martedì 11 Novembre 2025
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Corte Penale: mandato di arresto per un cittadino libico

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La Corte Penale Internazionale ha dichiarato di aver emesso un mandato di arresto per Saif Suleiman Sneidel, accusandolo di crimini di guerra. Sneidel è ritenuto un membro del Gruppo 50, sottogruppo della Brigata Al-Saiqa. La Brigata Al-Saiqa fa parte dell’Esercito Nazionale Libico del generale Haftar, capo del governo orientale di Bengasi, che si contrappone al governo centrale di Tripoli. Sneidel di preciso è accusato di essere responsabile dei crimini di guerra di omicidio, tortura e oltraggi alla dignità personale, che avrebbe commesso tra il 2016 e il 2017.

Occupazione di Gaza: la complicità USA e l’inerzia globale davanti al piano di occupazione

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Nonostante il via libera del gabinetto israeliano per occupare interamente la Striscia di Gaza, le reazioni del mondo davanti all’ennesimo atto criminale di Israele seguono ancora lo stesso copione: voci grosse di condanna e preoccupazione si sono levate da tutto il globo, ma a prendere azioni concrete sono sempre le solite mosche bianche. I più arditi annunciano contromisure di facciata, come nel caso della Germania, che fermerà il commercio di armi che «potrebbero venire utilizzate nella Striscia di Gaza». Russia e Cina chiamano il cessate il fuoco, il Regno Unito «esorta» Israele a riconsiderare le sue decisioni, il mondo arabo ne critica la condotta mentre firma con esso accordi plurimiliardari, l’Italia non proferisce parola. Nessuno, insomma, è deciso a muovere un dito per fermare Israele. Gli USA sono a loro modo gli unici a dire le cose come stanno realmente: occupazione o non occupazione, Israele potrà sempre fare quello che vuole senza temere ripercussioni.

Il piano di invasione di Gaza è stato approvato all’alba di oggi, 8 agosto, e prevede un’occupazione della Striscia da attuare e, una volta realizzata, portare avanti fino a data da destinarsi. Sin dall’annuncio del piano rilasciato dai quotidiani israeliani, la notizia ha scatenato quella ormai rituale reazione di condanna generale, piena di parole e priva di concretezza. Dal Vecchio Continente, il Regno Unito, la Germania, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen hanno chiesto a Israele di ritrattare; Francia e Italia non sembrano invece aver ancora rilasciato neanche una parola di condanna. Tra gli altri Paesi del G7, assenti anche le reazioni del Giappone e del Canada. Simili dichiarazioni sono arrivate invece da Norvegia, Belgio, Spagna, Turchia, Australia, Sudafrica e Brasile, così come dall’ONU. A stare sostanzialmente in silenzio, tuttavia, non è solo il blocco del G7: la Russia si limita a chiedere un cessate il fuoco, la Cina ha rilasciato un appello simile a quello dei Paesi europei, mentre il mondo arabo e islamico si divide tra chi, come gli Emirati, preferisce limitarsi a chiamare al rispetto della legge internazionale, e chi, come l’Egitto, usa parole forti di condanna, salvo poi stringere accordi con Israele.

Insomma, quasi tutto il mondo dice di essere contro l’occupazione di Gaza e denuncia i crimini israeliani in Palestina, ma nessuno, a eccezione di pochi Paesi con limitato potere contrattuale (come il Belize nell’America Centrale, la Bolivia, la Colombia e il Cile nell’America Meridionale o la Slovenia in Europa), è deciso a fare qualcosa per fermare Tel Aviv. Un motivo per cui il genocidio palestinese continua è proprio questo: da quando Trump è salito alla Casa Bianca, gli Stati Uniti hanno aumentato ancora di più il proprio sostegno alle azioni dello Stato ebraico, mentre intanto i Paesi arabi e islamici e il resto delle potenze mondiali si limitano a rilasciare dichiarazioni o, nel migliore dei casi, prendono iniziative di facciata: il genocidio palestinese sta essendo trattato dalla maggior parte dei Paesi del mondo come una scomoda questione politica.

In questo, il caso dell’Egitto è esemplificativo: mentre condanna pubblicamente il «genocidio sistematico» del popolo palestinese, il presidente egiziano Al-Sisi ha infatti firmato un accordo dal valore di 35 miliardi di dollari per comprare gas da Israele, in un giacimento situato a 200 metri dalla costa di Gaza. Anche i vari annunci di riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dei Paesi europei viaggiano nella stessa direzione, essendo stati rilasciati sulla base delle promesse del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, che nella sostanza ha affermato di essere pronto a istituire uno Stato privo di sovranità; gli annunci europei, inoltre, non sono stati accompagnati da misure concrete volte a garantire che lo Stato di Palestina non si limiti a essere riconosciuto, ma che esista davvero. La lista di cose che gli Stati potrebbero fare per esercitare una reale pressione su Tel Aviv è interminabile: ratificare un embargo totale di armi, sospendere i trattati commerciali, sanzionare lo Stato e le entità che collaborano con il genocidio. Eppure, nessuno sembra intenzionato a farle.

Pakistan: uccisi 33 membri di milizie afghane

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Le forze di sicurezza pakistane hanno annunciato di aver ucciso 33 membri di milizie afghane che stavano cercando di attraversare il confine. Gli scontri sono avvenuti questa notte e sono stati annunciati oggi, venerdì 8 agosto. Le forze armate hanno annunciato di aver intercettato i movimenti dei miliziani, riuscendo a uccidere l’intero gruppo e a recuperare armi, munizioni ed esplosivi. L’esercito pakistano descrive i miliziani come forze «sponsorizzate dall’India». Dall’India non sembra sia arrivata una risposta alle accuse; in generale, Islamabad e Nuova Delhi si accusano spesso a vicenda di sostenere i gruppi armati attivi nei reciproci Paesi, smentendo l’una l’accusa dell’altra.

La “camorrizzazione” della mafia romana: come i clan si spartiscono gli affari

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A Roma la criminalità organizzata continua a esercitare un'enorme influenza, con clan di diversa origine e tipologia che si ripartiscono gli affari e grossi pezzi di territorio in nome di una “pax mafiosa” che vedrebbe come garante indiscusso il boss di Camorra Michele Senese. È quanto emerge dall'audizione tenuta da Lamberto Giannini, prefetto della Capitale, nell'aula della Commissione Parlamentare Antimafia a Palazzo San Macuto, lo scorso mercoledì 6 agosto, nonché da indagini e processi che stanno focalizzando l'attenzione sui movimenti criminali su Roma. Un territorio molto attrattivo per...

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Germania: annunciata sospensione dell’invio delle armi a Israele

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Il governo tedesco ha annunciato oggi, venerdì 8 agosto, la sospensione dell’invio di armi a Israele che potrebbero essere utilizzate a Gaza, incluse attrezzature militari, citando il piano del governo israeliano di occupare militarmente Gaza City. Questa decisione segue misure simili adottate da altri Paesi europei, come Spagna, Regno Unito e Slovenia. La Germania, seconda esportatrice di armi verso Israele dopo gli Stati Uniti, ha storicamente mantenuto un forte sostegno a Tel Aviv, che è però diminuito negli ultimi mesi. La sospensione rappresenta una svolta significativa nella politica estera tedesca verso Israele.

Il Mali piega le multinazionali dell’oro al suo nuovo codice minerario

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Alcuni grandi produttori di oro, tra cui la multinazionale quotata a Londra Endeavour Mining, hanno recentemente aderito al nuovo codice minerario del Mali, approvato dalla Nazione africana nel 2023 con lo scopo di sviluppare maggiormente l’economia del Paese. L’obiettivo del nuovo regolamento è convogliare maggiormente i guadagni provenienti dall’estrazione mineraria nelle casse dello Stato, riducendo allo stesso tempo le concessioni a favore delle grandi aziende straniere. Il Mali, tra i principali produttori di oro in Africa, ottiene così un risultato in netta contrapposizione con i dogmi liberisti e neocoloniali: imponendo alle multinazionali di unirsi allo Stato in società che ne controllino l’operato e a condividere effettivamente i profitti affinché le ricchezze del sottosuolo arricchiscano anche il Paese e non solo pochi azionisti. Una strada che si sta aprendo sempre più in Africa, a partire dalla regione più povera del Sahel, dove sempre più governi stanno tracciando nuove rotte per liberarsi dalle storiche catene imposte da poteri economici e politici di stampo coloniale

L’accordo con le società minerarie è stato annunciato alla televisione di Stato a fine luglio dal ministro delle Finanze Alousseni Sanou e dal ministro delle Miniere. Nello specifico, il memorandum d’intesa è stato siglato con Somika SA, di proprietà all’80% di Endeavour e al 20% dello Stato maliano, Faboula Gold e Bagama Mining, ma i termini dell’accordo non sono stati resti noti.

Le tre società rappresentano solo una parte della produzione aurifera del Mali. Faboula e Bagama hanno avviato la produzione nel 2021 con 500 chilogrammi ciascuna, ma tutte e tre sono rimaste per lo più inattive dopo l’entrata in vigore del codice minerario. Il direttore di Somika, Abdoul Aziz, ha reso noto che la costruzione di una nuova miniera della società «inizierà sei mesi dopo la firma dell’accordo e la produzione inizierà 18 mesi dopo», mentre il ministro delle Finanze maliano ha spiegato che «Somika ha un contratto di 10 anni e un fatturato annuo di 135 miliardi di franchi CFA (238,9 milioni di dollari). Bagama e Faboula hanno entrambe un contratto di cinque anni e un fatturato di 50 miliardi e 75 miliardi di franchi CFA», aggiungendo che ciascuna azienda creerà 2000 posti di lavoro.

Il nuovo regolamento sulla produzione, l’estrazione e la vendita di oro, opposto ai principi neoliberisti che limitano il ruolo dello Stato per favorire i privati, si inserisce in un contesto più ampio di decolonizzazione e sovranità che negli ultimi anni ha coinvolto la maggior parte degli Stati del Sahel. In questo quadro di rapidi cambiamenti, le società straniere iniziano a piegarsi alle nuove politiche socialiste e antimperialiste dei Paesi africani. Nello specifico, il nuovo codice adottato a partire da agosto 2023 consente al governo di acquisire una quota del 10% nei progetti minerari e di rilevare un ulteriore 20% entro i primi due anni di produzione commerciale. Inoltre, un’ulteriore quota del 5% potrebbe essere ceduta alla popolazione locale, portando la partecipazione statale e privata del Mali nei nuovi progetti al 35%, rispetto all’attuale 20%. Ma il regolamento ha anche abolito le tante esenzioni fiscali di cui godevano le compagnie minerarie straniere.

Secondo il ministro dell’Economia Alousseni Sanou e il ministro delle Miniere Amadou Keita, il nuovo regolamento garantirebbe ulteriori 500 miliardi di franchi CFA (803 milioni di dollari) all’anno per lo Stato e aumenterebbe il contributo del settore minerario all’economia fino al 20% del prodotto interno lordo, rispetto all’attuale 9%. Il governo maliano aveva annunciato la revisione del codice minerario dopo che un rapporto interno aveva mostrato come il Paese non ricevesse una giusta quota di profitti dall’attività mineraria. Ora, invece, il governo del Paese africano avrà la possibilità di sfruttare le competenze tecniche delle multinazionali per sviluppare il settore, trattenendo però buona parte dei profitti internamente e sviluppando così l’economia locale.

Il Mali, che è uno dei principali produttori d’oro dell’Africa, aveva cominciato a muoversi in questo senso già lo scorso gennaio, quando il governo aveva bloccato l’attività della canadese Barrick Gold, la seconda azienda mineraria più importante al mondo, nel sito di Loulo-Gounkoto, sostenendo che non rispettasse i termini di un contratto che prevedeva una redistribuzione più equa delle ricchezze estratte dalla cava per tutte le parti coinvolte. Tra i termini previsti, vi era proprio un aumento della quota statale dei benefici economici generati dal complesso minerario, secondo quanto previsto dal nuovo codice. Ma il Mali non è certo l’unico Stato del Sahel che si sta muovendo in questa direzione: recentemente, infatti, anche il Burkina Faso ha annunciato la nazionalizzazione delle miniere e ha avviato un processo più ampio di nazionalizzazione delle risorse naturali. Similmente, anche il Ghana ha cacciato le aziende straniere dal suo mercato dell’oro, ordinando di cessare la compravendita e l’esportazione del metallo prezioso e revocando le licenze di esportazione in vigore.

In generale, diversi Stati del Sahel sono accomunati dal medesimo sentimento antimperialista che negli ultimi anni ha portato all’attuazione di diversi colpi di stato nella regione per rovesciare i governi filoccidentali e sostituirli con giunte militari sovraniste e nazionaliste. In seguito ai golpe, in diversi Stati africani sono state cacciate le truppe europee, soprattutto quelle francesi, presenti sul territorio e si è dato avvio al processo di nazionalizzazione delle risorse naturali in una prospettiva chiaramente antiliberista. Protagoniste di questi sviluppi in direzione anticolonialista sono soprattutto Mali, Niger e Burkina Faso che hanno dato vita nel 2024 all’Alleanza degli Stati del Sahel, con l’intenzione di portare avanti un’agenda di decolonizzazione e di indipendenza rispetto alle influenze occidentali. Un obiettivo che queste nazioni stanno realmente perseguendo e di cui il nuovo codice minerario del Mali costituisce un esempio concreto.

USA, Ius soli: giudice federale blocca ordine esecutivo di Trump

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Una giudice federale del Maryland, Deborah Boardman, ha bloccato il decreto di Donald Trump che negava la cittadinanza ai bambini nati da genitori presenti illegalmente o temporaneamente negli USA. È la quarta decisione che annulla il tentativo di Trump di modificare lo Ius soli. L’ingiunzione preliminare di Boardman blocca l’ordine esecutivo a livello nazionale, ma la Corte Suprema ha annullato le sentenze inferiori, sottolineando che i tribunali federali non hanno l’autorità per emettere ingiunzioni a livello nazionale. La Corte non si è però espressa sul merito dello Ius soli, lasciando ai giudici distrettuali il compito di valutare i singoli casi.

Sono stati sviluppati i primi robot con metabolismo meccanico

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Non più solo intelligenti: ora sembra che i robot possano anche “crescere”, adattarsi e persino “guarire”. È quanto emerge da un nuovo studio condotto dai ricercatori della Columbia University, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Science Advances. Utilizzando una barra magnetica ispirata ai giochi di costruzione che può autoassemblarsi in strutture complesse e potenziarsi da sola, gli autori hanno annunciato lo sviluppo dei primi robot capaci di trasformarsi fisicamente, grazie a un processo definito “metabolismo meccanico” o “metabolismo robot”. Il tutto, inoltre, grazie al fatto che i coautori hanno dimostrato to come sia possibile costruire macchine in grado di assorbire e riutilizzare parti provenienti dall’ambiente o da altri robot per migliorare le proprie prestazioni. «La vera autonomia significa che i robot non devono solo pensare con la propria testa, ma anche sostenersi fisicamente», spiega il coautore Philippe Martin Wyder, aggiungendo che questa capacità potrebbe aprire la strada a ecologie robotiche autonome, pronte ad affrontare ambienti ostili senza intervento umano.

Fino a oggi, spiegano gli esperti, i robot hanno compiuto enormi progressi nelle loro “menti”, grazie a intelligenza artificiale e apprendimento automatico. D’altra parte, però, i loro corpi sono rimasti sostanzialmente rigidi, inerti e totalmente dipendenti dagli esseri umani per ogni riparazione, aggiornamento o adattamento. A differenza degli organismi biologici, infatti, i robot tradizionali non possono evolversi fisicamente e, se si rompe un pezzo occorre l’intervento umano, mentre se serve una modifica bisogna sostituire persino intere componenti in fabbrica. Per superare questo limite, quindi, i ricercatori del laboratorio Creative Machines della Columbia University hanno cercato ispirazione dalla natura, dove ogni essere vivente cresce, si adatta e si ripara usando moduli biologici fondamentali. Il risultato, spiegano, è un nuovo paradigma chiamato “Robot Metabolism”, in cui ogni robot è pensato come un sistema modulare capace di integrare elementi esterni come fossero amminoacidi biologici. «Alla fine, dovremo far sì che i robot facciano lo stesso: imparare a utilizzare e riutilizzare parti di altri robot», sottolinea Hod Lipson, direttore del laboratorio e coautore dello studio

In particolare, la dimostrazione pratica di questo concetto è avvenuta con il Truss Link, ovvero un elemento semplice ma straordinariamente versatile: si tratta di una barra dotata di connettori magnetici flessibili, capaci di espandersi, contrarsi e agganciarsi tra loro in molteplici configurazioni. I ricercatori hanno mostrato come questi moduli possano autoassemblarsi in forme bidimensionali e successivamente trasformarsi in robot tridimensionali. Ma non solo: una volta formate, le strutture robotiche possono evolversi, modificando la propria architettura per adattarsi all’ambiente. In un caso descritto nello studio, per esempio, un robot a forma di tetraedro ha sviluppato un ulteriore collegamento, simile a un bastone da passeggio, che gli ha permesso di scendere da un pendio con una velocità aumentata del 66,5%. Questo, secondo Wyder, dimostrerebbe che il metabolismo robotico «fornisce un’interfaccia digitale con il mondo fisico e consente all’IA di progredire non solo cognitivamente, ma anche fisicamente, creando una dimensione di autonomia completamente nuova». Le applicazioni future, concludono gli autori, potrebbero riguardare ambiti estremi, come l’esplorazione spaziale o il recupero in scenari di disastro, dove i robot devono operare senza manutenzione umana: «Alla fine non possiamo contare sugli esseri umani per prenderci cura dei robot. Devono imparare a prendersi cura di se stessi», conclude Hod Lipson.

Il Gabinetto di guerra israeliano ha approvato il piano d’occupazione di Gaza

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Secretary of State Antony J. Blinken meets with Israel's War Cabinet in Tel Aviv, Israel, January 9, 2024. (Official State Department photo by Chuck Kennedy)

All’alba di oggi, 8 agosto, al termine di una riunione durata circa dieci ore, il Gabinetto di guerra israeliano – ossia il vertice di governo ristretto che prende le decisioni militari – ha approvato la proposta del primo ministro Benjamin Netanyahu per invadere ed occupare militarmente Gaza. Il piano approvato prevede cinque punti: “il disarmo di Hamas; il ritorno di tutti gli ostaggi vivi o deceduti; la smilitarizzazione della Striscia di Gaza; il controllo di sicurezza israeliano nelle Striscia; l”istituzione di un’amministrazione civile alternativa che non sia né Hamas né l’Autorità Nazionale Palestinese”.

Il comunicato evita accuratamente di pronunciare la parola occupazione, ma la sostanza non cambia. Secondo quanto riferito dal media israeliano Harretz, il piano prevede l’occupazione militare del 25% del territorio di Gaza che ancora l’esercito israeliano non controlla, e che è proprio la parte in cui si trovano rifugiati gli oltre due milioni di palestinesi, in costante fuga dai crimini di guerra israeliani che hanno già ucciso oltre 60.000 persone. Entro la data rituale del 7 ottobre il piano israeliano prevede di aver sfollato la capitale della Striscia, Gaza City, all’interno della quale vivono circa 800.000 persone, e poi di occuparla per «eliminare tutti i membri di Hamas rimanenti». Secondo quanto precisato da Netanyahu sarà direttamente l’esercito israeliano ad occuparsi della gestione «umanitaria», distribuendo «assistenza alla popolazione civile al di fuori delle zone di combattimento». Significa evidentemente che non sarà consentito di operare né all’ONU, né alla Croce Rossa Internazionale, né ad alcuna organizzazione umanitaria.

Secondo quanto riferito da diversi media israeliani la riunione del Gabinetto di guerra è stata contraddistinta da aspre discussioni, specie a seguito delle rimostranze emerse da parte dei vertici dell’esercito israeliano, in parte contrari all’idea di invadere e occupare militarmente Gaza. Nelle strade di Tel Aviv durante la notte ci sono state anche le proteste di parte dell’opposizione e dei parenti degli ostaggi. Tuttavia la decisione è stata presa a maggioranza, sancendo la decisione israeliana di violare in maniera definitiva il diritto internazionale, dopo aver umiliato per ventidue mesi quello di guerra e quello umanitario al punto da doversi difendere presso la Corte di Giustizia Internazionale dall’accusa di genocidio e da avere il proprio primo ministro e due ministri colpiti da un mandato di arresto internazionale da parte della Corte Penale dell’Aja per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Con la decisione del Gabinetto di guerra Israele ha deciso di farsi beffe contemporaneamente di decine di risoluzione dell’ONU (a cominciare dalla numero 181, che nel 1948 assegnò la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est allo Stato di Palestina) e occupare militarmente una terra straniera con il pretesto dalla lotta al terrorismo.

Francia, domato il più grande incendio degli ultimi decenni

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Dopo aver bruciato più di 160 chilometri quadrati nel sud del Paese e aver causato una vittima e 13 feriti, il più grande incendio boschivo in Francia degli ultimi decenni è stato finalmente domato. Lo hanno riferito le autorità francesi. Il rogo è divampato martedì e ha devastato la regione dell’Aude, diffondendosi rapidamente a causa del clima caldo e secco. Le temperature più fresche durante la notte e i venti più calmi ne hanno rallentato l’avanzata e hanno permesso ai vigili del fuoco di procedere. L’incendio ha interessato 15 comuni della regione montuosa delle Corbières, distruggendo o danneggiando almeno 36 abitazioni.