficiente, ovvero con lanci tesi invece che a parabola». In più, proprio in seguito all’incidente che ha coinvolto Giovanna, sono stati diffusi dei video riguardanti la medesima giornata di proteste dai quali si vedono chiaramente agenti di polizia sparare lacrimogeni ad altezza d’uomo. Dunque, i No Tav affermano che «quello de La Stampa è un gesto violento e servile che sminuisce i danni fisici subiti da Giovanna e che smaschera la malafede di chi ad ogni costo cerca di bloccare il dissenso che da oltre 30 anni si manifesta in Valsusa». Per questo nella giornata di lunedì gli attivisti hanno manifestato, tramite una piccola delegazione, a Piazza Castello: il tutto con l’obiettivo di «mostrare alla Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e al suo parterre di vip della sicurezza le immagini della violenza delle sue amate forze di polizia».

Detto ciò, nel testo pubblicato su Notav.info vengono anche riportate le parole di Valentina Colletta, l’avvocato di Giovanna Saraceno, che dopo aver letto l’articolo pubblicato su La Stampa ha affermato: «Ci si trova per l’ennesima volta davanti alla violazione del segreto istruttorio». Secondo l’avvocato si tratta di informazioni delicate che sono uscite dalla Procura della Repubblica per «approdare, senza alcun approfondimento critico e senza alcun interesse per la versione contraria, alle solite redazioni giornalistiche». La difesa di Giovanna, infatti, non è stata informata del deposito della consulenza, motivo per cui Colletta ha affermato che sarà in grado di valutare le conclusioni del Dr. Testi (consulente tecnico) solo se e quando la Procura «le darà l’occasione di leggerle». Ed infine ha aggiunto: «so soltanto che Giovanna ha riferito di essere stata colpita da un candelotto lacrimogeno sparato a distanza ravvicinata e ad altezza d’uomo e non ho ragione per non crederle».

[di Raffaele De Luca]

Bill Gates e Jeff Bezos finanziano attività estrattive in Groenlandia

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La nuova sfida di oggi, per molte multinazionali, è la ricerca di nuove fonti di cobalto, vista la richiesta sempre crescente di veicoli elettrici. È così che nascono progetti in cui coinvolte sono grandi società, dove vengono riscontrati ingenti investimenti da parte di uomini d’affari, come è accaduto per il progetto Disko-Nuussuaq in Groenlandia: la società di esplorazione mineraria KoBold Metals, e la londinese Bluejay Mining (JAY.L) hanno infatti firmato un accordo col fine di cercare i principali materiali che danno vita ai veicoli elettrici. Il territorio di interesse delle società è appunto la Groenlandia, e tra chi ha scelto di finanziare il progetto, spuntano i nomi di due magnati contemporanei: Jeff Bezos e Bill Gates. Quest’ultimo, conosciuto per essere il fondatore di Microsoft Corporation, ha in mano, insieme al fondatore di Amazon.com Inc., Jeff Bezos, la supervisione del fondo per il clima e la tecnologia Breakthrough Energy Ventures che è tra i principali investitori della società privata KoBold Metals. Rod McIllree, presidente esecutivo di Bluejay, ha infatti parlato di Gates e Bezos come coloro che «Portano molta capacità tecnica e finanziaria a questo progetto. Quello che portiamo è la risorsa e la capacità di operare efficacemente in Groenlandia». Altri fondamentali investitori del progetto sono poi Andreessen Horowitz e la compagnia energetica norvegese Equinor ASA.

Per andare alla ricerca di materie prime, la KoBold Metals utilizza l’intelligenza artificiale, l’apprendimento automatico e altre tecniche di calcolo per raccogliere dati sui terreni, capire quali acquistare e quale sia il punto giusto per trivellare così da scoprire nuovi giacimenti minerari. Per il nuovo progetto Disko-Nuussuaq la società avrà, entro il 31 dicembre 2024, una spesa di 15 milioni di dollari in finanziamenti per il piano di esplorazione sulla costa occidentale della Groenlandia, in cambio di una quota del 51% nel progetto, come precisato dall’inglese Bluejay in un comunicato. La decisione di investire nell’area della Groenlandia occidentale viene poi dalla conferma, grazie ad alcuni studi, di una particolare somiglianza da parte dell’area in Groenlandia, con la geologia della regione russa di Norilsk-Talnakh, che è tra le più ricche di nichel e palladio. Come specificato da Rod Mclllree, presidente esecutivo di Bluejay, «Il tipo di mineralizzazione è molto simile, sono elementi del gruppo nichel-rame-cobalto-platino. E’ di altissimo grado. E’ stata identificata per la prima volta alla fine del XIX secolo, quando hanno scoperto un masso di metallo di 20 tonnellate che era in realtà caduto da una scogliera e rotolato sulla riva». Rod Mclllree ha poi aggiunto «Il prossimo anno il piano è quello di ottenere una comprensione più profonda utilizzando la tecnologia KoBold, e potremmo anche vedere alcune trivellazioni».

Un progetto, il Disko-Nuussuaq, enorme e che potrebbe portare a serie conseguenze. L’area del progetto, è paragonabile, per estensione, a quella del Lussemburgo: ben 2.776 km2. Ci sono per ora venti target pronti per la trivellazione su larga scala, per.i quali già sono state ottenute le licenze e non solo; le licenze sono state anche ampliate. Il fatto che il progetto sia innanzitutto per investire sulla realizzazione di veicoli elettrici, dimostrati essere una grande risorsa – anche se discussa – per la lotta contro il cambiamento climatico, preveda una così rischiosa operazione, apre dei punti di domanda. L’area è infatti molto delicata e l’operazione mineraria è gigantesca, in un momento storico in cui la situazione della Terra va peggiorando in tempi record: qualche giorno fa, infatti, c’è stato un ulteriore, importante allarme lanciato dall’Ipcc. Tra l’altro, è proprio un fondo per il clima e la tecnologia (il sopracitato Breakthrough Energy Venture) a finanziare un progetto che rischia di portare gravi conseguenze ambientali.

[di Francesca Naima]