giovedì 15 Maggio 2025
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I controversi esperimenti di geoingegneria per contrastare il cambiamento climatico

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Quello della geoingegneria per la mitigazione dei cambiamenti climatici è un settore emergente che include interventi diretti sul sistema terrestre su larga scala. Al momento, però, stiamo parlando di niente più che progetti, i quali sono anche spesso controversi e ricchi di limiti tecnici, etici e ambientali tutt’altro che trascurabili. La mancanza di un quadro legislativo internazionale potrebbe ad esempio portare a conflitti e a un uso improprio della tecnologia in questione e i relativi benefici e impatti potrebbero non essere equamente distribuiti. Il tutto poi mentre poco o nulla si sa s...

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Truffe agli anziani in tutta Italia, 29 arresti

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Nella mattina di oggi, sabato 1 febbraio, è stata smantellata una rete criminale con base a Napoli e specializzata nelle truffe agli anziani con la tecnica del “finto maresciallo”. All’alba sono state eseguite 29 misure cautelari, tra cui 21 arresti in carcere, 5 ai domiciliari e 3 obblighi di firma tra Napoli, Caserta e Torino. In totale, sono state contestate 54 truffe effettuate tra il 2022 ed il 2024 per un bottino di 700.000 euro. Il gruppo era diviso tra telefonisti, che adescavano le vittime fingendosi carabinieri o avvocati, e trasfertisti, incaricati di ritirare denaro e gioielli.

La Banca Europea per gli Investimenti raddoppia i fondi per armi e difesa

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La Banca Europea per gli Investimenti (BEI) accelera sul finanziamento alla difesa, raddoppiando gli investimenti nel settore: dopo aver raggiunto il miliardo di euro nel 2024, si prevede di arrivare a due miliardi nel 2025. Il rapporto annuale dell’istituzione finanziaria dell’Unione Europea di proprietà degli Stati membri certifica un cambio di rotta, con un ampliamento dei progetti finanziabili, tra cui mobilità militare, cybersicurezza, sminamento, protezione delle infrastrutture e sviluppo di droni. Tra gli interventi concreti dell’anno passato, sottolinea il Gruppo, figurano i finanziamenti per satelliti a duplice uso in Polonia, gli ammodernamenti dei porti per soddisfare le esigenze delle navi NATO in Danimarca e le sovvenzioni del Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI) in fondi privati dedicati. L’accelerazione nei finanziamenti al settore della difesa da parte della BEI si colloca sulla scia di un generale aumento degli investimenti e della spesa in ambito bellico che interessa la maggior parte dei Paesi europei. Essa, inoltre, è in linea con le richieste della stessa istituzione comunitaria, dell’Alleanza Atlantica e del cosiddetto “Rapporto Draghi” per la competitività UE.

«Nel 2024 gli investimenti in sicurezza e difesa ammissibili sono raddoppiati, e l’obiettivo per quest’anno è un ulteriore raddoppiamento del volume». Sono queste le parole con cui la BEI annuncia il successo degli investimenti nel settore bellico dell’anno appena terminato e le proprie intenzioni di cavalcare l’onda della crescita, raddoppiando ulteriormente i finanziamenti. Il Gruppo BEI, inoltre, ha ampliato gli investimenti nei progetti relativi a tecnologie a doppio uso civile e militare, sia in termini quantitativi che nei tipi di settori coinvolti. Non è chiaro se questi ultimi investimenti rientrino tutti nel conteggio dei finanziamenti dedicati al settore della difesa, che quindi, nel 2024, potrebbe aver indirettamente superato il miliardo di euro. Il piano per l’anno successivo è quello di tagliare la burocrazia per i clienti attraverso l’introduzione di procedure di istruttoria semplificate, in modo da ridurre i tempi tecnici di approvazione e attuazione dei nuovi investimenti. Il Gruppo, inoltre, prevede di estendere ulteriormente le attività e di ampliare i partenariati esterni, come per esempio con il Fondo NATO per l’innovazione e l’Agenzia europea per la difesa.

L’annuncio dell’aumento dei finanziamenti in ambito bellico da parte della BEI risulta pienamente in linea con le richieste della NATO, dell’UE e di Draghi. L’Alleanza Atlantica ha infatti raccomandato agli Stati di arrivare a spendere più del 2% del PIL nel settore militare, l’Unione Europea si sta muovendo per la costruzione di un piano di difesa comune, mentre il “Rapporto Draghi” consiglia molto caldamente di riservare più fondi e meno burocrazia al settore delle armi. A tal proposito, sono molti i Paesi europei a stare puntando sempre di più sul settore delle armi, Italia compresa. Durante il suo mandato, il governo Meloni ha aumentato la spesa per la difesa, nonché per l’acquisto di aerei e carri armati. In generale, anche gli esecutivi precedenti avevano incrementato l’esportazione di armamenti, così come la spesa militare.

[di Dario Lucisano]

Gaza, Hamas rilascia altri tre ostaggi israeliani

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Nelle ultime ore, il gruppo palestinese Hamas ha riconsegnato tre ostaggi israeliani in cambio del rilascio di decine di detenuti palestinesi, nell’ambito della tregua volta a porre fine ai massacri in atto da 15 mesi a Gaza. Ofer Kalderon, un cittadino franco-israeliano con doppia nazionalità, e Yarden Bibas sono stati consegnati ai funzionari della Croce Rossa nella città meridionale di Gaza, Khan Younis, prima di essere trasferiti in Israele. L’israeliano-americano Keith Siegel è stato consegnato separatamente al porto marittimo di Gaza City. Successivamente, i primi dei 183 prigionieri palestinesi che devono essere rilasciati sono scesi da un autobus a Ramallah, nella Cisgiordania occupata.

“Torvo scorpione”, una poesia di Malcolm Lowry (1951)

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Questo mio odio è un vento che schiaffeggia,
cieco ai bisogni, sordo ad ogni supplica,
disperde e confonde ogni parola
come ordini impartiti in mezzo alla bufera,
i soli atti a salvare questa nave
spacciata… Lo sfuggivo dentro quella taverna.
Nel vino rivivevo tre mie buone azioni:
quando detti a un pezzente gli ultimi due scellini
con cui poté comprarsi solo il caos che bramavo,
quando soccorsi con la morte lo scorpione ferito,
quando, a un bambino in lacrime, angosciato come me,
donai qualche speranza, sapendo che non c’era.
Quanto m’inorgoglii per le mie compassioni!
Pure ero anch’io quel torvo vinagrillo
che si pungeva a morte, nascosto dietro una pietra,
senza nessun messaggio, nella piana del mescal.
Così salvai solo me, anche se non per molto.
Tre buone azioni contro una vita di errori.
Quanti nodi egocentrici in questa abnegazione,
e non c’è soluzione che la croce!

«La mia persona si rispecchia nelle mie azioni», sembra affermare il poeta. Ma lo dice con accenti shakespeariani: «Ogni temperamento ha il suo diletto/ in cui trova una gioia sopra ogni altra», cantava Shakespeare in un sonetto, ma il mondo è a lui avverso e allora bisogna muoversi nelle fantasie, dove vive «l’anima profetica/ del vasto mondo sognante di cose a venire» (sonetti 91 e 106).

Lowry brancola in una taverna e allora si avvera l’invito del grande poeta: «gravemente procedo in mio cammino/ quando il fine cui tendo, del mio penoso andare,/ non altro sollievo e altro riposo promette/ che il dire» (sonetto 50). Soltanto la poesia permette a Lowry di sfogare il suo disordine, la sua mancanza di certezze, di saltare prodigiosamente, come in un delirio, dalla bufera al pezzente e al bambino, personaggi di un sogno che entra in un dire-mostrare barcollante col quale egli tenta di arginare i suoi errori. 

Una poesia, questa, impossibile perché tenta di guarire, come in uno scatto religioso, attraverso la carità e la compassione: che il poeta non riceve ma che è capace di dare.

C’è il caos della sua vita, è vero, ma il caos, «il caos che bramavo» viene sublimato perché riguarda non lui, la sua persona, ma lui come poeta-pellegrino. Ecco allora un’altra poesia di Lowry (Il pellegrino), dove un uomo perduto, insignificante, chiede a un’entità superiore di insegnargli «a navigare i fiordi del caso/ per i meandri della mia ignoranza abissale». E dove convivono l’immagine della scogliera e quella «di strani cacciatori nel cosmo infinito». 

Poesia questa come una spirale, del tipo di quelle che, nella natura e nella pittura, ossessionavano Vincent van Gogh negli ultimi suoi tempi. Del tipo di quelle ombre a cui «era il momento di dire addio», come cantava John Keats.  

Lo scorpione messicano, il vinagrillo, è tuttavia apparentemente benevolo, è forse come il gusano, la larva della falena affondata in fondo alla bottiglia di mezcal. Ma questo vinagrillo punisce se stesso e si punge a morte. Non ancora questo vale per Malcolm che si affida ai versi come sprazzi di lucidità, «come ordini impartiti in mezzo alla bufera». 

«Tre buone azioni contro una vita di errori»: per il poeta parla per un attimo il suo alter ego, il suo Super-Io che  si complimenta con lui e gli dice di non cedere; ma ecco sopravvenire una definitiva lucidità masochista, che gli svela i «knots of self», i nodi del sé che finiscono per rimanere aggrovigliati tra le parole della sua resa. 

[di Gian Paolo Caprettini]

Storica sentenza in Kenya: gli indigeni battono i finti progetti “green” delle multinazionali

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In una sentenza definita storica dalle organizzazioni che difendono i diritti dei popoli indigeni, il tribunale di Isiolo, in Kenya, ha accolto il ricorso presentato da 165 membri di una comunità nativa contro la Northern Rangelands Trust (NRT), società che ospita nel Paese africano controversi progetti di compensazione dei crediti di carbonio per conto di colossi come Meta, Netflix e British Airways. I giudici hanno stabilito che le aree protette sono state concesse alla NRT in modo illegale e in violazione della Costituzione. Di conseguenza, è stato ordinato che alle popolazioni indigene non possa essere impedito di vivere e transitare in quei territori, e che i temuti “guardiaparco” delle riserve debbano abbandonare l’area. La NRT gestisce 45 aree di conservazione comunitarie nel nord del Kenya, che complessivamente coprono circa il 10% del territorio nazionale. Spesso, queste riserve sono state create sulle terre ancestrali delle popolazioni Borana, Samburu e Rendille, costringendole allo sfratto. Nella sentenza si sottolinea che, contrariamente a quanto affermato dalla NRT, i progetti sono stati istituiti «senza partecipazione o coinvolgimento della comunità». Inoltre, si denuncia che la NRT, «con l’aiuto dei guardaparco e dell’amministrazione locale, continua a ricorrere a intimidazioni, coercizione e minacce quando i leader della comunità tentano di opporsi a uno qualsiasi dei loro piani».

Negli ultimi anni, organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, Minority Rights Group e Survival International hanno esercitato forti pressioni affinché venissero riconosciuti i diritti delle popolazioni indigene. Nel 2023, Survival International ha pubblicato il rapporto Carbonio insanguinato, portando all’attenzione del grande pubblico il Northern Kenya Grassland Carbon Project, un’iniziativa gestita dalla Northern Rangelands Trust (NRT) su un territorio abitato da oltre 100.000 indigeni, tra cui i Samburu, i Borana e i Rendille. L’organizzazione ha inoltre contestato le basi stesse del progetto di compensazione del carbonio della NRT, che si fonda sull’idea che regolamentando le attività di allevamento del bestiame da parte dei pastori indigeni si possa incrementare la vegetazione dell’area e, di conseguenza, aumentare la quantità di carbonio immagazzinata nel suolo. «La sentenza conferma ciò che le comunità denunciano da anni: non sono state adeguatamente consultate sulla creazione delle riserve, che hanno compromesso i loro diritti territoriali. I donatori occidentali della NRT, come l’UE, la Francia e l’USAID, devono smettere di finanziare l’organizzazione, perché hanno sostenuto un’operazione che ora è stata finalmente giudicata illegale» ha dichiarato Caroline Pearce, direttrice generale di Survival International.

Il fenomeno è diffuso e interessa diverse regioni del mondo, in particolare nei Paesi più poveri, dove le comunità locali subiscono le conseguenze di questi progetti. In molti casi, le popolazioni vengono costrette a lasciare le proprie terre, spesso attraverso deportazioni o con l’uso della forza, per fare spazio alle iniziative legate al mercato dei crediti di carbonio. «Troppi programmi di compensazione delle emissioni di carbonio si basano sullo stesso modello obsoleto della “conservazione fortezza”. Sostengono di proteggere la terra, ma calpestano i diritti dei proprietari indigeni e generano ingenti profitti» ha dichiarato Caroline Pearce.

I crediti di carbonio sono certificati che rappresentano una tonnellata di anidride carbonica (CO₂) non emessa o rimossa dall’atmosfera. Aziende e governi li utilizzano per compensare le proprie emissioni finanziando progetti di riduzione o assorbimento del carbonio, come la riforestazione o l’energia rinnovabile. Nell’ambito dell’Accordo di Parigi del 2015, è stato istituito il quadro REDD+ per la protezione delle foreste. L’acronimo REDD sta per Riduzione delle emissioni derivanti dalla deforestazione e dal degrado forestale nei Paesi in via di sviluppo, mentre il + indica ulteriori attività legate alla gestione sostenibile delle foreste e alla conservazione degli stock di carbonio. Attraverso i programmi REDD+, i Paesi in via di sviluppo ricevono finanziamenti per compensare le emissioni di carbonio prodotte dagli Stati più industrializzati e dalle grandi aziende private. Questo meccanismo fa parte del mercato del carbonio, introdotto con il Protocollo di Kyoto nel 1997 e sviluppato a partire dal 2005 con l’entrata in vigore del trattato.

Uno degli aspetti più controversi di questo meccanismo, già oggetto di critiche per le sue implicazioni politiche, economiche e ambientali, riguarda le conseguenze sociali sulle popolazioni indigene e sulle comunità locali che vivono nelle aree designate come riserve di carbonio. L’organizzazione Survival International denuncia da tempo questo sistema e, nel rapporto Carbonio insanguinato, evidenzia come governi e alcune organizzazioni ambientaliste continuino a «promuovere le aree protette come soluzione ai problemi ambientali, nonostante siano spesso teatro di gravi violazioni dei diritti umani e senza prove concrete della loro efficacia nel contrastare la perdita di biodiversità». Secondo l’organizzazione, questi progetti rientrerebbero in una nuova fase di mercificazione della natura introducendo quello che è stato definito colonialismo del carbonio. «I progetti di compensazione assegnano un valore economico alla natura, trasformando le terre delle comunità indigene e locali in riserve di carbonio da scambiare sul mercato, consentendo agli inquinatori di continuare a inquinare, all’industria della conservazione di generare profitti e agli investitori di speculare. Nel frattempo, i popoli indigeni e le comunità locali vengono espropriati e privati dei loro mezzi di sussistenza. Le compensazioni basate sulla natura (Nature-Based Solutions) rappresentano una forma di colonialismo del carbonio e non fermeranno la crisi climatica» si legge nel rapporto.

[di Michele Manfrin]

Migranti, sospeso il trattenimento in Albania

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La Corte d’Appello di Roma ha sospeso il giudizio sul trattenimento di 43 migranti nel centro di permanenza per il rimpatrio di Gjader, in Albania, rimettendo la decisione alla Corte di giustizia europea. Oggi saranno trasferiti in Italia. I migranti erano partiti da Lampedusa in 49, ma 6 sono stati riportati sull’isola perché minorenni e vulnerabili. Giovedì le loro domande di asilo sono state respinte. È la terza volta che i migranti trasferiti in Albania vengono rimandati in Italia. Nelle precedenti occasioni, i giudici avevano stabilito che la sentenza della Corte di giustizia europea sui Paesi sicuri dovesse precedere l’emanazione dei decreti governativi.

Israele arresta e poi rilascia due italiani: tra loro la pacifista Luisa Morgantini

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Non appare esservi un motivo, se non un tentativo di intimidazione, dietro il fermo e il rilascio di due italiani avvenuto ieri in Cisgiordania da parte di militari israeliani. Si tratta di Luisa Morgantini, 84 anni, pacifista, ex europarlamentare e presidente dell’associazione AssoPace Palestina, e di Roberto Bongiorni, giornalista del quotidiano Il Sole 24 Ore. Al momento dell’arresto, i due si trovavano con le loro guide palestinesi (anch’esse arrestate e rilasciate) nei pressi della colonia illegale di Kyriat Arba, vicino ad Al Khalil (nome arabo della città altrimenti conosciuta con l’ebraico “Hebron”). L’accusa contro di loro sarebbe quella di aver violato una zona militare, affermazione che tuttavia i presenti smentiscono nettamente: raggiunta al telefono da L’Indipendente, Morgantini riferisce che nemmeno i militari fossero in grado di indicare quali fossero i confini della fantomatica “area militare vietata”.

La notizia dell’arresto dei due italiani è stata diffusa ieri intorno all’ora di pranzo. Qualche ora dopo, è arrivata anche quella del loro rilascio, avvenuto intorno alle sette di sera ora locale. I due si trovavano in Cisgiordania per realizzare un documentario sulle colonie israeliane, quando sono stati fermati dai militari, arrestati e interrogati per due ore, prima di essere rilasciati. L’arresto è avvenuti nei pressi dell’insediamento illegale ed estremista di Kyriat Arba, lo stesso nel quale vive Ben Gvir, ex ministro della Sicurezza Nazionale del governo Netanyahu e leader del partito di estrema destra Otzma Yehudit. «È stato un atto di arbitrio ed illegale», riferisce a L’Indipendente Morgantini, «in quanto non eravamo in una zona militare. Quando abbiamo chiesto alla polizia e ai soldati di delinearci la zona militare non hanno saputo rispondere. Abbiamo visto in azione la collaborazione tra esercito, polizia e coloni armati che indossavano divise militari a Tuba, nel villaggio dove qualche giorno prima i coloni avevano ferito due bambine, vandalizzato e distrutto mobili e cibo delle case, dando alle fiamme l’unica automobile del villaggio». Ed era a Tuba che erano diretti Morgantini e il resto del gruppo, per andare a vedere con i propri occhi la distruzione israeliana, quando i militari li hanno fermati.

AssoPace Palestina ritiene che l’arresto di Morgantini e Bongiorni esprima «l’arroganza dell’esercito di occupazione nella feroce repressione del dissenso e nelle pratiche intimidatorie, in un contesto di continua repressione e violazione dei diritti fondamentali dei palestinesi nei Territori Occupati e nell’intimidazione verso chi si oppone alle ingiustizie subite dal popolo palestinese – osservatori per i diritti umani e attivisti pacifisti – e verso chi tenta di documentarle come i rappresentanti della stampa più volte colpiti». Dopo la firma del (fragilissimo) cessate il fuoco a Gaza, infatti, l’esercito israeliano ha intensificato i propri attacchi in Cisgiordania – a partire dall’operazione Muro di Ferro, lanciata contro i campi profughi di Jenin -, dove ha ucciso decine di civili e ne ha arrestati altrettanti. Dal 7 ottobre 2023, sono quasi un migliaio le vittime degli assalti israeliani, che avvengono con cadenza quotidiana.

Secondo Morgantini, quanto successo costituisce un vero e proprio abuso di potere. La sua associazione ha chiesto che il governo verifichi l’esistenza di eventuali procedimenti a carico dei due cittadini italiani, oltre che di intraprendere «tutte le azioni necessarie per garantire l’agibilità nei territori palestinesi occupati per gli attivisti dei diritti umani e della stampa internazionale». Nel frattempo, oggi i coloni hanno dato alle fiamme interi campi di uliveti nei pressi di Burin, mentre ad Al Khalil i militari hanno assaltato la casa di un prigioniero palestinese liberato nei recenti scambi di ostaggi e a Jenin vi sono stati altri arresti. Un circolo di violenza e impunità che sembra non voler finire mai.

[di Valeria Casolaro]

Covid, Arcuri assolto per abrogazione del reato di abuso d’ufficio

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L’ex Commissario Straordinario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri, è assolto dall’imputazione di abuso d’ufficio in quanto «il fatto non è più previsto dalla legge come reato». Le accuse contro di lui erano state formulate nell’ambito dell’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina nella prima fase della pandemia. Per Arcuri la Procura aveva chiesto 1 anno e 4 mesi di carcere.

35 anni senza giustizia: il delitto Agostino tra mafia, servizi e depistaggi

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Sono passati trentacinque anni, ma non c’è ancora una verità giudiziaria sull’omicidio del poliziotto Antonino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio, avvenuto il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini (Palermo). La Cassazione ha infatti annullato con rinvio la condanna all’ergastolo del boss Nino Madonia, inflitta sia in primo che in secondo grado, stabilendo che il mafioso – punto di vertice del mandamento di Resuttana, uno dei gruppi più vicini agli ambienti dei servizi deviati e una delle fazioni più sanguinarie di Cosa Nostra – dovrà essere giudicato in un nuovo processo. Resta così avvolto nel mistero un delitto emblematico del ruolo sporco giocato con ogni probabilità da funzionari infedeli dello Stato. Segnato, e non è una novità, da gravi omissioni e depistaggi.

Un delitto oscuro

Non sono bastati gli accertamenti effettuati dai giudici di merito in relazione alle responsabilità di Madonia – cui vengono attribuiti decine di omicidi, tra cui quelli “eccellenti” del politico Pio La Torre, del generale Carlo Alberto dalla Chiesa e del giudice Rocco Chinnici – sul delitto Agostino. La palla tornerà infatti alla Corte d’Assise di Appello di Palermo. Ma non è tutto: la Suprema Corte ha infatti azzerato, annullandola senza rinvio, la parte della sentenza riferita alla morte di Ida Castelluccio, ventenne e incinta di 5 mesi quando venne assassinata. Essendo già caduta in appello l’aggravante della premeditazione, infatti, l’intervento della prescrizione ha fatto tabula rasa.

Agostino e Castelluccio furono assassinati il 5 agosto del 1989 a Villagrazia di Carini, davanti al cancello della loro abitazione. Secondo quanto ricostruito dai pm, ad aprire il fuoco furono due killer arrivati su una moto di grossa cilindrata. Agostino tentò di proteggere la moglie, facendole scudo con il corpo, ma fu colpito a morte. Ida, rimasta ferita a terra, riuscì a gridare: «Io lo so chi siete» agli assassini del marito. Una delle due persone sulla moto si avvicinò e le sparò al cuore, uccidendola sul colpo. Poche ore dopo l’omicidio, l’appartamento di Agostino fu perquisito dagli uomini dello Stato e importanti appunti investigativi che l’agente teneva a casa svanirono nel nulla.

A rendere il quadro ancora più inquietante è la testimonianza del padre di Nino, Vincenzo Agostino. L’uomo ha raccontato che, poche settimane prima dell’omicidio, aveva ricevuto una visita da un individuo sconosciuto, che anni dopo sarebbe stato identificato come Giovanni Aiello, noto con il soprannome di “Faccia da Mostro”. Aiello, ex agente della squadra mobile di Palermo, aveva avuto come superiore Bruno Contrada (poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa) ed è stato più volte inquadrato dagli inquirenti come figura di raccordo tra mafia e ambienti dei servizi. Secondo il racconto di Vincenzo Agostino, Aiello si era presentato a casa sua tra l’8 e il 10 luglio 1989, accompagnato da un’altra persona. Aveva chiesto di Nino, che in quel momento non era in casa. Poi, senza salutare, si era avviato verso una motocicletta. Vincenzo lo aveva inseguito per chiedergli chi fosse, e la risposta era stata enigmatica: «Digli che siamo colleghi». Giovanni Aiello è stato indicato da diversi collaboratori di giustizia – tra cui Luigi Ilardo, Vito Lo Forte e Consolato Villani – come personaggio coinvolto in operazioni illecite tra mafia e apparati deviati dello Stato e collegato a numerosi delitti eccellenti. Aiello è morto nel 2017, senza aver riportato condanne, stroncato da un malore.

I servizi e l’Addaura

Nelle motivazioni della sentenza di appello con cui era stato inflitto l’ergastolo a Madonia, i giudici avevano evidenziato il ruolo che il boss ricopriva in Cosa Nostra sulla base di risultanze in merito alla figura di Aiello e dei suoi rapporti con Bruno Contrada, facendo riferimento alle «collusioni mafiose di alti funzionari di polizia e appartenenti ai Servizi», ai «depistaggi ascrivibili ad alcuni degli inquirenti dell’epoca» e «all’attività investigativa segretamente svolta dall’agente Agostino», ovvero la ricerca e la cattura di importanti latitanti. Il giorno del funerale di Agostino, indicando la bara, il magistrato Giovanni Falcone confidò a un suo amico commissario: «Io a quel ragazzo devo la vita». 44 giorni prima il giudice era scampato al fallito attentato all’Addaura: Falcone si riferiva probabilmente a un possibile intervento effettuato via mare da Agostino, accompagnato forse da un altro agente sotto copertura del SISDE, Emanuele Piazza, ucciso e fatto sparire nel nulla nel marzo 1990.

Lo scorso ottobre, in un altro troncone del processo, per il delitto Agostino è stato condannato in primo grado all’ergastolo il boss Gaetano Scotto. I legami tra Scotto e «uomini esterni a Cosa Nostra» sono stati confermati in Aula anche da vari collaboratori di giustizia. Tra questi, Francesco Onorato, il quale ha testimoniato che Cosa Nostra avrebbe costituito una propria “decina” a Roma con l’obiettivo di curare nella Capitale i rapporti con i servizi segreti, a capo della quale ci sarebbe stato proprio Scotto. A parlare, tra gli altri, è stato anche l’ex boss dell’Acquasanta Vito Galatolo, il quale ha dichiarato che, poco prima di morire, Agostino aveva fatto appostamenti fuori da Vicolo Pipitone, centro nevralgico delle attività dei boss del mandamento di Resuttana. Lo stesso luogo in cui, come sostenuto dallo stesso Galatolo, sarebbero entrate figure come Bruno Contrada e altri uomini appartenenti alle istituzioni. Il percorso è comunque ancora molto lungo, trattandosi solo di un verdetto di primo grado.

Un precedente

L’annullamento della sentenza sul processo Agostino sembra un film già visto. Lo scorso dicembre, infatti, la Cassazione aveva annullato con rinvio gli ergastoli inflitti al boss palermitano Giuseppe Graviano e al calabrese Rocco Filippone al processo sulla “‘Ndrangheta stragista”. Dopo che i giudici di primo e di secondo grado erano stati concordi nel ritenere «granitiche» le prove in ordine al ruolo avuto dalla mafia calabrese nella campagna di attentati che insanguinarono l’Italia all’inizio degli anni Novanta, la Suprema Corte ha deciso di rinviare il processo alla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria. I giudici di merito avevano ricostruito le trame che avrebbero portato la mafia siciliana e la ‘Ndrangheta a concepire e attuare l’attacco frontale allo Stato, in una convergenza di interessi che avrebbe coinvolto anche pezzi dei servizi segreti e frange della massoneria deviata con l’obiettivo di «destabilizzare» lo Stato italiano in vista di un cambio di guardia nella sua classe dirigente, per poi far tacere le bombe e tornare nell’ombra. Anche in questo caso, però, tutto da rifare.

[di Stefano Baudino]