giovedì 18 Settembre 2025
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L’Italia ha un problema con l’educazione sessuale

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Nei giorni scorsi, al liceo artistico Marco Polo di Venezia, alcune studentesse si sono ribellate, dopo essere state redarguite a causa del loro abbigliamento dall’insegnante di educazione fisica. Alcune di loro si erano presentate in palestra indossando un top sportivo e per questo riprese dall’insegnante che lo aveva ritenuto indumento poco consono a un contesto scolastico, perché “distrae i compagni maschi”. La professoressa aveva chiesto alle alunne di coprirsi con una maglia, le studentesse non solo hanno rifiutato ma hanno inscenato una protesta, reclamando un cambio di mentalità all’interno del mondo scolastico. Le studentesse, riunite nel collettivo Polo-Las, chiedono innanzitutto una cosa: l’introduzione dell’educazione sessuale tra le materie di studio. Una richiesta paradigmatica, come vedremo, di come in Italia siano ancora (non) affrontate le questioni relative alla sessualità e al genere. Il nostro Paese è infatti fanalino di coda a livello europeo, vittima dell’inazione legislativa e di un certo conservatorismo di matrice cattolica non ancora superato.

L’Italia è infatti uno degli ultimi Stati membri dell’Unione Europea in cui l’educazione sessuale non è obbligatoria, accanto a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania. Il tema è percepito nel nostro paese ancora come un tabù, visto e considerato il disinteresse del ministero dell’Istruzione che continua a non introdurlo nei programmi scolastici. L’opposizione alla introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole verte su due ragioni principali: 1. Parlarne determinerebbe un inizio più precoce delle relazioni sessuali dei ragazzi; 2. Si tratta di un argomento legato alla sfera intima, del quale devono farsi carico i genitori.

Educazione sessuale: una definizione

Ma cosa si intende per educazione sessuale e perché sarebbe così importante insegnarla nelle scuole? Nella International Technical Guidance on Sexuality Education realizzata dall’UNESCO nel 2009, l’educazione sessuale è stata descritta come “un approccio, adeguato all’età e alla cultura, nell’insegnamento riguardante il sesso e le relazioni attraverso la trasmissione di informazioni scientificamente corrette, realistiche e non giudicanti. L’educazione Sessuale offre, per molti aspetti della sessualità, l’opportunità sia di esplorare i propri valori e atteggiamenti, sia di sviluppare le competenze decisionali, le competenze comunicative e le competenze necessarie per la riduzione dei rischi”. Si tratta dunque di un intervento che deve adottare un approccio multidimensionale, intenzionale, consapevole, mirato al target dei destinatari, volto a tutelare, informare, autorizzare la soggettiva ricerca del benessere sessuale.

Perché serve una legge nazionale

Nonostante più di 40 anni di tentativi, in Italia non vi ancora è una legge che sancisca l’obbligo di inserire l’educazione sessuale nel novero delle materie scolastiche e gli istituti italiani scelgono autonomamente come agire a livello territoriale. L’assenza di un quadro normativo nazionale che individui cosa si intenda per educazione sessuale fissandone gli obiettivi e le linee guida per la sua realizzazione lascia anzitutto spazio all’affiorare di pregiudizi e tabù che alimentano dibattiti di tipo ideologico e porta ad avere disuguaglianze e disparità tra ragazzi di regioni diverse. In Italia l’insegnamento dell’educazione sessuale viene fatto in qualche modo, ma in modo frammentario. Le Regioni, in piena autonomia e spesso a seconda del colore politico dell’amministrazione, decidono se destinare risorse per percorsi di educazione sessuale nelle scuole. A quel punto vi è il filtro composto dai dirigenti scolastici che, spesso anche loro in base ad opinioni politiche e ideologiche, decidono se attivarsi per effettuare i suddetti corsi nei loro istituti. Ovvio ne consegua una realtà a macchia di leopardo, con alcune regioni (innanzitutto quelle del centro Italia, storicamente a maggioranza di sinistra) dove l’educazione sessuale è spesso presente nelle scuole, ed altre dove è quasi o anche del tutto assente.

Nel nostro paese il primo disegno di legge fu presentato da Giorgio Bini, Partito Comunista, il 13 marzo 1975 e, senza andare troppo indietro negli anni, dal 1995 diverse proposte di legge si sono succedute per introdurre l’educazione sessuale come materia curriculare. Osservando la tabella riportata al termine del paragrafo balza subito all’occhio l’imbarazzo con cui i diversi partiti dal 1995 non siano stati in grado di chiamare le cose col proprio nome: un susseguirsi di proposte di legge in cui la materia “educazione sessuale” viene talvolta definitiva “educazione socio- affettiva”, o “sentimentale” o “educazione alla parità di genere”.

Fonte: Istituto Internazionale di Sessuologia Firenze (IRF)

Tra disegni di legge mai attuati e organizzazioni della società civile – spesso vicine al mondo cattolico ma non solo – che ostacolano il dibattito pubblico, chi ovviamente patisce di questa disinformazione e di mancanza di linee guida nazionali sono bambini, pre- adolescenti e adolescenti che si affacciano alla conoscenza della propria sessualità in solitudine o attraverso l’uso di canali informali: in primis i genitori – che ricoprono un ruolo fondamentale, ma che non possono certo sostituirsi totalmente a professionisti del settore – e la pornografia, oggi accessibile a chiunque attraverso il web, i cui prodotti sono pensati per intrattenere e non di certo per educare.

L’educazione sessuale in Europa

In Europa, la storia dell’ insegnamento dell’educazione sessuale ha oltre mezzo secolo, la più antica nel mondo. Nella progressista Svezia, seppur con qualche iniziale difficoltà di integrazione nelle materie curricolari, l’educazione sessuale diventa materia obbligatoria già nel 1955. A seguire la Germania nel 1968; Danimarca, Finlandia e Austria 1970; la Francia nel 1998. Oggi, la maggior parte degli Stati membri dell’Unione Europea ha adottato una normativa nazionale che disciplina la sua obbligatorietà nelle scuole, ad eccezione – come dicevamo sopra – di Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia, Romania e Italia.

Tuttavia, nonostante esista un documento quadro di riferimento a livello Europeo, rivolto a governi, autorità scolastiche e sanitarie, per definire gli Standard dell’Educazione Sessuale in Europa, l’integrazione dei programmi curriculari è ancora scarsa. Ad esempio, l’età di riferimento per l’insegnamento della materia varia da paese a paese: i portoghesi iniziano già a 5 anni mentre i loro cugini spagnoli aspettano i 14. Anche gli approcci e le modalità di intervento si diversificano a seconda del paese: in Olanda si lavora su un’ampia gamma di temi, dalla conoscenza del corpo umano per i più piccoli, alla percezione di sé e dell’altro, al significato di amore, di sesso e di abuso sessuale; in Francia i programmi si attengono alla prevenzione della salute sessuale, in Danimarca sono previste anche lezioni tenute direttamente da sex worker.

Ma in definitiva, a cosa servirebbe?

L’educazione alla sessualità come suggerito dagli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa deve adottare un orientamento olistico che non includa esclusivamente programmi di prevenzione alla salute sessuale ma che integri percorsi di apprendimento per l’autodeterminazione, la realizzazione di sé e della propria sessualità, per fare scelte consapevoli, salutari e rispettose su relazioni, sesso e riproduzione.

Attraverso adeguati programmi, nei paesi europei dove sono stati attivati percorsi di educazione alla sessualità, è stato possibile raggiungere obiettivi chiari e misurabili: ridurre la frequenza di comportamenti sessuali non protetti, incrementare la prevenzione per evitare gravidanze non desiderate e malattie sessualmente trasmissibili, ritardare (e non anticipare come sospettano i contrari) l’età del primo rapporto.

L’Unesco, nella sua guida, ha fatto una valutazione dell’impatto di questi programmi in vari paesi del mondo. I risultati sono tangibili: più di un terzo dei programmi riesce a ritardare l’età del primo rapporto sessuale, a far diminuire la frequenza e il numero di rapporti con partner diversi. In 4 casi su 10, inoltre, è stato incentivato l’uso di anti-concezionali. Infine, più della metà dei 30 programmi dedicati alla prevenzione è riuscita a raggiungere l’obiettivo prefissato.

Costruire relazioni paritarie, superare gli stereotipi

Ma l’insegnamento della materia diventa un presupposto imprescindibile anche per costruire relazioni basate sul rispetto reciproco e maturare un pensiero critico, riconoscere e smontare gli stereotipi alla base delle discriminazioni di genere e dell’orientamento sessuale, per un cambio di mentalità e un pieno rispetto dei diritti umani. Il nostro paese vive un momento storico particolare, nel quale si parla tanto di sessualità ed allo stesso tempo sembrano esserci molti passi indietro su importanti diritti ottenuti negli anni e dove la discriminazione è sempre più tangibile, come rilevato da una ricerca dell’Istat sugli stereotipi di genere.

Educare i ragazzi – oltre che per garantire un loro diritto – diventa imprescindibile per non lasciarli soli in una delle fasi più delicate della vita e per aiutarli a sostenere qualsiasi discorso sulla sessualità che sia libero da tabù.

Tornando alla vicenda di apertura, che cosa stanno reclamando in fondo le liceali di Venezia? Che venga affrontato, nella sede dove è giusto che ciò avvenga, ovvero tra i banchi, un ragionamento sensato sulla questione di genere che inneschi per davvero un processo di cambiamento nella percezione e costruzione dei ruoli sociali, un cambio di paradigma nell’approccio alla sessualità, attraverso la trasmissione di informazioni scientificamente corrette. L’educazione sessuale è uno strumento essenziale per costruire una sessualità egualitaria e libera di esprimersi, esente da condizioni di oppressione e non legata alla divisione tra i sessi e alle relazioni di potere.

[di Elisa Arianna Passatore]

Siria: 2 civili morti in un raid di Israele

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Nella giornata di oggi, all’alba, un attacco aereo condotto da Israele contro la Siria centrale ha causato la morte di due civili. A riportarlo è l’agenzia di stampa siriana Sana la quale, rifacendosi a fonti militari, sottolinea che sono invece 7 le persone rimaste ferite: un civile e 6 soldati. La difesa siriana, riferiscono le medesime fonti, ha però «respinto l’aggressione e abbattuto gran parte dei missili».

451 attacchi in 20 mesi: un rapporto certifica gli abusi israeliani sui palestinesi

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Domenica scorsa il gruppo per i diritti umani B’Tselem ha dichiarato di aver documentato e registrato 451 episodi di violenza subiti dai palestinesi dall’inizio del 2020 per mano dei coloni israeliani. Di media, appena meno di un attacco al giorno. Le forze israeliane non sono quasi mai intervenute per sedare gli attacchi. Anzi, nel 66% dei casi in cui i coloni situati nella Cisgiordania hanno attaccato i palestinesi, le autorità di Israele si sono dileguate. E quando sono intervenute, in 170 casi hanno scelto di non scendere in campo per proteggere i palestinesi. È successo, al contrario, che abbiano partecipato attivamente all’attacco. Stando a quanto riportato da B’Tselem, in soli 13 casi le forze israeliane hanno placato la violenza dei coloni, perché “Gli attacchi dei coloni contro i palestinesi sono una strategia di apartheid impiegata dal regime israeliano, che cerca di avanzare e completare la sua appropriazione indebita di sempre più terra palestinese”.

Non a caso gli attacchi sono aumentati proprio nell’ultimo periodo, che coincide con la stagione della raccolta delle olive (ottobre- novembre). Circa 80.000-100.000 famiglie palestinesi traggono il proprio sostentamento da questo prodotto della terra, e impedirne la raccolta significa condannare una parte della popolazione alla fame. “Quando la violenza avviene con il permesso e l’assistenza delle autorità israeliane e sotto i suoi auspici, si tratta di violenza di stato. I coloni non stanno sfidando lo stato, rispondono i suoi ordini”, continua il report di B’Tselem.

Gli atti violenti possono includere percosse, lancio di pietre, minacce, incendi di campi, distruzione di alberi e raccolti, furto di raccolti, uso di fuoco vivo, danni a case e automobili e in alcuni casi anche l’omicidio. Negli ultimi anni i coloni hanno preso di mira anche il bestiame, altra fonte di sostentamento per i palestinesi, intimidendo interi greggi con l’intento di disperderli.

È uno dei principali modi con cui Israele strappa via grossi appezzamenti di terra palestinese, sin dal 1967, anno dell’occupazione e della nascita di numerosissime colonie. Nel tempo Israele ha costruito più di 280 insediamenti in Cisgiordania, che ospitano più di 440.000 coloni: 138 ufficialmente riconosciuti dallo stato e altri 150 no. Ma la proliferazione non si ferma di certo per questo, dal momento che negli ultimi dieci anni sono stati costruiti molti avamposti, la maggior parte dei quali denominata “fattorie”.

Israele si è impossessata delle terre palestinesi utilizzando mezzi “leciti” e non, in alcuni casi ufficializzandoli (emettendo cioè ordini militari o dichiarando l’area “terra statale”, “zona di tiro” o “riserva naturale”) e in altri casi occupandole fisicamente tramite i coloni, autori di attacchi violenti quotidiani. Come nel caso della fattoria Ma’on, raccontato da B’Tselem. Si tratta di un avamposto illegale situato nel sud della Cisgiordania, occupante circa un miglio quadrato di terra e che un tempo i palestinesi utilizzavano per il pascolo. Almeno, fino all’arrivo dei coloni che con attacchi e minacce regolari sono riusciti ad ottenere la confisca della terra da parte dello stato israeliano.

Si tratta di attacchi e strategie pianificati, contro i quali le autorità israeliane, nonostante le numerose testimonianze, non muovono un dito. “Le denunce sono difficili da presentare e nei pochissimi casi in cui vengono effettivamente aperte le indagini, il sistema le cancella rapidamente. Difficilmente vengono presentate incriminazioni contro i coloni che danneggiano i palestinesi e, quando lo fanno, di solito citano reati minori, con sanzioni simboliche da abbinare nel raro caso di una condanna”, riferisce il rapporto.

Parlare solo di coloni, però sarebbe riduttivo. La lista è corposa e quella utilizzata dal regime è una violenza sistemica e organizzata, i cui protagonisti sono molteplici: dal governo ai militari, dalla Corte suprema alla polizia israeliana, dal servizio carcerario israeliano all’autorità per la natura e i parchi, e altri. I coloni sono solo l’ultimo anello di una pesante catena.

[di Gloria Ferrari]

Le proteste contro le restrizioni anti-Covid riprendono vigore in tutta Europa

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Le proteste contro la gestione della pandemia stanno riprendendo vigore in tutta Europa: in diversi Paesi, infatti, negli ultimi giorni i cittadini sono scesi in piazza per esprimere il loro dissenso nei confronti delle misure restrittive che i governi stanno imponendo in questo periodo. In tal senso, una delle manifestazioni più importanti è stata senza dubbio quella tenutasi a Bruxelles: nel fine settimana decine di migliaia di persone hanno marciato nella capitale belga per dire no alle politiche sanitarie imposte nel Paese, dove sono state inasprite le misure contro i non vaccinati. La protesta, iniziata in maniera pacifica, è successivamente sfociata nella violenza e nei pressi delle sedi dell’Unione europea si sono verificati scontri con la polizia, che ha utilizzato cannoni ad acqua e gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti.

Momenti di tensione durante le proteste contro le politiche sanitarie vi sono stati anche nei Paesi Bassi. Le violenze sono iniziate venerdì sera a Rotterdam, dove quattro manifestanti hanno riportato ferite a causa dei colpi sparati dalle forze dell’ordine mentre 51 persone sono state arrestate. Il giorno seguente, invece, cinque poliziotti sono rimasti feriti durante gli scontri a L’Aja ed almeno 40 manifestanti sono stati arrestati. Le autorità olandesi hanno usato cannoni ad acqua, cani e polizia a cavallo per bloccare i manifestanti, che hanno appiccato incendi e lanciato pietre. La rabbia deriva dal fatto che nel Paese è stato imposto un lockdown parziale per contenere l’aumento dei contagi, con una serie di restrizioni che interessano in particolare il settore della ristorazione, obbligato a chiudere alle ore 20:00. Tutto ciò poiché in Olanda i casi di Covid sono in aumento nonostante quasi il 74% della popolazione sia stata completamente vaccinata.

Pure in Austria nel weekend i cittadini hanno manifestato per esprimere la loro contrarietà riguardo le restrizioni imposte dal governo: il lockdown (entrato in vigore nella giornata di lunedì) e l’obbligo di vaccinazione che scatterà il primo febbraio 2022. Decine di migliaia di persone hanno preso parte alla protesta svoltasi a Vienna, durante la quale sono state esposte bandiere nazionali e striscioni con la scritta «Libertà». I manifestanti hanno inoltre gridato parole quali «Resistenza» e riservato fischi alle forze dell’ordine presenti in maniera massiccia. A tal proposito non sono mancati momenti di tensione, e ci sono stati scontri tra i manifestanti e gli agenti.

Da citare poi Guadalupa, territorio d’oltremare francese. Episodi di violenza si sono infatti verificati durante le proteste contro il pass sanitario e la vaccinazione obbligatoria per gli operatori sanitari: secondo quanto riportato dai media locali, nella notte tra venerdì e sabato alcuni negozi sono stati saccheggiati, mentre nella notte successiva sono stati sparati colpi d’arma da fuoco contro le forze dell’ordine. Per questo motivo, alcune persone sono state successivamente arrestate.

Detto ciò, anche a Zagabria, in Croazia, le persone sono scese in piazza per esprimere il loro dissenso nei confronti delle restrizioni introdotte per contenere il Covid-19 e, in particolare, nei confronti del Green pass. I manifestanti hanno dunque chiesto di abolire i certificati Covid, che sono obbligatori per i dipendenti pubblici e per tutti coloro che accedono ad istituzioni statali.

Infine, proteste simili si sono verificate anche in Italia: a Roma nella giornata di sabato si è infatti tenuta una manifestazione molto partecipata contro il Green Pass presso il Circo Massimo, con decine di migliaia di persone che hanno partecipato al sit-in in questione cantando cori come «libertà, libertà» e «la gente come noi non molla mai».

[di Raffaele De Luca]

Corte europea diritti umani condanna Turchia per detenzione di 427 magistrati

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La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato la Turchia per la detenzione preventiva di 427 magistrati, attuata in seguito al fallito colpo di stato del 2016. Ad ognuno di essi Ankara dovrà versare 5mila euro per danni morali. Tale decisione deriva dal fatto che, secondo la Corte, tutti i magistrati sono stati arrestati e detenuti in base alla legge ordinaria turca: essa prevede che si possa procedere in tal modo quando un individuo è colto in flagranza di reato, ma proprio quest’ultimo concetto è stato utilizzato – sostengono i togati di Strasburgo – in modo troppo ampio, che non può essere considerato coerente rispetto a quanto prescritto dalla Convenzione europea dei diritti umani.

Bufera sulla Francia: documenti rivelano l’aiuto all’Egitto nelle stragi di civili

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Sreen inchiesta DISCLOSE

Secondo quanto rivelato dal sito investigativo Disclose, l’Egitto si è servito dell’intelligence messa a disposizione dall’esercito francese per attaccare e uccidere civili sospettati di contrabbando. L’inchiesta, basata su documenti segretamente trapelati e descritti come “riservati alla Difesa” e che conterrebbero anche foto satellitari e mappe, accusa di fatto la nazione di Macron di essere perfettamente a conoscenza della strage fatta nei confronti di centinaia di civili, individuati attraverso le informazioni fornite dagli aerei spia francesi nel deserto libico. Dati che sarebbero dovuti servire alle forze egiziane, secondo accordi e secondo la missione “Sirli” nata sotto la presidenza di Francois Hollande, per contrastare il terrorismo e colpire i jihadisti al confine. Alla denuncia, dunque, si somma la gravità data dall’eventuale consapevolezza del governo, che per anni avrebbe continuato a fornire informazioni pur consapevole dell’uso che l’Egitto ne avrebbe fatto.

Stando ai documenti, lesercito francese è stato coinvolto in almeno 19 attacchi aerei contro civili, in un lasso di tempo tra il 2016 e il 2018, anche se già dopo poco tempo i militari francesi si sarebbero accorti del “doppio gioco” dell’esercito egiziano e avrebbero avvisato dell’abuso i propri superiori, come testimonia una nota inviata al governo nel 2017. Ma la missione è proseguita comunque senza intoppi per anni e l’esercito francese non ha mai smesso di fornire il proprio aiuto nel deserto egiziano.

I motivi di tale reiterazione potrebbero essere molteplici. Come spesso accade, principalmente economici. L’Egitto infatti riceve moltissime armi dalla Francia. Anzi, è uno dei principali destinatari della vendita delle armi del paese guidato da Macron, a cui si aggiungono 30 caccia Rafale, quattro corvette e due portaelicotteri. Tutti armamenti giunti nel giro di tre anni e cresciuti notevolmente con l’arrivo al potere di Al-Sisi. Sono noti i rapporti che legano i due capi di stato: un anno fa lo stesso Macron aveva insignito della Legion d’Onore prorio Al-Sisi, scatenando tantissime reazioni e polemiche fra i sostenitori dei diritti umani.

Al momento né il governo francese né l’esercito hanno rilasciato dichiarazioni o risposte alle domande dei giornalisti autori dell’inchiesta. Solo un commento del ministero della Difesa francese, che ha confermato che fra Egitto e Francia vi erano accordi in campo intelligence e antiterrorismo. Non una sillaba in più, “per motivi di sicurezza”. Intanto il partito all’opposizione ha chiesto al ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian, che al tempo di Hollande si occupava della difesa, di comparire davanti al Parlamento per rispondere alle accuse, mentre l’attuale ministra della Difesa, Florence Parly ha ordinato l’avvio di un’inchiesta interna.

[di Gloria Ferrari]

Bill Gates ha finanziato il settore dei media con almeno 319 milioni di dollari

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L’acquisto del Washington Post da parte del fondatore di Amazon, Jeff Bezos, per 250 milioni di dollari nel 2013 è stata una forma molto chiara e ovvia di influenza mediatica che fece storcere il naso a molti, così come la creazione di First Look Media – la società proprietaria di The Intercept – da parte di Pierre Omidyar, fondatore di eBay. Benché fosse già nota la partecipazione azionaria di Bill Gates in colossi del settore mediatico, non si sapeva la portata dei suoi legami striscianti e molto meno evidenti. Si scopre adesso che il “filantropo” che viene dipinto come un individuo che opera senza secondi fini per il bene dell’umanità ha finanziato in maniera silenziosa decine e decine di mass media, organizzazioni e associazioni giornalistiche e Università al fine di spingere la narrazione a lui gradita e manipolare l’opinione pubblica.

“Salute globale e sviluppo; sensibilizzazione e analisi pubblica; opportunità di ricerca e apprendimento; empowerment femminile; acqua, servizi igienico-sanitari e igiene; pianificazione familiare; fornitura di soluzioni per migliorare la salute globale”, sono solo alcune delle diciture indicate come “argomento concessione” in riferimento alle somme di denaro che Bill Gates, tramite la Bill and Melinda Gates Foundation (BMGF), concedeva a soggetti vari per un arco di tempo stabilito. Setacciando oltre 30.000 sovvenzioni presenti nel database della Fondazione, MintPress è riuscita a rintracciare un totale di 319 milioni di dollari in contributi diretti.

Nella lista dei mass media finanziati direttamente da Gates tramite la BMGF troviamo CNNNBC, NPRPBS e The Atlantic negli USA, poi BBCThe GuardianThe Financial Times e The Daily Telegraph nel Regno Unito. Troviamo anche la francese Le Monde, la tedesca Der Spiegel, la spagnola El País e l’emittente araba Al-Jazeera.

Emblematico è il caso del Texas Tribune che ha ricevuto più di 2 milioni di dollari per “aumentare la consapevolezza pubblica e l’impegno delle questioni di riforma dell’istruzione in Texas” e che, di fatto, ha pubblicizzato sotto il mantello autorevole di una notizia il sistema di educazione in cui ha investito il “filantropo” Gates, insieme a Mark Zuckerberg e Pierre Omidyar. Il terzetto ha infatti finanziato con 100 milioni di dollari la Bridge International Academies che tra i suoi partner pubblici annovera Goldman Sachs e il World Economic Forum.

Inoltre, Bill Gates ha finanziato anche centri di formazione di giornalismo investigativo come International Center for Journalists, The Pulitzer Center for Crisis Reporting, Center for Investigative Reporting, The Bureau of Investigative Journalism, Institute for Advanced Journalism Studies e Global Forum for Media Development. Non solo. Il “filantropo” ha anche dato soldi ad associazioni di stampa e giornalismo tra cui National Newspaper Publishers Association, Education Writers Association, American Society of News Editors Foundation, Washington News Council, Reporters Committee for Freedom of the Press. Tramite l’istituzione di borse di studio, workshop e corsi appositi, Gates ha formato giornalisti pagando loro l’istruzione presso università quali la Johns Hopkins o la Columbia.  Una valanga di dollari sono stati spesi inoltre dalla BMGF per finanziare centinaia di progetti mediatici pensati per specifiche e circoscritte tematiche.

Del resto, come detto in apertura, era già noto che Bill Gates avesse ampie partecipazioni in colossi del settore mediatico come Comcast, AT&T, e MSNBC (il cui nome risulta da una combinazione di Microsoft e NBC Universal). Inoltre, dal 2009 è noto, come rivelato dal New York Times, il fatto che la BMGF pagasse per inserire “messaggi” in famose serie TV quali ER, Law & Order e Private Practice. Nell’articolo si scriveva «Ora la Gates Foundation è pronta ad espandere il suo coinvolgimento e spendere più soldi per influenzare la cultura popolare attraverso un accordo con Viacom, la società madre di MTV e le sue reti sorelle VH1, Nickelodeon e BET. Potrebbe essere chiamato “message placement”: il corollario sociale o filantropico delle offerte di product placement in cui i marketer pagano per presentare prodotti in spettacoli e film. Invece di vendere auto Coca-Cola o G.M., promuovono l’istruzione e una vita sana [..] La nuova partnership, intitolata Get Schooled, prevede la consultazione tra gli esperti della Gates Foundation e i dirigenti di tutte le reti Viacom che prendono decisioni di programmazione. Il loro obiettivo è quello di intrecciare trame a tema educativo in spettacoli esistenti o di creare nuovi spettacoli incentrati sull’istruzione».

Una cosa che invece non era nota, rivelata dal giornalista Tim Schwab, è che due editorialisti di punta del New York Times, David Bornstein e Tina Rosenberg, hanno scritto per anni articoli sulle buone e ammirevoli azioni della fondazione di Gates tenendo però nascosto il fatto che lavoravano anche per il Solutions Journalism Network, pesantemente finanziato dalla fondazione stessa, dovendo poi ammettere il conflitto d’interesse. Come spiegato da Schwab, il finanziamento massiccio dei mass media da parte dei “filantropi” sembra ormai essere una tendenza pervasiva; e se teniamo conto anche di tutti gli enti e le istituzioni che direttamente o indirettamente hanno a che fare con il settore mediatico e che sono finanziate dai medesimi ultra-miliardari/filantropi, il conflitto di interessi appare evidente e di portata gigantesca, tanto per chi finanzia tanto per chi è finanziato.

Come e quanto può essere oggettivo quanto riportano coloro che sono finanziati da Gates&Co quando devono parlare dei medesimi e della miriade di attività, organizzazioni e interessi che sempre gli stessi hanno su scala planetaria?

[di Michele Manfrin]

Clima, dal 2010 escalation di eventi estremi in Italia

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In Italia, dal 2010 al 1 novembre 2021 sono stati registrati 1.118 eventi meteorologici estremi: è quanto emerge dal Rapporto dell’Osservatorio Città Clima 2021 di Legambiente, il quale afferma che 133 eventi estremi si sono verificati solo nell’ultimo anno e che essi sono aumentati del 17,2% rispetto alla scorsa edizione del rapporto. Anche i comuni colpiti sono in crescita dato che a partire dal 2010 al 1 novembre 2021 sono stati 602 quelli interessati da tali eventi (+95 rispetto allo scorso anno) e ciò ha prodotto 261 vittime. Nel rapporto inoltre si legge che la città più colpita è stata Roma, seguita da Bari, Milano, Genova e Palermo.

In Italia la provenienza regionale comporta un diverso diritto alla salute

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In Italia più di 700 mila persone all’anno si trovano a doversi spostare in una Regione differente da quella di residenza per accedere a un'adeguata assistenza sanitaria. Dai dati messi a disposizione dal Ministero della Salute e dalla Fondazione GIMBE (Gruppo Italiano per la Medicina Basata sull’Evidenza) si evince come si tratti di un fenomeno radicato e tendenzialmente costante tra il 2010 e il 2019, anzi in costante seppur leggero aumento. Le motivazioni sono varie: la presenza di strutture altamente specializzate o di eccellenza in determinate regioni è di certo un fattore determinante. P...

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Mediterraneo centrale, concluse esercitazioni militari Italia-Gran Bretagna

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Il Ministero della Difesa italiano ha comunicato di aver concluso “con successo” un’esercitazione internazionale congiunta tra un gruppo navale italiano e uno britannico. Ciascuno dei due gruppi navali è stato guidato da una portaerei, assetto importante, secondo il ministro della Difesa Guerini, per “rispondere alle esigenze nel Mediterraneo, con eventuali proiezioni extra Mediterraneo”. L’esercitazione congiunta ha permesso di testare la capacità operativa tra le due Marine, le cui forze aeree hanno anche effettuato una simulazione di combattimento in volo. Precedenti esercitazioni nel Mediterraneo sono state condotte da USA e Grecia, ma anche da Egitto, Emirati Arabi e Cipro: come riportato da Sicurezza Internazionale, queste si svolgono nel contesto delle crescenti tensioni nel Mediterraneo Orientale.