giovedì 15 Maggio 2025
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Trump intende rimuovere gli USA da ogni aiuto di cooperazione e alla “eguaglianza marxista”

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A una settimana dall’insediamento di Donald Trump, stanno già arrivando i primi tagli alla spesa pubblica. L’Ufficio di Gestione e Bilancio della Casa Bianca (OMB) ha emesso una nota in cui ordina la sospensione temporanea di «tutta l’assistenza finanziaria federale», paralizzando potenzialmente una vasta gamma di programmi federali. A venire coinvolti sembrano essere progetti e attività che potrebbero essere implicati da uno qualsiasi degli ordini esecutivi del presidente, che vanno dai programmi di diversità e inclusione a quelli di assistenza per i migranti. L’iniziativa prevede tagli per un valore totale di circa 3 mila miliardi di dollari, ma è stata temporaneamente congelata da un giudice federale; a causa dell’eccessiva confusione generatasi dopo la sua pubblicazione, il governo ha revocato il memorandum, ma la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha specificato che l’ordine rimane in vigore. Nel frattempo, la Casa Bianca ha annunciato un’analoga sospensione dei finanziamenti per la cooperazione internazionale USAID; questo provvedimento dovrebbe garantire il risparmio di oltre 70 miliardi di dollari, con un possibile fermo generalizzato di tutti i programmi di assistenza estera in fase di approvazione, a esclusione di quelli in Israele e in Egitto.

I tagli alla spesa assistenziale interna prevedono uno stop ai finanziamenti per quello che la Casa Bianca definisce «avanzamento di eguaglianza marxista». L’ordine esecutivo, di preciso, istituisce una pausa temporanea nei programmi legati agli altri ordini del presidente, con lo scopo di dare alle agenzie il tempo di stabilire se l’assistenza finanziaria è conforme alle politiche stabilite da Trump e alla legge degli USA. I programmi coinvolti, sosteneva il memorandum poi abrogato, costituiscono il 30% della spesa assistenziale federale. Essendo il contenuto del documento vago e generalizzato, la Casa Bianca ha pubblicato una nota di domande e risposte (Q&A) per fugare ogni possibile dubbio. Eppure, anche il Q&A è vago, scritto per slogan e contraddittorio. Esso elenca generici obiettivi, quali quello di «proteggere il popolo americano dall’invasione», che sembrano suggerire che a venire minati saranno programmi di assistenza per i migranti, piani di diversità e inclusione, progetti di tutela delle persone transgender, e piattaforme legate alle politiche ambientali e all’energia rinnovabile. Tuttavia, in un passo si legge che «qualsiasi programma che offra vantaggi diretti ai singoli individui non è soggetto alla pausa» e non risulta chiaro se questo includa anche le persone affette dai programmi che l’ordine esecutivo intenderebbe bloccare: una cosa è infatti fermare i finanziamenti ai programmi, un’altra l’assistenza agli individui che non passa dalle piattaforme. Quando passa alla spiegazione di questo punto, il Q&A parla esplicitamente di Medicaid, assistenza alla casa, e finanziamenti alla produzione agricola, senza invece citare migranti, transgender e individui inclusi nei programmi per i quali è stata istituita la pausa.

Vista la confusione creatasi, la Casa Bianca ha deciso di revocare il memorandum, sostituendone l’intero contenuto con un più sintetico «se avete domande contattate il consigliere generale della vostra agenzia». Leavitt ha inoltre dichiarato in maniera piuttosto limpida che la scelta di ritirare il memorandum non comporta «una rescissione del congelamento dei finanziamenti federali». In sede di conferenza stampa, la stessa Leavitt ha confermato che la pausa dovrebbe riguardare i programmi destinati a persone transgender e migranti. La decisione di tagliare le spese federali è stata sin da subito oggetto di critiche da parte di attivisti umanitari e politici democratici. Poco prima della sua entrata in vigore, che era fissata per il pomeriggio del 27 gennaio, un giudice federale ha bloccato temporaneamente l’ordine. La sospensione amministrativa, motivata da una causa intentata da gruppi no-profit che ricevono fondi federali, durerà fino al pomeriggio di lunedì 3 febbraio; la mattina dello stesso giorno è infatti prevista un’udienza in tribunale per esaminare la questione.

Analogamente a quanto successo con il provvedimento sui sovvenzionamenti federali, anche l’annuncio dello stop agli aiuti tramite l’agenzia USAID ha generato caos e confusione, paralizzando diversi programmi. L’ordine esecutivo risale a lunedì 20 gennaio e stabilisce che «nessuna ulteriore assistenza estera venga erogata se non pienamente in linea con la politica estera del Presidente degli Stati Uniti». Il decreto, di preciso, istituisce una pausa di 90 giorni nell’assistenza allo sviluppo estero degli Stati Uniti per gli stessi motivi per cui sono stati fermati gli aiuti federali, ossia per lasciare spazio a una «valutazione dell’efficienza programmatica e della coerenza con la politica» – questa volta estera – «degli Stati Uniti». Esso è diretto a tutti i nuovi obblighi, ai fondi di assistenza allo sviluppo verso Paesi stranieri, alle organizzazioni non governative e alle organizzazioni internazionali. Il decreto dispone che le revisioni dei programmi vengano ordinate dal dipartimento responsabile e dai capi delle agenzie secondo le linee guida fornite dal segretario di Stato, dando un ampio margine di manovra a Rubio. Il segretario, di preciso, ha ordinato il fermo di tutti i programmi che non coinvolgono Egitto e Israele.

Dalla Birmania alla Thailandia, i programmi di aiuto di tutto il mondo hanno vissuto un attimo di terrore, senza capire se il 20 gennaio segnasse la fine dei finanziamenti statunitensi. In un primo momento, il fermo alle sovvenzioni sembrava coinvolgere progetti assistenziali di diversa natura, dai fondi per l’AIDS a quelli di assistenza ai rifugiati, e molteplici ONG e associazioni umanitarie hanno criticato aspramente l’iniziativa. Il Segretario Generale dell’ONU, Guterres, ha espresso «preoccupazione» per la manovra e chiesto ulteriori proroghe per i programmi umanitari più critici. Successivamente, tuttavia, Rubio ha disposto una deroga – di cui il Washington Post ha ottenuto una bozza – all’ordine, dichiarando che le forme di «assistenza salvavita» come medicine e servizi medici di base, cibo, alloggio, e tutti i costi associati per fornire tale assistenza non saranno soggetti alla pausa; non è tuttavia ancora chiaro quali programmi rientrino tra le piattaforme «salvavita». Una nota a margine va fatta per l’Ucraina, dove la situazione sembra particolarmente incerta. Un funzionario ucraino ha confermato al Financial Times che non ci sarà alcuna interruzione degli aiuti militari da parte degli Stati Uniti, ma sul destino delle altre piattaforme non si hanno ancora notizie. Ieri, riporta il Kiev Indipendent, il presidente Zelensky ha ordinato ai propri funzionari di redigere un elenco dei programmi che verranno affetti dall’iniziativa statunitense, dopo non essere riuscito a rispondere a una domanda sul tema postagli in conferenza stampa.

[di Dario Lucisano]

Svezia, 1,2 miliardi all’Ucraina

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Il ministro della Difesa svedese ha dichiarato che il Paese erogherà un pacchetto di aiuti per l’Ucraina del valore di 13,5 miliardi di corone svedesi (circa 1,23 miliardi di dollari). Il pacchetto di aiuti è il diciottesimo della Svezia dallo scoppio della guerra ed è uno dei più grandi approvati finora. Secondo quanto riferito dal ministro, il governo starebbe ora negoziando con produttori svedesi ed europei per fornire a Kiev attrezzature prioritarie, come artiglieria e droni.

Cisgiordania: è in vigore il divieto israeliano all’UNRWA di operare a Gerusalemme Est

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A partire da oggi entra in vigore l’ordine di Israele di cessare tutte le operazioni dell’Agenzia ONU per i Rifugiati Palestinesi (UNRWA) a Gerusalemme Est. L’ultimatum era stato lanciato lo scorso 26 gennaio, quando Tel Aviv ha emesso l’ordine di sgombero di tutti gli edifici e ridotto la durata dei visti per la permanenza del personale internazionale sul posto. Per l’UNRWA, questo rappresenta una «contraddizione con gli obblighi di diritto internazionale degli Stati membri delle Nazioni Unite». Negli scorsi mesi, Israele aveva ripetutamente accusato l’Agenzia di impiegare personale direttamente coinvolto negli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 e in associazioni terroristiche, senza tuttavia mai fornire prove a supporto di queste teorie. Lo scorso ottobre, sono state approvate dalla Knesset due leggi che, se verranno applicate, impediranno all’UNRWA di avere contatti con le autorità israeliane e di entrare a Gaza e nel resto dei Territori Occupati.

Secondo quanto affermato dall’UNRWA, le affermazioni del governo israeliano in base alle quali l’Agenzia non avrebbe il diritto di occupare i locali a Gerusalemme sono «prive di fondamento», in quanto «le proprietà e i beni dell’UNRWA, anche a Gerusalemme Est, sono immuni da perquisizioni, requisizioni, confische, espropri e qualsiasi altra forma di interferenza». Israele, infatti, è firmatario della Convenzione generale sui privilegi e le immunità dell’ONU, che lo obbligano a «rispettare i privilegi e le immunità delle Nazioni Unite, compreso il rispetto dei locali». «Il governo di Israele ha dichiarato pubblicamente che l’obiettivo di liberare i locali dell’UNRWA a Sheikh Jarrah è quello di espandere gli insediamenti illegali israeliani nella Gerusalemme Est occupata» ha dichiarato l’Agenzia.

Il portavoce dell’UNRWA, Jonathan Fowler, ha dichiarato che il mandato dell’Agenzia, che è rimasto invariato per decenni, non cesserà le operazioni. Tuttavia, «gli impatti pratici e l’incertezza significano che le nostre operazioni potrebbero essere sostanzialmente influenzate». A partire da ieri mattina, il personale internazionale dell’Agenzia che operava a Gerusalemme Est ha dovuto evacuare e trasferirsi ad Amman, in Giordania, dopo che il governo israeliano ha ridotto la durata dei loro visti per la permanenza sul posto. Il personale nazionale, invece, potrà rimanere, ma con i rischi che ne conseguono – tra i quali le violente proteste israeliane, che durante la guerra di Gaza (dove 270 membri del personale sono stati uccisi dagli attacchi israeliani) avevano già comportato attacchi incendiari e violenze contro gli uffici dell’Agenzia.

L’UNRWA, che opera da oltre 70 anni in Palestina, costituisce un unicum nella galassia di agenzie e fondi delle Nazioni Unite, in quanto è la sola a dedicarsi ad un gruppo etnico specifico e delimitato. Il mandato che ne sancisce l’esistenza viene rinnovato ciclicamente, in quanto essa rappresenta per i palestinesi una garanzia in merito all’esistenza di un qualche diritto di ritorno alle proprie terre, sancito dalla Risoluzione 194 del 1948. Da anni Netanyahu chiede lo smantellamento dell’Agenzia, proprio perchè essa permette la trasmissione dello status di rifugiato da una generazione all’altra, mantenendo un vita la questione del destino dei rifugiati palestinesi anche per chi non ha subito in prima persona l’esodo del 1948. In caso di cessazione definitiva del lavoro dell’UNRWA, la questione dei rifugiati palestinesi passerebbe sotto la gestione dell’UNHCR (l’Agenzia ONU per i Rifugiati), il cui mandato mira all’integrazione dei migranti nel Paese di destinazione e non al ritorno verso le terre di origine.

La presenza dell’UNRWA è fondamentale ora più che mai in Cisgiordania, in quanto, dopo il cessate il fuoco a Gaza, le forze militari israeliane stanno intensificando le operazioni nel resto dei Territori Occupati: sono decine i palestinesi arrestati o uccisi a Jenin, Tulkarem e altre località, altrettanti quelli arrestati. Nel frattempo, proseguono a fatica le operazioni di scambio di prigionieri tra le due parti: questa mattina, sette ostaggi di Hamas sono stati rilasciati, mentre è stata ritardata la liberazione dei 110 ostaggi palestinesi da parte di Israele. Netanyahu ha dichiarato che questi dovrebbero essere rilasciati alle 17, ora locale, in quanto era necessario che Hamas offrisse garanzia che in futuro gli ostaggi saranno rilasciati “in sicurezza”.

[di Valeria Casolaro]

Commissione Europea: 1 miliardo per progetti UE nella Difesa

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In un comunicato la Commissione Europea ha reso noto di avere adottato il quinto programma di lavoro annuale del Fondo europeo per la difesa (Edf), stanziando oltre 1 miliardo di euro per progetti di ricerca e sviluppo collaborativi nel settore della difesa. All’interno della nota si legge che, con il piano per il 2025, la Commissione «sblocca importanti finanziamenti aggiuntivi» al fine di sostenere lo sviluppo di tecnologie e capacità di difesa critiche. 100 milioni di euro verranno stanziati per ogni settore critico, come il combattimento a terra, la lotta spaziale, aerea e navale, la transizione ambientale e la resilienza energetica.

Terra dei Fuochi, la CEDU condanna in via definitiva l’Italia per i rifiuti tossici

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La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha pronunciato una sentenza storica contro l’Italia, riconoscendo la responsabilità dello Stato nella gestione del disastro ambientale della Terra dei Fuochi. La Corte ha infatti stabilito che l’Italia ha violato gli obblighi di protezione della popolazione locale, non adottando misure adeguate contro l’inquinamento da rifiuti tossici che ha compromesso la salute di milioni di cittadini. I giudici hanno evidenziato che le autorità erano consapevoli dello smaltimento illegale di rifiuti, spesso orchestrato da gruppi di criminalità organizzata, ma non sono intervenute con la necessaria tempestività. Secondo il verdetto, emesso in via definitiva, l’Italia ha ora due anni per adottare misure concrete: elaborare un piano efficace contro l’inquinamento, implementare controlli autonomi e rendere accessibili ai cittadini le informazioni sui rischi ambientali e sanitari.

La sentenza nasce dal ricorso “Cannavacciuolo e altri contro Italia”, presentato da 41 cittadini di Napoli e Caserta e cinque associazioni, che denunciavano l’inerzia dello Stato di fronte a una situazione nota da decenni. Nello specifico, la Cedu ha riscontrato la violazione dell’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutela il diritto alla vita, e dell’articolo 8, relativo al rispetto della vita privata e familiare. «Lo Stato italiano non ha risposto alla gravità della situazione con la diligenza e la rapidità richieste, nonostante fosse a conoscenza del problema da molti anni», ha scritto la Corte, riconoscendo un rischio per la vita «sufficientemente grave, reale e accertabile» qualificabile come «imminente». «Data l’ampiezza, la complessità e la gravità della situazione, era necessaria una strategia di comunicazione completa e accessibile, per informare il pubblico in modo proattivo sui rischi potenziali o reali per la salute e sulle azioni intraprese per gestire tali rischi. Questo non è stato fatto. Anzi, alcune informazioni sono state coperte per lunghi periodi dal segreto di Stato», hanno messo nero su bianco i giudici. Nel verdetto, la Corte fa riferimento a una serie di autorevoli rapporti – tra i quali quelli pubblicati dall’OMS e da The Lancet Oncology – in cui si fa riferimento al «disastro ambientale paragonabile solo alla diffusione della peste nel XVII secolo», dove il territorio campano viene inquadrato come «la pattumiera d’Italia» e «un ricettacolo di rifiuti di ogni genere». Un inferno ambientale iniziato circa quaranta anni fa, quando la Camorra cominciò a sversare rifiuti tossici industriali ed ospedalieri di mezza Italia nelle periferie di Napoli e Caserta.

Nel 2023, in seguito a forti pressioni da parte dei cittadini, sono stati finalmente diramati i dati, aggiornati al 2018, del Registro Tumori Asl Napoli 2 nord, che delineano un quadro assolutamente allarmante. Confermando che gli abitanti della provincia del capoluogo campano registrano la più bassa aspettativa di vita alla nascita, il report evidenzia nel periodo 2010-2018 un’incidenza statisticamente assai significativa delle patologie neoplastiche nel Distretto di Acerra (Napoli). I dati rilasciati certificano, in particolare, un eccesso di incidenza e mortalità per cancro per quasi tutti i tumori noti, ovvero quello del polmone, della mammella, della vescica, del colon-retto, del fegato e delle vie biliari, dei linfonodi, della tiroide, dello stomaco e del pancreas. Come spiegato da Antonio Marfella, Presidente dell’Associazione Medici per l’Ambiente di Napoli, l’incidenza e la mortalità per cancro nei distretti esaminati risulta parallela non alla concentrazione demografica o alla deprivazione dei singoli comuni nei distretti, ma, ha «alla vastità e disponibilità di aree demaniali (sversamento di rifiuti tossici) e industriali ASI (sversamento in loco di rifiuti industriali prodotti in regime di evasione fiscale)».

La Campania non è l’unica porzione di territorio intaccata da queste vicende. Lo testimonia, ad esempio, la drammatica realtà ambientale del Salento, che registra un tasso di mortalità per tumori tra i più alti d’Italia. Le cause risiedono nell’interramento di rifiuti tossici, un fenomeno avviato negli anni Ottanta con un decreto d’urgenza e poi gestito dalla criminalità organizzata, in particolare dal clan dei Casalesi in collaborazione con la Sacra Corona Unita. L’inquinamento del suolo e delle falde acquifere rappresenta una minaccia crescente, aggravata dall’omertà e dall’assenza di interventi di bonifica. Tuttavia, l’interesse economico legato al turismo impone il silenzio su questa emergenza ambientale.

[di Stefano Baudino]

A Barcellona è stata sgomberata l’Antiga Massana, luogo simbolo della resistenza cittadina

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A Barcellona la politica degli sgomberi non vede battute d’arresto. Nella giornata del 28 gennaio, i locali dell’Antiga Massana, luogo simbolo della resistenza cittadina e sede del Sindicat de l’Habitatge del Raval (Sindacato della Casa), nel quartiere del Raval, sono stati sgomberati dalle forze dell’ordine senza alcun tipo d’avvertimento. A pochi minuti dalle prime luci del mattino, vari camion della Policía Nacional e dei Mossos d’Esquadra si sono recati negli spazi occupati dell’Antiga Massana per effettuare uno sgombero dei locali e di tutti i materiali che per anni hanno garantito aiuto al quartiere e alla resistenza popolare del Raval. Alcuni mesi fa soltanto, più di dodicimila persone avevano partecipato ad una manifestazione in difesa dello spazio e contro il tentativo di riacquisizione dello stesso da parte del governo della città. Difatti questo luogo, di proprietà del Comune, ha ospitato storicamente l’Accademia delle Belle Arti, per poi rimanere vuoto nel 2017 dopo lo spostamento di quest’ultima nell’edificio adiacente. 

Dal 2020 varie entità del quartiere si sono così installate nei locali vuoti, altrimenti destinati alla distruzione con il fine di unire due strade, e hanno dato vita ad una vera e propria comunità, attenta alle necessità popolari, al diritto alla casa e al contrasto della speculazione immobiliare, tanto privata, quanto pubblica.

«La situazione sta gradualmente precipitando, si nota la differenza tra En Comù e il Partido Socialista Catalán». Con queste parole iniziava l’intervento di una rappresentante del Sindicat de Habitatge del Raval nel novembre del 2022. «Per anni abbiamo difeso le persone vulnerabili dagli sgomberi, adesso rischiamo di essere sgomberati anche noi», ed è ciò che è accaduto a distanza di due anni.

Non appena sono iniziati a circolare i video delle camionette di Policía e Mossos D’Esquadra raggiungere la piazza e le forze dell’ordine fare irruzione all’interno dell’Antiga Massana, il tam tam mediatico della rete sindacale è stato immediato. «Tothom cap a la plaça Gardunya a defensar els espais de la clase treballadora! (Tutti verso la piazza Gardunya a difendere gli spazi della classe lavoratrice)» riportava alle 8 la pagina X dell’Antiga Massana. In pochi minuti svariati manifestanti si sono riversati verso la piazza, imbattendosi però nei cordoni degli agenti schierati in assetto antisommossa. Fin da subito la situazione è stata drammatica. Le cariche della polizia contro i manifestanti hanno causato più di cinquanta feriti, alcuni hanno riportato ferite alla testa. 

[Foto di Armando Negro]
Le pattuglie, dispiegate tra le anguste vie del quartiere, delimitavano l’accesso alla piazza, finendo per accerchiare le centinaia di manifestanti tra Plaça del Canonge Colom, Carrer de l’Hospital e Carrer de la Junta de Comerç. Poco prima delle ore 10, un camion con tutti i materiali di proprietà del Sindacato e della comunità attiva nell’Antiga Massana ha lasciato la zona, dinanzi all’incredulità dei presenti. Nonostante lo sgombero fosse quindi effettivamente concluso, la polizia ha bloccato l’accesso alla zona per le successive tre ore, caricando a più riprese i manifestanti intenti a rientrare negli spazi occupati. «Sono sotto shock, ho preso varie manganellate alle gambe. Non so cosa dire, sono senza parole» mi confida una ragazza seduta a terra mentre applica del ghiaccio sulle ferite alle ginocchia. La vicinanza con il famoso Mercat de la Boqueria fa sì che anche qualche turista si imbatta, spaesato, nella calca.  «Nei locali non c’era nessuno» mi racconta una signora attiva nella comunità di quartiere «abbiamo visto le foto e i video della polizia e ci siamo precipitati. Ormai avranno finito, non capisco perché continuano a colpirci. L’unica cosa che mi viene da pensare è che questi spazi non dovrebbero essere mai lasciati incustoditi». Mentre una ventina di agenti, seguiti da una decina di camionette, contingenta Carrer de l’Hospital, la folla di manifestanti innalza cartelli di protesta. «Desnonament Il.legal» (Sgombero illegale), «L’Antiga Massana es queda al barri» (L’Antiga Massana resta al quartiere) si può leggere tra la folla, mentre si levano cori contro Jaume Collboni, sindaco della città. Altri manifestanti si appellano alle forze dell’ordine, spiegando che il progetto di levare spazi alla cittadinanza per arricchire gli investitori immobiliari, si ritorcerà anche contro di loro. La frustrazione, la rabbia e l’incredulità tra i manifestanti è concreta, molte persone siedono accovacciate sui marciapiedi, in lacrime, mentre le più anziane provano a consolarle.

[Foto di Armando Negro]
Verso le 13 il gruppo di manifestanti abbandona gradualmente le strade delimitate, dopo aver organizzato una manifestazione per la sera stessa, alle ore 19.30, nell’adiacente Rambla del Raval. Oltre ai feriti, la rappresentanza del sindacato fa noto che cinque persone sono state detenute dalle forze dell’ordine.

Più di diecimila persone, secondo gli organizzatori, hanno invaso le strade del Raval per protestare contro lo sgombero della Massana, confluendo dalle sedi dei sindacati situati nei vari quartieri della città. Ancora una volta, però, le forze dell’ordine hanno impedito lo svolgimento della manifestazione, bloccando i manifestanti con varie cariche lungo Carrer del Carme. Come riportato dalla stessa organizzazione, la manifestazione ha avuto fine intorno alle 22.30, a causa della rinnovata violenza operata dalle forze dell’ordine contro le persone manifestanti.

Lo sgombero dell’Antiga Massana è un vero e proprio fulmine a ciel sereno nella resistenza popolare della città. Questa settimana, infatti, l’attenzione dei vari sindacati era tutta rivolta verso il giudizio che avrà luogo giovedì mattina, 30 gennaio, di due manifestanti arrestati proprio durante uno sgombero, nel 2020. I due rischiano dodici anni di carcere. Lo stesso giorno, inoltre, avrà luogo una grande manifestazione contro l’annunciato sgombero, previsto per il 31, della Casa Orsola, un grande spazio occupato nel quartiere dell’Eixemple. 

[Foto di Armando Negro]
La politica vive la vicenda con un celato imbarazzo. Durante lo sgombero della Massana un rappresentante del partito En Comù-Podem, compagine dell’ex sindaca Ada Colau, venuto per esprimere la propria vicinanza alla causa, è stato respinto dai manifestanti e accusato di essere parte integrante del problema, insieme ai vari partiti che hanno portato nel corso degli anni a questa situazione. Difatti, per quanto il partito di Colau provi ad intercettare le istanze dei sindacati per il diritto alla casa, questi ultimi vedono proprio nella passata legislatura l’inizio di una politica, che ha trovato in Collboni e nel Partito Socialista Catalano il perfetto prosecutore. Sgomberare senza avvertimento l’Antiga Massana è chiaramente una prova di forza da parte del Comune di Barcellona, che, nonostante le promesse del sindaco di non rinnovare e successivamente vietare le licenze turistiche dal 2028, continua imperterrito una politica di favore nei confronti di speculatori e gruppi d’investimento stranieri, protetto dagli interessi della Generalitat (il governo della Comunità catalana) e del Governo nazionale di Pedro Sánchez. Soltanto pochi giorni fa, il ministro dell’Industria e del Turismo ed ex sindaco di Barcellona Jordi Hereu ha vantato la cifra record di 94 milioni di turisti in Spagna durante l’anno 2024, vedendo possibile il raggiungimento di 100 milioni per il 2025.

A pochi metri dalle turistiche Ramblas, ieri mattina una cinquantina di persone sono rimaste ferite dagli scontri con la polizia, per difendere uno spazio del quartiere e per il quartiere. L’Antiga Massana, simbolo della resistenza cittadina, è stata sgomberata; ma la forza e il coraggio di chi lotta per far sì che Barcellona rimanga a chi la abita, non si ferma qui.

[Foto e testo di Armando Negro]

Caso Almasri: Parlamento bloccato fino al 4 febbraio

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La vicenda del capo della polizia giudiziaria libica Al-Masri ha scatenato uno scontro tra opposizioni e governo, sfociato in un blocco dei lavori delle aule fino a martedì 4 febbraio. Dopo la comunicazione di iscrizione nel registro dei reati pervenuta alla Presidente del Consiglio Meloni, ai ministri Nordio, Piantedosi e al sottosegretario di Stato Mantovano, è stata rinviata l’informativa dei ministri sulla vicenda. In segno di protesta, le opposizioni hanno deciso di fermare i lavori di Camera e Senato fino alla prossima convocazione dei capigruppo, sostenendo che non si può andare avanti con la normale attività parlamentare prima che venga fatta chiarezza su quanto accaduto.

Il governo ha impugnato la legge sarda per normare l’eolico

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Il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro per gli Affari regionali Calderoli, ha deciso di impugnare la legge sarda sulle aree idonee alle energie rinnovabili, che individua come non idonea ai nuovi impianti eolici e fotovoltaici buona parte del territorio regionale. Il provvedimento, voluto dalla Sardegna per contrastare la speculazione eolica e fotovoltaica, è stato contestato dall’esecutivo poiché violerebbe tre articoli della Costituzione. Sin dalla sua emanazione, diverse aziende della filiera energetica avevano contestato la legge, giudicandola costituzionalmente illegittima e troppo radicale nella selezione delle aree catalogate come non idonee, malgrado i cittadini sardi chiedessero che venisse fatto di più; la legge Todde, denunciano, non bloccherebbe molti degli impianti già attivi e, di fatto, garantirebbe una scappatoia per edificare anche sulle aree non idonee. Sul tema della legittimità si era espressa anche la Corte Costituzionale nell’ambito dei ricorsi accolti contro l’autonomia differenziata, precisando che l’energia non è una materia delegabile alle Regioni.

Il Governo ha deciso di impugnare la legge sulle aree idonee perché eccederebbe le «competenze statutarie, ponendosi in contrasto con la normativa statale ed europea in materia di energia, beni culturali e paesaggistici». Di preciso, le disposizioni della legge Todde violerebbero «gli articoli 117, primo comma, secondo comma, lettera m) e s), e terzo comma, della Costituzione, nonché i principi di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, di certezza del diritto e del legittimo affidamento e di libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 della Costituzione». L’articolo 117 della Costituzione stabilisce le materie esclusive dello Stato e quelle concorrenti con le regioni. Di preciso, il Consiglio dei ministri contesta alla legge di entrare in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» e di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali». Secondo quanto contestato dal Governo sulla base dell’articolo 117, inoltre, l’energia costituirebbe materia esclusiva in quanto di interesse strategico e nazionale.

Il Governo ha impugnato la legge Todde anche sulla base dei principi di uguaglianza stabiliti dall’articolo 3, che affida alla Repubblica il compito di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». La norma viene infine impugnata anche in materia di libertà di iniziativa economica, che, secondo l’articolo 41, «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Sulla base di questi articoli della Costituzione, il Governo contesta, tra le altre cose, gli articoli della legge Todde che individuano le aree idonee. Criticato anche lo stesso concetto di area “idonea” e “non idonea”, che, secondo il Consiglio, non possono essere stabiliti sulla base di «una qualificazione aprioristica, generale e astratta», bensì «dall’esito di un procedimento amministrativo che consenta una valutazione, in concreto, delle inattitudini del luogo, in ragione delle relative specificità». Giudicati incostituzionali, infine, i criteri di individuazione delle aree non idonee, che sarebbero in contrasto con il principio comunitario dell’interesse pubblico.

La legge “aree idonee” sarda individua le aree della regione in cui si può – e quelle in cui non si può – costruire impianti alimentati da fonti di energia rinnovabile (i cosiddetti “impianti FER”), distinguendoli per categoria (eolico, fotovoltaico, termodinamici…) e taglia (piccola, media e grande). Approvata a inizio dicembre 2024 tra le proteste dei cittadini, è stata fortemente voluta dall’amministrazione Todde, ma contestata da diversi comitati locali. Questi, assieme a oltre 210.000 cittadini, hanno firmato e consegnato la proposta di legge di iniziativa popolare “Pratobello” che, contrariamente alla legge “aree idonee”, bloccherebbe definitivamente gli impianti non ancora autorizzati o completati e consegnerebbe nelle mani della Regione la gestione di questi progetti. Malgrado la consegna delle firme, la legge è stata momentaneamente accantonata e in Regione è stata discussa solo la legge Todde.

[di Dario Lucisano]

USA, collisione tra elicottero militare e aereo di linea: 67 dispersi

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Alle 3, ora italiana, a Washington DC, un elicottero militare e un aereo di linea regionale dell’American Airlines si sono scontrati, cadendo nel fiume Potomac, a circa 4 chilometri dalla Casa Bianca. A bordo dell’aereo erano presenti 64 persone, di cui 60 passeggeri, mentre sull’elicottero volavano 3 militari. Le operazioni di soccorso stanno andando avanti da ore, ma le condizioni delle persone coinvolte sono ancora ignote. Ignote anche le cause dello scontro.

Perù, il sostegno economico alle comunità indigene funziona contro il disboscamento

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In Perù è stato avviato un progetto pilota di trasferimento incondizionato di denaro alle popolazioni indigene dell'Amazzonia. L'obiettivo è aiutare a sostenere le famiglie che si rivolgono ad attività forestali non sostenibili o illegali a causa dell'insicurezza economica ed alimentare. Secondo l'ultima valutazione interna al progetto, l'iniziativa sembra funzionare e alcune comunità hanno già smesso di praticare attività distruttive della natura. La necessità di un "reddito di base per la conservazione" per le comunità che vivono in prossimità di aree sensibili e ricche di biodiversità è anc...

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