lunedì 10 Novembre 2025
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Annunciati colloqui di pace tra Thailandia e Cambogia

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Oggi, 28 luglio, si terranno colloqui di pace diretti tra i premier di Thailandia e Cambogia. L’incontro si svolgerà in Malesia e mira a ristabilire la pace tra i due Paesi dopo gli scontri militari scoppiati nella notte del 23 luglio, che hanno già causato la morte di 34 soldati e lo sfollamento di circa 200.000 civili residenti nelle zone di confine. Il conflitto, finora non dichiarato e mantenuto entro limiti contenuti, arriva dopo mesi di tensioni, con la Thailandia che accusa la Cambogia di aver collocato mine antiuomo nel proprio territorio, provocando il ferimento di diversi militari. Sullo sfondo, le annose dispute territoriali per alcune aree di confine.

In Kenya le “madri delle mangrovie” stanno salvando le coste dall’erosione

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In alcune delle regioni costiere più vulnerabili del Kenya, gruppi di donne stanno ripristinando interi ecosistemi e piantando decine di migliaia di mangrovie in territori segnati da degrado e cambiamenti climatici. A rivelarlo è la Mtangawanda Women’s Association guidata da Zulfa Hassan – conosciuta come “Mama Mikoko” – la quale ha aggiunto che il loro lavoro ha già rigenerato oltre 12 ettari di foresta costiera con più di 60.000 piantine, trasformando il paesaggio e la vita comunitaria. A centinaia di chilometri di distanza invece, nel villaggio di Munje nella contea di Kwale, il Munje Tunus...

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Napoli, operai morti per lavori al Rione Alto: 4 indagati

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Sono quattro le persone indagate dalla procura di Napoli per la morte di Ciro Pierro, Vincenzo Del Grosso e Luigi Romano, tre operai morti a causa del ribaltamento di un cestello a 20 metri di altezza durante lavori di coibentazione al Rione Alto. Gli indagati sono il titolare dell’impresa edile, il proprietario dell’impresa che ha noleggiato l’elevatore, il responsabile del cantiere e l’amministratore del condominio. Il reato ipotizzato è omicidio colposo plurimo. Nessuno dei tre operai indossava le imbracature di sicurezza e due lavoravano in nero. Tra le ipotesi al vaglio degli inquirenti ci sono il cedimento del cestello o errori nel montaggio.

Congo, almeno 21 persone uccise in attacco a chiesa di Komanda

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Nella giornata di oggi, 27 luglio 2025, almeno 21 persone sono state uccise nell’attacco a una chiesa di Komanda, città vicino ai confini orientali della Repubblica Democratica del Congo. L’attacco, compiuto dalle Forze Democratiche Alleate (ADF), affiliate allo Stato Islamico, ha coinvolto colpi di arma da fuoco e machete, mentre alcune case e negozi sono stati incendiati. Le ADF, un gruppo ribelle che agisce tra Uganda e Congo, sono responsabili di attacchi contro civili da oltre dieci anni. Due settimane fa avevano ucciso 66 persone nell’area di Irumu.

India, calca nel tempio di Mansa Devi: 6 morti

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Una calca improvvisa al tempio di Mansa Devi a Haridwar, nel nord dell’India, ha causato almeno sei morti e decine di feriti. Il panico è scattato dopo che un cavo elettrico ad alta tensione è caduto lungo un sentiero stretto, provocando caos tra i pellegrini. Circa 29 persone sono rimaste ferite, mentre altri si sono fiondati per mettersi in salvo. L’incidente è avvenuto durante il sacro mese di Shravan, con migliaia di fedeli presenti. Le autorità stanno indagando per capire le cause del cedimento del cavo e la gestione della folla. Mansa Devi si trova su una collina ed è molto frequentato nei fine-settimana.

 

Dopo le pressioni Israele accetta una “pausa umanitaria” a Gaza: ripartono gli aiuti

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Una «pausa tattica locale», ogni giorno dalle 10:00 alle 20:00 fino a nuovo avviso, durante la quale alcune aree della Striscia saranno risparmiate da bombardamenti e attacchi, accompagnata dalla ripresa dei lanci aerei di aiuti umanitari e dall’apertura di corridoi per l’ingresso via terra. Dopo giorni di pressioni internazionali, pur continuando a negare l’esistenza di una crisi umanitaria a Gaza, il governo Netanyahu è stato costretto a cedere, ponendo fine al blocco totale degli aiuti che durava da 80 giorni. Intanto, il governo di Gaza guidato da Hamas ha dichiarato che «la vita di 100.000 bambini sotto i due anni è a rischio a causa della mancanza di latte in polvere e integratori alimentari», mentre gli ultimi rapporti ONU descrivono una situazione drammatica: un bambino palestinese su dieci è affetto da grave malnutrizione, e la diffusione acuta di malattie è aggravata dalla carenza di cibo, igiene e acqua potabile.

Dalla mattina di oggi, 27 luglio 2025, l’esercito israeliano (IDF) ha ripreso il lancio di aiuti umanitari sulla popolazione utilizzando gli stessi droni che fino a poche ore prima sganciavano bombe. L’IDF ha annunciato il rilascio di «sette bancali di aiuti contenenti farina, zucchero e cibo in scatola» e il ripristino dell’elettricità – precedentemente interrotta da Israele – a un impianto di desalinizzazione che dovrebbe consentire di aumentare la produzione giornaliera a «20.000 metri cubi» di acqua potabile. Un’iniziativa contestata dalle Nazioni Unite, che l’hanno definita «inefficiente e costosa» e un tentativo di distrarre l’attenzione internazionale. Già questa mattina, tra l’altro i primi lanci di aiuti avrebbero ferito diversi civili palestinesi andando a colpire delle tende.

Parallelamente, è stato annunciato che dalle 6:00 alle 23:00 ora locale saranno attivati «in modo permanente percorsi sicuri per consentire il passaggio dei convogli delle Nazioni Unite e delle organizzazioni umanitarie incaricate di consegnare e distribuire cibo e medicine alla popolazione attraverso Gaza». Diversi Paesi, tra cui i confinanti Egitto e Giordania, hanno già annunciato la partenza immediata di convogli umanitari per portare aiuti alimentari alla popolazione di Gaza.

La mappa diffusa questa mattina dall’esercito israeliano. In rosso le aree definite “Zone di combattimento pericoloso” dove “la vita è a rischio”; in bianco la ristretta aerea dove invece dovrebbero essere garantiti aiuti e “pause umanitarie”

Nonostante l’esercito israeliano e il governo abbiano precisato che la pausa riguarderà solo alcune zone della Striscia e che le operazioni militari continueranno «per restituire tutti gli ostaggi e sconfiggere Hamas, sia sopra che sottoterra», la decisione ha suscitato proteste all’interno del governo di Tel Aviv. L’influente ministro della Sicurezza Itamar Ben-Gvir, leader del partito estremista sionista Otzma Yehudit, ha definito il lancio di aiuti una pagina di «vergogna e disonore», rilanciando la richiesta di «blocco totale degli aiuti umanitari, occupazione completa della Striscia, incoraggiamento all’emigrazione e insediamento» — cioè la sostituzione etnica della popolazione palestinese con coloni ebrei.

Sul piano internazionale continuano i segnali ambigui da parte del governo statunitense, che dopo aver attribuito a Hamas il fallimento dei colloqui per una tregua, oggi è tornato — per voce del segretario di Stato Marco Rubio — a dichiarare possibile «da un momento all’altro» il raggiungimento di un accordo. Intanto emergono nuovi dettagli sulle aspirazioni della Francia, dove ieri il presidente Macron ha annunciato il riconoscimento dello Stato di Palestina. Secondo il ministro degli Esteri Jean-Noel Barrot, citato da Al Jazeera, questa mossa si inserisce in un percorso che culminerà nel vertice ONU della prossima settimana. In quell’occasione, da un lato, molti Paesi arabi chiederanno ad Hamas di rinunciare alle armi; dall’altro, si tenterà di convincere gli Stati europei ancora indecisi a riconoscere la Palestina. L’obiettivo sarebbe quello di fermare Israele e, al tempo stesso, “sconfiggere” Hamas non con le bombe, ma attraverso il progressivo abbandono da parte dei suoi partner arabi. Tentativo che appare avere grosse possibilità di rivelarsi velleitario se non accompagnato da decise sanzioni e dalla cessazione dei rapporti di affari che gli stessi Paesi intrattengono con il governo sionista.

Intanto i combattimenti sulla Striscia proseguono e Hamas pare tutt’altro che sconfitta nonostante i massacri israeliani proseguano da oltre 20 mesi. Oggi l’esercito di Tel Aviv ha dovuto ammettere che due soldati, di 20 e 22 anni, sono stati uccisi da un’esplosione mentre partecipavano all’invasione di Gaza.

Vasti incendi in Grecia: chiesto aiuto a Paesi UE

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La Grecia ha chiesto aiuti all’Unione Europea per fronteggiare cinque grandi incendi boschivi che stanno devastando diverse aree, tra cui una vicino ad Atene. Le alte temperature e i venti forti hanno favorito la rapida diffusione delle fiamme, complicando il lavoro dei vigili del fuoco. Circa duecento soccorritori sono coinvolti nelle operazioni, ma sei di loro sono stati ricoverati per ustioni e problemi respiratori. Alcuni incendi hanno costretto l’evacuazione di decine di persone. I vigili del fuoco hanno riferito che due Canadair dall’Italia sono attesi oggi e squadre di pompieri della Repubblica Ceca sono già attivi.

Val di Susa, migliaia in corteo contro l’Alta Velocità: occupata l’autostrada e un cantiere

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Migliaia di persone hanno marciato oggi in Val di Susa contro i «cantieri della devastazione» dell’Alta Velocità, bloccando il traffico sull’autostrada Torino-Bardonecchia e riversandosi in massa nel nuovo cantiere di Traduerivi – che dovrebbe essere destinato allo scarico dello smarino, ovvero il materiale di scarto prodotto dallo scavo dei tunnel. La manifestazione, partita intorno alle 13 da Venaus, si è divisa in due spezzoni: una parte dei manifestanti si è diretta verso i cantieri di Chiomonte, dove si trovano i tunnel di base, mentre un’altra parte ha marciato verso il cantiere di San Didero. Il ministro dell’Interno Piantedosi ha definito quanto accaduto «il volto peggiore di un estremismo ideologico che va isolato e represso con fermezza», assicurando che tutti i presenti all’azione saranno identificati.

«In Val di Susa è in corso un’aggressione sistematica al territorio, sotto il segno del Tav e delle grandi opere inutili. A Chiomonte, San Didero, Salbertrand e ora anche a Susa, i cantieri si moltiplicano e si estendono, collegati tra loro da un disegno chiaro: trasformare l’intera valle in un enorme cantiere unico, una zona militarizzata e sacrificabile, da svendere agli interessi delle lobby politico-imprenditoriali» scrive il Movimento sulle proprie pagine, denunciando l’apertura del nuovo cantiere di Traduerivi, nei pressi di Susa. Qui, si dovrebbero riversare «milioni di metri cubi di materiale di scavo provenienti dal tunnel di base», ovvero quello di Chiomonte, che tuttavia è «ancora lontano dall’essere scavato». Da quando, nel dicembre 2023, il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha annunciato per l’ennesima volta l’inizio dei lavori di scavo nel tunnel di base, non ne sono stati infatti scavati nemmeno due chilometri (su 12,5 complessivi in carico alla parte italiana). Eppure proprio questa costituisce l’opera principale, che dovrebbe collegare la città di Torino con quella di Lione.

Della TAV in Val di Susa si parla da oltre trent’anni: nonostante ciò, l’opera è ben lontana dal potersi dire conclusa. Nel frattempo, tuttavia, sono stati numerosi gli espropri ai danni dei residenti, i chilometri di terreno cementificati e le zone militarizzate, così come centinaia i cittadini sottoposti a procedimento penale per essersi opposti alla grande opera. Così, a pochi giorni dall’inaugurazione dell’ennesimo cantiere, i manifestanti hanno marciato in massa dietro uno striscione recante la scritta «Salviamo insieme la piana di Susa» e invaso il cantiere di Traduerivi, non ancora presidiato dalle forze dell’ordine, superando le barriere che ne delimitavano il perimetro e dando fuoco ad alcuni oggetti presenti all’interno. Nel frattempo, un altro spezzone del corteo ha invaso l’autostrada Torino-Bardonecchia, creando delle barricate incendiate per bloccare il traffico, mentre un gruppo di manifestanti ha raggiunto il cantiere di San Didero (dove dovrebbe sorgere il nuovo autoporto, ma che a distanza di tre anni dalla sua inaugurazione è stato completato solamente al 70%), scontrandosi con gli idranti della polizia. Un ulteriore troncone del corteo si è invece diretto verso Chiomonte, dove sarebbero in corso scontri con le forze dell’ordine.

Scontri Thailandia-Cambogia: “Decine di morti e decine di migliaia di sfollati”

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All’alba di oggi, sabato 26 luglio, si sono verificati scontri nella vicina provincia costiera thailandese di Trat e nella provincia cambogiana di Pursat. Lo rivelano entrambe le parti coinvolte alle agenzie di stampa internazionali, aggiungendo che almeno 30 persone sono rimaste uccise – sette soldati e tredici civili thailandesi e cinque soldati e otto civili cambogiani – e che più di 130.000 sono state sfollate. Inoltre, la Cambogia ha affermato di aver acquisito il controllo del territorio intorno a Ta Moan e Ta Krabei, insieme ad altri sei siti contesi, mentre la Thailandia ha accusato le truppe cambogiane di aver deliberatamente piazzato nuove mine, anche se tali informazioni non sono ancora state verificate.

Sono state scoperte su Marte le tracce di migliaia di km di fiumi antichi

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Su Marte, in una delle aree geologicamente più antiche del pianeta, sono stati individuati oltre 15.000 chilometri di antichi letti di fiumi e centinaia di creste fluviali sinuose. Questo dato suggerirebbe che l’acqua sulla superficie del pianeta rosso fosse molto più diffusa e persistente di quanto si ritenesse. È quanto emerge dal lavoro dei ricercatori guidati da Adam Losekoot dell’Open University, i quali hanno presentato i loro risultati al congresso National Astronomy Meeting 2025 della Royal Astronomical Society. Gli scienziati hanno spiegato di aver effettuato dettagliate analisi di rilievi che un tempo erano il fondale di antichi fiumi, il tutto sfruttando tre strumenti a bordo delle sonde NASA. «Quello che abbiamo scoperto è che l’area era effettivamente ricca d’acqua, e questa era molto distribuita», ha spiegato Losekoot, aggiungendo che la distribuzione e la morfologia di questi antichi sistemi fluviali indica condizioni climatiche stabili e umide circa 3,7 miliardi di anni fa, durante la transizione tra le ere geologiche Noachiano ed Esperiano.

Per anni, la zona analizzata – chiamata Noachis Terra – è stata considerata arida, priva delle grandi reti di valli che in altre regioni hanno fornito prove convincenti della presenza d’acqua liquida nel passato marziano. Anche se i modelli climatici suggerivano che anche quest’area dovesse aver conosciuto intense precipitazioni, la mancanza di strutture fluviali visibili aveva lasciato aperta la questione. Per questo motivo, spiegano i ricercatori, il nuovo studio ha scelto un approccio diverso: analizzare le cosiddette creste fluviali, ovvero rilievi oggi visibili in superficie ma che un tempo erano il fondale di antichi fiumi. Si tratta di strutture che si formano quando i sedimenti trasportati dall’acqua si induriscono, diventando più resistenti del terreno circostante che, nel corso del tempo, viene eroso dal vento o da altri processi. Per ricostruire l’estensione e la struttura di questi antichi corsi d’acqua, il team ha utilizzato i dati di tre strumenti a bordo delle sonde della NASA: la Context Camera (CTX), l’High Resolution Imaging Science Experiment (HiRISE) e il Mars Orbiter Laser Altimeter (MOLA). Queste hanno fornito immagini dettagliate e rilievi altimetrici su un’area più vasta dell’intera Australia.

Grazie a queste osservazioni, sono stati identificati oltre 15.000 chilometri di tracciati fluviali, alcuni dei quali si estendono per oltre 160 chilometri, mentre altri appaiono come segmenti isolati lunghi in media 3,5 chilometri e larghi un paio di centinaia di metri. Alcune creste, inoltre, raggiungono persino il chilometro e mezzo di larghezza e si innalzano di decine di metri rispetto al terreno circostante. In un caso, sono stati individuati due fiumi fossili che si incrociano all’interno di un cratere, dato che suggerirebbe che l’acqua vi si raccogliesse prima di tracimare da un lato. L’insieme di queste morfologie è stato poi interpretato come una rete idrografica ramificata e persistente, alimentata da piogge o nevicate regolari: «L’unica fonte d’acqua che avrebbe potuto sostenere questi fiumi su un’area così vasta sarebbe stata una qualche forma di precipitazione regionale», spiegano gli autori, aggiungendo che ciò contrasta con l’idea predominante di un Marte freddo e secco, dove l’acqua liquida avrebbe avuto un ruolo solo sporadico e limitato nel tempo. Secondo i ricercatori, quindi, le nuove evidenze indicano che le condizioni umide nella regione siano durate a lungo, rendendo il pianeta, in quell’epoca remota, molto più simile alla Terra di quanto si pensasse. «Il nostro lavoro rappresenta una nuova prova che suggerisce che Marte un tempo era un pianeta molto più complesso e attivo di adesso, il che è davvero entusiasmante», concludono.