giovedì 20 Novembre 2025
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Venezuela: piogge torrenziali, 45mila persone colpite

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Diciassette dispersi, almeno venti morti e più di 54mila persone colpite dopo le piogge torrenziali che si sono abbattute ieri nella parte occidentale del Venezuela. Numeri tristemente aumentati rispetto a quanto inizialmente dichiarato (fino a poche ore fa si sapeva che i morti fossero quindici e i dispersi 35mila). Nella giornata di oggi è stato il ministro Remigio Ceballos, a dare le sopracitate informazioni durante un intervento televisivo. Sempre in un discorso pubblico trasmesso in televisione, il presidente Nicolas Maduro ha sottolineato la portata della tragedia, parlando di già 8.000 case letteralmente distrutte.

L’Europa ha approvato 10 colture OGM per il consumo umano

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La Commissione Ue ha dato il via libera a sette nuove colture geneticamente modificate, nonché al rinnovo dell’autorizzazione per altre tre varietà transgeniche. Stiamo parlando essenzialmente di mais (5 colture), soia e colza (2 colture ognuna) e cotone (1 coltura). Le concessioni non riguardano la produzione ma solo l’importazione e il commercio. Le autorizzazioni avranno validità di 10 anni e qualsiasi prodotto ottenuto da questi Ogm sarà soggetto alle regole di etichettatura e tracciabilità dell’Ue. «Queste colture – rassicura la Commissione Ue in una nota – sono state sottoposte a una procedura di autorizzazione completa e rigorosa inclusa una valutazione scientifica favorevole da parte dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa)».

La politica dell’Unione europea sembra quindi confermare una direzione favorevole alla diffusione di specie vegetali, destinate al consumo umano, modificate mediante tecniche di ingegneria genetica. Tuttavia, le innovazioni in campo agro-biotecnologico, pur portando alla selezione di varietà maggiormente resistenti, tengono ancora vivo il dibattito scientifico. In effetti, pur sottoposti a rigorosi protocolli di approvazione e sorveglianza, non vi è certezza sulla totale sicurezza di questi organismi, specie in termini di rischi ambientali. Anzi, è ormai appurato che le informazioni genetiche di colture modificate siano trasferibili. Quando una coltura GM viene coltivata, infatti, non è in alcun modo possibile controllare il flusso genico tra questa e le specie naturali. Il rischio è che quindi si vada in contro ad una perdita irreversibile del patrimonio genetico di specie affini a quelle coltivate, oltre ad alterazioni imprevedibili sulla biodiversità. In relazione a quest’ultimo aspetto, la Royal Society britannica aveva condotto un’analisi che sottolineava come la scelta della specie da coltivare incida sulla biodiversità più di quanto non faccia la coltivazione di una varietà transgenica. Ciononostante è ormai chiaro, oltreché altamente improbabile, che effetti indiretti e a lungo termine siano del tutto assenti. In primo luogo, le coltivazioni geneticamente modificate favoriscono il diffondersi delle monocolture e, in generale, pratiche agricole intensive. Le prime, in quanto massimo grado di semplificazione ambientale, sono connesse a svariate problematiche, su ogni fronte, lontane dalla sostenibilità. L’agricoltura industriale nella sua accezione intensiva, nel complesso, rappresenta invece una delle prima cause di perdita di biodiversità a livello globale, nonché della stessa crisi climatica.

Va poi detto che i reali benefici delle colture GM dovrebbero superare eventuali rischi solo quando si generano varietà resistenti a condizioni che, diversamente, non permetterebbero una produttività adeguata. Le attuali e più diffuse varietà transgeniche, di contro, sono concepite perlopiù per resistere a specifici erbicidi rimanendo, di fatto, vincolate ad essi. Come il caso delle varietà di soia GM della Monsanto, selezionate di modo che resistano al dibattuto glifosato, note per alimentare la deforestazione in Sudamerica. Nel caso invece di colture transgeniche resistenti ad organismi potenzialmente nocivi, seppur vero che queste richiedano un minor impiego di pesticidi chimici, è presto sorto il problema della possibile resistenza cui tali organismi potrebbero andare in contro. Senza contare che – come ha dimostrato un recente studio in via di pubblicazione su Entomology – le varietà GM possono danneggiare direttamente l’entomofauna. Il mais transgenico in grado di produrre una tossina batterica – è emerso – danneggia non solo gli insetti nocivi, ma anche le specie non bersaglio che, invece, potrebbero naturalmente aiutare a contrastare gli organismi dannosi.

La questione è poi anche di carattere etico. La diffusione di colture geneticamente modificate appare infatti in netto contrasto con la salvaguardia di un’agricoltura tradizionale a carattere estensivo. L’imposizione commerciale, e il sostegno politico, di varietà transgeniche minaccia direttamente pratiche agricole locali di sussistenza nonché la diversità biologica ad esse legata. Senza, tra l’altro, portare a consistenti benefici. Emblematico il caso che vede, ancora una volta, protagonista la Monsanto. Nel 2008, la multinazionale oggi assorbita dalla tedesca Bayer riuscì a portare i propri interessi nel Burkina Faso. Nel giro di pochi anni, il 70% del cotone del Paese si poteva considerare transgenico. Tuttavia, a causa della bassa qualità della fibra e dell’elevato costo dei semi, i produttori locali stimarono, fra il 2011 e il 2016, perdite per oltre 70 milioni di euro. Il risultato è stato che il governo ha optato per l’abbandono del cotone GM e il ritorno a quello tradizionale. In definitiva, eccetto i casi in cui i vantaggi delle biotecnologie aiutino effettivamente a garantire un certo grado di sicurezza alimentare, l’impiego di colture geneticamente modificate andrebbe il più possibile limitato. La sostenibilità in agricoltura, infatti, in nessun modo potrebbe essere garantita da coltivazioni intrinsecamente legate a pratiche intensive ed anche solo potenzialmente rischiose per la biodiversità.

[di Simone Valeri]

 

Naufragio al largo delle Canarie: 11 migranti dispersi

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Ventotto persone sono stratte tratte in salvo dai soccorritori vicino all’isola di Lanzarote, dopo il naufragio dell’imbarcazione su cui viaggiavano diversi migranti. Chi per ora è stato tratto in salvo, ha spiegato che la partenza è avvenuta sei giorni fa da Safi (Marocco). I superstiti hanno anche dichiarato che diverse persone sono disperse in mare; si cercano infatti dieci o undici migranti, tra cui dei minori.

Uno studio ha scoperto che le eruzioni vulcaniche possono raffreddare il pianeta

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Secondo un nuovo studio, le grandi eruzioni vulcaniche sono in grado di raffreddare temporaneamente la Terra. Un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Chimica e Geografia dell’Università di Cambridge e del Met Office – il servizio metereologico nazionale del Regno Unito – ha confermato che queste possono interferire nel processo d’entrata delle radiazioni solari nell’atmosfera terrestre. La maggior parte delle emissioni vulcaniche contiene cenere e ingenti quantità di gas, il cui principale è il biossido di zolfo che, mischiandosi con il vapore acqueo, provoca la formazione di particelle, chiamate aerosol di solfati. Queste creano “un velo” che impedisce alla luce solare di raggiungere la superficie terrestre, provocando un “raffreddamento temporaneo”. Si tratta di un processo che si verifica soltanto in relazione ad attività particolarmente intense, in grado di “spingere” il materiale vulcanico nel secondo strato dell’atmosfera, la stratosfera.

È stato anche appurato il forte impatto che il clima ha sui vulcani. Con l’utilizzo di computer e programmi specifici, i ricercatori hanno simulato delle eruzioni in particolari condizioni climatiche, al fine di capire e analizzare il movimento della materia eruttata dai grandi vulcani tropicali. Nello specifico, sono state simulate – e attentamente valutate – attività eruttive nel contesto climatico previsto da qui al 2100. L’esperimento ha dimostrato che, con il sempre più crescente surriscaldamento globale, la troposfera – strato più basso dell’atmosfera terrestre – si espande in altezza causando, quindi, un allontanamento della stratosfera dalle attività eruttive. Tuttavia, anche se si stima un aumento della temperatura di ben 6° entro 80 anni e la crescita della troposfera di 1,5 chilometri in altezza, le attività eruttive saranno molto più violente di oggi e quindi in grado di raggiungere la stratosfera. Inoltre, i gas viaggeranno più velocemente e amplificheranno il raffreddamento del 15%. Ora, il prossimo passo nelle ricerche sarà approfondire le analisi delle tendenze in relazione a livelli di riscaldamento ancora più realistici, inserendo nello studio anche lo scioglimento dei ghiacci e i vulcani polari.

 

[di Eugenia Greco]

Regno Unito: 4.700 contagi al concerto riservato ai possessori del Green Pass

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Sono quasi 5.000 i casi di Coronavirus registrati dopo l’evento che si è tenuto in Cornovaglia, nel Regno Unito. L’evento in questione, a cui è legato il nuovo focolaio sviluppatosi nel Regno Unito, è il Boardmasters Festival; il festival viene organizzato ogni anno ad agosto e alterna musica dal vivo e gare di surf. La settimana dopo il Boardmasters Festival – che si è tenuto dall’11 al 15 agosto – in Cornovaglia e nelle isole di Scilly, è stato registrato il secondo tasso di contagio più alto in Inghilterra. Sono in tutto 4.700 coloro che hanno dichiarato di essere stati presenti al Boardmasters Festival – o di avere avuto collegamenti con esso – poi risultati positivi al Coronavirus, come hanno fatto sapere i funzionari della sanità. Dei 4.700 individui positivi, circa tre quarti hanno un’età compresa tra i 16 e i 21 anni; sono poi 800 i contagiati che risiedono in Cornovaglia, anche se i nuovi casi sono ormai diffusi in tutto il paese. Nonostante il Consiglio della Cornovaglia avesse valutato di cancellare – per l’anno corrente – l’appuntamento con il Boardmasters, il festival alla fine ha avuto luogo, ma con svariate misure adottate per il contenimento del contagio.

L’evento ha contato circa 50.000 partecipanti e a tutti i presenti (dagli undici anni in su) è stato chiesto di utilizzare l’applicazione dell’NHS (National Health System) così da dimostrare il loro stato di salute. Attraverso l’applicazione NHS – o con un documento stampato – chi ha frequentato il festival ha dovuto mostrare di essere in possesso dell’NHS Covid Pass: il nuovo sistema di certificazione che attesta l’avvenuta somministrazione della doppia dose di vaccino. Un sistema che rimane all’interno del Regno Unito ma che è l’equivalente del Green Pass. Per potere accedere al Boardmasters Festival i presenti hanno dunque dovuto dare prova di essere stati vaccinati due volte, e non solo: per i partecipanti, prima di entrare, è stato necessario dimostrare che la seconda dose fosse stata loro somministrata almeno due settimane prima dell’11 agosto, data in cui l’evento ha avuto inizio. Oltre all’NHS Covid Pass, sono state adottate ulteriori misure, quali il tampone negativo effettuato entro 24 ore dall’arrivo al festival o, altrimenti, la possibilità di dimostrare l’immunità naturale con il test molecolare (PCR), di almeno 10 giorni prima dell’evento.

Anche durante i giorni in cui si è svolto il festival, è stato previsto un secondo test –  precisamente due giorni dopo l’inizio dell’evento, il 13 agosto – effettuato da chi soggiornava nel campeggio del Boardmasters Festival. Infine, maschere facciali non obbligatorie ma «Incoraggiati e accolti coloro che preferiscono indossarle», come si evince dal sito ufficiale del Boardmasters festival. Nonostante il personale dell’evento abbia lavorato in stretto contatto con il team di salute pubblica del Consiglio della Cornovaglia, così da implementare le misure di gestione del rischio «Sopra e oltre le linee guida nazionali», le conseguenze sono state ben diverse da quelle sperate. I dubbi sorti fin da subito sull’effettiva immunità sterilizzante (che equivale al requisito minimo per eliminare il virus dove il tasso di immunizzati è molto alto) hanno ora una nuova prova nell’effettiva realtà. Dopo i dati dei contagiati al festival in Cornovaglia, l’efficacia scientifica del Green Pass (NHS Covid Pass nel Regno Unito) rischia di divenire sempre più dubbia.

[di Francesca Naima]

Taglio allo stipendio per i lavoratori in quarantena

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I lavoratori in quarantena rischiano un taglio allo stipendio che potrebbe arrivare a mille euro per due settimane di assenza. L’indennità da quarantena (stanziamento di 663,1 milioni voluto dal Governo Conte) è stata valida per tutto il 2020 ma per quest’anno non c’è stato il rifinanziamento. Dunque, l’Inps non riconoscerà più il periodo di quarantena (la cosiddetta “sorveglianza attiva o fiduciaria”, perché in contatto con un positivo a Sars-Cov-2) dei lavoratori come malattia.

I dati biometrici dell’intero Afghanistan sarebbero caduti in mano ai talebani

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Non è insolito leggere su giornali e sui social che i talebani siano retrogradi o che, al pari di belligeranti Amish mediorientali, ripudino la tecnologia per abbracciare integralmente delle narrative di stampo religioso. Che non abbiano in simpatia la modernizzazione occidentale è chiaro, ma chiunque presti attenzione alle foto pubblicate sui giornali si renderà conto che i guerrieri talebani sono tutt’altro che fermi all’epoca di scimitarre e cavalli.

Prima hanno accolto le jeep e i kalashnikov, quindi i social media e le chat di gruppo e ora il loro arsenale digitale potrebbe essere in procinto di compiere un gigantesco balzo avanti, estendendosi alla raccolta dei dati biometrici degli abitanti afghani. Un trionfo tecnico che, a ben vedere, gli è stato concesso dall’avversario di sempre: gli Stati Uniti.

Alcuni informatori del The Intercept hanno infatti rivelato che l’Handheld Interagency Identity Detection Equipment (HIIDE) dell’esercito americano sia finito ormai nelle mani del redivivo Emirato Islamico. In altre parole, i talebani hanno ottenuto degli strumenti capaci di identificare dati biometrici quali le impronte digitali e le scansioni delle iridi, nonché un gigantesco archivio di informazioni biografiche che esplora a fondo la vita di tutti coloro che in Afghanistan hanno interagito con gli Stati Uniti.

L’idea originariamente dietro a HIIDE era quella di mappare in totale l’80% dei locali, un tentativo estremo di controllo che era mirato a limitare grandemente l’imprevedibilità propria agli attentati terroristici. Non sappiamo quanto i soldati americani fossero lontani dal raggiungere un simile traguardo, tuttavia hanno passato anni a scansionare tutti i collaboratori di passaggio per i vari check-point, costruendo profili molto approfonditi su coloro che l’attuale establishment potrebbe oggi perseguire.

Gli USA non sono certamente celebri per l’attenzione nel difendere la privacy ed è facile che l’esercito abbia attinto a piene mani i dati degli afghani senza mai chiedersi quanto un simile atteggiamento fosse corretto e, cosa più rilevante, se fosse il caso di programmare un sistema di autodistruzione qualora gli archivi fossero dovuti finire nelle mani sbagliate.

Si tratta ovviamente di illazioni, l’Ufficio della Segreteria della Difesa si è rifiutato categoricamente di commentare la situazione, ma i diretti interessati non possono che essere ulteriormente stretti da una rinnovata tenaglia d’ansia, se non per sé stessi, per tutti i familiari e gli amici che simili database informatici potrebbero rendere vulnerabili.

Non resta che augurarsi che i talebani e i loro alleati non siano in grado di accedere e gestire un archivio tanto complesso e, nel frattempo, continuare a domandarsi se sia il caso o meno di imporre nuovi limitazioni internazionali sul come sia lecito adoperare le nuove tecnologie sui campi di battaglia.

[di Walter Ferri]

 

Incidente minerario in Colombia, 12 morti

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Incidente minerario in Colombia: come informa l’Agenzia nazionale mineraria, una miscela di gas metano e polvere di carbone ha causato la morte di almeno 12 persone e un ferito. La miniera dov’è avvenuto l’incidente, non lontana da Bogotà, è una miniera di carbone illegale. In Colombia – che è il quinto produttore di carbone al mondo – gli incidenti minerari accadono frequentemente: lo scorso anno sono stati 171 i morti per incidenti minerari, aumentati rispetto agli 82 dell’anno precedente.

La Colombia ha deciso di combattere sul serio la deforestazione

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Il presidente della Colombia Iván Duque Márquez ha firmato una nuova legge sui crimini ambientali, la quale rende la deforestazione illegale a tutti gli effetti. L’ordinamento ufficializza un’iniziativa risalente al 2019 che dichiara – oltre agli atti di disboscamento e al suo finanziamento – il traffico di fauna selvatica, l’appropriazione illegale di terre selvagge e l’invasione di aree di elevata importanza ecologica, gravi crimini. Lo stato latinoamericano possedeva già leggi atte a punire azioni dannose alle risorse naturali – ecocidio, caccia e pesca illegali, sfruttamento illecito di risorse naturali rinnovabili e inquinamento ambientale – ma escludeva la deforestazione. Un grosso neo per gli esperti, considerando che la perdita di ettari di foreste è il principale problema ambientale della Colombia.

La nuova legge è quindi un importante passo avanti, risultato della modificazione del codice penale in materia di reati ambientali (legge 599 del 2000). L’introduzione del reato di deforestazione – per cui lapena prevede fino a 15 anni di reclusione -e di altri crimini, intensifica la lotta al cosiddetto “land grabbing (accaparramento di terre) che, in Colombia, si pone alla base della distruzione delle foreste per l’agricoltura intensiva.

La legge prevede quindi pene esemplari a coloro che finanzieranno e attueranno l’appropriazione indebita dei terreni, come molte bande criminali del paese che pagano tra i 3 e i 5 milioni di pesos (tra 600 e i 1200 euro) per ettaro disboscato; una pratica che va di pari passo con il traffico di specie selvatiche, la quale vede le autorità colombiane sequestrare una media di 35mila animali ogni anno. Pertanto, l’introduzione dei nuovi crimini – e l’inasprimento delle sanzioni per quelli già esistenti – fornisce gli strumenti necessari al perseguimento dei responsabili del degrado degli ecosistemi colombiani. Il governo, però, non ha intenzione di allentare la presa, essendo rimasti esclusi dalla legge altri provvedimenti non di poco conto, come il possesso e il trasporto di mercurio che, in un comunicato del Senato risalente al 7 luglio, veniva incluso nell’elenco dei reati e avrebbe previsto, non solo multe salatissime, ma anche dai 4 ai 6 anni di reclusione.

[di Eugenia Greco]

Usa, approvato definitivamente il vaccino Pfizer: esercito e aziende lo rendono obbligatorio

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Negli Stati Uniti è stato approvato in via definitiva uno dei vaccini anti Covid-19: il vaccino BNT162b2 di Pfizer e BioNTech. È stata la Food and Drug Administration (Fda) a dare l’approvazione e diffondere la notizia nella giornata di ieri, lunedì 23 agosto. Prima di questa data, il Pfizer veniva utilizzato grazie all’autorizzazione all’uso di emergenza (Eua) – concessa sempre dalla Fda – che risale all’11 dicembre 2020, per le persone dai 16 anni in su e poi ampliata il 10 maggio 2021, per includere anche coloro dai 12 ai 15 anni di età. Per il Pfizer finisce quindi l’uso di emergenza ed è ufficialmente il primo vaccino a ricevere la completa approvazione; il Pfizer sarà poi diffuso negli Stati Uniti sotto il marchio Comirnaty e verrà somministrato alle persone di età pari o superiore ai 16 anni. Il vaccino continuerà comunque a essere disponibile anche per la fascia d’età tra 12 e 15 anni, ma sempre grazie all’autorizzazione all’uso di emergenza (Eua).

Con l’approvazione del vaccino a più livelli e anche dal punto di vista giuridico, è stato riscontrato un repentino movimento da parte di molteplici aziende – guidato proprio e soprattutto dalle stesse grandi corporation – per rendere obbligatorio il vaccino ai propri dipendenti. Già dalle prime settimane di agosto, diverse compagnie avevano fatto sapere ai propri dipendenti che la vaccinazione non sarebbe più stata opzionale. Non solo, ma ci sono aziende come l’Ascension Health che pretendono la vaccinazione anche per chi continuerà a lavorare in remoto. Oppure, altre aziende danno la possibilità di continuare a lavorare in remoto – con le dovute scadenze – piuttosto che rischiare di essere licenziati perché non ancora vaccinati. La vaccinazione obbligatoria viene poi appoggiata dal 52 per cento di lavoratori; sono invece il 29 per cento i lavoratori che non appoggiano un tale provvedimento, stando alle ultime stime.

A prescindere da chi è o no favorevole, sono moltissime le aziende che, prima di tornare a lavoro, pretendono la vaccinazione da parte di tutti i dipendenti. Dalla CNN – che ha recentemente licenziato tre dipendenti per aver violato le nuove politiche introdotte con la pandemia – a Facebook, che spera di riaprire completamente nel mese di ottobre, ma anche Google, che ha esteso la possibilità di lavorare da casa fino al 18 ottobre e non oltre. Altre aziende della Silicon Valley seguono tale scia, come la Microsoft e Netflix. Ci sono poi le compagnie aeree quali United Airlines, Hawaii Airlines, ma anche la Ford Motor, McDondald’s, UPS, Walt Disney, Walmart… . L’obbligatorietà del vaccino è stata introdotta anche per i membri dell’esercito, come era stato preannunciato dall’amministrazione Biden il 9 agosto. Infatti, i funzionari della Casa Bianca avevano scelto di attendere la totale approvazione da parte della Fda, per poi potere imporre senza alcun rischio il vaccino a 1,3 milioni di truppe in servizio attivo nel Paese.

[di Francesca Naima]