lunedì 10 Novembre 2025
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Napoli, incidente sul lavoro: 3 operai muoiono cadendo da un ponteggio

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Tragedia sul lavoro a Napoli, in via San Giacomo dei Capri, quartiere Vomero: tre operai sulla cinquantina sono morti cadendo da un ponteggio mentre lavoravano al rifacimento del tetto di un edificio di sei piani. Secondo una prima ricostruzione, il cestello su cui si trovavano si sarebbe ribaltato a causa di un cedimento della struttura, facendo precipitare le vittime da un’altezza di circa 20 metri. I residenti, allarmati dal boato, hanno chiamato i soccorsi, ma per gli operai non c’è stato nulla da fare. Sul posto sono intervenuti polizia e vigili del fuoco.

Liberato Georges Abdallah, il militante filo-palestinese che la Francia deteneva da 41 anni

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Quarantuno anni passati dietro le sbarre per un reato di cui si era sempre dichiarato innocente. La ricerca di un nemico pubblico e di un colpevole, la condanna politica, le pressioni americane e israeliane per tenerlo dietro le sbarre. I venticinque anni di richieste di scarcerazione respinte nonostante avrebbe potuto uscire di prigione già nel 1999. Questa la storia di Georges Ibrahim Abdallah, il libanese filo-palestinese considerato il detenuto più longevo nelle carceri francesi, che finalmente alle prime ore del mattino di oggi 25 luglio è stato scarcerato e verrà rimpatriato in Libano.

La sua storia ha inizio nel 1984, quando il giovane Abdallah si rifugia in un commissariato di Lione sostenendo di essere seguito dai servizi segreti israeliani del Mossad e di temere per la propria vita. In realtà, sulle sue tracce c’erano anche i servizi segreti francesi, che erano risaliti al suo nome dopo l’arresto di un uomo alla frontiera italo-jugoslava con 7 kg di esplosivo. Da quel giorno, Georges Abdallah non ha più conosciuto la libertà.

Nel 1986 viene condannato a quattro anni di detenzione per “associazione a delinquere”, “detenzione di armi ed esplosivi” e “uso di documenti falsi”. Georges Abdallah è, di fatto, un militante comunista libanese filo-palestinese. Attivo fin dall’età di 15 anni, inizialmente aderisce al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PLFP) e, negli anni ’80, contribuisce alla fondazione delle Frazioni Armate Rivoluzionarie Libanesi (FARL), un’organizzazione marxista e antimperialista impegnata nella liberazione della Palestina, che condurrà azioni di guerriglia in Medio Oriente e in Europa, in particolare in Francia. Nel 1982, il gruppo rivendica gli omicidi del tenente colonnello americano Charles R. Ray, avvenuto a gennaio, e di Yacov Bar Simantov, consigliere dell’ambasciata israeliana a Parigi. Sono gli anni della resistenza contro l’invasione del Sud del Libano da parte dell’esercito israeliano. Queste operazioni armate contro i due diplomatici fanno entrare la FARL nel panorama mediatico francese.

Agli Stati Uniti la condanna di Abdallah non basta. Vogliono trasformare il detenuto in un caso simbolico, dichiarare di aver catturato il nemico pubblico numero uno. L’ambasciata americana a Parigi si dichiara «sorpresa» per una pena giudicata troppo lieve. Un secondo processo si svolge nel 1987, con l’accusa di complicità negli omicidi di Ray e Simantov, in un clima di fortissima tensione. Media e autorità attribuiscono infatti alla FARL una serie di attentati avvenuti in Francia tra il 1985 e il 1986, costati la vita a 13 persone, nonostante Abdallah fosse già in prigione. Nel frattempo prende forma una campagna mediatica martellante contro il libanese: i giornalisti allineati al potere mirano a costruire la figura del nemico di Stato. Si parla dei tre fratelli di Georges, che sarebbero stati identificati durante gli attentati, sebbene si trovassero in Libano negli stessi giorni. Abdallah viene così descritto come il mandante degli attacchi e condannato all’ergastolo, nonostante l’assenza di prove concrete. La pena inflitta dal giudice supera di gran lunga la richiesta del pubblico ministero, che si era fermato a dieci anni. Ne ha scontati più del quadruplo.

I veri responsabili degli attentati — militanti filo-iraniani — furono identificati due mesi dopo la condanna all’ergastolo di Georges Abdallah. Abdallah non ha mai ammesso il proprio coinvolgimento nemmeno negli omicidi dei diplomatici. Ha però sempre rifiutato di condannarli, definendoli «atti di resistenza» contro «l’oppressione israeliana e americana», nel contesto della guerra civile libanese e dell’invasione israeliana del Libano meridionale nel 1978. Non ha mai rinunciato alle sue convinzioni. «È ormai ovvio che Abdallah è stato in parte condannato per ciò che non aveva fatto», riconoscerà anni dopo l’ex giudice antiterrorismo Alain Marsaud.

Georges Abdallah diventa così un prigioniero politico su mandato americano nelle carceri francesi. È detenuto a Lannemezan dagli anni ’80, nonostante sia liberabile dal 1999. Una libertà che gli è sempre stata negata per motivi politici: Abdallah è rimasto fermo nelle sue posizioni anti-imperialiste e ha rifiutato per tutta la vita di rinnegarle, nonostante la lunga reclusione.

Già nel 2013, in seguito all’ottava richiesta di rilascio presentata dai suoi avvocati, la giustizia francese aveva concesso a Georges Abdallah la libertà: mancava però l’ordine di espulsione che l’allora ministro dell’Interno, Manuel Valls, avrebbe dovuto firmare per permettergli finalmente di tornare a casa. Un carteggio rivelato anni dopo da WikiLeaks ha mostrato il tempestivo intervento statunitense che ha bloccato la scarcerazione: una telefonata di Hillary Clinton al ministro degli Esteri Laurent Fabius è bastata a fermare tutto e a far sprofondare Abdallah nell’oblio di altri dodici anni di prigione.

Anche nel 2024 il tribunale di esecuzione delle pene aveva autorizzato la libertà condizionale, a condizione che Abdallah lasciasse il territorio francese. Ma ancora una volta la decisione è stata annullata dall’appello del tribunale antiterrorismo di Parigi.

Nel febbraio 2025, la Corte si è dichiarata favorevole alla liberazione, chiedendo però un «sostanziale sforzo» per il risarcimento delle vittime. Abdallah rifiuta, restando fedele alla sua posizione di prigioniero politico. Il 19 giugno, l’avvocato fa comunque sapere che 16.000 euro sarebbero stati disponibili per le parti civili. La procura generale risponde che non è sufficiente e rilancia chiedendo una «forma di pentimento».

«La nozione di pentimento non esiste nel diritto francese», dichiara ai giornalisti Jean-Louis Chalanset, avvocato di Georges Abdallah, uscendo dall’aula. «Ho detto ai giudici: o lo rilasciate o lo condannate a morte». La corte si convince e comanda il rilascio con immediata espulsione in Libano, Paese pronto ad accoglierlo e che da anni ne chiede la liberazione. Georges Abdallah, 74 anni, ha così svuotato la sua cella, colma di quarant’anni di giornali e lettere dei sostenitori, e ha tolto dal muro la bandiera rossa di Che Guevara. Sarà trasferito con un aereo militare all’aeroporto di Roissy, da cui partirà su un volo diretto a Beirut.

L’avvocato di Abdallah teme che il suo assistito possa essere ucciso da un drone israeliano al ritorno in Libano. In ogni caso, aggiunge, se questo dovesse accadere «morirà libero a Beirut come resistente». Israele non ha preso posizione durante il procedimento legale, ma giovedì scorso, tramite l’ambasciata a Parigi, ha “deplorato” la decisione del tribunale: «Questi terroristi, nemici del mondo libero, dovrebbero passare la loro vita in prigione», si legge in un comunicato.

Intanto, mentre Tel Aviv prosegue la sua pulizia etnica a furia di massacri a Gaza, Georges Abdallah è libero. E non avendo mai rinnegato nulla, di certo non mancherà di continuare a dire apertamente chi, secondo lui, sono i veri terroristi.

USA, politiche sui migranti: amministrazione Trump fa causa a New York

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L’amministrazione Trump ha fatto causa alla città di New York, accusandola di ostacolare l’applicazione delle leggi federali sull’immigrazione con le sue politiche di «città santuario». La causa è stata presentata dopo l’uccisione di un agente della dogana fuori servizio, ritenuta collegata alle politiche migratorie della città. La procuratrice generale Pamela Bondi ha affermato che queste politiche hanno liberato criminali violenti. Il sindaco Eric Adams ha difeso le politiche cittadine ma ha sollecitato un riesame da parte del Consiglio comunale per migliorare la collaborazione con il governo federale sulla sicurezza.

Gaza: saltano i colloqui di pace, per gli USA è tutta colpa di Hamas

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Ieri, 24 luglio 2025, i colloqui di pace tra Israele, Stati Uniti e Hamas si sono interrotti bruscamente, con Washington e Tel Aviv che hanno ritirato le proprie delegazioni, accusando Hamas di mancare di volontà per una soluzione pacifica. I negoziati, iniziati due settimane prima, miravano a stabilire una tregua di 60 giorni, con l’intento di fermare le violenze e aprire corridoi umanitari per la popolazione di Gaza, gravemente provata dai massacri israeliani e dall’incombente carestia dovuta ai blocchi degli aiuti umanitari. Le richieste di Hamas, che chiedevano il ritiro dei militari israeliani dai territori palestinesi e garanzie sull’ingresso a Gaza degli aiuti, sono state rifiutate dagli interlocutori. A Gaza, dunque, l’inferno continua.

L’annuncio dell’interruzione dei colloqui in Qatar per il cessate il fuoco a Gaza è stato dato dall’inviato speciale della Casa Bianca per il Medio Oriente, Steve Witkoff, il quale ha puntato il dito contro Hamas, accusando il gruppo palestinese di «non agire in buona fede» e manifestare «mancanza di volontà» per il raggiungimento dell’accordo. Witkoff, inviato dell’amministrazione Trump, ha aggiunto che gli USA «prenderanno in considerazione opzioni alternative» per garantire il rilascio degli ostaggi israeliani. Alti funzionari di Tel Aviv hanno dichiarato che «il ritorno della delegazione da Doha non indica un fallimento dei negoziati: continueranno, ma significa che ci sono lacune significative e dobbiamo riflettere sul da farsi e prendere decisioni difficili». Eppure, l’esecutivo di Tel Aviv sembra volersi muovere in tutt’altra direzione: «L’intera Gaza sarà ebraica… il governo sta spingendo affinché Gaza venga cancellata. Grazie a Dio, stiamo estirpando questo male – ha dichiarato il ministro israeliano ultranazionalista Amihai Ben-Eliyahu -. Stiamo spingendo la popolazione che si è istruita sul Mein Kampf».

Hamas, che ha ripetutamente accusato Israele di voler bloccare il percorso verso l’accordo di cessate il fuoco, si è detta sorpresa dalle dichiarazioni di Witkoff. In vista del rilascio degli ostaggi israeliani, il gruppo palestinese aveva avanzato una serie di proposte a dir poco basilari: secondo i media israeliani, esse avrebbero incluso richieste relative al numero di prigionieri scambiati, alle agenzie autorizzate alla distribuzione degli aiuti a Gaza e alla fine definitiva della guerra, con il ritiro completo delle forze israeliane dai territori palestinesi. Un funzionario palestinese vicino ai colloqui ha dichiarato a Reuters che la risposta di Hamas è stata «flessibile, positiva e ha tenuto conto delle crescenti sofferenze a Gaza e della necessità di porre fine alla carestia». Il blocco israeliano, che impedisce l’ingresso di aiuti umanitari e rende quasi impossibile la fornitura di beni di prima necessità, sta aggravando la crisi umanitaria a Gaza. Organizzazioni internazionali hanno lanciato numerosi appelli, denunciando l’ostruzione degli aiuti da parte di Israele e le gravi condizioni in cui si trovano i civili palestinesi. La scarsità di cibo, acqua potabile e medicinali ha portato a una crisi senza precedenti, dove ogni giorno si contano nuove vittime innocenti, in gran parte donne, bambini e anziani.

Nel frattempo, con mesi di ritardo, continua a muoversi qualcosa nei Paesi del blocco occidentale. Sempre nella giornata di ieri, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato che la Francia riconoscerà lo Stato di Palestina, diventando il primo Paese del G7 a farlo. L’annuncio ufficiale sarà fatto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a settembre. Macron ha sottolineato che il riconoscimento è parte dell’impegno della Francia per una pace giusta e duratura in Medio Oriente, ma ha evidenziato l’urgenza di fermare la guerra a Gaza, salvare i civili e smilitarizzare Hamas. La decisione è arrivata dopo il ritiro di Israele e degli Stati Uniti dai colloqui di cessate il fuoco in Qatar. La mossa è stata duramente criticata dagli Stati Uniti e da Israele. Nelle ultime ore, inoltre, il Canada ha condannato il governo Netanyahu per non essere riuscito a impedire quello che il primo ministro Mark Carney ha definito un «disastro umanitario» a Gaza. Il premier canadese ha accusato Israele di aver violato il diritto internazionale bloccando la consegna degli aiuti finanziati dal Canada ai civili nella Striscia.

Maxi-processo NO Tav: attivisti condannati a pagare decine di migliaia di euro

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Una cinquantina di attivisti impegnati nella lotta contro l’Alta Velocità in Val di Susa dovranno versare complessivamente decine di migliaia di euro allo Stato dopo essere stati condannati a processo. A inviare le cartelle di pagamento è stata, da fine giugno, l’Agenzia delle entrate, che ha dato loro 60 giorni di tempo per procedere al versamento. Venti attivisti, quelli con le accuse più gravi, sono stati condannati a pagare 3.000 euro, mentre molti altri dovranno versare cifre inferiori. Il processo contro i NO Tav riguarda i fatti del 27 giugno 2011, quando migliaia di agenti sono stati mandati a sgomberare il presidio di Chiomonte, che bloccava l’avvio dei lavori per la TAV, e quelli della manifestazione tenutasi in risposta il 3 luglio 2011, in cui si verificarono altri scontri con la polizia. In tale cornice, gli agenti arrivarono a utilizzare oltre 4mila lacrimogeni sui manifestanti, 200 dei quali rimasero feriti.

A distanza di quattordici anni dalle proteste contro l’apertura del cantiere per l’Alta Velocità Torino-Lione a Chiomonte, arriva ora il conto per decine di attivisti No Tav. Coinvolti nel cosiddetto maxi-processo, circa 50 militanti stanno ricevendo cartelle esattoriali per spese processuali e ammende: alcune cifre si aggirano intorno ai 3.000 euro, altre sono più contenute, ma si parla complessivamente di decine di migliaia di euro da versare. Il procedimento giudiziario, avviato dopo gli scontri del 27 giugno e del 3 luglio 2011 nei pressi della Libera Repubblica della Maddalena, si è protratto per oltre otto anni tra tutti i gradi di giudizio, concludendosi solo tra il 2023 e il 2025. Nonostante la caduta parziale dell’impianto accusatorio iniziale, sono arrivate condanne e richieste di risarcimento che ora l’Agenzia delle Entrate sta esigendo. In aggiunta, l’Avvocatura dello Stato ha recentemente notificato ai difensori degli imputati una diffida per il pagamento di ulteriori 32mila euro, minacciando atti esecutivi sull’intero importo a carico dei soggetti considerati più solvibili, in virtù della solidarietà del debito. Una clausola che rischia di riversare il peso economico su pochi attivisti.

Guido Fissore, uno dei volti storici del movimento, conferma l’avvio di una raccolta fondi per sostenere chi è colpito da queste richieste. «Abbiamo messo da parte una cassa di resistenza, ma non basta», ha spiegato. Sono previste cene, iniziative solidali e appuntamenti come il Festival dell’Alta Felicità per raccogliere contributi. Il movimento denuncia una strategia repressiva che mira a piegare una lotta popolare radicata sul territorio. Secondo i No Tav, il maxi-processo fu infatti un attacco politico più che giudiziario, volto a disarticolare una mobilitazione capillare e resistente, capace di coinvolgere migliaia di persone in difesa della Valsusa.

Il 3 luglio 2011 è una data incisa nella memoria collettiva del movimento No Tav come uno degli episodi più violenti e controversi nella lunga battaglia contro l’Alta Velocità Torino-Lione. Quel giorno, decine di migliaia di persone si mobilitarono in Valle di Susa per riconquistare simbolicamente l’area della Maddalena di Chiomonte, dove era sorto il cantiere del Tav. La manifestazione degenerò rapidamente in un durissimo scontro con le forze dell’ordine. Decine di agenti rimasero feriti, ma a farne le spese furono soprattutto i manifestanti: si contarono oltre 200 feriti, cinque arresti e un uso massiccio della forza da parte della polizia, che scagliò pietre contro i manifestanti e utilizzò perfino una pala meccanica per fronteggiarli. Dai boschi emersero storie di pestaggi, come quello documentato in un video in cui due attivisti, già fermati, vennero trascinati e picchiati dietro le recinzioni. Uno dei carabinieri responsabili, identificato grazie a un tatuaggio, è stato successivamente rinviato a giudizio.

Documenti interni delle forze dell’ordine, emersi anni dopo grazie a un leak di Anonymous, hanno rivelato che furono lanciati ben 4.357 lacrimogeni, molti dei quali contenenti CS, una sostanza chimica vietata in guerra. Nei file si legge che «i lacrimogeni, seppure in uso così massiccio, si sono rilevati inefficaci nell’allontanamento dei manifestanti» e che ebbero «effetti nefasti» sul personale, dal momento che i filtri delle maschere antigas furono «messi a dura prova dalla lunghezza dell’esposizione (6 ore di scontri, pressoché continuativi)» con «frequentissimi episodi di vomito, irritazione cutanea, intossicazione, stato confusionale transitorio».

Thailandia, evacuate 100mila persone per scontri al confine con Cambogia

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La Thailandia ha evacuato oltre 100.000 persone da quattro province al confine con la Cambogia, teatro da giovedì di intensi scontri armati tra i due eserciti. Le ostilità, che includono sparatorie e bombardamenti, si inseriscono in una disputa territoriale di lunga data tra i due Paesi, peggiorata negli ultimi mesi. Secondo le autorità thailandesi, gli scontri hanno causato finora 15 morti — 14 civili e un militare — e oltre 30 feriti. La Cambogia non ha fornito dettagli su eventuali vittime o evacuazioni nel proprio territorio. Attualmente i due Paesi stanno combattendo in 12 zone: la tensione resta alta lungo la linea di confine.

Il Senegal ha sconfitto il tracoma, principale causa mondiale di cecità infettiva

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Dopo anni di sforzi e interventi mirati, il Senegal ha eliminato il tracoma, malattia infettiva che può causare cecità, come problema di salute pubblica, diventando il nono della regione africana a ottenere tale riconoscimento. Il tracoma è causato dal batterio Chlamydia trachomatis, trasmesso principalmente attraverso superfici contaminate, feci o mosche che entrano in contatto con le secrezioni oculari di una persona infetta. Le sue cause principali sono legate a scarsa igiene, sovraffollamento nelle abitazioni e l'accesso limitato a acqua pulita e servizi igienici. Il tracoma ha afflitto il...

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Inondazioni in Vietnam: almeno 3 morti, allagate 3.700 case

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La tempesta tropicale Wipha ha causato gravi inondazioni nella provincia vietnamita di Nghe An, provocando almeno tre morti e un disperso. Una vittima è stata travolta da una frana, un’altra dalla corrente. La tempesta, la prima di tale intensità a colpire il Vietnam quest’anno, ha aggravato le piogge monsoniche anche nelle Filippine dopo aver colpito Hong Kong e la Cina. Oltre 3.700 abitazioni sono state allagate e 459 danneggiate dai venti. Le immagini diffuse mostrano interi villaggi sommersi. Il Vietnam, esposto ai tifoni, è spesso colpito da disastri naturali durante la stagione delle piogge.

Il Parlamento israeliano vota l’annessione totale della Cisgiordania

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I legislatori della Knesset hanno approvato con 71 voti a favore e 13 voti contrari una mozione non vincolante per l’ordine del giorno a favore dell’annessione della Cisgiordania. La mozione, avanzata dal deputato del Sionismo Religioso Simcha Rothman, dal parlamentare del Likud Dan Illouz e dal parlamentare Yisrael Beytenu Oded Forer, descrive la Giudea, la Samaria e la Valle del Giordano come «parte inseparabile della patria storica del popolo ebraico» e chiede l’applicazione della sovranità israeliana a queste aree. La Cisgiordania è parte integrante di quello che dovrebbe essere lo Stato di Palestina secondo la legge internazionale e secondo la stessa risoluzione dell’ONU – all’epoca accettata da Israele – che nel 1948 decise di dividere in due Stati (Israele e Palestina) la Palestina storica.

«La Giudea, la Samaria e la Valle del Giordano sono una parte inseparabile di Eretz Israel [la Israele biblica che, nelle intenzioni sioniste, dovrebbe comprendere l’intera Palestina, ndr], la patria storica, culturale e spirituale del popolo ebraico. Centinaia e migliaia di anni prima della creazione dello Stato, gli antenati e i profeti della nazione hanno vissuto e agito in queste regioni e in esse sono state gettate le fondamenta della cultura e della fede ebraica. Città come Hebron, Sichem, Shilo e Beit El non sono solo siti storici, ma un’espressione vivente della continuità dell’esistenza ebraica nella terra» riporta il testo della mozione, che aggiunge che i fatti del 7 ottobre 2023 sarebbero la conferma di come la creazione di uno Stato palestinese costituirebbe una minaccia per Israele. «La sovranità in Eretz Israel è una parte inseparabile della realizzazione del sionismo e della visione nazionale del popolo ebraico che è tornato nella sua patria».

Pur se simbolica e non vincolante, la risoluzione è in perfetta linea con i tentativi sempre più pressanti di Israele di acquisire il controllo della Cisgiordania, mentre l’esercito avanza nella Striscia di Gaza. Il voto segue infatti di pochi giorni la notizia, ampiamente ignorata dai quotidiani occidentali, secondo la quale Israele avrebbe rilanciato il piano di insediamento E1, che prevede la costruzione di oltre 3.000 unità abitative tra Gerusalemme Est e Maale Adumim che spaccherebbero a metà la Cisgiordania. «Questa è la nostra terra, questa è la nostra casa» ha dichiarato Amir Ohana (Likud), presidente della Knesset, al termine della votazione della Knesset. «Nel 1967 l’occupazione non è iniziata, è finita. Questa è la verità storica, e l’unico modo per raggiungere una pace autentica è da [una posizione di] potere».

A partire dalla risoluzione 242 del 1967, la comunità internazionale ribadisce come l’occupazione israeliana dei territori palestinesi sia illegale e ha continuato fino a pochi mesi fa a chiedere il ritiro delle truppe dai Territori palestinesi (una risoluzione che l’Italia si è ben guardata dall’approvare). Dopo il voto israeliano, condanne sono giunte da varie parti del mondo, a cominciare dall’OIC (Organizzazione della Cooperazione Islamica, che rappresenta 56 Paesi tra Europa, Medio Oriente, Sudamerica, Africa e Asia), definendola «una palese violazione del diritto internazionale e un’infrazione diretta di diverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite». L’ANSA cita inoltre una nota stampa nella quale la Commissione UE ricorda che «l’annessione è illegale secondo il diritto internazionale» e che qualsiasi passo in tale direzione sarebbe «una violazione del diritto internazionale».

OpenAI, DeepMind e dei giovani adolescenti hanno vinto la medaglia d’oro dei matematici

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OpenAI sostiene che una sua intelligenza artificiale abbia vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi Matematiche Internazionali (IMO), il più prestigioso concorso di calcoli matematici al mondo. Anche Google ritiene che la sua IA, DeepMind, abbia scalato le classifiche, arrivando in cima. Allo stesso tempo, cinque adolescenti possono vantare di aver battuto entrambe le Big Tech. Un unico fatto, molteplici letture che raccontano di un impressionante avanzamento tecnico che viene enfatizzato da un impianto di comunicazione fomentato ad arte.

Per comprendere il contesto, è necessario specificare che, a differenza delle più celebri competizioni sportive, le Olimpiadi Matematiche non prevedono un unico vincitore: la medaglia d’oro viene assegnata in base a una distribuzione percentuale dei punteggi. Per avere un parametro di misura, nell’ultima competizione, tenutasi in Australia, solo circa il 10% dei 641 partecipanti è riuscita a ottenere il punteggio prestabilito quest’anno per ottenere la medaglia d’oro. Raggiungere l’apice della classifica delle IMO è certamente un obiettivo di cui andare fieri, tuttavia questo traguardo non è totalmente esclusivo, sono previste molteplici medaglie d’oro.

DeepMind di Google figura tra questa manciata di vincitori. L’azienda ha iscritto al concorso una variante specializzata della sua intelligenza artificiale, Deep Think, la quale ha certificatamente ottenuto un punteggio di 35 su di un massimale di 42, risolvendo senza errori cinque dei sei problemi sottoposti ai partecipanti. I risultati, già di per sé interessanti, diventano ancora più stupefacenti se si considera che solamente l’anno scorso DeepMind era riuscita ad attestarsi al livello della medaglia d’argento, ma solamente ritagliandosi tempi di calcolo superiori ai due giorni. Questa volta lo strumento ha dimostrato prestazioni decisamente migliori e lo ha fatto rispettando il tempo limite della gara, quattro ore e mezza.

Con OpenAI, la situazione è decisamente più sfumata. L’azienda guidata da Sam Altman non ha effettivamente partecipato all’IMO, bensì ha analizzato privatamente i problemi sottoposti ai concorrenti e ha pubblicato le sue risposte attraverso i canali social. Le sue performance sono comparabili a quelle ottenute dall’IA concorrente: cinque problemi risolti su sei. L’intero processo non è però stato supervisionato dagli organizzatori delle Olimpiadi Matematiche, ma solo da tre ex-vincitori che sono stati reclutati direttamente da OpenAI per verificare gli esiti della gara. L’impresa sostiene di aver sfruttato per l’occasione un modello sperimentale che non verrà distribuito al pubblico per “molti mesi”, ma non essendoci occhi veramente indipendenti che possano testimoniare le dinamiche della faccenda, non resta che fidarsi di OpenAI, azienda nelle mani di un CEO che è stato accusato di essere un bugiardo seriale.

Google e OpenAI promuovono esplicitamente i propri successi, tuttavia evitano accuratamente di intavolare una narrazione che contrappone le abilità delle macchine a quelle degli esseri umani. Ancor più, tendono a sorvolare il fatto che cinque studenti under-20 siano riusciti a ottenere il punteggio perfetto dell’IMO, superando per risultato entrambi i giganti del tech. Come spesso capita per le evoluzioni tecniche che hanno risvolti politici o speculativi, gli avanzamenti concreti nel campo dei modelli di linguaggio sono stati messi da parte in favore di slogan notiziabili che riescono a catturare l’attenzione del pubblico e degli investitori.

Questi trionfi, assolutamente degni di nota, sono in grado di evidenziare un avanzamento rapido delle IA, eppure restano ambigui i concreti scopi applicativi dei modelli, come questi siano stati addestrati, nonché la loro effettiva sostenibilità. In sostanza, non è chiaro se gli sviluppi maturati in questo contesto dalle imprese siano funzionali alla società o se i loro sforzi si siano concentrati esclusivamente sul dar vita a un’oculata stunt commerciale.