Una scossa di terremoto di magnitudo 4.8 nella giornata di oggi ha colpito l’isola di Bali, in Indonesia, ed ha provocato la morte di tre persone, mentre altre sette sono rimaste ferite. È questo dunque il bilancio attuale del sisma, riferito dalla Protezione civile del Paese. Inoltre, nello specifico la scossa è stata registrata nella parte est dell’isola, a circa 10 chilometri di profondità.
Gettare le reti, la scienza e il governo
Rep. Centrafricana, presidente annuncia cessate il fuoco unilaterale
Il presidente della Rep. Centrafricana Touadera ha annunciato un cessate il fuoco unilaterale a partire dalla mezzanotte di oggi, nella speranza di avviare un dialogo pacifico con i gruppi armati. La decisione è stata presa per proteggere i civili dalle violenze. La guerriglia tra Stato e milizie a maggioranza islamica, al quale si aggiunsero successivamente combattenti cristiani, cominciò nel 2012. Nonostante l’intervento di forze internazionali per il ritorno alla stabilità, le violenze non si sono mai fermate. Il 29 luglio le Nazioni Unite hanno rinnovato di un anno l’embargo sulle armi e le sanzioni contro la Rep. Centrafricana, introdotti rispettivamente nel 2013 e nel 2014, di un altro anno.
Australia, via all’obbligo vaccinale anti-Covid: 5.000 $ di multa a chi si rifiuta
Nel Territorio del Nord, un territorio federale dell’Australia, una vasta fetta di lavoratori sarà obbligata a sottoporsi al ciclo completo di vaccinazione anti Covid entro 2 mesi: chi non si vaccinerà in questo periodo di tempo, infatti, non sarà autorizzato ad occupare il suo posto di lavoro e potrebbe ricevere una multa da 5.000 dollari. Nello specifico, come annunciato nella giornata di mercoledì dal Primo Ministro del territorio, Michael Gunner, i soggetti obbligati dovranno sottoporsi alla prima dose del vaccino entro il 12 novembre ed alla seconda entro il 24 dicembre.
NEW – Australia’s Northern Territory imposes the strictest vaccine mandate in the world. Those who don’t comply by Nov. 13 will be fined $5,000.pic.twitter.com/uAKCKIkUei
— Disclose.tv (@disclosetv) October 13, 2021
In base a quanto riportato dal sito del governo, si intuisce che sono davvero molti i lavoratori che saranno interessati da tale misura. Infatti, precisamente dovranno sottostare all’obbligo vaccinale coloro che sono a contatto diretto con persone vulnerabili, coloro che lavorano in un ambiente ad alto rischio e tutti gli individui che svolgono lavori in «infrastrutture essenziali», che hanno a che fare con «la sicurezza o l’approvvigionamento di cibo o beni essenziali», o con «la logistica».
Si tratta solo dell’ultima misura restrittiva ad essere stata imposta in Australia. Nello scorso periodo, infatti, è emerso il fatto che Canberra si è dedicata approfonditamente all’utilizzo dei dati biometrici, arrivando a supervisionare la quarantena pandemica tramite gli smartphone. Inoltre, bisogna anche ricordare che l’obbligo vaccinale è già stato imposto dal governo australiano ai lavoratori del settore edile, i quali sono anche scesi in piazza per protestare contro tale imposizione.
Stando alle statistiche riportate dal governo australiano, il 66% degli australiani ha completato il ciclo vaccinale, mentre l’84% della popolazione si è sottoposto alla prima dose.
[di Raffaele De Luca]
Whirlpool, confermati i licenziamenti dal 22 ottobre
L’azienda Whirlpool ha confermato i licenziamenti a partire dal 22 ottobre per 340 operai della sede di Napoli. Come scritto nel comunicato diffuso dall’azienda, i progetti presentati dal Governo e dalla Regione sono ancora “in una fase non compatibile con le esigenze e tempistiche espresse dalla società”. Restano confermati gli incentivi all’esodo nella misura di 85mila euro o il trasferimento dei lavoratori nella sede di Cassinetta di Briadronno (VA), oltre alla disponibilità a proseguire la trattativa per il trasferimento di asset.
Alitalia ha chiuso, anzi no: una storia troppo lunga
Da poche ore la storica compagnia aerea italiana non esiste più. Ma ci rassicurano che continuerà a vivere. Eppure, non è tanto il primo volo di ieri mattina Linate-Bari recante lo stesso logo e colori di Alitalia sulla fusoliera (nonostante il nome dell’azienda ora sia ITA Airayws) e la procedura di cessione ancora da ultimare, a generare perplessità nell’opinione pubblica, quanto la mancanza di un’immagine chiara rispetto a cosa questa azienda potrà essere.
Tralasciando l’emorragia di posti di lavoro – si passa attualmente da 10.500 a 2.800 dipendenti – le condizioni di partenza sembrano non essere confacenti a nessuno dei target principali. Con solo 52 aerei disponibili attualmente (sempre quelli di Alitalia) la compagnia non può competere con i maggiori player stranieri sulle tratte europee e intercontinentali, né potrebbe assurgere al ruolo, più modesto ma significativo, di compagnia di bandiera. Cioè di azienda concepita principalmente per gli interessi della cittadinanza italiana, coprendo tratte che le realtà private più grandi non hanno interesse a garantire. Come infatti sarebbe ingenuo nutrire pregiudizi sulla natura d’ente pubblico della Newco, volta all’interesse pubblico, sarebbe anche sciocco non chiedersi: con queste premesse ha senso tenere in piedi una società?
La mala gestione, gli sperperi
Il travaglio di Alitalia, fino alla partenza esitante, non è certo casuale. I fasti del dopoguerra, con l’avvio nel 1947 come ente pubblico economico sono soltanto un ricordo. La realtà comincia a farsi più dura negli anni novanta, quando si assiste alla liberalizzazione dei traffici aerei. A quel punto entrano in gioco tante realtà pronte a fare concorrenza. Servono forse investimenti e accordi nel mercato che si tentano ma non arrivano. La situazione si complica ed ecco la prima parziale privatizzazione nel ’96 con Prodi, fino a quella completa tra il 2007 e il 2008 quando – per scongiurare la fusione con Air France (opzione che si presenterà più di una volta in questa storia) – su iniziativa di Berlusconi l’azienda viene affidata ai cosiddetti “Capitani Coraggiosi”, cordata guidata da Intesa Sanpaolo, allora nelle mani del banchiere Corrado Passera, guidata da Roberto Colaninno con nomi illustri dell’industria come Benetton, Riva, Ligresti, Marcegaglia e Caltagirone. La parte sana dell’azienda va a loro, quella cattiva sul groppone dello Stato che si accolla debiti e paga la cassa integrazione. I velivoli vengono ridotti da 175 a 109, le perdite cominciano a essere ingenti. Nel 2011 il buco di bilancio è di 69 milioni, nel 2012 di 280 milioni, addirittura 500 nel 2013. Il “meglio” della classe imprenditoriale italiana combina un disastro. Arriva Ethiad, che acquista il 49%. Gli arabi però non faranno che aumentare l’enorme passivo dopo aver ridotto le tratte brevi e infine escono. Eccoci dunque all’amministrazione straordinaria guidata dal Ministero dello sviluppo economico che spende centinaia di milioni per tenere in vita Alitalia con i prestiti ponte fino alla prossima (s)vendita. Si stima che negli ultimi quattro anni la società sia costata ai contribuenti 1,4 miliardi. Tutto denaro sprecato? Viene da dire di sì.
E adesso?
Come si legge su altre fonti giornalistiche, il numero di velivoli è programmato ad aumentare, arrivando a 78 nel 2022 fino a 105 nel 2025, che era il numero standard dell’Alitalia. Le destinazioni sono per ora 45 con 61 rotte, per arrivare nel 2025 a 79 destinazioni con 89 rotte. Ancora insufficiente, sia considerando le disponibilità di mezzi e rotte di colossi come Lufthansa, British Airways e Air-France, tutti molto sopra la casella dei 100. Stesso discorso per la questione del lungo raggio. ITA in effetti dovrebbe essere una realtà che punta sul medio raggio. Torna però a questo punto la questione dell’interesse pubblico, siccome sulle tratte domestiche ed europee non si riuscirebbe a fronteggiare la forza delle low cost come Ryanair, che ha in dotazione 300 aerei. E non fanno ben sperare neanche le parole dell’Ad di Ita Lazzerini, il quale nella conferenza stampa di stamane ha dichiarato che la nuova compagnia sarà molto attenta ai servizi per il mondo del business. Gli uomini d’affari potranno contare sulla centralità della rotta Roma-Milano-Linate. Su cui già correvano «23 aerei ad andare e 23 a tornare». Sempre Lazzerini ha detto che tra gli obiettivi futuri ci sono i voli internazionali, perché più redditizi
Volotea, piove sul bagnato
Notizia di queste ore è che la compagnia spagnola Volotea si è aggiudicata i collegamenti da e per la Sardegna, grazie a un’offerta a ribasso. Altra tegola per la nuova Alitalia che già ha tutti gli occhi puntati addosso. I vertici però avvertono che faranno ricorso al Tar. E alla domanda su Ryanair, rispondono in modo deciso ma forse poco sostanzioso: «loro fanno volare polli da batteria». Non si placa insomma il dubbio sul perché la vocazione principale non sia quella dei voli nazionali, tenendo conto dell’evidente svantaggio sulla dimensione dell’offerta europea, come riporta il sito dell’ente Eurocontrol e considerando che nel 2019 il traffico aereo interno misurò circa 64 milioni di passeggeri, un numero non irrilevante. La continuità territoriale è un punto irrisolto.
Punti interrogativi ineludibili. Che affondano le radici in un passato burrascoso. Dalla nascita come ente pubblico economico fino alle prime riorganizzazioni degli anni 90. Poi il passaggio ai “capitani coraggiosi” nel 2008. I bilanci sempre in perdita fino al giorno del battesimo di ITA, una realtà che ha bisogno di un’anima. Ed è proprio quando si mettono in dubbio l’identità e i valori di un progetto dedicato alla collettività che i guai peggiori si materializzano. Ma come detto in apertura, un’azienda pubblica non deve neppure esistere per forza. Se esiste, devo farlo con dei presupposti.
[di Giampiero Cinelli]
Mafia, disposto maxisequestro di beni della famiglia dei corleonesi
Il Tribunale di Palermo ha disposto il sequestro di beni per un valore superiore ai 4 milioni di euro alla mafia corleonese: in particolare, 3.5 milioni sono stati confiscati a Mario Salvatore Grizzaffi e Gaetano Riina, nipote e fratello del boss Totò, a Rosario Salvatore Lo Bue e al figlio Leoluca. I legami con la mafia di questi soggetti sono accertati. Si tratta di un’operazione giunta a seguito di un lungo processo investigativo che aveva permesso la confisca di altri patrimoni illeciti di soggetti che avevano favorito la latitanza di Bernardo Provenzano e, nel caso di Mario Salvatore Grizzaffi, anche di Giovanni Brusca.
Gb: ucciso a coltellate deputato conservatore David Amess
Dopo essere stato accoltellato durante un incontro con gli elettori tenutosi all’interno di una chiesa metodista nell’Essex, è morto il deputato conservatore britannico David Amess. L’aggressore è stato arrestato: la polizia dell’Essex, infatti, ha fatto sapere che «un uomo è stato arrestato» e che essa non sta «cercando nessun altro».
L’Italia è l’unico Paese europeo dove si guadagna meno di 30 anni fa
L’Italia è l’unico Paese europeo in cui, a partire dal 1990, lo stipendio medio dei lavoratori è diminuito: lo si apprende da una recente analisi effettuata dalla fondazione indipendente Openpolis e basata sui dati Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). In tal senso, nel Belpaese il salario medio annuale è calato del 2,90% negli ultimi 30 anni, una tendenza di gran lunga differente rispetto a quella delle altre nazioni: in tutte i restanti paesi, infatti, lo stipendio è aumentato. In particolare, un brusco incremento dello stesso è stato registrato nei paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania), dove il salario è più che triplicato negli ultimi 25 anni e in alcuni paesi dell’Europa centrale (Ungheria, Slovacchia), in cui esso è raddoppiato.
Ovviamente, va ricordato che quelli sopracitati sono paesi in cui i salari medi annuali, 30 anni fa, erano molto minori di quelli degli altri stati europei. Ad esempio in Lituania, il paese europeo dove i salari sono aumentati più significativamente (precisamente del 276,30%), negli anni ’90 la retribuzione era di circa 8mila dollari l’anno. Ad ogni modo, però, anche comparando la variazione degli stipendi italiani con paesi europei aventi economie più simili alla nostra, la sconfitta del nostro Paese è evidente. Infatti anche in Germania e in Francia, ad esempio, i salari medi sono stati incrementati rispettivamente del 33,7% e del 31,1%, nonostante essi fossero già elevati in partenza. Inoltre anche la Spagna ha registrato un aumento, seppur più modesto (6,2%).
Tutto ciò ha portato al fatto che, mentre all’inizio degli anni ’90 l’Italia era al settimo posto nella classifica degli Stati europei con il salario medio annuale più alto, adesso si posiziona al tredicesimo posto superata da Paesi tra cui proprio la Francia e la Spagna, che negli anni ’90 avevano salari più bassi.
Nello specifico, nel 2020 in Italia il salario medio è di 37,8 mila dollari (circa 32,7 mila euro), una cifra di gran lunga inferiore rispetto a quella dei paesi europei con gli stipendi più alti, ovvero il Lussemburgo (65,8 mila dollari), l Olanda (58,8 mila) e la Danimarca (58,4).
Detto questo, a determinare questo fallimento dell’Italia è stata senza dubbio anche la pandemia: tra il 2019 e il 2020, infatti, i salari italiani sono diminuiti in maniera importante. In questo periodo di tempo, in Italia è stato registrato un calo di poco inferiore al 6%. Si tratta di una diminuzione record per il nostro Paese: infatti, seppur anche altri Paesi siano stati danneggiati dalla pandemia, la diminuzione registratasi è stata inferiore. Ad esempio, in Francia tale contrazione è stata del 3,2%, mentre in Spagna del 2,9%.
[di Raffaele De Luca]
No Green Pass: a Roma manifestanti donne consegnano rose a poliziotti
A Roma, durante la manifestazione contro il Green Pass che si sta tenendo al Circo Massimo, un gruppo di donne ha consegnato delle rose alle forze dell’ordine che con i blindati stanno chiudendo gli accessi alla piazza. Gli agenti hanno accettato e ringraziato. «È un gesto simbolico, un gesto di pace», hanno affermato le donne.