venerdì 14 Novembre 2025
Home Blog Pagina 1440

Patrik Zaki verrà liberato

0

Patrik Zaki verrà scarcerato, anche se non è ancora stato assolto dalle accuse a suo carico. La decisione è giunta dopo l’udienza tenutasi oggi, sospesa dopo appena 4 minuti perchè il suo avvocato Hoda Nasrallah aveva chiesto l’acquisizione di altri atti per dimostrare l’illegalità dell’arresto. Tra questi, le videoregistrazioni dell’aeroporto del Cairo, diversi verbali e la convocazione di un testimone. Zaki, che si trova in carcere dal 7 febbraio 2020, rischia ancora fino a 5 anni di carcere per l’accusa di diffusione di false informazioni.

A Torino la questura usa le telecamere per stroncare il movimento No Green Pass

2

A Torino sabato scorso è andato in scena il ventiquattresimo sabato consecutivo di proteste contro il green pass. I cittadini contrari al passaporto sanitario si sono trovati in piazza Castello per manifestare il proprio dissenso. Anche sabato erano presenti migliaia di persone, un movimento che per ora non accenna a scemare. Ma nelle strategie di contrasto da parte del potere pubblico c’è una novità: l’utilizzo delle multe a tappeto verso i manifestanti. Una strategia resa possibile dall’ordinanza con la quale, dal 2 dicembre, il sindaco ha reintrodotto l’obbligo di mascherine all’aperto nelle zone del centro. La questura ha infatti comunicato che sta visionando le immagini delle telecamere di videosorveglianza presenti in strada per identificare tutti i manifestanti che non hanno rispettato l’ordinanza e spedirgli una sanzione di entità compresa tra 400 e 1.000 euro.

Interessante notare come, almeno stando a quanto riferito dalla questura, non vi sia in atto alcuna misura analoga nei confronti dei cittadini che erano privi di mascherina ma non partecipavano alla manifestazione. Le immagini verranno utilizzate solo per multare quei cittadini che hanno violato l’ordinanza partecipando alla manifestazione.

Allargano il discorso, non è la prima volta che la questura del capoluogo piemontese mostra una certa inclinazione all’utilizzo delle norme anti-pandemiche in chiave di contrasto dei movimenti. È già capitato con il movimento No Tav. Nell’agosto scorso, centinaia di attivisti che si oppongono alla costruzione della linea ad alta velocità in Val di Susa, vennero infatti raggiunti da multe di 400 euro cadauno per aver violato le normative anti-covid durante una manifestazione. Nello stesso periodo nessuna multa venne però comminata ai cittadini che riempirono le piazze per festeggiare la vittoria della nazionale di calcio ai campionati europei. Differenze che rendono plastica l’evidenza di un utilizzo politico delle leggi d’emergenza approvate ufficialmente con il solo fine di contenere la pandemia.

Nas oscurano oltre 30 siti che vendevano farmaci contro il Covid

0

I Carabinieri del Nas hanno oscurato una trentina di siti che vendevano medicinali per le cure fai da te per il Covid, portando così a quota 313 i provvedimenti messi in atto solamente nel 2021. I siti bloccati vendevano medicinali soggetti a restrizioni d’uso o vendibili solo in farmacia, o ancora legati all’impiego clinico o sperimentale. Alcuni contenevano il principio attivo dell’ivermectina, il quale l’EMA aveva già consigliato di non utilizzare per il trattamento del Covid al di fuori degli studi clinici. Vi erano poi medicinali impiegati per la cura di malattie articolari degenerative, gotta, ulcera gastrica o reflusso.

La vera forza di Amazon si sta palesando via mare

2

Che Amazon sia un gigante capace di alterare l’intero settore del commercio è evidente. La sua portata va a influenzare, lecitamente e non, i costumi d’acquisto di moltissimi clienti nonché le dinamiche di vendita degli esercenti, tuttavia in queste settimane la Big Tech ha messo in mostra una forza disarmante anche in un contesto che è tradizionalmente lontano dall’occhio pubblico, quello della distribuzione navale di merci: non solo la sua logistica è estesa su scala globale, ma è anche particolarmente agile nel circumnavigare gli ostacoli.

Non tutti sanno che Amazon ha iniziato nel 2018 a commissionare container brandizzati, che poi sono stati adoperati da un network sempre più esteso di navi cargo ricavate da mezzi che non erano inizialmente pensati per il trasporto merci. In breve tempo, il gigante dell’e-commerce è riuscito a crearsi una rete tanto affidabile da essere quasi del tutto indipendente dagli spedizionieri esterni: si autogestisce il 72% dei trasporti e sta ormai facendo concorrenza anche a FedEx, almeno negli Stati Uniti. Non solo, la Big Tech ha iniziato progressivamente a mettere a disposizione navi e aerei alle aziende appartenenti al portale di vendita, ovviamente previa la sottoscrizione di un contratto di servizio.

Un’immensa influenza che nell’ultimo week-end ha rivelato inediti risvolti. Gli analisti della CNBC hanno infatti evidenziato che le forze di Amazon non siano solamente vaste, ma anche particolarmente efficienti. Mentre la distribuzione globale è costretta a rallentamenti, i bastimenti dell’e-commerce sembrano graziati dalle criticità della filiera e si dimostrano resistenti alle situazioni avverse. Mentre i normali vascelli sono costretti ad aspettare fino a 45 giorni per entrare in un porto, la flotta di Amazon si trova nelle condizioni di cambiare agilmente rotta così da potersi incanalare verso gli attracchi meno trafficati, con il risultato che i tempi di attesa si contraggono in appena un paio di giorni. Una volta scaricate le merci sulle banchine di questi porti fuori mano, l’azienda si premura di caricarle su camion e di proseguire il trasporto direttamente su gomma.

Imbastire un simile sistema non è stato semplice né tanto meno economico – tra il 2019 e il 2020, Amazon ha investito in questa strategia circa 99 miliardi di dollari -, tuttavia i sacrifici sono fioriti in una struttura capace di essere altamente competitiva e quasi autonoma. Alla concorrenza e ai Governi non resta che guardare dal basso all’esempio della Big Tech, consapevoli che le possibilità di emulare le dinamiche di un simile approccio sono magrissime, se non altro perché i costi dell’acquisto e del noleggio dei container ha subito un’impennata in periodo pandemico.

La creatura fondata da Jeff Bezos si è dunque accattivata un vantaggio significativo, un vantaggio che non può che concedere all’azienda una maggiore incisività finanziaria e politica che la rete di distribuzione tradizionale dovrà presto imparare a emulare o contrastare, pena il rischio che il mondo del commercio smetta di guardare ai Governi per ottenere le risposte ai propri problemi, preferendo interfacciarsi direttamente con Amazon.

[di Walter Ferri]

CGIL e UIL, “legge di bilancio insoddisfacente”: sciopero il 16 dicembre

0

I sindacati CGIL e UIL hanno indetto uno sciopero di 8 ore per giovedì 16 dicembre per protestare contro la legge di bilancio 2022 elaborata dal governo Draghi, definita “insoddisfacente in particolare sul fronte del fisco, delle pensioni, della scuola, delle politiche industriali e del contrasto alle delocalizzazioni, del contrasto alla precarietà del lavoro soprattutto dei giovani e delle donne, della non autosufficienza”. La manifestazione principale si svolgerà a Roma, con iniziative parallele in altre città. Contraria alla decisione la CISL, che si oppone allo sciopero e a “radicalizzare il conflitto in un momento tanto delicato per il Paese”.

New York: Bill de Blasio annuncia obbligo vaccinale per lavoratori privati

0

A New York, a partire dal 27 dicembre, il vaccino contro il coronavirus sarà obbligatorio per tutti i lavoratori del settore privato. La decisione è stata annunciata nella giornata di oggi dal sindaco uscente Bill de Blasio nel corso di una intervista rilasciata al canale televisivo statunitense Msnbc ed è la prima nel suo genere negli Stati Uniti.

Leonardo: cassa integrazione per 3400 lavoratori, ma l’azienda è in crescita

0

Oggi in sciopero i 3.400 dipendenti degli stabilimenti di Pomigliano, Nola, Grottaglie e Foggia della Leonardo Spa, azienda a maggioranza statale (partecipata al 30% dal ministero del Tesoro) operante nel settore dell’aerospaziale, della difesa e della sicurezza. Per questi lavoratori il gruppo ha annunciato, il 3 dicembre, la cassa integrazione ordinaria. Il provvedimento scatterà dal 3 gennaio per una durata di 13 settimane e sarà a zero ore. Leonardo ha fatto sapere che un restringimento delle ore lavorative potrebbe essere esteso a tutto il 2022. I conti dell’azienda sono floridi, anzi in crescita, tuttavia lo Stato italiano dovrà versare lo stipendio ai dipendenti.

Le cause

La mossa repentina, è stata motivata dalla crisi della divisone aerostrutture (inerente agli stabilimenti coinvolti), vista la fase di stallo in cui versa il settore dell’aviazione durante il periodo pandemico. Ma Leonardo, che è fornitore anche dell’esercito italiano e ha relazioni commerciali a livello internazionale, si trova in una buona salute dal punto di vista economico, come si apprende dagli ultimi dati della relazione finanziaria aggiornati al 30 settembre 2021, con ricavi a 9,6 miliardi di euro e utili per 229 milioni. In crescita rispetto al 2020. Una situazione anche migliore rispetto all’anno dell’esplosione del Covid-19, che non rende preoccupante l’indebitamento netto in lieve crescita di 4.690 miliardi (erano 3.318 nel 2020) ma anzi fa prevedere, per la chiusura dell’anno 2021, dei ricavi complessivi tra i 13,8 e i 14,3 miliardi.

Quella della Cassa Integrazione ordinaria non sarebbe quindi richiesta dettata da una crisi generale dell’azienda, ma di un solo comparto, le cui perdite potrebbero a logica essere ripianate dagli altri comparti in crescita di bilancio. La scelta appare quindi non motivata, se non dal vizio ormai endemico del capitalismo italiano, desideroso di privatizzare ogni utile e socializzare ogni perdita. Un quadro che nel caso di Leonardo è aggravato dal fatto che l’azienda è appunto compartecipata dallo Stato stesso. L’esborso della Cig sarebbe quindi tutto a danno del socio di maggioranza relativa (lo Stato tramite il Ministero delle Finanze) e a vantaggio degli altri soci di minoranza privata. Il tutto mentre lo stesso amministratore delegato Alessandro Profumo ha annunciato che grazie al Recovery Fund l’azienda riceverà 360 milioni euro per sviluppare progetti, e posti di lavoro, nel Mezzogiorno d’Italia.

I piani per il futuro

In queste ore, vista la doccia fredda per così tante famiglie, era inevitabile che si evidenziassero le critiche alla gestione attuale da parte dei dirigenti e si spera che l’obiettivo finale non sia un sempre maggiore snellimento dei costi o un cambio a livello di strategie d’investimento che comunque deve tenere conto della salvaguardia occupazionale. Sul tavolo c’è infatti la cessione dell’ex Oto Melara-Wass, l’area che si occupa di sistemi di Difesa navali, aerei, terrestri e subacquei, su cui c’è un interessamento di Fincantieri, ma su cui grava l’offerta anche di società tedesche e francesi. In merito il segretario generale Uilm, Rocco Palombella, ha evidenziato: «L’immobilismo che dura da anni in una Divisione, quella di Aerostrutture, fondamentale per il futuro del nostro Paese e per la stessa Leonardo, al quale si aggiunge la mancanza di una visione da parte di un gruppo, che per fare cassa prima ha venduto Breda e Srs ai giapponesi di Hitachi, oltre ad Ansaldo Energia, mentre ora ha messo sul mercato asset importanti come Oto Melara, Wass e la parte dell’Automazione». L’Ad Profumo su questo ha detto che le cose saranno fatte bene e che l’eventuale perdita di italianità della struttura non deve allarmare, né è una priorità. Intanto i 3.400 lavoratori degli stabilimenti aspettano un confronto diretto, dopo la comunicazione unilaterale ricevuta.

[di Giampiero Cinelli]

Le isole di plastica cambiano l’ecologia marina: la fauna ha iniziato a colonizzarle

0

Le isole di rifiuti in plastica, che da anni ormai galleggiano sulla superficie degli oceani, hanno delle conseguenze tutt’altro che scontate. Oltre a degradarsi in frammenti inquinanti via via più piccoli, questi ammassi di polimeri industriali stanno letteralmente cambiando l’ecologia del mare. Numerose specie hanno infatti iniziato a colonizzarli, tant’è che alcuni scienziati hanno già coniato il termine relativo alla nuova comunità biologica emergente: ‘neopelagica’. Le isole di plastica, difatti, rappresentano un’opportunità permanente per le specie costiere di invertebrati di transitare nei bacini oceanici, nonché un habitat a lungo termine per far sì che colonizzino l’oceano aperto. Le implicazioni ecologiche sono tante.

La prima conseguenza più diretta è rappresentata da un’alterazione della distribuzione biogeografica. A lungo, per la dispersione delle specie costiere, i vasti bacini oceanici sono stati considerati delle efficaci barriere fisiche. Ma ora, a cambiare le carte in tavola c’è l’appurata esistenza di habitat galleggianti in grado di sostentare le popolazioni in viaggio. La dispersione di una specie da un capo all’altro del mondo, anche fosse a più fasi, ora non è più poi così impossibile. Di conseguenza, la plastica galleggiante potrebbe rappresentare anche un vettore per il movimento di specie potenzialmente invasive. Prima o poi, è infatti inevitabile che le specie veicolate dalle isole di rifiuti raggiungano coste diverse da quelle da cui sono partite. In questo modo, entreranno in diretta competizione con le popolazione native stravolgendo i processi ecologici del luogo. Non a caso, le invasioni biologiche sono ad oggi considerate una delle principali cause di perdita di biodiversità autoctona a livello globale. Tuttavia, la piena comprensione del processo, così come la composizione effettiva di queste nuove comunità marine, ha bisogno di ulteriori studi.

Oggi, le isole costituite da rifiuti galleggianti sono almeno sei. La più estesa è la Great Pacific Garbage Patch, un agglomerato di scarti umani che si stima abbia un’estensione di 1.6 milioni di km². Nel complesso, si ritiene che siano almeno 5 miliardi di miliardi i frammenti plastici sparsi qua e là negli oceani. Non dovrebbe quindi sorprendere che un inquinamento tanto diffuso provochi delle profonde trasformazioni. Gli organismi però, per quanto possibile, si adattano e l’hanno fatto anche in questo caso. In particolare, la colonizzazione di queste isole in plastica è stata documentata per la prima volta nel 2017, dopo lo tsunami che ha colpito il Giappone nel 2011. Centinaia di specie marine costiere giapponesi sono state infatti rinvenute vive su ammassi di detriti nell’Oceano Pacifico settentrionale. Avevano viaggiato per 6.000 chilometri e molte si erano accresciute e riprodotte per anni in mare aperto. Il fenomeno, di per sé, non è però del tutto nuovo: in ecologia, il cosiddetto ‘rafting‘, è noto da tempo. Non è infatti la prima volta che l’una o l’altra specie sfrutti delle strutture galleggianti per colonizzare nuovi ambienti. Tuttavia, queste zattere – prima del 1950, ovvero prima che i rifiuti plastici iniziassero ad accumularsi in mare – erano esclusivamente naturali, come tronchi d’albero o ammassi di detriti biologici. Con un’importante differenza degna di nota: le zattere naturali sono rapidamente biodegradabili mentre le isole di plastica si degraderebbero in tempi talmente lunghi da poterle considerare permanenti. Il che significa che queste ultime aumentano in estensione nel tempo e viaggiano per distanze significative. In sostanza, mentre prima il ‘rafting naturale’ poteva considerarsi un fenomeno effimero, ora, quello ‘artificiale’ appare tutt’altro che trascurabile.

[di Simone Valeri]

Austria: il nuovo cancelliere Karl Nehammer ha prestato giuramento

0

Karl Nehammer, il nuovo cancelliere austriaco, nella giornata di oggi ha giurato nelle mani del presidente Alexander Van der Bellen con la formula di rito. L’ex ministro degli interni prende dunque ufficialmente il posto di Alexander Schallenberg, che venerdì ha annunciato le sue dimissioni e che adesso tornerà a ricoprire il ruolo di ministro degli esteri. Nehammer è il diciassettesimo cancelliere dal dopoguerra ad oggi.

I ritardi ferroviari di ieri raccontano molto sui guai della digitalizzazione italiana

0

Se viaggiate in treno ve ne sarete accorti: nel week-end l’Italia è stata vittima di atroci rallentamenti e di cancellazioni varie. Tutta colpa del lancio, tutt’altro che trionfale, di un software che avrebbe dovuto ottimizzare la gestione del nodo di Firenze, un software che, a dire della Rete Ferroviaria Italiana (Rfi), è già stato introdotto con successo in altre stazioni, ma che alla metropoli toscana non ha creato che problemi.

Le fonti ufficiali sostengono fondamentalmente che il programma, l’Apparato Centrale Computerizzato Multistazione (ACCM), non sia stato in grado di gestire «la complessità del nodo ferroviario fiorentino e il sofisticato software che ne regola il funzionamento», cosa che ha impantanato una delle tratte essenziali per il trasporto nazionale, riverberando negativamente sulla programmazione di 130 treni con ritardi che hanno superato anche le tre ore.

L’assessore toscano ai trasporti, Stefano Baccelli, ha organizzato per il 7 dicembre una cabina di regia con Trenitalia e Rfi per cercare di trovare una soluzione ai problemi causati dall’aggiornamento e, soprattutto, ai difetti che sorgono a monte del sistema, ovvero quelle “complessità” che il programma non è stato in grado di armonizzare. Il disagio patito dai cittadini lo scorso week-end, insomma, è il perfetto banco di prova che vede come il pensiero magico della digitalizzazione si scontri con limitazioni che sono invece capillari.

Mentre Firenze era bloccata dai suoi guai informatici, la tratta Caserta-Foggia era infatti gravata da un più tradizionale guasto ai sistemi di gestione della circolazione. Tuttavia, pur senza contare l’obsolescenza di alcune delle infrastrutture italiane, il caso fiorentino evidenzia come l’implementazione del digitale sia condizionata a sforzi che difficilmente l’Italia sarà in grado di sostenere, almeno in maniera responsabile. La défaillance dell’ACCM si sarebbe potuta prevenire se il software fosse stato adeguatamente sottoposto ai dovuti test e a simulazioni confezionate sulle specificità del luogo, tuttavia questo genere di operazioni richiede tempo e risorse.

Il virtuale offre ai Governi un mezzo potente, ma la sua attuazione richiede dei costi non indifferenti: dalla progettazione all’aggiornamento, passando per il tutt’altro che secondario problema della sicurezza. I tecnici del settore sono numericamente inferiori alle necessità, in più quelli veramente competenti hanno un cachet dal peso significativo e sono fuori dalla portata delle casse statali. I risultati di questa tendenza li abbiamo visti negli intoppi patiti nelle scorse giornate dall’Rfi, ma anche dalla vulnerabilità dimostrata quest’estate della regione Lazio e da altri casi omologhi in cui strutture amministrative importanti si sono trovate in balia dei cybercriminali.

In un Paese in cui ci dimostriamo incapaci di preservare l’integrità dei ponti, la solidità delle scuole e l’efficacia degli spartitraffico, è possibile che il digitale si dimostri l’eccezione in grado di sopravvivere al passaggio del tempo? Probabilmente no, soprattutto considerando che il digitale evolve a una rapidità ben superiore a quella della corrosione dell’acciaio e richiede pertanto costanti attenzioni, tuttavia sarà compito dei Governi futuri assicurarsi che il sogno di un Paese interconnesso non si trasformi in un incubo traviato da innumerevoli fragilità.

[di Walter Ferri]