sabato 15 Novembre 2025
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Non li legge più nessuno: la crisi senza fine dei giornali italiani

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Sempre meno lettori, sempre più anziani: questo il quadro desolante dei quotidiani italiani. Un calo in atto da tempo, ma che negli ultimi mesi è diventato un crollo verticale: secondo gli ultimi dati Audipress solo nell’ultimo trimestre i giornali hanno perso complessivamente 227 mila lettori. Se si osserva lo scenario nel lungo periodo la situazione è ancora peggiore. Dal 2014 al 2021 i lettori dei quotidiani nel giorno medio sono calati del 40,81%: da 19 milioni e 351 mila al giorno a 11 milioni e 453 mila: fanno quasi 7,9 milioni di lettori in meno. Un dato desolante al quale si deve aggiungere il fatto che, nello stesso periodo, sono più che dimezzati i lettori di età inferiore ai 34 anni, ormai appena un quinto del totale. Altro indicatore che di certo non consente di immaginare un futuro roseo per la stampa italiana.

L’Audipress nel comunicato che accompagna i dati prova a correggere il tiro tratteggiando risultati per le copie digitali dei quotidiani che a prima vista sembrano molto positivi: sottolineando come dal 2014 al 2021 i lettori delle repliche digitali dei quotidiani siano moltiplicati passando da 587 mila a 1,48 milioni. Un aumento che però non basta certo a bloccare l’emorragia complessiva.

La realtà è che quasi tutti i giornali italiani versano una crisi economica endemica e gravissima. Fossero normali imprese avrebbero chiuso i battenti da un pezzo, eppure sono ancora li. Come? Semplice: per alcuni di questi esiste la manna del finanziamento pubblico (anche se sono sempre meno quelli che lo percepiscono) per altri esistono editori disposti a perderci anche molti soldi. I tre principali magnati della stampa quotidiana in Italia: Elkann (Repubblica, La Stampa ed altri 15 quotidiani), Caltagirone (Leggo, Il Messaggero, Il Mattino, ed altri) e Angelucci (Libero, Il Tempo, ed altri) perdono montagne di quattrini con i giornali. Evidentemente, anche se la gente comune ormai neppure li sfoglia al bar, possedere i quotidiani continua ad essere percepito da alcuni imprenditori un ottimo modo per influenzare la politica. A questo punto non dovrebbe sorprendere più di tanto apprendere un ultimo dato: in Italia solo il 27% dei cittadini ritiene i media mainstream una fonte di informazione affidabile.

 

Terza dose, ministro Speranza: “Lavoreremo per allargarla ad altre fasce d’età”

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«Lavoreremo dalla prossima settimana per allargare la dose booster, di richiamo, ad ulteriori fasce generazionali». Lo ha dichiarato nella giornata di oggi il ministro della Salute, Roberto Speranza, in una conferenza stampa sul proseguimento della campagna vaccinale a cui hanno partecipato anche il coordinatore del Comitato tecnico scientifico Franco Locatelli ed il commissario straordinario per l’emergenza Francesco Figliuolo. Proprio quest’ultimo ha aggiunto: «Per il 2022 abbiamo già opzionato dosi tali per cui siamo in grado di effettuare la terza dose a tutti quelli che hanno completato qualsiasi tipo di ciclo vaccinale, quindi anche ad alte cifre».

Salerno: Vincenzo De Luca indagato per corruzione

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Il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, è indagato a Salerno. Secondo quanto riportato dal quotidiano la Repubblica, a De Luca è stato notificato un avviso di proroga di indagine e l’ipotesi che si contesta è quella di corruzione. Ad ogni modo, però, non è arrivata nessuna conferma dagli uffici giudiziari, con la Procura che si rifiuta di fornire una risposta a qualunque domanda sulle vicende in corso.

Progetto DIANA: la Nato pianifica un futuro militare a base di IA e Big Data

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Si è parlato molto del G20 e delle proposte per normare la finanza globale, del Cop26 e dei tiepidi accordi ambientali, ma c’è una tema che non ha potuto vantare l’onore dei riflettori pubblici, un tema che è stato depositato con discrezione nei dietro le quinte, quello della corsa all’uso militare delle nuove tecnologie.

A fine ottobre, senza troppe cerimonie, i Ministri della Difesa dei Paesi NATO si sono riuniti a Bruxelles per dare il via a due progetti che mirano a uniformare le competenze tecniche “next-generation” delle nazioni coinvolte: l’istituzione di un «fondo per l’innovazione» diretto ad aziende specializzate nel “dual-use” e la creazione del Defense Innovation Accelerator (DIANA).

Se è facile comprendere come gli incentivi alle aziende private possano agevolare lo sviluppo di strumenti informatici a duplice uso – ovvero che abbiano applicazioni anche nel settore militare -, risulta più complesso prevedere la portata che assumerà nel tempo DIANA, hub che ambisce di fatto a proporsi come omologo internazionale al ramo di ricerca e sviluppo del Pentagono, la DARPA. Un obiettivo non da poco che vuole toccare sette settori altamente strategici: intelligenze artificiali, elaborazione dei Big Data, sistemi quantistici, biotecnologia, apparecchiature autonome, armamenti ipersonici ed esplorazione spaziale.

Nell’immediato, l’idea è quella di serrare i ranghi e confrontare le competenze per trovare soluzioni comuni che attenuino le criticità di un futuro in cui il dominio delle informazioni, il controllo dei dati, le campagne di disinformazione e l’ingegneria sociale manifesteranno un’importanza sempre più marcata, tuttavia è evidente che le potenzialità del progetto sono decisamente più alte, nel bene o nel male.

Il progetto è correntemente sostenuto da Italia, Germania, Regno Unito, Grecia, Ungheria, Belgio, Paesi Bassi, Slovenia, Slovacchia, Polonia, Portogallo, Romania, Repubblica Ceca, Estonia, Lituania, Lettonia e Lussemburgo, 17 dei membri NATO che complessivamente intendono mettere in campo entro giugno 2022 un finanziamento di partenza da un miliardo di euro. Non si può non notare che all’appello manchino nazioni rilevanti quali Turchia, Canada e, soprattutto, Stati Uniti, tuttavia il Segretario Generale NATO Jens Stoltenberg spera caldamente che nei prossimi mesi i Governi latitanti decidano di rimediare alla loro assenza.

Nonostante le alte premesse, non si può che nutrire qualche perplessità sulle effettive possibilità dell’operazione: in un mondo in cui lo spiare i propri alleati è ancora la norma, l’idea che le Difese collaborino a carte scoperte rasenta l’impossibile. DIANA sta assumendo le sembianze di una task force nata per arginare le influenze di Russia, Cina Corea del Nord e Iran, ma non è detto che sia pronta ad applicare la medesima solerzia nel gestire gli abusi intestini alla NATO delle tecnologie «avanzate ed emergenti».

[di Walter Ferri]

 

Francia: Parlamento approva estensione Green Pass fino al 31 luglio 2022

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In Francia, il Parlamento ha dato il via libera all’estensione dell’uso del Green Pass fino al 31 luglio 2022. A riportare la notizia sono i quotidiani francesi, i quali rendono noto che la versione definitiva del disegno di legge sulla “vigilanza sanitaria” è stata approvata dall’Assemblea nazionale (un ramo del Parlamento) con 118 voti a favore, 89 contrari ed un astenuto. Quest’ultima ha infatti approvato il testo a nome dell’intero Parlamento, spazzando via le obiezioni del Senato, che si era opposto ad esso.

Il caso MPS e l’ennesimo regalo dello Stato alle banche: ma un’alternativa ci sarebbe

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La trattativa evaporata in questi giorni tra il Tesoro e Unicredit su Monte Dei Paschi può considerarsi solo una fumata grigia, dato che la strada tracciata rimane ancora quella della privatizzazione, da conseguire ad ogni costo. Lo Stato vuole andare verso l'aumento di capitale e la cessione ad un acquirente al prezzo di mercato. Che potrebbe essere sempre Unicredit, nel caso si trovasse un accordo. La messa sul mercato di Mps era già stata stabilita dal governo, di concerto con l'Unione Europea nel 2017, con la garanzia che entro il 31 dicembre 2021 lo Stato, che salvò la banca dal falliment...

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COP26: protesta dei giovani di Fridays for Future a Glasgow

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Sono migliaia gli attivisti del movimento Fridays For Future che stanno partecipando allo sciopero per il clima presso il Kelvingrove Park, un parco di Glasgow. Nella città scozzese si tiene infatti la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26), motivo per cui i manifestanti – prevalentemente giovani – chiedono ai governi di attuare azioni concrete. In tal senso, in molti accusano i leader mondiali di fare “greenwashing” e dunque di non impegnarsi realmente per contrastare la crisi climatica. Allo sciopero sono presenti anche le note attiviste Greta Thunberg e Vanessa Nakate.

In India hanno trovato il modo di trasformare inquinamento e rifiuti in piastrelle

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Un architetto indiano ha trovato un modo rivoluzionario per “impiegare” l’inquinamento. Tejas Sidnal, questo è il suo nome, è il fondatore della startup indiana Carbon Craft Design di Mumbai che sta mettendo in pratica quanto da lui pensato: trasformare le emissioni di carbonio in bellissime piastrelle. Per attuare questa trasformazione viene utilizzato un dispositivo in grado di filtrare il particolato e pulire l’aria da agenti inquinanti come metalli pesanti ed elementi cancerogeni e quindi capace di estrarre l’anidride carbonica dalle principali fonti di emissione, come gli scarichi di fabbrica. Il carbonio catturato viene lavorato per liberarlo dai metalli tossici e dalle componenti dannose, e poi fuso con una miscela di cemento e marmo che gli artigiani possono lavorare per realizzare le piastrelle in sei tonalità monocromatiche di nero, grigio e bianco.

Inizialmente, al posto della combustione, per ottenere il prodotto finito veniva utilizzata una pressa idraulica, tecnica antica di oltre duecento anni. Questa metodologia, però, a lungo andare si è rivelata insufficiente a garantire i volumi di CO2 necessari all’alta richiesta delle piastrelle di carbonio. Così, Sidnal e il suo team, hanno deciso di concentrasi su uno dei più grandi problemi del paese, ovvero la gestione degli pneumatici usati e di scarto, iniziando a mettere in pratica il processo di degradazione termica della pirolisi da cui si può recuperare una grande quantità di carbonio.

Non è un caso che Carbon Craft Design sia nata proprio in India, uno dei paesi con il più alto tasso di inquinamento e con, allo stesso tempo, la terza più grande industria edilizia e immobiliare al mondo, settore responsabile del 39% delle emissioni totali di CO2. Ogni piastrella prodotta equivale a pulire 30mila litri di aria e, inoltre, la prassi per la loro produzione consuma appena un quinto dell’energia necessaria a fabbricare le piastrelle tradizionali.

[di Eugenia Greco]

Niger, due giorni di lutto nazionale per assassinio di 69 persone

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Lo stato del Niger ha proclamato due giorni di lutto nazionale dopo che 69 persone, tra cui un sindaco, sono state uccise in un attacco da parte di uomini armati nel sud-ovest del Niger, nella zona di frontiera con il Burkina Faso e il Mali. Si tratta di un’area altamente instabile, territorio di una lotta che dura da anni tra le forze statali e i gruppi armati di ISIS e al-Qaeda. Dopo l’attacco, le fonti riferiscono di aver visto gli assalitori risalire sulle moto e spostarsi verso il Mali. Sono più di 530 le vittime civili degli attacchi dei gruppi armati in quest’area del Niger solo per il 2021, cinque volte di più che nell’intero 2020.

Perché i soldi che Stati e filantropi promettono agli indigeni sono una presa in giro

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Tra le varie, seppur poche, decisioni adottate fin ora alla CoP26, la conferenza ONU sul clima, ce n’è una che viene sbandierata con giubilo da diversi media mainstream: i popoli indigeni saranno finanziati per poter proteggere le foreste. Alcuni governi e organizzazioni private hanno infatti annunciato lo stanziamento di 1,7 miliardi di dollari in favore delle comunità indigene del Sud America per la protezione delle foreste dal loro disboscamento. I paesi che hanno annunciato lo stanziamento di questa somma di denaro da destinare alle comunità indigene sono Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Norvegia e Paesi Bassi mentre le organizzazioni private sono Bezos Earth Fund, Ford Foundation, Bloomberg Philanthropies, Arcadia, Wyss Foundation e Rainforest Trust. Oltre alla cifra irrisoria, al momento solo annunciata, il serio pericolo è che si tratti dell’ennesima pratica di marketing.

Da prima escluse dal consesso mondiale presieduto dai potenti della Terra, le comunità indigene presenti per protestare sono poi state accolte e ascoltate da coloro che, sostanzialmente, hanno tirato fuori di tasca gli spiccioli rimasti. Presenti alla medesima conferenza c’erano anche banche, fondi d’investimento e multinazionali; per loro hanno pensato ad un fondo da 100 miliardi di dollari per aiutare i paesi in via di sviluppo nella riconversione “green” e perfezionato accordi legati al Gfanz (Glasgow Financial Alliance for Net Zero), coalizione di attori finanziari lanciata lo scorso aprile dall’inviato dell’Onu su clima e finanza Mark Carney e che riunisce il 40% dei capitali finanziari globali.

Eppure i popoli indigeni proteggono già oggi l’80% delle biodiversità mondiale ricevendo però l’1% di ciò che viene solitamente speso nei programmi legati alla salvaguardia ecologica. E di queste cifre irrisorie, le comunità indigene ne ricevono solamente una parte mentre il resto si perde tra tutte le organizzazioni di intermediarie. Tuntiak Katan Jua, vice coordinatore del COICA, coordinatore delle organizzazioni indigene del bacino amazzonico, nel merito della questione ha detto: « Sappiamo che molti di questi fondi sono destinati a meccanismi tradizionali, che hanno mostrato grandi limiti per raggiungere i nostri territori e sostenere le comunità nelle loro iniziative. In larga misura, gli intermediari sono i primi beneficiari dei fondi per il clima e i loro alti costi riducono la percentuale che viene effettivamente investita in comunità e territori».

Le soluzioni proposte a Glasgow sono le solite e non sono soluzioni, anzi. Escludendo a priori dal ragionamento le decisioni finanziare, mera speculazione e gioco contabile, tra le proposte continuano ad esserci quelle delle compensazioni di carbonio, oggi chiamate Nature-Based Solutions (NBS) e che Greenpeace ha definito greenwashing, che nella migliore delle ipotesi è un gioco a somma zero. Nella realtà, i serbatoi di CO2 previsti equiparano le foreste naturali con le piantagioni di specie arboree per produzione di energia da biomassa. Queste ultime, non solo non permettono di avere biomassa per l’energia neutra rispetto alle emissioni di carbonio ma trasforma anche le foreste naturali ricche di biodiversità in fattorie arboree, che sono vicine ad essere deserti di biodiversità. Gli Stati Uniti sono tra i maggiori produttori al mondo di biomassa per la produzione di pellet mentre il Regno Unito è il maggior consumatore al mondo di energia derivante da pellet. Inoltre, si pensi che l’UE considera il pellet – prodotto con “fattorie arboree” che cancellano la biodiversità – come energia rinnovabile, risultando essere il 60% del proprio “portafoglio di energie rinnovabili”. Inoltre, le proiezioni mondiali vedono da qui al 2027 una crescente domanda e offerta di pellet.

Per quanto riguarda invece le solite proposte conservazioniste, queste rischiano di aggravare la situazione politica, sociale ed economica delle comunità locali. Oltre ad essere in un periodo storico con un picco di omicidi – specie in Sud America – di ecologisti attivi molto spesso nelle comunità indigene, l’istituzione di parchi e foreste protette ha quasi sempre significato l’espulsione e la rimozione dei popoli indigeni proprio dalle terre oggetto della politica conservazionista, dando così luogo ad ogni genere di violenza.

Insomma, l’annuncio fatto alla Cop26 sul finanziamento alle comunità indigene sembra proprio l’ennesimo spot pubblicitario dei “padroni del vapore” che cercano di smacchiare il proprio abito su cui ancora sono segnate le profonde tracce lasciate da più di 500 anni di violento colonialismo, depauperamento delle risorse, distruzione degli ecosistemi e affossamento delle economie locali e che adesso tenta di sfruttare l’immagine di questi popoli per la nuova trovata di marketing in ambito socio-ecologico che potremmo definire “indigenous washing”.

[di Michele Manfrin]