La giornalista italiana Cecilia Sala, in carcere in Iran da circa tre settimane, è stata liberata e, in questo momento, si trova su un volo per l’Italia. La notizia proviene dalla presidenza del Consiglio, che ha comunicato la scarcerazione della giornalista ai media. Sala era stata arrestata lo scorso 19 dicembre nella sua camera d’albergo a Teheran. La notizia della sua cattura è stata diffusa il 27 dicembre e, qualche giorno dopo, l’Iran ha dichiarato che la giornalista era accusata di avere «violato le leggi della Repubblica Islamica».
Un rapporto ONU denuncia la restrizione delle libertà religiose in Ucraina
Con la fine del 2024, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) ha pubblicato un rapporto sulla situazione dei diritti umani in Ucraina, denunciando limitazioni alla libertà di culto e religiosa da parte dell’amministrazione di Kiev. Il 23 settembre 2024 sono entrate in vigore delle modifiche legali relative alle organizzazioni religiose, che colpiscono in particolar modo la Chiesa Ortodossa Russa: secondo l’ONU, i nuovi emendamenti «invocano la “sicurezza nazionale (o pubblica)” come motivo di limitazione della libertà di religione o di credo» e «stabiliscono restrizioni sproporzionate alla libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo». Il ministero degli Esteri dell’Ucraina ha rigettato le «false accuse» dell’OHCHR, sostenendo che esse «distorcono la realtà». «Sottolineiamo ancora una volta che la legge menzionata nel rapporto non prevede la proibizione di nessuna delle chiese esistenti in Ucraina», continua il comunicato, malgrado la legge in questione scriva esplicitamente che «le attività della Chiesa Ortodossa russa in Ucraina sono vietate».
Il rapporto dell’OHCHR sulla situazione dei diritti umani in Ucraina è stato pubblicato lo scorso 31 dicembre, e riguarda il periodo che va dall’1 settembre al 30 novembre 2024. Nel documento, l’Ufficio umanitario denuncia il ricorso a «criteri vaghi» quali quello di «sicurezza nazionale» o di «ripetuta diffusione di propaganda» da parte delle «persone autorizzate» di una organizzazione religiosa, per limitare il diritto di culto. «Queste disposizioni possono comportare la responsabilità di intere comunità religiose per la condotta di individui specifici», scrive l’OHCHR. «Inoltre, la formulazione troppo ampia e ambigua potrebbe mettere in pericolo il diritto alla libertà di espressione». L’Ufficio sottolinea anche come l’appello a presunti motivi di sicurezza nazionale come motivo di limitazione della libertà di religione o di credo e la libertà di associazione religiosa non è ammissibile ai sensi del Patto internazionale sui diritti civili e diritti politici e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
L’Ucraina ha respinto le accuse dell’OHCHR, sostenendo che «la legge impedisce solo la subordinazione delle organizzazioni religiose presenti in Ucraina ai centri dirigenti situati in uno Stato che ha effettuato o sta effettuando un’aggressione armata contro l’Ucraina e/o ha temporaneamente occupato parte del suo territorio, nonché alle organizzazioni religiose che sostengono l’aggressione armata contro l’Ucraina». La legge in questione è la n. 3894-IX, approvata il 20 agosto 2024 ed entrata in vigore circa un mese dopo. La norma «definisce le specificità delle attività delle organizzazioni religiose straniere in Ucraina», mantenendo «l’obiettivo di proteggere la sicurezza nazionale e pubblica, i diritti umani e le libertà». Essa getta i principi organizzativi del funzionamento delle organizzazioni religiose straniere, definendole e determinando quando e a che condizioni esse possano svolgere attività su suolo ucraino. Il criterio generale individuato dai legislatori è che «le organizzazioni religiose straniere possono svolgere attività in Ucraina, a condizione che le loro attività non danneggino la sicurezza nazionale o pubblica, la protezione dell’ordine pubblico, la salute, la morale, i diritti e le libertà di altre persone». Il criterio della sicurezza è dunque presente, esattamente come denunciato dall’ONU.
Sulla base del principio generale, la legge vieta le attività a tutte quelle organizzazioni religiose che «si trovano in uno Stato di cui è riconosciuto che ha effettuato o sta effettuando un’aggressione armata contro l’Ucraina e/o occupa temporaneamente parte del territorio dell’Ucraina» – contenuto citato direttamente dal ministero degli Esteri ucraino – e a quelle che «sostengono direttamente o indirettamente (anche attraverso discorsi pubblici di leader o altri organi di gestione) l’aggressione armata contro l’Ucraina». L’articolo 3 vieta poi in maniera diretta le attività della Chiesa Ortodossa Russa: «Considerando che la Chiesa Ortodossa Russa è un’estensione ideologica del regime dello Stato aggressore, complice dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità commessi in nome della Federazione Russa e dell’ideologia della “Pace russa”, le attività della Chiesa ortodossa russa in Ucraina sono vietate».
La legge, inoltre, estende il divieto a tutte le organizzazioni religiose – anche ucraine – associate a un’istituzione bandita ai sensi della stessa legge, e alle organizzazioni religiose associate a quelle associate alle istituzioni bandite. Questo di fatto consentirebbe, scrive l’OHCHR, «lo scioglimento di molte organizzazioni religiose interconnesse senza una valutazione individuale caso per caso». La norma, infine, impone agli enti statali di annullare tutti i contratti di locazione di proprietà dell’organizzazione religiosa, anche prima che un tribunale abbia preso una decisione sullo scioglimento dell’organizzazione religiosa. «Dal momento che lo Stato possiede e affitta edifici ecclesiastici storici in tutta l’Ucraina», denuncia l’OHCHR, ciò potrebbe risultare nella negazione dell’accesso ai siti ecclesiastici da parte dell’amministrazione centrale. È dopo tutto il governo a concedere e stabilire le possibili deroghe alla legge, elargibili solo a singoli individui e per non precisati «motivi comprovati». Sebbene insomma sia vero, come sostenuto da Kiev, che la legge vieta le attività delle organizzazioni religiose subordinate a un’autorità statale nemica, è altrettanto vero quanto affermato dall’ONU, ossia che essa impone la chiusura delle attività di istituzioni religiose per la condotta di singoli individui, sulla base di criteri quali quello della sicurezza e di una non meglio definita propaganda non riconosciuti come validi dalle leggi internazionali.
[di Dario Lucisano]
Incendio a Los Angeles, 30.000 evacuati
Nella tarda mattinata di ieri, a Los Angeles, è scoppiato un vasto incendio che ha devastato le colline della città e costretto le autorità a evacuare circa 30.000 persone. L’incendio, divampato nel quartiere esclusivo di Pacific Palisades, situato a nord-ovest della città e sede di ville multimilionarie, si è rapidamente allargato, raddoppiando la propria estensione e finendo per coinvolgere un’area di 2.921 acri (circa 1.200 ettari). Il rogo ha causato lo scoppio di altri due incendi e, secondo quanto comunicato dai vigili del fuoco, ha ferito diverse persone, alcune con ustioni al viso e alle mani. Ancora ignote le cause dell’incendio.
Sudan, sanzioni USA alle forze di supporto rapide: “è genocidio”
Gli USA hanno stabilito che i membri delle Forze di Supporto Rapido del Sudan (RSF) e le milizie alleate stanno commettendo un genocidio e hanno imposto sanzioni al leader del gruppo. La mossa degli USA arriva nel mezzo di un tentativo da parte delle RSF di affermarsi come alternativa al governo regolare, mentre il gruppo cerca di espandere il proprio territorio oltre la circa metà del Paese attualmente sotto il suo controllo. La guerra civile in Sudan è scoppiata il 15 aprile 2023. In questo ultimo anno e mezzo di conflitto sono state uccise decine di migliaia di persone e milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case.
La storia di Ahmed: così si muore, a 17 anni, nella Palestina occupata
NABLUS, PALESTINA OCCUPATA – Sono centinaia le persone che si sono radunate ieri, 6 gennaio, per rendere omaggio a Moataz Ahmed Abdul Wahab Madani, il diciassettenne ucciso con un proiettile al petto durante un’incursione israeliana nel campo profughi di Askar Al-Jadeed alla vigilia dell’epifania. Almeno sei i feriti da arma da fuoco e decine gli arresti nella stessa giornata, durante la quale i militari israeliani hanno effettuato raid sia nella città vecchia che nei due campi profughi di Nablus, lanciando lacrimogeni, bombe stordenti e sparando proiettili.
Il corteo funebre è arrabbiato e avanza veloce lungo le strade che dal centro di Nablus conducono al campo profughi dove il giovane viveva. I partecipanti gridano slogan contro l’occupazione e invocano Allah, accompagnando il corpo alla casa della famiglia per un ultimo saluto. Lì, decine di donne si stringono intorno alla madre e alla sorella. Tutti si zittiscono mentre, per alcuni minuti, riecheggiano solo i pianti e la disperazione della famiglia dell’ennesimo palestinese ucciso da Israele.
Le grida di dolore risuonano lungo la stretta via di quel campo, costruito nel 1950, che oggi ospita quasi 25.000 discendenti dei profughi della Nakba, l’esodo palestinese seguito alla fondazione di Israele.
Sale così a 839 il bilancio totale dei morti in Cisgiordania dal 7 ottobre 2023, inclusi 173 bambini, secondo i dati raccolti dall’International Middle East Media Center (IMEC) l’IMEMC. È il bilancio più grave mai registrato nella storia dei Territori occupati. Circa 7.000 i feriti in 14 mesi, 10.300 le persone arrestate.
La marcia funebre riprende, accompagnata da spari in aria per rendere omaggio a quello che tutti chiamano il nuovo martire della lotta di liberazione. La resistenza armata si manifesta: alcuni giovani armati di M-16 esprimono solidarietà alla famiglia di Ahmed con raffiche di mitra. Il corpo del ragazzo, avvolto in una bandiera palestinese, viene portato fino alla moschea, dove il corteo si ferma per una preghiera. All’esterno, alcuni studenti della sua scuola srotolano uno striscione in suo onore: “L’amministrazione della scuola Maohamad Ameen Alsaadi piange l’eroe martire Motaz Ahmad Madani, uno degli studenti dell’11° anno della sezione letteraria”.
Ahmad è la 95ª vittima della città, dopo che Nablus aveva appena finito di piangere il diciottenne Muhammad Medhat Amin Amer, ucciso sabato 4 gennaio durante un’altra incursione nel campo profughi di Balata. Quattro delle nove persone ferite restano in “condizioni critiche” a seguito di quel raid, durante il quale anche alle ambulanze è stato impedito di soccorrere i feriti.
Non si fermano, ma aumentano gli attacchi dei militari di Tel Aviv in tutta la Cisgiordania, dove ogni giorno si registrano nuovi morti, feriti e arresti in quella che è, a tutti gli effetti, una guerra a “bassa intensità” che Israele porta avanti in modo parallelo al genocidio in corso sui palestinesi che vivono a Gaza.
Dal 7 ottobre è in crescita anche il numero di violenze commesse dai coloni israeliani contro la popolazione palestinese, specialmente nelle aree limitrofe agli insediamenti illegali e nelle regioni intorno a Hebron e nella Valle del Giordano. Qui gli attacchi sono quotidiani e includono demolizioni di case, minacce, furti di bestiame e sabotaggi delle infrastrutture palestinesi. I circa 700.000 coloni sono stati ampiamente armati da Tel Aviv dopo il 7 ottobre, in una strategia che sembra perseguire una vera e propria pulizia etnica anche in Cisgiordania.
Riprendono gli slogan e i cori. Il corteo funebre ricomincia il suo cammino verso il cimitero del campo profughi. Nell’aria rimane la rabbia e il dolore per l’ennesimo figlio del campo ucciso.
[testo e immagini di Moira Amargi, corrispondente dalla Palestina]
Corea del Sud, nuovo mandato d’arresto per Yoon Suk Yeol
L’agenzia anticorruzione della Corea del Sud ha dichiarato alla stampa locale di aver ricevuto da parte di un tribunale un nuovo mandato d’arresto per il presidente Yoon Suk Yeol, sotto impeachment, dopo il blocco del precedente da parte del servizio di sicurezza presidenziale. Yoon è accusato di aver tentato di imporre la legge marziale il 3 dicembre per uscire dall’impasse dell’esecutivo, scatenando la peggiore crisi politica del paese negli ultimi decenni. Da allora, ha rifiutato tre interrogatori. Gli investigatori hanno 48 ore per confermare il mandato o saranno costretti a rilasciarlo, anche se la durata del mandato non è stata ancora divulgata.
È stato identificato il “vulcano misterioso” che eruttò e raffreddò la Terra nel 1831
L’eruzione vulcanica avvenuta nel 1831 che fu tanto potente da abbassare le temperature globali, ha finalmente trovato il suo “colpevole”: è il vulcano Zavaritskii, situato sulle remote isole Curili tra Russia e Giappone. A rivelarlo sono le analisi condotte da un team internazionale di scienziati, i quali hanno dettagliato le caratteristiche dei loro risultati all’interno di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). Gli autori hanno spiegato che la ricerca, realizzata tramite carote di ghiaccio, indagini geochimiche e modelli computerizzati, non solo ha risolto un mistero scientifico durato decenni, ma farebbe soprattutto luce sull’impatto climatico dell’evento, evidenziando anche i “rischi nascosti” rappresentati da vulcani in aree isolate. «Non abbiamo una vera e propria comunità internazionale coordinata che si metta in moto quando accadrà il prossimo grande evento. È qualcosa a cui dobbiamo pensare sia come scienziati che come società», ha commentato il dott. William Hutchison, coautore e ricercatore presso la School of Earth and Environmental Sciences presso l’Università di St. Andrews nel Regno Unito.
Gli scienziati hanno spiegato che l’eruzione, avvenuta nel 1831, si colloca in uno dei periodi più freddi degli ultimi 10.000 anni, l’ultima fase della Piccola Era Glaciale. Il vulcano espulse enormi quantità di biossido di zolfo nella stratosfera, causando un raffreddamento che colpì l’intero emisfero settentrionale ma, nonostante l’anno dell’evento fosse noto, la posizione del vulcano era rimasta sconosciuta fino ad ora. Per risolvere l’enigma, i ricercatori hanno prelevato carote di ghiaccio in Groenlandia e analizzato i depositi di zolfo e cenere risalenti a quel periodo, scoprendo che l’emisfero settentrionale aveva subito un impatto molto maggiore rispetto all’Antartide. La correlazione con i dati geochimici, poi, ha portato a identificare Zavaritskii come il responsabile, vulcano che era inattivo dall’800 avanti Cristo. In particolare, sono stati confrontati isotopi di zolfo, frammenti di vetro vulcanico e cenere con campioni provenienti da diverse regioni vulcaniche. La datazione radiocarbonica dei depositi di cenere sull’isola di Simushir ha confermato che l’eruzione di Zavaritskii risale a meno di 300 anni fa, mentre la caldera del vulcano, formatasi durante quell’evento catastrofico, suggerisce un volume eruttivo tale da sconvolgere il clima globale.
«Questa eruzione ha avuto impatti climatici globali, ma è stata erroneamente attribuita ad un vulcano tropicale per un lungo periodo di tempo. La ricerca ora mostra che l’eruzione ha avuto luogo sulle isole Curili, non ai tropici», ha commentato il dott. Stefan Brönnimann, responsabile dell’unità di climatologia presso l’Università di Berna in Svizzera non coinvolto nella ricerca. Secondo il team dei coautori, inoltre, l’evento avrebbe contribuito al fallimento dei raccolti e avrebbe incrementato la crisi delle carestie globali, aggravando le difficoltà in India, Giappone ed Europa. «Sono ancora sorpreso che un’eruzione di queste dimensioni non sia stata segnalata. Forse ci sono resoconti di caduta di cenere o fenomeni atmosferici verificatisi nel 1831 che risiedono in un angolo polveroso di una biblioteca in Russia o in Giappone. Il lavoro di follow-up per approfondire questi registri mi entusiasma davvero», ha aggiunto Hutchison, il quale ha poi concluso affermando che gli obiettivi futuri saranno capire in che misura «queste carestie siano state causate dal raffreddamento del clima vulcanico o da altri fattori socio-politici» e lavorare per predire gli eventi futuri: «Non abbiamo una vera e propria comunità internazionale coordinata che si metta in moto quando accadrà il prossimo grande evento. È qualcosa a cui dobbiamo pensare sia come scienziati che come società».
[di Roberto Demaio]