L’ex Primo Ministro e leader dell’opposizione del Ciad, Succes Masra, è stato condannato a 20 anni di carcere con l’accusa di aver diffuso messaggi razzisti e xenofobi che incitavano alla violenza. La notizia è stata data dall’avvocato di Masra all’agenzia di stampa Reuters. Masra è un oppositore dell’attuale presidente Mahamat Idriss Deby, e tra gennaio e maggio del 2024 ha ricoperto la carica di premier ad interim proprio sotto la presidenza Deby. Le accuse contro di lui sono state avviate nell’ambito di una indagine riguardo a degli scontri verificatisi nella città di Mandakao nel maggio di quest’anno. Masra è stato condannato anche a pagare una multa di circa 1,5 milioni di euro.
Torture sui minori al carcere Beccaria: indagati in 42 tra agenti, ex direttori e medici
Si allarga e assume connotati a dir poco inquietanti l’inchiesta della magistratura sul carcere minorile Beccaria di Milano, rivelando un vasto sistema di presunti abusi ai danni dei giovani detenuti e di indicibili coperture. Con 42 indagati totali, tra cui tre ex direttori dell’istituto, agenti della polizia penitenziaria e operatori sanitari, l’ombra della violenza si estende su un’intera struttura, dove le sofferenze dei detenuti sarebbero state sistematicamente occultate da falsificazioni e omertà. A guidare le indagini i magistrati della Procura di Milano, che hanno richiesto l’incidente probatorio per raccogliere testimonianze cruciali di 33 vittime, all’epoca minorenni, e cristallizzare le loro dichiarazioni in vista di un possibile processo, in cui si ipotizza anche il reato di tortura.
Tra gli indagati spiccano i nomi di Cosima Buccoliero e Maria Vittoria Menenti, ex direttrici del Beccaria, accusate di aver omesso i loro doveri di controllo e vigilanza. Entrambe, insieme ad altri dirigenti e a tre operatori sanitari, sono accusate di non aver impedito i maltrattamenti e, anzi, di aver coperto le violenze perpetrate dai membri della polizia penitenziaria. Secondo gli inquirenti, infatti, «non esercitando i poteri di controllo, vigilanza, coordinamento agli stessi conferiti, omettevano di impedire le condotte reiterate violente e umilianti all’interno dell’Ipm Beccaria». Gli episodi di abuso sono descritti in dettaglio nelle carte dell’inchiesta. Nel periodo che va dal 2021 al 2024, i giovani detenuti sarebbero stati sottoposti a una serie di torture fisiche e psicologiche, con percosse, minacce e violenze sessuali. In un caso, un ragazzo di 16 anni, dopo aver tentato il suicidio, sarebbe stato picchiato con schiaffi e calci e successivamente rinchiuso in isolamento. In un altro episodio, un detenuto sarebbe stato ammanettato, picchiato e lasciato sanguinante nella cella di isolamento per dieci giorni, privo di cuscino, materasso e effetti personali. Più volte gruppi di agenti penitenziari prendevano di mira singoli detenuti, infliggendo loro brutali pestaggi. Uno degli aspetti più gravi dell’inchiesta riguarda i referti medici. Tre operatori sanitari sono accusati di aver redatto «referti falsi o concordati con gli agenti» per nascondere le lesioni subite dai detenuti. Questi medici e infermieri avrebbero anche assistito a molte delle aggressioni, senza mai intervenire o segnalarle. Le loro azioni sono descritte come una complicità che ha permesso a un clima di violenza sistematica di perdurare all’interno del carcere.
Le indagini, che si sono avvalse di intercettazioni telefoniche e di immagini provenienti dalle telecamere di sorveglianza interne, sono state avviate grazie alle denunce di psicologi, ex detenuti e familiari delle vittime. A far scattare le botte, raccontano le testimonianze, erano sovente motivi futili: tentativi di rivolta, lamentele, o anche il semplice non conformarsi all’ordine. Le aggressioni si consumavano spesso in stanze isolate, prive di telecamere, un ambiente perfetto per il perpetuarsi delle violenze. Le accuse formulate dai magistrati sono pesanti e vanno dalla tortura alle lesioni, dal falso alle violenze sessuali. La vicenda ha sollevato forti polemiche e indignazione, non solo per l’entità delle violenze, ma anche per l’incapacità (o peggio la complicità) delle autorità preposte alla gestione dell’istituto rispetto a tali azioni efferate.
Già nel 2024 erano stati contestati a decine di agenti penitenziari impiegati al Beccaria di Milano reati quali maltrattamenti, concorso in tortura e tentata violenza sessuale, con la disposizione per 13 di essi della custodia cautelare in carcere. A dare il via alle indagini erano state alcune segnalazioni, presentate anche dal Garante per i diritti delle persone private della libertà personale, ma anche le intercettazioni avvenute all’interno del carcere e le immagini delle telecamere di sorveglianza. L’istituto Beccaria di Milano era salito agli onori della cronaca nel dicembre del 2022, quando sette giovani erano riusciti a evadere dalla struttura. Già in quell’occasione erano emerse le forti problematiche interne all’istituto. Nonostante per anni sia stato considerato un modello assoluto da seguire in tutta Italia, le criticità al suo interno, da tempo denunciate dall’associazione per i diritti dei detenuti Antigone, sono numerose. Si tratta delle stesse che riguardano pressoché la totalità delle strutture carcerarie italiane: celle troppo piccole, sovraffollamento, mancanza di personale, carenza di attività rieducative efficaci.
Incendio Vesuvio, canadair in azione: «Fiamme vicino alle case»
Il vasto incendio divampato ieri, venerdì 8 agosto, nei boschi di Terzigno continua a bruciare il versante del Monte Somma nel Parco Nazionale del Vesuvio, ha raggiunto quota 1.050 metri e sta anche interessando i territori di Ottaviano. Lo riportano le autorità locali alla stampa, aggiungendo che le fiamme, alimentate da vento e alte temperature, sono state affrontate da dieci mezzi aerei e numerose squadre a terra, coordinate dalla Protezione Civile, che ha chiesto anche l’intervento dell’Esercito. Il sindaco Francesco Ranieri denuncia il sospetto dolo e parla di «ore terribili», mentre il presidente del Parco, Raffaele De Luca, esprime preoccupazione per il grave danno ambientale. Contemporaneamente, la Protezione civile regionale è intervenuta nello spegnimento di altri due incendi: uno a Mercato San Severino e un altro a Frasso Telesino.
Sono state riprodotte le prime reazioni chimiche avvenute dopo il Big Bang
Poco dopo il Big Bang, avvenuto 13,8 miliardi di anni fa, l’universo aveva già innescato le prime reazioni chimiche note, ma finora nessuno era riuscito a riprodurle in laboratorio. Ora, un team di ricercatori del Max-Planck-Institut für Kernphysik (MPIK) di Heidelberg è riuscito per la prima volta a ricreare la reazione che coinvolge lo ione considerato la molecola più antica dell’universo e l’ha descritta all’interno di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Astronomy & Astrophysics. Utilizzando un impianto unico al mondo e in grado di simulare le condizioni dello spazio profondo, gli autori hanno osservato particolari reazioni chimiche in condizioni simili a quelle dell’universo primordiale, scoprendo che, al contrario di quanto si pensava in precedenza, la velocità di tale processo rimane costante anche a temperature estremamente basse. «Questo risultato ci avvicina alla soluzione del mistero riguardante la formazione delle prime stelle», commentano i ricercatori.
Dopo il Big Bang, l’universo si trovava in uno stato di calore e densità estremi. Nei primi secondi, spiegano gli autori, si formarono i nuclei di idrogeno ed elio, ma ci vollero quasi 380.000 anni prima che questi elementi potessero legarsi a elettroni liberi formando atomi neutri in un processo chiamato ricombinazione, ovvero il processo con cui protoni ed elettroni si legano. Solo allora iniziarono le prime reazioni chimiche, in un’epoca nota come “età oscura” della cosmologia, in quanto lo spazio era trasparente ma privo di sorgenti luminose. Molecole semplici come HeH⁺ e l’idrogeno molecolare (H₂) furono essenziali per il collasso delle prime nubi di gas, che avrebbe portato alla formazione stellare. Infatti, continuano, a temperature inferiori a circa 10.000 °C, gli atomi di idrogeno non riuscivano più a dissipare calore in modo efficace, in quanto servivano molecole capaci di emettere energia anche attraverso rotazioni e vibrazioni. HeH⁺, grazie al suo pronunciato momento di dipolo – una proprietà elettrica che la rende particolarmente efficace nell’emissione o assorbimento di radiazione – era quindi uno dei migliori candidati per questo ruolo, influenzando direttamente l’efficienza della formazione stellare.
Tali ipotesi sono state indagate nel nuovo studio, nel quale i ricercatori del MPIK hanno utilizzato l’anello di accumulo criogenico (Cryogenic Storage Ring, CSR), un impianto unico al mondo in grado di simulare le condizioni dello spazio profondo. Gli ioni HeH⁺ sono stati mantenuti a -267 °C kelvin e sono stati fatti collidere con un fascio di atomi di deuterio – isotopo dell’idrogeno che contiene un protone e un neutrone nel nucleo – neutri, regolando le velocità relative per replicare le energie di collisione tipiche dell’universo primordiale. La reazione produceva uno ione HD⁺ e un atomo di elio neutro e, contrariamente alle aspettative teoriche, la probabilità della reazione non diminuiva alle basse temperature. «Le teorie precedenti prevedevano una significativa diminuzione della probabilità di reazione a basse temperature, ma non siamo stati in grado di verificarlo né nell’esperimento né nei nuovi calcoli teorici dei nostri colleghi», spiega il coautore Holger Kreckel, aggiungendo che l’analisi, condotta in collaborazione con il gruppo guidato da Yohann Scribano, ha identificato un errore nei modelli usati finora per descrivere questa reazione, portando a calcoli rivisti che ora concordano con i dati sperimentali. Poiché la concentrazione delle molecole analizzate ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita delle prime stelle, quindi, i ricercatori ritengono che questa scoperta rappresenti un passo importante per comprendere i processi chimici che hanno reso possibile la formazione dei primi astri nell’universo primordiale. «Poiché le concentrazioni di molecole come HeH⁺ e idrogeno molecolare hanno avuto un ruolo importante nella formazione delle prime stelle, questo risultato ci avvicina alla soluzione del mistero della loro formazione», concludono i coautori.
Calabria: le elezioni regionali saranno il 5 e 6 ottobre
In Calabria, le elezioni regionali si terranno domenica 5 e lunedì 6 ottobre prossimi: lo rivela il decreto di «Indizione delle elezioni del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale», pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione Calabria e firmato dal vicepresidente della giunta regionale. Il tutto segue le decisioni del Consiglio regionale che ieri aveva preso atto delle dimissioni dell’ex presidente Roberto Occhiuto, le quali hanno portato al congedo dei consiglieri e allo scioglimento dell’assise. «Saranno i calabresi a decidere il futuro della nostra Regione», scrive il vicepresidente regionale Filippo Pietropaolo sul sito ufficiale.
Il “fascismo liberale” come nuova ideologia dominante dell’era postmoderna
Slavoj Žižek, il filosofo sloveno annoverato tra i pensatori più influenti del secolo attuale, che ha fondato la sua personale elaborazione teoretica partendo dagli assunti di Lacan come strumenti per interpretare il contesto politico e sociale attuale. Come filosofo, analista politico e culturale ha prodotto una sterminata produzione di articoli e saggi. Ponte alle Grazie ha dato alle stampe una raccolta di articoli pubblicati tra il giugno del 2024 e l’aprile del 2025 su vari quotidiani, riviste cartacee e online che hanno per oggetto, come si evince chiaramente in modo lapalissiano dal titolo Trump e il fascismo liberale, la controversa figura dell’attuale presidente statunitense Donald Trump.
Fascismo liberale, sintagma creato ad hoc, che allude ad una caratteristica peculiare del nuova ideologia della destra mondiale, un tempo definita populista e oggi ormai al governo in molti Paesi, in cui associa la filosofia politica del fascismo a quello delle corporation/multinazionali d’oltreoceano. Partendo da questa definizione e facendo un ragionamento di tipo sillogistico, secondo Žižek Trump rappresenta da una parte il carattere liberale-liberista in cui auspica un libero mercato da qualsiasi tipo di vincolo giuridico e commerciale; dall’altra il fascismo, dato che lo stesso presidente Usa persegue obiettivi politici contraddistinti da una nuova forma di autoritarismo, tramite l’emanazione di ordini esecutivi dove viene sistematicamente eluso in toto il potere legislativo, andando quindi ad agire come un monarca assoluto. Potere presidenziale che si avvale anche della cancellazione di qualsiasi comportamento etico, antisessita e antirazzista.
Trump è un prodotto della società postmoderna, contraddistinta da valori contraddittori in cui la sua nuova grammatica ideologica, esposta con le esternazioni pubbliche che infrangono qualsiasi regola della comunicazione ed educazione. Proprio l’utilizzo del turpiloquio nel linguaggio è solamente una forma di “mistificazione sociale” e le stesse esibizioni volgari risultano essere ipocrite, perché fingono di interessarsi ai problemi dei comuni cittadini statunitensi, ma che di fatto fanno gli interessi ideologici e materiali degli ambienti affini alle big corporation al quale lo stesso Presidente Usa appartiene. Quindi, il suo comportamento contraddistinto da volgari dichiarazioni non è solamente un’esternazione di un ottuagenario, ma è un metodo pragmatico, definito dallo sloveno con il sintagma di strategia populista. Oramai è chiaro che questa tipologia di populismo trumpiano non è solamente un accidente della storia, come erroneamente lo stesso Žižek aveva ipotizzato in occasione della sua prima vittoria elettorale nel 2016, ma come egli stesso ammette, tramite un ragionamento e terminologia hegeliana, una necessità storica che caratterizza la società statunitense. Questo tipo di populismo è, per il Filosofo sloveno, imputabile ad una serie di cause: reazione da parte del ceto medio statunitense al fallimento dello Stato sociale; problema di carattere culturale dei ceti medi bassi degli Stati Uniti, dove quando una questione complicata viene posta con un linguaggio basato sull’ilarità, oscenità e una finta solidarietà le persone coinvolte sono disposte a ingoiare delle bugie, pur consapevoli di quanto gli sta venendo detto. Il problema è che di fronte a tali abusi gli stessi organi che hanno fondato la società liberale statunitense, come la stampa, si trovano in una fase di stasi. Infatti i media tradizionali non son più opinion maker a causa di un totale disinteresse intellettuale e apoliticismo in larghi strati della società statunitense, quest’ultima vittima di falsi stereotipi educativi dai media digitali, dove lo stesso Trump si fa il diretto mediatore con il singolo individuo tramite i suoi post diretti con la sua piattaforma personale, Truth.
Dal punto di vista della politica estera di Trump, Žižek sostiene che la sua linea si adatta alla concezione geopolitica dei paesi Brics, contraddistinta da una sfera d’influenza multilaterale dove solamente pochissimi Stati possono determinare la loro sfera d’influenza, limitando di fatto la sovranità sugli altri Stati confinanti. Tale connessione si adatta alla volontà retorica trumpiana nelle mire sul Canada, Groenlandia e Canale di Panama. Geopolitica trumpiana che viene posta in analogia al romanzo distopico 1984 di Orwell, dove le tre superpotenze: Oceania, Eurasia ed Estasia si spartivano il globo ed erano in perenne conflitto tra di loro.
Invece, per quanto concerne la politica economica statunitense, riprendendo le teorie economiche di Yanis Varoufakis, la strategia di Trump è quella di dare un nuovo corso dell’economia a stelle e strisce, che consiste nel trattare con ogni singolo Stato con l’obiettivo di aumentare la bilancia commerciale in favore degli Usa e contemporaneamente non intaccare i profitti che hanno gli Usa nell’esportazione.
Ma davanti a questi scenari che postura deve avere l’Unione Europea? La risposta dell’Intellettuale è chiara: l’Europa, per opporsi all’egemonia trumpiana, deve impedire che nascano monopoli dal punto di vista economico, pena la sopravvivenza della libertà di mercato. Quindi deve perseguire l’obiettivo di continuare ad avere un forte mercato regolamentato. un’altro punto importante è inerente l’annoso problema del settore dell’autonomia per quanto riguarda la difesa. Anche qui il giudizio è netto, senza molti giri di parole: l’Europa deve costruire un proprio esercito, sia in funzione antirussa e anche contro gli Stati Uniti, con lo scopo di emanciparsi «dall’ombrello nucleare» di questi ultimi. Investimenti militari in Europa, che non fanno parte di una nuova fase verso una deriva autoritaria, ma che invece può contribuire anche a produrre una spinta per una ripresa economica dal punto di vista della manifattura che attualmente si trova in una fase di declino sistemico.
Scrive Žižek, che il fenomeno del trumpismo non si concluderà quando uscirà di scena Trump, ma il suo posto potrà essere preso dall’attuale e vicepresidente J. D. Vance, suo erede diretto naturale. Se il primo ha una forma caricaturale di questa ideologia, il suo probabile successore invece risulta essere un «robot piatto, manipolatore e manipolato, creato e dominato da Peter Thiel» (quest’ultimo è l’anarco-imprenditore, colui che ha lanciato nel mondo della politica Vance). Al posto della forza buffonesca trumpiana, c’è la concreta possibilità che tra qualche anno si potrebbe dare l’avvio ad un regime oppressivo in modo palese.
Tuttavia, quanto enunciato dal Filosofo in merito la previsione di un futuro non molto prossimo di un totalitarismo a guida statunitense, il quale sembra adottare un carattere metodologico fondato su una concezione deterministica del corso degli eventi, non mettendo in conto una moltitudine di fattori, sia di natura interna, sia esterna agli Usa, che potrebbe scompaginare qualsiasi previsione. Resta il fatto dell’importanza che ha questa raccolta di articoli che può essere utile a delineare, in maniera critica, l’approccio teoretico di Žižek di fronte alla particolare contingenza storica.
Azerbaigian e Armenia firmano negli USA uno storico accordo di pace
Ieri sera, 8 agosto, l’Azerbaigian, l’Armenia e gli Stati Uniti hanno firmato un accordo storico a Washington, segnando un progresso nel processo di pace nel Caucaso meridionale. Il presidente azero Ilham Aliyev, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente statunitense Trump hanno partecipato a colloqui per risolvere il conflitto trentennale tra i due Paesi, culminato nel 2023 con l’esodo di 100mila armeni dal Nagorno-Karabakh. Trump ha convinto Pashinyan a permettere la creazione di un corridoio di 40 km, la “Trump Route for International Peace and Prosperity”, che collegherà l’Azerbaijan alla sua exclave di Nakhchivan. Non sono ancora noti i dettagli dell’accordo sui confini contesi.
Il 15 agosto ci sarà l’incontro tra Trump e Putin
Il prossimo 15 agosto, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump incontrerà il presidente russo Vladimir Putin in Alaska per discutere la fine del conflitto russo-ucraino. L’annuncio è stato dato da Trump tramite il suo social media Truth Social, in cui ha parlato di un incontro «attesissimo». Le autorità russe hanno confermato la data e l’oggetto del meeting, sottolineando la logica della scelta dell’Alaska come sede, data la vicinanza geografica tra i due Paesi. Piccata la reazione ucraina, con il presidente Zelensky che ha dichiarato l’inutilità di ogni accordo senza la partecipazione di Kiev. Si tratta del primo incontro di vertice tra un presidente statunitense e Putin dal 24 febbraio 2022, giorno dello scoppio del conflitto.
Mettendo piede in Alaska, Putin fa ritorno negli Stati Uniti per la prima volta da 10 anni. L’ultimo suo viaggio in terra USA risale al 2015, quando era ancora presidente Barack Obama. All’agenzia Interfax, il consigliere di Putin Yuri Ushakov ha dichiarato che «Russia e Stati Uniti sono vicini di casa, Paesi confinanti, e sembra del tutto logico che la nostra delegazione attraversi lo Stretto di Bering e che un incontro così importante e atteso si tenga in Alaska, aggiungendo che «il Cremlino si aspetta che, dopo l’Alaska, il successivo incontro tra i presidenti russo e statunitense si svolga in territorio russo», facendo riferimento a un invito che è «già stato esteso». Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha messo in guardia contro qualunque «decisione presa senza la presenza dell’Ucraina», ribadendo che gli ucraini «non abbandoneranno la loro terra agli occupanti». «Qualsiasi decisione presa contro di noi, qualsiasi decisione presa senza l’Ucraina, sarebbe una decisione contro la pace» e «non potrebbe funzionare», ha avvertito sui propri account social. «Tutti abbiamo bisogno di una pace vera e autentica, una pace che la gente rispetti», ha concluso.
Oltre ad avere chiesto la sospensione degli aiuti occidentali all’Ucraina e la fine dei tentativi di Kiev di aderire alla NATO, Putin ha ripetutamente affermato che qualsiasi accordo dovrà contemplare la rinuncia da parte ucraina ad alcuni dei territori che la Russia ha conquistato dal 2014. Kiev e i suoi alleati europei si oppongono invece da tempo a qualsiasi accordo che preveda la cessione a Mosca di territori occupati, tra cui Crimea, Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhia. Nelle ultime ore si è appreso che funzionari americani, ucraini e di diversi Paesi europei si incontreranno questo fine settimana nel Regno Unito per cercare di raggiungere una posizione comune prima dell’incontro tra i presidenti americano e russo.
Grecia ancora alle prese coi roghi: un morto e diverse case distrutte
Una persona è morta e numerose abitazioni sono state distrutte a causa di incendi boschivi che stanno interessando diverse zone della Grecia, tra cui la periferia meridionale di Atene e il Peloponneso, con particolare impatto su Archea Olympia. La vittima, un anziano di Keratea, è stato trovato senza vita nella sua abitazione. I recenti incendi, alimentati da forti venti e dalla stagione estiva, hanno costretto le autorità a emettere ordini di evacuazione in vari comuni dell’Attica orientale, tra cui Synterina, Dimolaki e Drosia. I vigili del fuoco stanno lottando per contenere le fiamme.
L’asse dei BRICS si rafforza per contrastare la guerra economica di Trump
Dopo che il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato negli ultimi giorni l’imposizione di tariffe commerciali nei confronti di India e Brasile, i Paesi colpiti dai dazi si stanno muovendo per rafforzare le loro relazioni politiche e economico-commerciali in funzione anti-USA. Il risultato è un consolidamento dell’asse dei BRICS, l’organizzazione politico-commerciale nata in prospettiva antioccidentale, i cui membri fondatori (Brasile, India, Cina, Russia e Sudafrica) si trovano nel mirino dell’amministrazione statunitense guidata dal Tycoon. Non solo il primo ministro indiano Narendra Modi ha avuto ieri un colloquio telefonico con il presidente brasiliano Lula per rafforzare i legami commerciali tra le due nazioni, ma l’India ha anche annunciato un «partenariato strategico» con la Russia «per creare un nuovo ordine mondiale più giusto e sostenibile». Allo stesso tempo, Nuova Delhi sta lavorando per coinvolgere in questo processo anche la Cina: secondo quanto riferito dal media economico Bloomberg, infatti, Modi parteciperà a un vertice del gruppo di sicurezza regionale guidato da Pechino – l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai – e terrà un incontro bilaterale con il presidente Xi Jinping a margine. Sebbene il colloquio telefonico e il viaggio in Cina di Modi fossero già stati programmati assumono un significato diverso alla luce dell’uso politico delle tariffe commerciali attuato da Trump.
Durante la conversazione telefonica, Lula e Modi hanno discusso l’imposizione unilaterale di dazi contro le loro nazioni. Il presidente brasiliano ha osservato che «il Brasile e l’India sono, ad oggi, i due paesi più colpiti» dai dazi statunitensi. I due capi di Stato hanno, dunque, concordato di espandere l’accordo commerciale dell’India con il Mercosur, l’unione doganale sudamericana che comprende anche il Brasile, e hanno discusso circa i sistemi virtuali di pagamento delle loro nazioni, tra cui il brasiliano Pix, attualmente sotto indagine commerciale da parte degli Stati Uniti. «Ci impegniamo ad approfondire il nostro partenariato strategico, anche in settori quali commercio, energia, tecnologia, difesa, salute e altro ancora. Un partenariato solido e incentrato sulle persone tra le nazioni del Sud del mondo è vantaggioso per tutti», ha scritto Modi sul suo account X. Durante la chiamata è stata inoltre confermata la visita di Lula in India prevista per il prossimo anno, secondo la dichiarazione del Brasile. La reazione del primo ministro indiano è la conseguenza della più grave crisi nelle relazioni tra Stati Uniti e India da quando Trump è tornato al governo.
Ma le mosse di Nuova Delhi – duramente colpita dai dazi di Trump che dovrebbero entrare in vigore alla fine di agosto – non si sono limitate a un approfondimento della cooperazione con il Brasile, ma hanno coinvolto anche la Russia. Durante i colloqui bilaterali sulla sicurezza tenutisi giovedì a Mosca, infatti, i due Paesi hanno sottolineato il loro impegno per un «partenariato strategico». All’evento si sono incontrati il consigliere per la sicurezza nazionale indiano Ajit Doval e il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Sergei Shoigu, sottolineando l’importanza delle relazioni tra i due Paesi. «Ci impegniamo a promuovere una cooperazione attiva per creare un nuovo ordine mondiale più giusto e sostenibile, garantire la supremazia del diritto internazionale e combattere insieme le sfide e le minacce moderne», ha dichiarato Shoigu a Doval in un commento televisivo. Da parte sua, secondo l’agenzia di stampa Interfax, Doval ha affermato che «Abbiamo ormai instaurato ottimi rapporti, a cui diamo molto valore, un partenariato strategico tra i nostri Paesi». Per quanto riguarda la Cina, invece, l’ambasciatore cinese in India, Xu Feihong, si è schierato esplicitamente dalla parte di Modi sulla questione delle tariffe commerciali che, secondo diversi osservatori, sono delle sanzioni mascherate. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, del resto, ha denunciato l’uso delle tariffe «come arma per sopprimere altri paesi».
India e Cina sono diventati i principali acquirenti di petrolio russo via mare da quando la Russia ha attaccato l’Ucraina nel 2022. Si tratta di uno dei motivi principali che ha indotto Donald Trump a imporre dazi complessivi del 50% all’India a partire dalla fine di agosto, applicando di fatto delle sanzioni secondarie mascherate. Lo stesso presidente statunitense non ha escluso di poter applicare le tariffe anche alla Cina. «Potrebbe succedere, non posso ancora dirvelo», ha detto Trump ai giornalisti, aggiungendo che «Lo abbiamo fatto con l’India. Probabilmente lo stiamo facendo con un paio di altri. Uno di questi potrebbe essere la Cina». Con queste dichiarazioni, il capo della Casa Bianca ha confermato che i dazi non sono una misura strettamente commerciale, bensì uno strumento politico per piegare le nazioni al volere di Washington. Di fatto, dunque, almeno da questo questo punto di vista, Trump sta continuando le politiche del suo predecessore Biden, che imponeva sanzioni a chiunque non si allineasse con la potenza a stelle e strisce contro Mosca. La stessa cosa è accaduta in Brasile, dove le tariffe doganali sono state imposte anche come ritorsione per il processo all’ex presidente Jair Bolsonaro, alleato politico di Trump.
Tuttavia, la tattica del tycoon di applicare tariffe al mondo per imporre le sue condizioni agli Stati e rallentare così il declino egemonico di Washington non sta facendo altro che consolidare e rafforzare i legami politici e commerciali del cosiddetto Sud globale, rappresentato dai BRICS, blocco che si è espanso rapidamente negli ultimi anni. Il risultato sembra un’accelerazione verso la formazione di nuovi equilibri politici e commerciali globali indipendenti dal polo occidentale.








