Sale ad almeno 10 morti il bilancio delle vittime degli incendi che da giorni stanno bruciando a Los Angeles e che, ad oggi, hanno distrutto all’incirca 10 mila strutture. Secondo le autorità, il numero delle vittime è destinato a salire. Interi quartieri sono stati ridotti in cenere nella zona di Palisades, tra Santa Monica e Malibu, mentre i forti venti provenienti dal deserto contribuiscono ad alimentare le fiamme. Secondo l’agenzia AccuWeather, i danni si aggirano intorno ai 120-150 miliardi di dollari. Biden ha garantito che il governo federale rimborserà il 100% dei costi della rimozione dei detriti, dei rifugi e degli stipendi dei primi soccorritori per i prossimi 180 giorni.
I paradisi fiscali costano all’Italia 10 miliardi di euro all’anno
Ogni anno l’Italia perde almeno 10 miliardi di euro a causa del trasferimento di ricchezze e profitti verso i paradisi fiscali, pratica assai diffusa tra multinazionali e super-ricchi. È quanto attesta un report della CGIA di Mestre, la quale, riprendendo un recente studio del World Inequality Lab, evidenzia come alcuni micro-Stati europei siano tra i principali beneficiari di questa fuga fiscale. Il Principato di Monaco, il Lussemburgo, il Liechtenstein e le Channel Islands occupano infatti le prime quattro posizioni nella classifica globale, seguiti dalle Bermuda. Tali Paesi, con popolazioni ridotte ma redditi pro capite molto elevati, attraggono migliaia di imprenditori, celebrità e sportivi italiani, offrendo loro regimi fiscali altamente agevolati, ma al contempo sollevando numerosi interrogativi sull’etica di chi sfrutta le disparità fiscali globali per ridurre il proprio contributo.
All’interno del suo report, CGIA spiega che circa 8.000 italiani hanno spostato la residenza a Monaco per evitare tasse su redditi e immobili. Il Lussemburgo ospita invece sei banche italiane, numerosi fondi d’investimento, istituti assicurativi e multinazionali che operano in Italia senza versare contributi fiscali adeguati. «Quando questi elusori fanno profitti miliardari senza pagare le tasse nel nostro Paese, non fanno altro che impoverirci», si legge nel rapporto della CGIA, la quale ricorda che le multinazionali che operano in Italia utilizzano infrastrutture e servizi pubblici, come strade, porti, sanità e istruzione, senza pagare le imposte dovute, ricevendo spesso incentivi pubblici per insediarsi e, in caso di crisi, accedendo agli ammortizzatori sociali finanziati dall’INPS. Tuttavia, il loro contributo fiscale è minimo rispetto ai benefici ricevuti. «Tutto ciò fa diminuire la base imponibile su cui si applicano le aliquote fiscali e conseguentemente anche il gettito che finisce nelle casse dell’erario. Risultato? Le disuguaglianze aumentano e la povertà cresce; gli altri contribuenti devono pagare di più per servizi spesso insoddisfacenti», scrive CGIA, che rileva come, nel 2022, le 25 principali multinazionali del web in Italia abbiano generato 9,3 miliardi di euro di fatturato, pagando appena 206 milioni in tasse.
Le multinazionali rappresentano una parte significativa dell’economia italiana, con 3,5 milioni di addetti e un fatturato di 1.975 miliardi di euro, pari al 45,7% del totale delle imprese private. In regioni come il Lazio, questa quota raggiunge il 66,9%. Tuttavia, il loro apporto fiscale rimane marginale, alimentando il dibattito sull’equità del sistema fiscale. Per contrastare l’elusione fiscale, dal 2024 è entrata in vigore la Global Minimum Tax (GMT), con un’aliquota minima del 15% per le multinazionali. Gli effetti finanziari, però, sono limitati: l’Italia prevede di incassare 381 milioni di euro nel 2025, cifra che potrebbe salire a 500 milioni entro il 2033. Alcuni Stati europei, come Estonia, Lettonia e Malta, hanno ottenuto proroghe, mentre Cipro e Portogallo sono sotto pressione dall’UE per adeguarsi.
Che il continente europeo avesse un enorme problema con l’evasione fiscale è stato attestato lo scorso novembre anche dall’Ong Tax Justice Network, che in un rapporto ha evidenziato come l’Europa ospiti molte delle giurisdizioni più permissive in tema di tassazione, rendendola un rifugio per grandi aziende, ricchi professionisti e organizzazioni criminali che vogliono evadere il fisco. Svizzera, Paesi Bassi, Jersey, Irlanda e Lussemburgo figurano infatti tra i primi dieci “paradisi fiscali” a livello globale, con l’Irlanda che ha fatto segnare un netto peggioramento della sua situazione rispetto agli scorsi anni, avendo mantenuto normative poco stringenti sull’abuso fiscale. Complessivamente, ha rilevato Tax Justice Network, l’Unione Europea contribuisce a un terzo delle perdite fiscali mondiali. L’Ong ha sottolineato come «tutti e tre i paradisi fiscali» che ricoprono le posizioni più alte della classifica – ovvero Isole Vergini Britanniche, Cayman e Bermuda – «sono attualmente classificati come “non dannosi” dall’OCSE, un piccolo club di Paesi ricchi e paradisi fiscali che ha svolto il ruolo di regolatore mondiale de facto in materia fiscale per oltre 60 anni», che classifica invece come “dannoso” solo Trinidad e Tobago. Secondo quanto riportato dal Tax Justice Network nel 2023, si prevede che nei prossimi 10 anni i Paesi «perderanno 4,8 trilioni di dollari a causa dei paradisi fiscali se manterranno la rotta indicata dall’OCSE».
[di Stefano Baudino]
Meloni incontra Zelensky a Palazzo Chigi e ribadisce l’appoggio “a 360 gradi” all’Ucraina
Dopo aver partecipato alla riunione svoltasi a Ramstein (Germania) del Gruppo di contatto per la difesa militare ucraina, dove ha ribadito la richiesta di truppe occidentali su suolo ucraino, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è volato ieri sera in Italia per incontrare la premier Giorgia Meloni. Al centro del colloquio, il sostegno alla difesa di Kiev, la conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina in Italia, l’integrazione euro-atlantica e la cooperazione nel G7. Come riportato da una nota di Palazzo Chigi, Meloni ha ribadito «il sostegno a 360 gradi» che l’Italia «assicura e continuerà ad assicurare» alla «legittima difesa» dell’Ucraina, per «mettere Kiev nelle migliori condizioni possibili per costruire una pace giusta e duratura». Questa mattina Zelensky sarà ricevuto al Quirinale dal Capo dello Stato Sergio Mattarella.
Il comunicato rilasciato da Palazzo Chigi non rilascia ulteriori dettagli sul contenuto del colloquio tra i due leader. Qualche dettaglio in più lo fornisce il presidente ucraino, che sul proprio profilo X esprime gratitudine all’Italia «per il suo costante sostegno alla Difesa aerea dell’Ucraina». «Oggi ci siamo concentrati sul rafforzamento del nostro scudo aereo, sulla collaborazione con i partner per avvicinare la pace e sulla collaborazione negli sforzi di ricostruzione che andranno a vantaggio di entrambe le nostre nazioni, creando posti di lavoro, stimolando le nostre economie e promuovendo lo sviluppo sociale», riporta il leader ucraino. Quest’anno, infatti, la Conferenza per la Ricostruzione dell’Ucraina – la quarta dall’inizio della guerra, nel corso della quale governi, istituzioni finanziarie, organizzazioni internazionali e imprese si spartiscono la torta della ricostruzione del Paese una volta finito il conflitto – si terrà a Roma. E, come già annunciato durante la conferenza stampa di inizio anno, il governo Meloni rinnova il proprio pieno sostegno a Kiev, anche a una eventuale adesione alla NATO.
Solamente poche ore prima, il presidente ucraino si era unito ai colloqui del Gruppo di Contatto per la Difesa dell’Ucraina (Ukraine Defense Contact Group, UDCG), l’alleanza dei Paesi NATO degli altri Stati che sostengono attivamente Kiev nella guerra contro la Russia. Punto focale dell’incontro, svoltosi nella base NATO di Ramstein, in Germania, sono state le modalità con le quali continuare a garantire il pieno supporto a Kiev. «Dobbiamo fare tutto il possibile per garantire che l’Ucraina abbia ciò di cui ha bisogno, in termini di addestramento ed equipaggiamento» ha dichiarato a margine dell’incontro Mark Rutte, per la prima volta presente in qualità di nuovo segretario generale dell’Alleanza Atlantica. Gli Stati Uniti hanno confermato l’invio di un ulteriore pacchetto di aiuti del valore di 500 milioni di dollari, l’ultimo autorizzato da Biden prima dell’ufficiale passaggio in carica del neo-eletto presidente Donald Trump, il prossimo 20 gennaio, e di un eventuale cambio di rotta nella politica statunitense in merito al conflitto. Il pacchetto comprende, tra le altre cose, missili per la difesa aerea, munizioni aria-terra, attrezzature di supporto per gli F16, armi leggere e munizioni. Secondo quanto riportato da Reuters, tuttavia, Zelensky avrebbe dichiarato che gli aiuti concordati nel corso del vertice ammontano a 2 miliardi di dollari.
[di Valeria Casolaro]
Sciopero dei trasporti: inizia il primo venerdì nero dell’anno
È iniziato il primo venerdì nero del 2025 sul fronte scioperi. Dalle 21 di ieri, si fermano infatti per 24 ore i lavoratori aderenti al Cub trasporti di Rfi addetti della manutenzione ferroviaria e i ferrovieri dei Cobas lavoro privato e del Coordinamento ferrovieri e dell’Assemblea nazionale lavoratori manutenzione Rfi. Coinvolto anche il trasporto aereo, con l’astensione dei lavoratori dei Cub a Linate e Malpensa, della Flai Ts a Venezia e della Filcams Cgil a Pisa. Per 4 ore si ferma anche il trasporto locale, con modalità diverse da città a città. Possibili disagi anche nella scuola per lo sciopero proclamato dalla Confederazione sindacale lavoratori europei autonomi (Csle).
Pensioni, CGIL: “Cambiano requisiti dal 2027”, l’INPS smentisce
La CGIL ha denunciato oggi che l’INPS, con modifiche unilaterali e senza comunicazioni ufficiali, avrebbe aumentato l’età minima per la pensione di vecchiaia dal 2027 a 67 anni e 3 mesi (e a 65 anni e 5 mesi dal 2029), nonché i contributi per la pensione anticipata a 43 anni e 1 mese (e a 43 anni e 3 mesi dal 2029). Il sindacato ha manifestato «profonda preoccupazione» per il rischio di nuovi esodati e una mancanza di tutela per molti lavoratori. Subito dopo l’uscita della nota della CGIL, l’INPS ha però reagito smentendo l’applicazione di nuovi requisiti pensionistici e garantendo che le certificazioni saranno redatte in base alle tabelle attualmente pubblicate.
Libano, eletto presidente il capo dell’esercito Aoun
Garante UE: Frontex ha violato sistematicamente le leggi sulla privacy alle frontiere
Il Garante europeo della protezione dei dati (EDPS) ha ammonito Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, per aver trasmesso illecitamente i dati personali dei migranti all’Europol, l’agenzia dell’UE per la cooperazione tra le forze dell’ordine. Le violazioni riguardano una serie di interviste svolte nel 2022, con le quali Frontex raccoglieva informazioni sui migranti. Basandosi sulle sole testimonianze, l’agenzia ha condiviso le informazioni raccolte «in modo sistematico e proattivo» con le forze di polizia senza effettuare alcun tipo di valutazione. «Una grave violazione», scrive il Garante, che tuttavia ha fruttato a Frontex solo un ammonimento, perché dopo le segnalazioni l’agenzia ha ridotto i propri scambi con Europol al minimo indispensabile. Quella segnalata dal Garante non è la prima violazione dei diritti di cui è accusata Frontex, già oggetto di accuse e controversie riguardo a una sua possibile collaborazione nelle operazioni di respingimento dei migranti.
L’EDPS ha rimproverato a Frontex la violazione del regolamento UE 2019/1896 (regolamento Frontex), per la trasmissione di dati a Europol. I fatti riguardano una valutazione indipendente svolta dall’EDPS nell’ottobre del 2022, in merito alle attività di assistenza fornite da Frontex agli Stati membri nell’ambito delle operazioni congiunte. In particolare, l’EDPS si è concentrato sulle interviste di debriefing effettuate da Frontex alle persone intercettate mentre attraversavano le frontiere esterne e sull’utilizzo da parte dell’Agenzia delle informazioni raccolte dai colloqui. Nelle indagini, il Garante ha rilevato che, contrariamente a quanto richiesto dal regolamento Frontex, l’agenzia raccoglieva informazioni sui migranti sulla base delle testimonianze degli intervistati, condividendole con Europol senza effettuare alcun tipo di valutazione sulla necessità di tale condivisione.
«Considerando gli elevati rischi per le persone segnalate come sospette nel caso in cui le informazioni risultassero inattendibili o inesatte, l’EDPS ha deciso di avviare un’indagine», si legge in una nota rilasciata dallo stesso Garante. Il Garante ha dunque stabilito che «Frontex non stava valutando se la condivisione di informazioni con Europol su persone segnalate come sospettate di criminalità transfrontaliera fosse strettamente necessaria affinché Europol potesse svolgere il proprio mandato, come richiesto dall’articolo 90, paragrafo 2, lettera a), di detto regolamento», e che pertanto la sua condotta costituiva una violazione del regolamento Frontex.
«È responsabilità di Frontex rispettare le garanzie specifiche imposte dalla legge per evitare che individui, che potrebbero non essere di interesse per Europol, finiscano comunque nei loro sistemi. Il trattamento dei dati in una banca dati delle forze dell’ordine dell’UE può avere profonde conseguenze sulle persone coinvolte. Gli individui corrono il rischio di essere ingiustamente collegati a un’attività criminale in tutta l’UE, con tutto il danno potenziale che ciò comporta per la loro vita personale e familiare, per la libertà di movimento e di occupazione», ha commentato Wojciech Wiewiórowski, Garante europeo della protezione dei dati dal 2019. «Sebbene ciò costituisca una grave violazione del regolamento Frontex», continua la nota dell’EDPS, il Garante si è limitato a un ammonimento, «tenendo conto del fatto che cinque giorni dopo l’adozione della relazione di audit dell’EDPS nel maggio 2023, Frontex ha interrotto la sua condivisione di informazioni con Europol», escluso un singolo caso.
In passato, Frontex era già stata accusata di violazioni, e specialmente di essere coinvolta in casi di respingimento illegale dei migranti. Un’inchiesta portata a termine dal quotidiano tedesco Der Spiegel in collaborazione con l’organizzazione giornalistica Lighthouse Reports nel 2022 avrebbe mostrato la piena consapevolezza e complicità dell’agenzia Frontex nell’operare respingimenti illegali di migranti ai confini europei, in particolare nei pressi delle coste greche. L’indagine, corroborata da foto che proverebbero il coinvolgimento di Frontex, mostra diversi casi in cui pare che l’agenzia europea abbia agito attivamente per evitare che imbarcazioni di migranti oltrepassassero i confini europei.
[di Dario Lucisano]
Strage di Bologna, i giudici non hanno dubbi: “Bellini portò la bomba e Gelli la finanziò”
Fu Paolo Bellini, ex terrorista di Avanguardia Nazionale, a portare alla stazione di Bologna la bomba che, il 2 agosto 1980, provocò 85 morti. Una strage tremenda, finanziata dal capo della loggia massonica deviata P2 Licio Gelli, responsabile anche del depistaggio delle indagini sull’eccidio. È questo il fulcro delle motivazioni della sentenza con cui la Corte d’Assise d’Appello di Bologna, lo scorso luglio, aveva stabilito la condanna all’ergastolo per il killer Bellini – già arrivata in primo grado -, considerato uno dei principali punti di tramite fra eversione nera, servizi deviati e criminalità organizzata. L’uomo avrebbe agito assieme agli ex NAR Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini (già definitivamente condannati) e all’ex NAR Gilberto Cavallini (su cui pende un ergastolo in primo e secondo grado per concorso nella strage). Il capo della P2, Licio Gelli, l’uomo d’affari Umberto Ortolani, l’ex capo dell’ufficio Affari riservati del Viminale, Federico Umberto D’Amato, e il senatore missino Mario Tedeschi sono stati individuati come mandanti, finanziatori e organizzatori dell’attentato che ha insanguinato il capoluogo emiliano.
Il fallito alibi
Nelle motivazioni del verdetto si legge che, dal quadro probatorio, emerge «con assoluta certezza» la piena colpevolezza di Bellini «in ordine agli orrendi delitti a lui contestati». Bellini fu infatti ripreso il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna da un filmato amatoriale girato dal turista Harald Polzer, che ne ha attestato la presenza in loco pochi minuti dopo l’esplosione. Maurizia Bonini, ex moglie dell’imputato, ha identificato proprio in Bellini l’uomo ripreso dal filmato a camminare nell’area del binario 1 della stazione. Ulteriori testimonianze avrebbero poi indicato la presenza di Luciano Ugoletti, simpatizzante di estrema destra, «nelle immediate vicinanze della stazione subito prima dello scoppio della bomba», facendo emergere «la concreta possibilità» che Ugoletti avesse avuto come specifico compito quello di «sorvegliare l’auto del Bellini», parcheggiata nelle immediate vicinanze della stazione, al cui interno c’era Daniela, la piccola nipote di Bellini. La presenza della bambina ha costituito un elemento «essenziale» per la costruzione di un «fortissimo alibi»: Bellini, infatti, «diverse ore prima della strage» si fece consegnare «da terze persone lontane da Bologna» la nipote, con la quale «si è poi fatto vedere da altre persone dopo la strage ancora lontano da Bologna». Secondo i giudici, si trattò di un alibi «raffinatissimo, organizzato dettagliatamente nei minimi particolari ed eseguito altrettanto abilmente anche nei minimi dettagli», poi rivelatosi falso soprattutto «per una circostanza assolutamente fortuita e imprevedibile», ovvero il video girato dal turista straniero «per ricordo famigliare».
Una strage di Stato
Per i magistrati, il capo della P2 Licio Gelli è «il consapevole finanziatore della strage di Bologna», circostanza che «spiega il movente dell’attività calunniosa e depistatoria da lui posta in essere, unitamente ad alti funzionari dello Stato, proprio in relazione alla strage di Bologna». La Corte ricorda infatti che Gelli, insieme a Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte e Francesco Pazienza, è già stato condannato definitivamente per il reato di calunnia per l’operazione di depistaggio sulle indagini della strage, «che aveva il preciso fine di evitare che le indagini potessero svelare il suo personale coinvolgimento, oltre il coinvolgimento di altissimi funzionari dello Stato, nella strage». La Corte sottolinea che «senza ombra di dubbio alcuno non solo sono provati i rapporti diretti tra Licio Gelli e Federico Umberto D’Amato e Stefano Delle Chiaie, ma anche quelli tra quest’ultimo e l’imputato, entrambi militanti nella formazione di destra eversiva Avanguardia Nazionale». I giudici mettono nero su bianco che «i mandanti, gli organizzatori, i finanziatori e gli esecutori materiali hanno condiviso l’obiettivo di fondo di compiere una strage», ma mentre «i mandanti, gli organizzatori, i finanziatori ed alcuni degli esecutori materiali hanno agito con lo scopo di eversione dell’ordinamento democratico e di destabilizzazione delle istituzioni dello Stato», alcuni fra gli esecutori materiali, come appunto Bellini, «potrebbero aver agito anche perseguendo soltanto propri specifici ed ulteriori obiettivi, vale a dire un rilevante compenso economico nonché continuare ad avere “coperture” e “protezione” ad opera di apparati deviati dello Stato, coperture e protezioni pacificamente acclarate in favore di Paolo Bellini, sia prima che dopo la strage di Bologna».
Bellini e la mafia
La figura di Bellini aleggia anche su un altra delicata inchiesta in corso alla Procura di Firenze – che sta indagando sui mandanti esterni delle stragi del 1993 – in cui l’ex ufficiale del ROS Mario Mori è accusato di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico. Le strade di Bellini e Mori si incontrarono indirettamente nel ’92, quando il maresciallo dei carabinieri Roberto Tempesta – amico e uomo di Mori –, inviò Bellini in qualità di infiltrato per lo Stato dai membri di Cosa Nostra, con l’obiettivo di recuperare alcune opere d’arte rubate dalla pinacoteca di Modena. Bellini si interfacciò con il boss Nino Gioè, uomo “cerniera” tra mafia e servizi, con cui aveva stretto rapporti nel carcere di Sciacca nel decennio precedente. Gioè propose a Bellini uno “scambio”, fornendogli un biglietto contenente i nomi di cinque importanti mafiosi allora detenuti e chiedendo per loro «arresti domiciliari o ospedalieri» per la buona riuscita della trattativa. Il biglietto finì nelle mani del generale Mori, che non informò nessuno della vicenda, decidendo invece di distruggere il manoscritto e ordinando a Tempesta di non redigere alcuna relazione scritta. La magistratura ha già accertato la presenza di Bellini ad Enna nel ’91, dove la Cupola di Cosa Nostra organizzò le riunioni in cui deliberò la strategia stragista consumatasi negli anni a venire con gli attentati del ’92 e ’93. La Procura sostiene che Mori sarebbe «stato informato già nell’agosto 1992, dal maresciallo Roberto Tempesta del proposito di Cosa Nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini, di attentare al patrimonio storico, artistico e monumentale italiano». Mori, secondo i pm (ma siamo ancora solo in fase di indagine), non avrebbe impedito «mediante doverose segnalazioni o denunce, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative o preventive» il verificarsi degli attentati.
[di Stefano Baudino]
Siria, scontri tra gruppi pro-turchi e curdi: 37 morti
Oggi, giovedì 9 gennaio, in Siria, si sono verificati scontri tra i gruppi sostenuti dalla Turchia, appoggiati da attacchi aerei, e le forze democratiche siriane (SDF) guidate dai curdi, in cui sono morte 37 persone. A dare la notizia è stato l’Osservatore Siriano per i Diritti Umani, ripreso da diversi media. Gli scontri sono avvenuti nella regione settentrionale di Manbij, controllata dai curdi. Le vittime sembrerebbero appartenere per lo più ai gruppi di combattenti sostenuti dalla Turchia, ma pare siano stati uccisi anche 6 combattenti delle SDF e 5 civili. Secondo quanto riportato dall’Osservatorio, dallo scorso mese, nella campagna di Manbij, almeno 322 persone sarebbero state uccise nei combattimenti.