martedì 18 Novembre 2025
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Roma: decine di migliaia di persone manifestano contro Green Pass, scontri con polizia

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A Roma, precisamente in Piazza del Popolo, decine di migliaia di persone si sono radunate oggi pomeriggio per manifestare contro il Green Pass, che dal 15 ottobre diventerà obbligatorio nei luoghi di lavoro. Durante la protesta le persone hanno urlato slogan come «la gente come noi non molla mai». Il corteo si è successivamente spostato a piazzale Flaminio ed i manifestanti hanno bloccato il traffico. Vi sono anche stati momenti di tensione con le forze dell’ordine, con alcuni manifestanti che hanno preso di mira almeno due blindati della polizia spostandoli con la forza. Gli agenti, invece, hanno risposto con alcune manganellate.

Dopo 30 anni di tentativi è riuscito il primo raccolto di caffè in Sicilia

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In Sicilia, nelle terre nella periferia di Palermo, la famiglia Morettino è riuscita per la prima volta a produrre caffè dalle proprie coltivazioni. Si tratta di una notizia buona, ma non troppo.

È il Guardian a narrare la storia della famiglia Morettino, che da un secolo produce caffè artigianale a lavorazione lenta, secondo la tradizione siciliana. La coltivazione del caffè in Italia è stata fino ad oggi impensabile, per ragioni dovute al clima. All’inizio del ‘900 erano già stati fatti dei tentativi in questo senso, ma senza esito positivo. Il caffè commercializzato proviene per lo più dai Paesi a sud del mondo, principalmente da Africa e America Latina, dove le piantagioni si trovano ad un’altitudine di 1500 metri. Nelle terre vicino a Palermo l’altitudine è di appena 350 metri sopra il mare, ma questa primavera Andrea Morettino è riuscito nel suo intento: 66 piante hanno prodotto all’incirca 30kg di caffè.

Per molti versi si tratta di una buona notizia: si prefigura finalmente la possibilità di creare in Italia, la patria per antonomasia dei cultori del caffè, i primi prodotti a km 0. La produzione su larga scala potrebbe essere possibile nel giro di qualche anno. La cosa più incredibile, spiega Morettino al Guardian, è che “le piante crescono all’aria aperta, senza l’aiuto di serre pesticidi”. Fino ad ora a rendere impossibile la coltivazione di caffè in Sicilia erano le temperature fredde. “Stiamo già lavorando a una serie di serre” spiega Morettino, “l’idea è che le cosiddette figlie o nipoti saranno in grado di adattarsi gradualmente al clima siciliano fino al punto in cui riusciranno a crescere all’aria aperta, come già successo per la piantagione di Palermo”.

È chiaro come quella che suona come una buona notizia sia anche il frutto dei drastici cambiamenti climatici che hanno investito il pianeta e non hanno risparmiato la Sicilia. La temperatura media della regione si è innalzata di due gradi negli ultimi cinquant’anni, con un picco di 3.4 °C a Messina. Questo ha causato un progressivo cambiamento nel panorama delle coltivazioni: prodotti tropicali quali mango, papaya e avocado stanno lentamente prendendo il posto delle tradizionali coltivazioni di agrumi, le quali non sopravvivono ai lunghi periodi di siccità e alle temperature sempre più alte (l’estate passata si è registrata la temperatura record di 48.8 °C a Siracusa).

Il professor Mulder, dell’Università di Catania, ipotizza, nel peggiore degli scenari, la desertificazione dell’isola: nel lungo termine “l’intera zona sud-occidentale della Sicilia potrebbe essere climaticamente indistinguibile dalla Tunisia“. Adattarsi alle nuove coltivazioni è l’unico modo di far fronte alla situazione.

[di Valeria Casolaro]

Libano: blackout in tutto il Paese, centrali senza carburante

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Tutto il Libano è attualmente senza elettricità: si è infatti verificato un blackout totale dopo che le due centrali elettriche più grandi del Paese sono state chiuse a causa della carenza di carburante. A riportarlo è l’agenzia di stampa Reuters, che cita fonti governative. In tal senso, l’agenzia riporta le parole di un funzionario del governo, secondo il quale la rete elettrica libanese potrebbe non funzionare «per diversi giorni».

Afghanistan: oggi primo faccia a faccia tra Usa e talebani dopo ritiro

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In Qatar, a Doha, oggi vi sarà il primo faccia a faccia tra Usa e talebani da quando gli americani hanno lasciato l’Afghanistan: seppur infatti gli Stati Uniti abbiano mantenuto i contatti con i nuovi governanti dell’Afghanistan, si tratta del primo incontro di persona. Le discussioni tra una delegazione Usa ed i rappresentati dei talebani si terranno non solo oggi ma anche domani: lo ha comunicato il Dipartimento di Stato americano, che però ha precisato che l’incontro non simboleggia il fatto che gli Stati Uniti riconoscano il regime talebano. «Faremo pressione affinché i talebani rispettino i diritti di tutti gli afghani, comprese le donne e le ragazze, e formino un governo inclusivo», ha dichiarato un portavoce del Dipartimento.

Il sonno del profeta

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Che cosa c’entra il filosofo Epimenide di Creta, vissuto duemilaseicento anni fa, con i nostri fatti del 2021? Una testimonianza antica (vedi G. Colli, La sapienza greca, Adelphi 1992, vol. II, p. 67) ricorda che egli aveva una grande potenza divinatoria derivante dai suoi sogni profetici.

Un tempo era riuscito a salvare Atene che era tormentata, notate bene, dalla pestilenza e dalla discordia. E come? Caduto in uno dei suoi lunghissimi sonni (Epimenide soffriva di narcolessia), il filosofo profeta si era imbattuto in Aletheia e in Dike, cioè nelle dèe della Verità e della Giustizia che gli avevano dato un preciso responso. Quindi aveva consigliato agli Ateniesi, come medicina contro il contagio e come rimedio contro il disaccordo sociale, di praticarle tutte e due. Si ricorda poi che Epimenide volle come unica ricompensa un ramoscello d’ulivo.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]

Naufraga imbarcazione sul fiume Congo, almeno 100 vittime tra morti e dispersi

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Più di 50 persone sono morte e molte altre sono disperse a seguito del naufragio di un’imbarcazione di fortuna sul fiume Congo, secondo quanto riportato dall’autorità provinciale della RDC. L’incidente è avvenuto nella notte tra lunedì e martedì, ma i corpi sono stati recuperati solo nella notte di venerdì. Sono circa 70 i dispersi e 39 i sopravvissuti. L’incidente, dichiara un portavoce del governo, è dovuto probabilmente al sovraffollamento della nave e alle cattive condizioni del tempo. Tre giorni di lutto sono stati istituiti a partire da lunedì.

Verso un’era delle pandemie?

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«L’Europa deve preparare le proprie strutture mediche a gestire un’era delle pandemie». Così, agli inizi di quest’anno, risuonavano le parole della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. L’affermazione, rappresenta di fatto un programma politico: l’attenzione non è sul come cercare di evitare che nuovi virus possano propagarsi, ma – dando per scontato che ciò accadrà – sul come affrontarli. Da tempo infatti la scienza invia moniti, l’ultimo con  un rapporto pubblicato da 26 scienziati in occasione del Global Health Summit del 21 maggio scorso: un elaborato con tutte le azioni necessarie per evitare nuove minacce infettive.

La ricerca si muove piuttosto sui vaccini di nuova generazione. In questo senso due ricercatori del prestigioso Scripps Research Institute di La Jolla hanno proposto, in un articolo pubblicato su Nature, una strategia per affrontare i futuri agenti infettivi: gli anticorpi ampiamente neutralizzanti (Pan-virus vaccine). La difficoltà nel trattare o debellare i virus, infatti, risiede, tra le altre cose, nella loro stessa natura ‘biologicamente indefinita’ che ostacola l’individuazione di una soluzione antivirale ad ampio spettro d’azione. Questi anticorpi agirebbero contemporaneamente contro ceppi diversi di virus correlati e, se venissero sviluppati e funzionassero, potrebbero essere utilizzati come farmaci di prima linea per prevenire o curare i virus di una data famiglia, inclusi nuovi ceppi o ceppi che non sono ancora emersi. Ancor più importante, potrebbero essere utilizzati per progettare vaccini a raggio d’azione più esteso e di sicura efficacia contro eventuali varianti.

È stato costruito un mondo a misura di virus

Il sorgere di nuovi virus tuttavia non è un accadimento inevitabile, ma un fatto che ha quasi sempre una sua genesi potenzialmente evitabile, al patto di essere pronti a riflettere e modificare l’impatto dell’uomo e della produzione sull’ambiente. Dal virus della Mers che prima di arrivare a noi è passato per i dromedari, all’HIV arrivato all’uomo direttamente dai cugini scimpanzé: non è un caso che tutte le patologie infettive potenzialmente epidemiche si siano sviluppate in contesti in cui lo spillover – il cosiddetto ‘salto di specie’ – sia stato agevolato. Stesso discorso per i focolai di Ebola e i due coronavirus che hanno provocato l’epidemia di SARS. E anche per quanto riguarda l’origine dell’agente virale scatenante la Covid-19, nonostante i dubbi sulla possibile origine da laboratorio, la maggior parte degli scienziati crede che si tratti di qualcosa di simile. «È noto che i pipistrelli sono portatori di coronavirus, e gli scienziati hanno determinato che il genoma di SARS-CoV-2 è assai simile a quello di RATG13, un coronavirus trovato per la prima volta in un pipistrello ferro di cavallo (Rhinolophus affinis) nella provincia meridionale cinese dello Yunnan nel 2013. Ma il genoma di RATG13 – si legge in un articolo de Le Scienze che approfondisce dettagliatamente la questione – è identico a quello di SARS-CoV-2 solo per il 96%, e ciò suggerisce che vi sia un parente più stretto di quest’ultimo virus, quello che è stato passato agli esseri umani, che resta ignoto. La possibilità che SARS-CoV-2 sia sfuggito a un laboratorio, comunque, rimane». Ad ogni modo, qualunque sia l’origine del patogeno, le cose non cambiano.

Ripensare il rapporto con la natura

Cambiamenti climatici e devastazione naturale non solo saranno quanto di più grave l’umanità dovrà fronteggiare, ma saranno essi stessi la causa scatenante le future pandemie. Un tema indubbiamente complesso ma, ogni giorno che passa, sempre più ben definito. Un report pubblicato dal WWF, ad esempio, appura che tra la perdita di biodiversità e il verificarsi di epidemie c’è uno stretto legame: «Il passaggio di patogeni dagli animali selvatici all’uomo è facilitato dalla progressiva distruzione e alterazione degli ecosistemi». Le specie selvatiche quindi, costantemente minacciate, vengono sacrificate in aree sempre più ristrette dove il contatto con le attività umane è via via maggiore. «In assenza di zone tampone naturali – spiega il rapporto – l’uomo è criticamente esposto a malattie che diversamente tenderebbero a diffondersi esclusivamente tra le specie animali».

Le istituzioni globali preferiscono curare

Il rischio di nuove epidemie derivante dalla devastazione naturale è concreto e sottovalutato. Le evidenze non mancano. Uno studio pubblicato recentemente su Nature Food, ad esempio, è perfino riuscito a generare una mappa delle aree cinesi più vulnerabili in tal senso. I ricercatori, allo scopo, hanno analizzato circa 30 milioni di chilometri quadrati di copertura forestale, agricola e artificiale, assieme alla densità del bestiame e della popolazione umana, la distribuzione delle specie di pipistrello e i cambiamenti nell’uso del suolo nelle regioni da quest’ultime popolate. I risultati hanno evidenziato che le interazioni uomo-bestiame-fauna selvatica in Cina possono originare hotspot potenzialmente in grado di incrementare la trasmissività dei coronavirus dagli animali all’uomo. Quindi, non solo la distruzione degli ecosistemi, anche gli allevamenti vanno considerati come dei ‘sorvegliati speciali’. Ma, ancora una volta, è la gestione umana a fare la differenza. Infatti, è quando gli animali sono tenuti in condizioni intensive e disumane che diventano focolaio di malattie zoonotiche, come già accaduto nel 2003, 2009 e 2012 per l’influenza aviaria e suina. Oppure, in tempi odierni, ce l’ha ricordato l’abbattimento di 17 milioni di visoni per impedire la diffusione di una delle prime varianti del SARS-CoV-2.

Insomma, le cause scatenanti future epidemie dipendono soprattutto dalle attività umane. Anziché prepararci ad affrontare nuove crisi sanitarie sarebbe indubbiamente più efficace agire a monte. Prevenire è sempre meglio che curare: nonostante non ci sia nulla di più vero, le istituzioni globali non sembrano darvi peso. Sebbene tra le raccomandazioni chiave del documento rilanciato dalla Commissione europea figuri “ridurre i rischi attraverso modi di vivere più sostenibili”, l’atteggiamento generale nei confronti della questione appare superficiale. Il vero focus, infatti, è sul preparare gli Stati a livello medico-sanitario, quando affrontare il problema alla radice sarebbe non solo più efficiente ma anche più economico. Se solo si decidesse di volerlo fare.

[di Simone Valeri]

Texas, ripristinata la durissima legge anti-aborto

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In Texas è stata reintrodotta la legge contro l’aborto, dopo essere stata temporaneamente sospesa da un giudice federale. Si tratta della più dura negli USA, in quanto vieta la pratica a partire dalla sesta settimana (quando si inizia a sentire il battito cardiaco del feto) e non prevede eccezioni per i casi di incesto o stupro. La legge, fortemente voluta dai repubblicani, è stata introdotta il primo settembre e prevede una ricompensa di almeno 10000 dollari per i cittadini che denuncino chiunque aiuti le donne ad abortire dopo il periodo previsto. Si tratta della negazione di un diritto costituzionale riconosciuto, su suolo statunitense, dalla Corte Suprema.

 

Migranti, un nuovo report racconta le brutali violenze commesse dall’Unione Europea

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Croazia, Grecia e Romania hanno portato a termine centinaia di operazioni di respingimento (compiute in maniera illegale e violenta), alle frontiere con l’Unione europea. Le forze di sicurezza e le unità di polizia, a volto coperto, avrebbero ripetutamente intrapreso azioni clandestine e coordinate per negare l’accesso a moltissimi richiedenti asilo in Europa. È quanto stabilito da un rapporto pubblicato mercoledì dall’agenzia di stampa investigativa Lighthouse Reports, con sede ad Amsterdam, e che riporta gli episodi susseguitisi a partire dall’inizio del 2020. Violenze e percosse continuate nel tempo, ai danni di chi, come spesso accade, parte da lontano con l’obiettivo di  approdare in Europa.

Otto mesi di ricerche, raccolta di testimonianze, revisione di audio e filmati, immagini satellitari e interviste: otto mesi di intenso lavoro a cui hanno contribuito anche alcuni media partner europei, tra cui la rivista tedesca Der Spiegel e il quotidiano francese Libération. E il cui duro lavoro ha portato la Croazia, ad esempio, ad avviare un’indagine finalizzata a far luce sulle accuse rivolte alla sua polizia, colpevole, stando alle testimonianze, di aver architettato e compiuto violenti respingimenti di migranti appena fuori dai confini dell’Unione europea. Ed è quello che poi, alla fine, si evince dalla raccolta video, in cui un ufficiale di polizia croato, con il volto coperto, picchia con un bastone alcuni giovani richiedenti asilo al confine del paese con la Bosnia.

Agenti in servizio ed ex agenti di polizia e della guardia costiera hanno dichiarato che, durante un episodio a cui hanno avuto modo di assistere direttamente (anche se da lontano, per non ostacolare le indagini) almeno 189 persone sono state illegalmente respinte: secondo loro solo una “piccola quantità” rispetto a tutti i richiedenti asilo respinti negli ultimi tempi. Come la storia di quel gruppo di afgani e pakistani, costretto dalla polizia croata a riattraversare il fiume Korana per tornare indietro, da dove erano venuti. Il tutto accompagnato da colpi di manganello. Come si legge su Micromega, “nei primi sei mesi del 2021 sono 692 le persone afghane che hanno chiesto asilo in Croazia, 384 sono uomini e 308 sono donne, ma nello stesso periodo solo 9 hanno visto riconosciuto lo status di rifugiato e il Ministero degli Interni croato non ha comunicato la nazionalità”.

Jelena Sesar, esponente di Amnesty International ed esperta della zona dei Balcani, ha affermato che è quasi impossibile negare che gli uomini incappucciati appartengano alla polizia croata: le loro uniformi, armi e attrezzature, se confrontate, sono identiche a quelle fornite ai membri dell’unità. Dello stesso avviso è Catherine Woollard, direttrice del Consiglio europeo per i rifugiati e gli esiliati (un’alleanza di oltre 100 ONG in 39 paesi europei), secondo cui queste testimonianze si vanno “semplicemente” a sommare a decine di altre prove di respingimenti violenti e continui ai confini dell’UE.

Tralasciando per un momento le modalità di esecuzione, secondo le leggi internazionali e dell’UE in materia di diritti umani, è una pratica illegale, per gli stati membri, respingere automaticamente le persone, senza valutare le circostanze che le hanno condotte fino a lì. La legislazione europea, infatti, garantisce e stabilisce il diritto di chiedere asilo.

Di fatto, invece, anche se l’UE ribadisce da tempo che la sua politica migratoria ha la priorità di garantire sicurezza e rispetto dei diritti dei migranti lungo i confini più critici, spesso «c’è una riluttanza dell’Europa ad agire, perché la strategia generale si basa sulla prevenzione degli arrivi di persone in cerca di protezione, a prescindere dai costi e dalle conseguenze», ribadisce Woollard. Non, quindi, sull’accoglienza. Una non-azione a cui consegue una cosa sola: gli Stati possono continuare a portare avanti questi respingimenti senza ostacoli e, nei casi peggiori, anche sostenuti da altri stati membri.

Le associazioni in difesa dei diritti umani sono molto preoccupate, soprattutto della presunta complicità dell’Ue nelle operazioni.

[di Gloria Ferrari]

Cina, Xi-Jinping promette la riunificazione pacifica con Taiwan

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Xi-Jinping annuncia la riunificazione pacifica con Taiwan, da tempo uno degli obiettivi da raggiungere sotto la propria presidenza. La questione è tornata alla ribalta dopo l’aumento delle incursioni militari aeree cinesi nella zona di difesa aerea di Taiwan avvenute nei giorni scorsi, che ha suscitato preoccupazione a livello internazionale. Le affermazioni di Xi-Jinping seguono quelle più violente del 2019, quando aveva annunciato di voler realizzare l’annessione anche con la forza. Da Taipei la risposta è netta: la Cina smetta di utilizzare sistemi coercitivi e apra la strada al dialogo e alla democrazia.