lunedì 22 Settembre 2025
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Mai nemici in nome dello Stato

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Non è più il momento di nascondersi, di pensare che le cose si possano aggiustare col passare del tempo. La soluzione viene dal nostro impegno, dalla forza e dalla determinazione che mettiamo in campo.

Non possiamo pensare che ci arrivi dall’alto o dal cielo: rischiamo di fare come la marchesa di cui parla Bernard de Fontenelle nei Trattenimenti sulla pluralità dei mondi (1751), la quale gongolava all’idea che in lontani corpi celesti, prima di tutti la luna, abitassero altre genti che magari venissero “a navigare su la superficie esteriore della nostra aria e che per curiosità di vederci ci pescassero di lassù come tanti pesci”. La marchesa replicava che avrebbe provato un gran gusto a finire nelle reti di quegli alieni “per aver piacere di vedere coloro che mi avesser pescato” (ed. D’Anna 2002, p.59). In pieno Ancien Régime c’era chi sperava in mondi lontani invece di affrontare governi illiberali e di provare a cambiare una società bloccata in comparti sociali invalicabili.

Dobbiamo prima di tutto essere fino in fondo quello che siamo. E soprattutto chi governa deve sentire questa vocazione.

Ci sono liberali, o sedicenti tali, al governo? E allora facciano i liberali. Si leggano Thoreau che in Disobbedienza civile (1848) scriveva così: “Sulla mia persona il governo ha i diritti che gli concedo e nulla più. L’evoluzione da monarchia assoluta a monarchia costituzionale, e dalla monarchia costituzionale alla democrazia, è verso il rispetto dell’individuo”. E Dario Antiseri aggiunge, seguendo Hume, che “la libertà non si perde tutta in una volta, e quel che vale per la libertà vale anche per la dignità e la giustizia… Il disobbediente civile nonviolento agisca subito, qui e ora” (ed. Corriere della Sera, 2010, p. 51 e p.13). Si leggano Popper, nell’intervista a G. Bosetti (Marsilio 1992): “La dittatura è immorale… perché solleva l’uomo dalla sua responsabilità… Vogliamo uno Stato il cui compito essenziale sia quello di rispettare e garantire i nostri diritti… Nessuno mi può costringere ad essere felice in un certo modo”.

Ci sono cristiani al governo? E allora si leggano Della tolleranza di Primo Mazzolari (La locusta 1964): “Grande è l’uomo che sopporta il confronto e si dispone a riconoscere il valore di chiunque, a far luce ove c’è appena un barlume, ad aiutare gli altri ad essere quello che devono essere: il granello una spiga, la stella una costellazione, il pensiero un poema, il palpito un’amicizia” (pp. 68-69).

Se poi pensano di essere di sinistra, ecco qualche parola di Luis Sepùlveda, un rivoluzionario che sapeva scriveva fiabe: “Nessuno può essere come l’ammiraglio Nelson, sguainare una spada e lanciarsi all’abbordaggio. Chiunque può tentare d’essere un uomo giusto, dire di no al potere, allo Stato, disobbedire per qualche ora, essere irriverente per qualche giorno, fino a che il gusto per per le piccole forme di trasgressione si trasformi in comportamento etico di fronte alla vita. L’eroe di oggi, in ultima analisi, non è un vincitore nato, è un incorreggibile resistente” (La Stampa, 4 nov. 2002).

Chiediamo insomma a chi ci governa di prendere decisioni degne di questi pensieri, decisioni che non producano divisioni incolmabili fra i propri amministrati e che non ci rendano nemici in nome dello Stato.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]

Usa: evacuati i migranti accampati sotto ponte al confine col Messico

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Sono stati tutti evacuati gli oltre 10.000 migranti, in maggioranza originari di Haiti, che da tempo si erano accampati sotto un ponte della città di Del Rio, in Texas, al confine tra Messico e Stati Uniti. A riferirlo è stato il ministro degli interni degli Stati Uniti, Alejandro Mayorkas, il quale ha fatto sapere che 8.000 persone hanno volontariamente scelto di tornare in Messico mentre circa 2.000 individui sono stati espulsi e quindi fatti rientrare nei loro Paesi di origine. Infine, sono stati portati in centri di accoglienza altri 5.000 migranti, il tutto nell’attesa che siano vagliate le loro domande di asilo.

Tanzania, il governo vuole sfrattare i Masai per far posto al turismo

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La popolazione dei Masai abita nel nord della Tanzania, in quello che oggi è il “Parco di Ngorongoro”, da secoli. Tuttavia, nonostante la sua presenza all’interno del territorio preceda l’esistenza dello stato della Tanzania, i portavoce della tribù hanno affermato che i funzionari governativi stanno facendo pressione per mandare via i Masai dal sito e dare così spazio ad un crescente flusso turistico. Negli ultimi decenni, il numero di persone che hanno visitato Ngorongoro è infatti aumentato notevolmente: nel 1984 circa 55.000 persone si sono recate lì, mentre nel 2018 sono stati 650.000 gli individui che hanno visitato il parco, il che ha prodotto circa 55 milioni di dollari di entrate derivanti dal turismo.

«Le restrizioni stanno diventando sempre più dure», ha dichiarato un leader Masai che ha chiesto l’anonimato per paura di rappresaglie. «Vogliono ridurre il numero di persone che soggiornano nella zona», ha aggiunto. All’inizio di quest’anno, l’organo di governo responsabile del Parco ha infatti emesso un avviso di sfratto nei confronti di 45 persone ed ha altresì ordinato la distruzione di 100 edifici. Esso però, in seguito ad alcune proteste pubbliche svoltesi sia dentro che fuori la Tanzania, è stato successivamente annullato. Tuttavia, stando a quanto riportato dall’Oakland Institute, un think tank progressista, si è trattato di un primo tentativo di attuare un piano ben più grande: il governo della Tanzania ha in tal senso proposto un progetto di riqualificazione delle zone di Ngorongoro che secondo il think tank potrebbe portare allo sfollamento di 80mila persone, soprattutto Masai.

Proprio con l’intento di cercare di contrastare lo sfratto della popolazione dei Masai, dunque, è stata lanciata una petizione che ha già superato le 95mila firme e che è diretta al governo tanzaniano e all’Unesco, responsabile di Ngorongoro da quando l’area venne riconosciuta patrimonio mondiale nel 1979.

Ad ogni modo, si tratterebbe solo dell’ultima azione contro i Masai da parte delle autorità, che negli ultimi anni hanno imposto diverse restrizioni alle attività consentite a questi ultimi. In tal senso, nel 2009 è stato imposto loro il divieto di coltivare: ciò ha portato a fame e povertà diffuse e, stando ai racconti di alcuni Masai, una parte di loro ha già abbandonato il Parco per questo.

[di Raffaele De Luca]

Fridays for Future: proteste per il clima in tutta Italia

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Nella giornata di oggi si sono tenute a livello globale le manifestazioni per il “Friday for Future”, la ormai celebre giornata di sciopero fatta con lo scopo di chiedere ai governi di prendere provvedimenti volti a contrastare i cambiamenti climatici. Anche in più di 60 città italiane le strade si sono riempite di persone che hanno manifestato a favore della tutela dell’ambiente. A Torino ad esempio, dove in migliaia sono scesi in piazza, è stato esposto un enorme striscione recante la scritta «COP26: se non ora quando?», mentre a Milano i manifestanti hanno intonato slogan come: «Giustizia climatica ora».

I vaccini sono in scadenza? Pfizer allunga la data di validità

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In Israele, Pfizer ha accettato di prolungare la data di scadenza di circa 60.000 dosi dei suoi vaccini anti Covid in quanto correttamente mantenuti in condizioni di freddo estremo. È quanto riferiscono alcuni media locali, secondo cui nello specifico la validità dei vaccini, che sarebbe dovuta scadere a fine luglio, è stata estesa alla fine di ottobre, con il via libera dell’azienda farmaceutica arrivato in seguito alle discussioni delle ultime settimane tra i dirigenti della stessa ed i funzionari del ministero della Salute.

La decisione di Pfizer si baserebbe su un documento della Food and Drug Administration (FDA), l’organo statunitense che regola i prodotti farmaceutici, nel quale viene comunicato che le dosi possono essere utilizzate fino a tre mesi dopo la data di scadenza se conservate nelle giuste condizioni. Nello specifico, a pagina 3 dello stesso, si legge che «scatole e flaconcini di vaccino Pfizer-BioNTech con data di scadenza da maggio 2021 a febbraio 2022 stampata sull’etichetta possono rimanere in uso per 3 mesi oltre la data indicata purché le condizioni di conservazione approvate, ossia tra i -90ºC e -60ºC,  siano state mantenute».

Tuttavia, non si può non notare come tali indicazioni non sembrano reggersi su ricerche o studi che dimostrino effettivamente che non vi sono problemi connessi all’estensione della data di scadenza. O meglio, potrebbe anche essere che vi siano degli studi alla base di quanto stabilito, ma al momento ciò non resta che una mera ipotesi, dato che essi non sono appunto stati resi pubblici tramite la documentazione rilasciata.

Inoltre, a tal proposito bisogna anche ricordare che, stando a quanto sostenuto dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), è fondamentale rispettare la data di scadenza dei farmaci. Infatti, in un comunicato dell’agenzia si legge che «la data di scadenza dei medicinali non è la mera conseguenza di considerazioni arbitrarie o di logiche di tipo commerciale, ma scaturisce da evidenze scientifiche, essendo il risultato di una valutazione basata sugli studi di stabilità condotti sui farmaci».

Detto ciò, quanto stabilito non fa che confermare il fatto che Israele sia ormai diventato un laboratorio in tema vaccinazioni. Dopo essere infatti divenuto il primo Paese ad aver autorizzato la somministrazione della terza dose nonostante non vi fossero solide evidenze scientifiche che la giustificassero, adesso Israele si afferma anche come la prima nazione ad estendere la data di scadenza dei vaccini.

[di Raffaele De Luca]

Carles Puigdemont è di nuovo libero, ma al momento non potrà lasciare la Sardegna

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La Corte d’Appello di Sassari non ha ritenuto illegale l’arresto dell’ex presidente della Catalogna, Carles Puigdemont. Tuttavia, accogliendo anche la richiesta della procuratrice generale Gabriella Pintus, il giudice ha stabilito che non c’è ragione di applicare nei confronti di Puigdemont alcuna misura cautelare. Resta però da stabilire se quest’ultimo debba essere estradato o meno, motivo per cui al momento l’ex presidente della Catalogna non potrà lasciare la Sardegna.

La censura di Facebook si abbatte su L’Indipendente: ma la fake news è la loro

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Secondo gli algoritmi di Facebook, L’Indipendente avrebbe pubblicato una notizia falsa. A farcelo sapere la stessa bigtech oscurando la foto di un nostro articolo e contrassegnandolo con la dicitura “Informazioni false. La stessa informazione è stata controllata in un altro post da fact-checker indipendenti”. La notizia in questione è quella del massacro di 52 balene alle Isole Faroe. Secondo Facebook sarebbe falsa. Tuttavia, i fatti non stanno così. L’informazione data, come confermato da ulteriori verifiche, è vera. Ciononostante, il social non ha esitato dall’apporre sul post in questione l’etichetta che, di fatto, ci accusa di diffondere bufale.

Approfondendo, cliccando su “scopri perché”, emergono le motivazioni adottate dalla piattaforma. Non solo false ma, a nostro parere, aberranti. Facebook ha individuato il post come una fake news perché, nel 2019, un sito di fact-checking indipendente segnalò come “falsa” la foto da noi utilizzata. Il sito Aos Fatos, in particolare, in un articolo di ormai due anni fa, spiega che la stessa immagine sarebbe stata utilizzata dal presidente brasiliano Bolsonaro in modo fuorviante e decontestualizzato. Con un tweet del 18 agosto 2019, il capo del governo del Brasile, in relazione ai temi ambientali, accusò di ipocrisia la Norvegia, postando l’immagine, nel suo caso, effettivamente fuori contesto. Le foto, anziché alla Norvegia, si riferiscono infatti proprio all’evento danese da noi citato: il ‘Grindadràp’ (ovvero la mattanza delle balene).

Riepilogando: le informazioni da noi diffuse sono vere, la foto da noi utilizzata immortala la mattanza di balene nell’Isole Faroe, oggetto della notizia. Si tratta di un’immagine di archivio, che non documenta i fatti accaduti questo mese, ma raffigura correttamente l’evento trattato. Di contro, Facebook ha etichettato la notizia come “falsa” basandosi su un articolo del 2019 che tratta di questioni che nulla hanno a che vedere con quanto abbiamo scritto.

Una vicenda che deve fare riflettere sui limiti e le ingiustizie degli algoritmi utilizzati dal social network. Da tempo denunciamo la pericolosa china che il “fact checking” sta prendendo anche in Europa, dove grandi aziende private come Facebook si stanno arrogando il diritto di dividere la verità dalla menzogna attraverso l’uso di algoritmi digitali. Una strada pericolosa per il diritto all’informazione che le big tech stanno intraprendendo con il favore delle istituzioni sovrannazionali, a cominciare dalla Unione Europea che sta di fatto appaltando la censura su internet alle grandi piattaforme social. Si tratta di una deriva che dovrebbe allarmare tutte le testate giornalistiche e spingerle a fare fronte comune per la tutela della libertà di informazione. Ma il silenzio che sul tema proviene dai grandi giornali mainstream è assordante.

Tornando al nostro caso: dopo aver appurato che l’etichetta di diffusori di notizie false appioppataci dagli algoritmi di Zuckerberg è del tutto falsa, rimane il profondo senso di ingiustizia per un trattamento che potrebbe spingere ingiustamente i lettori a crederci diffusori di notizie false. Nella redazione de L’Indipendente dal primo giorno di pubblicazioni stiamo lavorando per costruirci una credibilità basata su criteri deontologici precisi e non derogabili: fare un giornalismo coraggioso, libero e senza filtri, ma con un’attenzione rigorosa a rimanere ancorati ai fatti ed evitare qualsiasi fake news. Su queste basi abbiamo chiesto e continuiamo a chiedere supporto ai nostri lettori e a chiunque creda che ci sia bisogno di una informazione diversa in questo paese. L’azione di Facebook ha quindi ripercussioni gravi sulla nostra immagine. Per questo stiamo valutando in queste ore se e quali iniziative, anche legali, intraprendere per tutelare la nostra immagine e la nostra reputazione. Fosse anche la guerra di Davide contro Golia. Vi terremo aggiornati, fate girare. Grazie.

[la redazione de L’Indipendente]

 

 

Alitalia: manifestanti bloccano autostrada Roma-Fiumicino, tensioni con polizia

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Nella giornata di oggi si sono verificati attimi di tensione con le forze dell’ordine durante la protesta dei lavoratori di Alitalia, i quali hanno manifestato a Fiumicino. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa LaPresse, infatti, i manifestanti hanno forzato il blocco predisposto dalla polizia, paralizzando l’autostrada che porta verso Roma.

Pericolosi giochi di guerra nell’Indo-Pacifico: tutti contro la Cina sotto la regia Usa

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Per contrastare il crescente potere militare della Cina, numerose nazioni asiatiche e non, per lo più sotto l’influenza degli Stati Uniti, stanno creando imponenti scorte di armi e contorte alleanze militari. Quella che si sta delineando è una vera e propria corsa al riarmo, in cui i vari paesi stanno cercando di rifornirsi delle tecnologie militari più moderne e minacciose, esasperando così le tensioni geopolitiche della zona, in uno scenario da guerra fredda.

Numerosissime sono le alleanze intrecciate dagli USA in chiave anti-cinese. Dal punto di vista diplomatico c’è QUAD, una sorta di NATO che coinvolge anche Giappone, India e Australia. Da un punto di vista commerciale c’è FOIP (Free and Open Indo-Pacific Strategy), strategia volta a creare una piattaforma di libero mercato tra il continente africano e quello asiatico per contrastare il potere commerciale cinese. Ma anche, a raggio più ampio, la Western Belt and Road, un programma alternativo alla Via della Seta. E non manca nemmeno l’alleanza di intelligence, in questo caso chiamata Five Eyes, e pensata per sorvegliare e monitorare il dragone da cinque punti: Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e USA.

L’ultimissimo prodotto della strategia anti-cinese americana è AUKUS, un’alleanza militare trilaterale volta a condividere tra i partecipanti (USA, Regno Unito e Australia) la tecnologia per la difesa navale, per incrementare il controllo occidentale della zona del mare Indo-Pacifico, togliendola all’influenza cinese. Un patto che è appoggiato anche da Taiwan, un alleato americano in chiave anti-cinese. L’Indo-Pacifico è una regione di vitale importanza geopolitica per la nuova strategia di contenimento messa in atto dalla nuova amministrazione Biden, più concentrata sulla guerra commerciale rispetto alle amministrazioni precedenti.

Ma gli USA non sono certo gli unici a volersi armare contro la Cina.

Sottomarini nucleari e missili ipersonici forniti dagli Usa all’Australia e 8.7 miliardi di dollari investiti da Taiwan (la “provincia ribelle”) per aggiornare gli armamenti, con una speciale attenzione per gli aerei da guerra. Missili ballistici con annessi sottomarini (SBLM) per la Corea del Sud, con un incremento del 4,5% del budget militare entro il 2022 e un nuovo piano per la creazione di un satellite spia da lanciare nello spazio. Anche per il Giappone, un aumento del 2,6% del budget militare nel 2022. Queste sono solo alcune delle numerose iniziative militari che i paesi che gravitano intorno all’Indo-Pacifico stanno intraprendendo per difendersi da un potenziale attacco cinese.

Ovviamente, anche la Cina sta facendo la sua parte. Il paese ha infatti recentemente avviato una produzione in massa di missili DF-26, molto potenti, oltre a missili ipersonici e intercontinentali, capaci di coprire distanze fino a 4000 chilometri. Tutte queste armi, sempre più sofisticate e pericolose e abbondanti su entrambi i fronti, non fanno che aumentare la probabilità che le tensioni nella zona si esasperino. Spesso le escalation degli armamenti non portano a guerre, e d’altra parte nessuno degli attori in campo pare desiderare un conflitto potenzialmente devastate e globale. Tuttavia si tratta di giochi pericolosi che altre volte nella storia sono sfuggiti di mano con tragiche conseguenze.

[di Anita Ishaq]

Garante Privacy: le scuole non possono chiedere lo stato vaccinale dei ragazzi

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«Agli istituti scolastici non è consentito conoscere lo stato vaccinale degli studenti del primo e secondo ciclo di istruzione, né a questi (a differenza degli universitari) è richiesto il possesso e l’esibizione della certificazione verde per accedere alle strutture scolastiche». Lo specifica il Garante della privacy in una lettera indirizzata al ministero dell’Istruzione, ponendo i paletti su richieste indebite del passaporto vaccinale ed anche su possibili “domande impertinenti” ai ragazzi.

Non solo. Il Garante, nel sensibilizzare «le scuole sui rischi per la privacy derivanti da iniziative finalizzate all’acquisizione di informazioni sullo stato vaccinale degli studenti e dei rispettivi familiari» mette in guardia «sulle possibili conseguenze per i minori, anche sul piano educativo, derivanti da simili iniziative». Come a sottolineare che nelle scuole si stia sviluppando una abitudine al controllo e alle intromissioni nella privacy personale e delle famiglie che oltrepassa quello che per il Garante è il livello di allerta.

Un altro passaggio della lettera fa riflettere: «Per quanto riguarda i familiari, le amministrazioni scolastiche non possono trattare informazioni relative all’avvenuta o meno vaccinazione, ma limitarsi a verificare, mediante il personale autorizzato, il mero possesso della certificazione verde all’ingresso dei locali scolastici». Anche qui il Garante, tra le righe, sembra sottolineare un problema che in molte scuole si sta verificando, ovvero che i dirigenti scolastici, almeno in alcuni casi, non si stiano accontentando di verificare il possesso della “certificazione verde” ma vogliano indagare sullo stato vaccinale di studenti e genitori.

Anche in merito all’ipotesi dell’eliminare l’obbligo della mascherina nelle sole classi dove tutti gli studenti siano vaccinati il Garante, pur rendendosi come ovvio disponibile a collaborare alla ricerca di soluzioni per applicare la norma, ribadisce la necessità «che vengano in ogni caso individuate modalità che non rendano identificabili gli studenti interessati, anche al fine di prevenire possibili effetti discriminatori per coloro che non possano o non intendano sottoporsi alla vaccinazione».