lunedì 12 Maggio 2025
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Migranti, riprende il trasferimento in Albania

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Questa mattina, la nave della marina italiana Cassiopea è partita da Lampedusa per portare in Albania 49 migranti recentemente sbarcati in Italia. A dare la notizia è il Viminale, che ha aggiunto che «altri 53 migranti hanno presentato spontaneamente il proprio passaporto per evitare il trasferimento». I migranti dovrebbero arrivare in Albania martedì. Quello di oggi rappresenta il terzo tentativo da parte del governo di trasferire i migranti in Albania, dopo che i giudici hanno ordinato di fare rientrare in Italia i primi due gruppi di migranti inviati in Albania.

200 prigionieri palestinesi liberati, Israele cerca di impedire i festeggiamenti

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RAMALLAH, PALESTINA OCCUPATA – Sono duecento i prigionieri palestinesi rilasciati nel pomeriggio di ieri, 25 gennaio, in cambio delle quattro soldatesse arrestate da Hamas il 7 ottobre scorso in una delle basi militari che sorvegliavano la frontiera con Gaza. Sedici dei detenuti politici palestinesi liberati sono stati trasferiti all’ospedale europeo di Khan Younis (Gaza), mentre 114 sono arrivati a bordo di due pullman al Ramallah Entertainment Complex. Gli ex-prigionieri scesi dai bus indossano ancora la tuta grigia delle carceri israeliane, molti portano cicatrici visibili sul volto e sulla nuca. Tutti appaiono fragili e magri. Alcuni mostrano evidenti difficoltĂ  a camminare, e numerosi indossano guanti di plastica blu, probabilmente a causa di un’infezione da scabbia, malattia utilizzata come metodo di tortura nelle prigioni di Tel Aviv. Nelle “democratiche” carceri israeliane appaiono aver subito condizioni detentive peggiori di quelle riservate da Hamas alle soldatesse israeliane liberate poche ore prima. Ad aspettarli c’erano centinaia di persone, tra parenti, amici e cittadini desiderosi di esprimere solidarietĂ . Tra loro c’è R., che sta aspettando il rilascio di suo cugino. «Sono troppo felice, grazie Gaza – dice a L’Indipendente – mio cugino sta venendo rilasciato dopo sette anni di prigione. Ne avrebbe dovuti fare 17», afferma. Non riesce a trattenere la gioia e ha quasi le lacrime agli occhi. «Hanno impedito ai suoi genitori di venire, li hanno bloccati a Beita. Ma noi siamo qua». «Grazie Gaza – ripete – grazie per quello che ha fatto per tutti noi».

C’è felicitĂ , euforia, la folla spinge impazzita quando i bus appaiono all’orizzonte, scortati dai militari palestinesi. Molti avevano ergastoli sulle spalle, con decenni davanti da passare in galera. Il piĂą giovane ha 16 anni. Dei duecento palestinesi liberati 70 non passeranno di qua, sono quelli maggiormente importanti dal punto di vista politico, in quanto leader della resistenza. A loro è stato imposto l’esilio e sono stati direttamente deportati in Egitto senza poter riabbracciare le famiglie. Ancora non è chiaro quale sarĂ  la loro destinazione finale, ma probabilmente potranno vivere in Egitto, Qatar, Turchia o Algeria. Tra gli esiliati c’è Mohammed al-Tous, il “decano” dei prigionieri della Cisgiordania occupata, arrestato nel 1985 e rilasciato oggi dopo 39 anni di prigione. Zakaria Zubeidi, invece, leader molto amato delle Brigate di resistenza del campo rifugiati di Jenin – oggi al sesto giorno di violento assedio da parte delle IDF – protagonista della Seconda intifada oltre che di una spettacolare fuga dalle prigioni israeliane pochi anni fa, non è ancora stato rilasciato.

Una folla gremita ha accolto gli ex-prigionieri tra cori e slogan, sventolando bandiere palestinesi, di Fatah (il partito di Abu Mazen, al governo dell’AutoritĂ  Palestinese), del Fronte Popolare (FPLP) e del Fronte Democratico (FDPL). Tuttavia, a differenza della settimana scorsa, erano poche le bandiere di Hamas. Infatti, se alla liberazione delle 90 donne e minorenni palestinesi, avvenuta sabato 18, le bandiere verdi dominavano la scena, ieri l’ANP di Abbas ha voluto dimostrare di avere il controllo sull’evento, facendo sì che i simboli di Hamas non fossero ben accetti.

Mentre a Tel Aviv migliaia di israeliani si sono potuti riunire per accogliere le soldatesse rilasciate, l’esercito israeliano ha cercato di impedire le manifestazioni di gioia dei palestinesi in onore dei propri detenuti politici. Secondo quanto riferito da diversi cittadini palestinesi, militari dell’IDF e dello Shin Bet hanno telefonato alle famiglie dei detenuti e hanno visitato le loro case, mettendoli in guardia da celebrazioni pubbliche. Una fonte militare afferma che le truppe hanno sgomberato un tendone nel villaggio di al-Mughayyir, che doveva essere usato per festeggiare il rilascio di uno dei prigionieri, e che dopo un corteo tenutosi a Kafr ‘Aqab – Gerusalemme Est – le truppe di Tel Aviv sono arrivate per disperdere l’assembramento e hanno invaso la casa del prigioniero appena rilasciato. Nelle prossime settimane dovrebbero venire lentamente rilasciati tra i 1000 e i 2000 prigionieri palestinesi, in cambio dei restanti ostaggi israeliani.

[testo e foto di Moira Amargi – corrispondente dalla Palestina]

Sudan, attaccato un ospedale nel Darfur Settentrionale: 70 morti

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PiĂą di settanta persone sono morte e altre decine sono rimaste ferite a seguito di un attacco aereo nella regione sudanese del Darfur Settentrionale. A dare la notizia è il capo dell’Organizzazione Mondiale della SanitĂ , che ha lanciato un appello perchĂ© cessino gli attacchi contro operatori e strutture sanitarie nel Paese. Il governatore del Darfur, Mini Minnawi, ha attribuito la responsabilitĂ  dell’attacco alle Forze di Supporto Rapido. Dal 15 aprile 2023, il Sudan è teatro di violenti scontri tra l’esercito regolare e il movimento paramilitare delle Forze di Supporto Rapido; il conflitto ha causato milioni di sfollati e decine di migliaia di morti.

In Repubblica Democratica del Congo i ribelli sono ormai alle porte della capitale

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Sempre di piĂą vicino lo scontro tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo. La milizia ribelle M23, sostenuta dal Ruanda, è riuscita negli ultimi 10 giorni a circondare la capitale regionale del Nord Kivu, Goma. Con la morte, avvenuta ieri, del governatore militare del Nord Kivu, l’M23 sta preparando l’assalto alla cittĂ  dove vivono piĂą di due milioni di persone. La comunitĂ  internazionale si dice preoccupata per il peggiorare delle condizioni umanitarie della popolazione civile e riporta che dall’inizio dell’anno sono state sfollate 400.000 persone.

La settimana scorsa con roboanti dichiarazioni il portavoce dell’esercito della Repubblica Democratica del Congo, Guillaume Ndjike Kaiko, affermava che «I ribelli dell’M23 sono stati fermati dalle Forze armate della RDC e sono stati respinti quasi ovunque». Una dichiarazione che sembrava presagire una nuova fase della devastante guerra nelle ricche regioni orientali della Rdc, ma così non è stato. All’inizio di questa settimana infatti la milizia ribelle M23 sostenuta, secondo diverse indagini di Nazioni Unite, Stati Uniti e Congo, dal Ruanda ha sferrato una pesante offensiva riconquistando diverse posizioni perse nelle regioni ricche di minerali del  Nord e Sud Kivu, arrivando a una ventina di chilometri dalla capitale del Nord Kivu, Goma. La cittĂ  è un polo regionale per il commercio affacciata sul lago Kivu e il suo aeroporto è fondamentale per il trasposto degli aiuti umanitari. Nei lunghi anni di instabilitĂ  della regione, Goma è stata rifugio per milioni di persone in fuga dalle violenze. Oggi conta due milioni di abitanti molti dei quali vivono negli enormi campi profughi alla sua periferia. Il governatore provinciale del Sud Kivu, Jean-Jacques Purusi, ha confermato martedì la perdita di Minova, cittĂ  chiave sulla rotta di approvvigionamento per Goma, aggiungendo che i ribelli hanno catturato anche le cittĂ  minerarie di Lumbishi, Numbi e Shanje, come riporta Al-jazeera. 

Mercoledì sono iniziati gli scontri anche a Sake, fondamentale città  nel Nord Kivu, portando l’M23 a poco piĂą di di 20 chilometri dalla capitale regionale. La battaglia per la conquista di Sake sembrerebbe continuare e ancora non ci sono notizie certe su chi abbia il pieno controllo della cittĂ . É di ieri la notizia dell’uccisione del governatore del Nord Kivu, il generale Peter Chirimwani, al comando del governo provinciale dal 2023 quando la regione è stata posta sotto legge marziale. Il generale pare che giovedì abbia fatto visita ai soldati sulla linea del fronte dove è stato ferito per poi morire ieri in un ospedale di Kinshasa dove era stato trasferito d’urgenza. La missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite in Congo, MONUSCO, ha affermato che la sua artiglieria pesante ha fatto fuoco contro le posizioni dell’M23 a Sake nelle ultime 48 ore e ha riposizionato le sue forze in punti strategici per rafforzare il suo dispiegamento a Goma e nei dintorni. 

Con l’avvicinarsi della battaglia, negli ultimi 10 giorni, almeno 180.000 persone sono scappate da Goma, fuggitivi che si aggiungono ai piĂą 230.000 sfollati registrati dall’inizio del nuovo anno dalle Nazioni Unite. Il panico è esploso tra la popolazione quando si sono iniziati a sentire i colpi di artiglieria sempre piĂą vicini e si sono visti arrivare centinaia di civili feriti che, arrivati dai villaggi vicini, sono stati portati all’ospedale centrale della cittĂ . 

«Stiamo scappando, ma non sappiamo dove stiamo andando perchĂ© ovunque le bombe ci seguono» ha raccontato ad Ap David Kasereka mentre saliva in sella a una vecchia moto con in braccio un bambino di 3 anni. A causa dei duri scontri e bombardamenti che stanno avvenendo alla periferia della cittĂ , molti civili hanno deciso di rifugiarsi nel centro della capitale regionale, «I pesanti bombardamenti hanno costretto le famiglie di almeno nove insediamenti di sfollati nella periferia di Goma a fuggire in cittĂ  per cercare sicurezza e riparo» ha affermato ieri Matthew Saltmarsh, portavoce dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). 

A causa dello scontro tra Repubblica Democratica del Congo e del Ruanda dall’inizio dell’anno sono state sfollate 400.000 persone

«La popolazione di Goma ha sofferto molto, come altri congolesi», ha detto un portavoce dell’M23, Lawrence Kanyuka,  giovedì su X. «L’M23 è in viaggio per liberarli e devono prepararsi ad accogliere questa liberazione». Parole che però non trovano riscontro nei racconti dei civili in fuga dalle cittĂ  conquistate, che parlano di stupri uccisioni sommarie e arruolamento nella milizia di giovani e giovanissimi. 

L’M23 è uno dei piĂą di 100 gruppi armati che si contendo il controllo delle miniere e delle vie commerciali nel Congo orientale. Nata il 23 marzo del 2009, l’M23 è formata da soldati di etnia tutsi che iniziarono la prima avanzata verso Goma, per poi conquistarla e tenerla per qualche settimana, nel 2012. Rimasta dormiente per un decennio, nel 2022 la milizia ha ricominciato a minacciare le regioni orientali della Rdc, riuscendo, negli ultimi 10 giorni, a conquistare piĂą territorio di quanto non avesse fatto negli ultimi due anni e mezzo. Secondo indagini indipendenti delle Nazioni Unite e non solo, la milizia è sostenuta logisticamente e numericamente dal Ruanda. Kigali ha sempre negato queste accuse anche se ha ammesso la presenza di truppe e postazioni missilistiche ruandesi sul suolo congolese. La motivazione del dispiegamento di questi effettivi è sempre stata la difesa dei confini del Ruanda soprattutto dalle milizie hutu che dopo essersi macchiate del genocidio ruandese sono fuggite in Congo. 

Ormai però è chiaro il sostegno all’M23 che ha come missione quella di  prendere il controllo delle maggiori cittĂ  e miniere della regione, per poi contrabbandare i minerali in Ruanda. «Gli studi hanno da tempo evidenziato il contrabbando di risorse dal Congo al Ruanda», ha affermato Ladd Serwat, analista senior per l’Africa presso l’Armed Conflict Location & Event Data Project. «I funzionari congolesi accusano sempre piĂą il Ruanda di volere il controllo sulle risorse della regione e di voler annettere parti del Congo». Nei territori sotto il suo controllo l’M23 implementa il proprio sistema fiscale, gestisce un governo locale e controlla le risorse naturali.

Milizie dell’M23

La tensione e gli scontri non sono mai stati così gravi come lo sono ora, e la paura che le cose possano degenerare in una vera e propria guerra regionale non è poi così improbabile. Mercoledì infatti il portavoce del governo di Kinshasa, Patrick Muyaya, ha dichiarato a France24 che la guerra con il Ruanda «è un’opzione da considerare». Un’eventualitĂ  che inasprirebbe la giĂ  gravissima crisi umanitaria che vede piĂą di 7 milioni di sfollati interni e centinaia di migliaia di morti che si aggiungono ai milioni di morti che il Congo orientale ha collezionato dalla fine della trentennale dittatura di Mobutu Sese Seko nel 1998. Anche il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, giovedì sera ha condannato duramente la rinnovata offensiva dell’M23, affermando che «questa offensiva ha un impatto devastante sulla popolazione civile e ha aumentato il rischio di una guerra regionale piĂą ampia». Per lunedì è stata convocata una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza dell’Onu per affrontare la crisi congolese. Chiesta da Kinshasa e sostenuta dalla Francia la convocazione della riunione ha lasciato spazio a delle critiche da parte del governo congolese che per voce del suo ministro degli Esteri, ThĂ©rèse Kayikwamba Wagner, ha criticato l’inattivitĂ  del Consiglio di Sicurezza dell’ONU affermando che «questa crisi è soprattutto il risultato dell’inazione del Consiglio, nonostante l’internazionalizzazione del conflitto e le prove evidenti della presenza ruandese sul suolo congolese». 

[di Filippo Zingone] 

Treni, rischio disagi: sciopero di 24 ore

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Weekend a rischio per chi deve viaggiare il 25 e 26 gennaio: è stato proclamato uno sciopero nazionale del personale del Gruppo FS, il quale durerĂ  24 ore e partirĂ  alle ore 21:00 di oggi, sabato 25 gennaio, per finire alle 21:00 di domenica, anche se gli effetti in termini di cancellazioni e ritardi potrebbero estendersi anche prima e dopo l’orario ufficiale. Previsti possibili disagi con cancellazioni totali e parziali di Frecce, Intercity e treni regionali. Alcuni treni a lunga percorrenza sono comunque garantiti e Trenitalia ha offerto la possibilitĂ  di rimborso o riprogrammazione dei viaggi a seconda dei casi.

Marte: raccolte le prove dell’esistenza passata di acqua liquida e poco profonda

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Su Marte, circa 4 miliardi di anni fa, non solo l’acqua esisteva, ma scorreva libera e senza ghiacci a coprirla formando laghi poco profondi sotto un’atmosfera abbastanza densa da sostenerne la presenza: è quanto emerge dal lavoro eseguito da un team internazionale di ricercatori, i quali hanno dettagliato i loro risultati all’interno di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Science Advances. Gli scienziati, grazie all’utilizzo del rover Curiosity della NASA, hanno individuato due serie di antiche increspature delle onde perfettamente conservate, le quali rappresenterebbero una prova diretta di acque stagnanti e poco profonde, aperte al vento e all’aria marziana. Gli autori hanno spiegato che la ricerca aggiunge evidenza ad un quesito decennale e suggerisce che le condizioni per l’acqua liquida e potenzialmente per la vita microbica siano durate piĂą a lungo di quanto ipotizzato in precedenza: «La scoperta delle increspature delle onde è un importante progresso per la scienza paleoclimatica di Marte. Stiamo cercando queste caratteristiche da quando i lander Opportunity e Spirit hanno iniziato le loro missioni nel 2004», ha commentato John Grotzinger coautore e scienziato dell’Istituto di Tecnologia della California.

L’acqua su Marte è sempre stata un elemento di grande interesse scientifico. Fin dagli inizi delle missioni marziane, infatti, i ricercatori hanno cercato prove di antichi ambienti acquatici. I primi indizi risalgono al 2004, con i lander Opportunity e Spirit che identificarono increspature create dall’acqua scorrente. Tuttavia, c’era un problema: non era chiaro se queste acque si fossero mai accumulate in laghi o mari. Nel 2014, il rover Curiosity della NASA fece un primo passo avanti, scoprendo prove di antichi laghi di lunga durata anche se, spiegano i ricercatori, il mistero della loro copertura da ghiaccio continuava a persistere. Ora però, grazie ai modelli computerizzati creati dall’esperto e coautore Michael Lamb e ai dati raccolti sul campo nel cratere Gale, si è giunti a un’ulteriore svolta: sono state scovate increspature risalenti a 3,7 miliardi di anni fa, alte solo circa 6 millimetri e distanziate tra loro di 4 e 5 centimetri, le quali secondo i ricercatori dimostrano che, almeno in alcuni momenti storici, l’acqua stagnante era esposta all’aria, in assenza di ghiaccio, indicando un clima piĂą caldo e umido di quanto si pensasse per quell’epoca.

Le increspature sono state studiate e analizzate a lungo visto che sono state scoperte nel 2022 in due siti distinti del cratere: il primo, chiamato Prow, localizzato in un’antica area di dune spazzate dal vento, mentre il secondo, nella fascia rocciosa Amapari Marker, indicherebbe secondo gli esperti un lago poco profondo, con acqua di circa 2 metri di profonditĂ . Gli scienziati, infatti, hanno spiegato che il particolare modo con cui queste increspature si sono formate – grazie all’azione delle onde spinte dal vento – forniscono vincoli chiari sulla profonditĂ  e sull’estensione dell’acqua, limitando gli scenari possibili a quelli dedotti dai coautori: «La forma delle increspature può essersi formata solo sott’acqua esposta all’atmosfera e influenzata dal vento. Estendendo la durata della presenza di acqua liquida si estendono le possibilitĂ  di abitabilitĂ  microbica piĂą avanti nella storia di Marte», ha commentato la coautrice Claire Mondro. «La scoperta delle increspature delle onde è un importante progresso per la scienza paleoclimatica di Marte. Stiamo cercando queste caratteristiche da quando i lander Opportunity e Spirit hanno iniziato le loro missioni nel 2004. Le missioni precedenti, a partire da Opportunity nel 2004, hanno scoperto increspature formate dall’acqua che scorreva sulla superficie dell’antico Marte, ma non era certo se quell’acqua si fosse mai accumulata per formare laghi o mari poco profondi. Il rover Curiosity ha scoperto prove di antichi laghi di lunga durata nel 2014 e ora, 10 anni dopo, Curiosity ha scoperto antichi laghi privi di ghiaccio, offrendo un’importante panoramica sul clima primordiale del pianeta», ha commentato John Grotzinger coautore e ricercatore dell’Istituto di Tecnologia della California.

[di Roberto Demaio]

Colombia, avviata offensiva militare al confine venezuelano

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In Colombia è iniziata un’offensiva contro i guerriglieri dell’Esercito di Liberazione Nazionale, impegnati in scontri per il controllo del Catatumbo, al confine con il Venezuela. Lo hanno riportato il ministro della Difesa colombiano Ivan Velásquez e l’Agence France-Presse, rendendo noto che sono stati dispiegati piĂą di 9.000 soldati supportati dall’artiglieria pesante per indebolire il gruppo armato e proteggere la popolazione civile. Solo nel 2025, secondo quanto riportato, il conflitto ha provocato circa 80 morti e 38.000 sfollati e gravi attentati che il presidente Gustavo Petro ha definito “crimini di guerra”. «C’è giĂ  stato un primo combattimento e l’ordine è di impadronirsi del territorio», ha riferito Velásquez ai media.

Rimpatri scenici e soldati alle frontiere: è iniziato il piano anti-migranti di Trump

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A soli quattro giorni dall’insediamento del presidente Trump, il programma di deportazione di migranti è iniziato. L’operazione è stata annunciata con un post su X condiviso dalla stessa Casa Bianca, in cui l’amministrazione presidenziale mostra un’immagine che ritrae nove migranti incatenati in fila indiana mentre salgono su un aereo militare. «Promesse fatte, promesse mantenute. I voli di deportazione sono iniziati», si legge in sovraimpressione sulla foto, in riferimento alle dichiarazioni del presidente durante la campagna elettorale. L’appariscente operazione ha interessato circa 150 migranti provenienti dal Guatemala, rispediti nel loro Paese di origine a bordo di due voli militari separati. I piani della Casa Bianca prevedono di rimpatriare migliaia di persone, e di annullare il programma di accoglienza dei migranti in fuga dell’era Biden. Per farlo, il presidente ha giĂ  mosso i primi passi per rafforzare il confine con il Messico, inviandovi truppe militari e annunciando uno stato di emergenza nazionale, con l’obiettivo di  portare avanti una tanto drastica quanto vistosa operazione di repressione dell’immigrazione.

La scenica operazione ha destato parecchio clamore, sia tra i sostenitori di Trump che tra i suoi critici. La natura tanto d’impatto della foto suggerisce che, almeno in questo primo momento, l’intento primario sia proprio quello di fare rumore: per quanto sia stata delineata una bozza del programma di rimpatri, infatti, non è ancora chiaro quanto costerĂ , quante persone coinvolgerĂ , come verranno deportate, nĂ© se i Paesi di origine saranno disposti ad accoglierle. In questi giorni, i media stanno parlando di una prima fase che dovrebbe interessare circa 5.000 migranti, ma il piano intero potrebbe arrivare a coinvolgere centinaia di migliaia di persone: se dovesse prevedere un volo militare ogni 80 individui, il programma risulterebbe particolarmente oneroso. A sottolineare la possibile natura propagandistica di questi primi interventi di Trump, arriva anche il decreto con cui il presidente ha abolito lo ius soli; l’ordine risultava piĂą che altro di natura simbolica perchĂ© essendo il diritto di cittadinanza per nascita garantito dalla Costituzione, non era possibile che potesse venire confermato senza passare da una revisione della Carta fondamentale. Esso, infatti, è giĂ  stato sospeso.

Le operazioni di rimpatrio, inoltre, non sono così austere e lineari come l’immagine dei migranti incatenati potrebbe far pensare. Mentre i 160 detenuti erano in volo verso il Guatemala, sembrerebbe che il Messico abbia rifiutato un’analoga richiesta di atterraggio da parte dell’amministrazione statunitense. La fallita operazione di rimpatrio verso il Paese confinante è stata citata da diversi media e confermata in almeno due occasioni da funzionari anonimi tanto degli USA quanto del Messico, ma non è apparsa su fonti ufficiali. La questione messicana è probabilmente quella per cui Trump, sin dai suoi primi decreti presidenziali, si è mosso in maniera piĂą celere e decisa: il primo giorno di lavori, il tycoon ha firmato un ordine per escludere il diritto d’asilo per le persone appena arrivate alla frontiera meridionale e uno in cui dichiara l’attraversamento irregolare del confine con il Messico un’emergenza nazionale, sbloccando così piĂą finanziamenti per contrastare il fenomeno senza passare dall’approvazione del Congresso. Il presidente ha inoltre varato un ordine per designare i cartelli del narcotraffico e altre organizzazioni come “organizzazioni terroristiche straniere” e ha inviato 1.500 soldati al confine per «sigillare la frontiera».

Parallelamente, il presidente si è mosso per fermare la piattaforma di accoglienza promossa dalla precedente amministrazione Biden. Il programma, introdotto all’inizio del 2023, consentiva ai migranti provenienti da Cuba, Nicaragua, Haiti e Venezuela di volare negli Stati Uniti se soddisfacevano alcuni criteri. I migranti che entravano nel programma potevano restare fino a due anni, a meno che non trovassero altri modi per restare a lungo termine. Secondo il New York Times, alla fine dello scorso anno, piĂą di 500.000 migranti erano entrati nel Paese grazie a questa iniziativa. Trump ha inoltre bloccato il funzionamento della piattaforma su app per gestire gli appuntamenti con CBP One, anch’essa lanciata da Biden.

[di Dario Lucisano]

Medioriente, nuovo scambio di ostaggi e prigionieri

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Oggi avrĂ  luogo il nuovo scambio di ostaggi e prigionieri tra Hamas e Israele, che prevede il rientro di 200 detenuti palestinesi e 4 ostaggi israeliani. L’approvazione dello scambio da parte di Israele non è avvenuta senza frizioni, perchĂ© prevede la liberazione di quattro donne soldato, ma nelle mani di uno dei gruppi palestinesi dovrebbe esserci ancora una donna civile, che avrebbe dovuto essere liberata prima. Le quattro soldatesse sono tornate in Israele e, riferisce Al Jazeera, tre bus con 114 dei 200 prigionieri palestinesi stanno per raggiungere Ramallah. 70 dei prigionieri palestinesi verranno deportati in Tunisia, Algeria e Turchia, 121 stanno scontando l’ergastolo e 79 sentenze lunghe. Il piĂą giovane ha 15 anni.

Aveva ragione Jung, la realtĂ  non ci basta

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Aveva ragione Carl Gustav Jung: ci sono pieghe irrazionali nella vita. Non tutto si spiega subito. Di conseguenza, non dobbiamo rifiutare quello che va contro le nostre teorie e aspettative: ci vuole tempo per capire, perché la sicurezza, la certezza, la tranquillità non portano da nessuna parte, impediscono le scoperte, occultano le novità. Tra stati psichici e avvenimenti esterni si formano relazioni di scambio: possono avvenire conferme e coincidenze non previste, possono presentarsi suggestioni inaspettate, lucidità rivelatrici, eventi inimmaginabili. In sostanza l’attesa rilassata ma vigile diventa alleata di quella speciale fisica delle sincronicità, di quelle coincidenze di pensiero e realtà, che ci possono stupire e inquietare. Ti accade, ad esempio, come se avessi chiamato in causa qualcosa o qualcuno senza averlo davvero fatto. E ti chiedi come è possibile, perché.

Esistono due forme del pensare, secondo Jung: la prima è il pensare indirizzato, che si esprime con il linguaggio e che è rivolto ad altri e si adatta ai contesti; la seconda opera invece spontaneamente con contenuti preesistenti ed è guidata da motivi inconsci: è il sognare o fantasticare. La prima imita la realtà e cerca di influire su di essa. La seconda invece «volge le spalle alla realtà», mette in libertà tendenze soggettive. Insomma, logos contro eros. Lo aveva sostenuto Aristotele, all’inizio della Metafisica: «Tutti gli uomini…amano le sensazioni per se stesse, anche indipendentemente dalla loro utilità».

Il sogno, per esempio, ha la forza speciale di proporre banalità mescolate a rivelazioni, incontri con le circostanze di cui abbiamo già avuto esperienza ma anche con l’ignoto,  in forma misteriosa, quasi mai chiara e razionale.

Un’altra forza speciale che va messa in campo, a mio parere, è  rappresentata dal riconoscimento di avere torto: avere sbagliato reazioni, calcoli, valutazioni, decisioni. Ammetterlo è importante soprattutto nei confronti di noi stessi. Svela orizzonti, produce alternative, alleanze impreviste, conclusioni aperte. Rende il linguaggio, la comunicazione insufficienti: c’è  bisogno di intuito, di fantasia, di forza simbolica per uscirne. Sempre che l’individuo non si nasconda, non fugga da sé, non voglia continuamente sottrarsi alle prove.

Una categoria di persone resta indenne da tutto questo: i politici. Tutti presi dal fatto di mostrare che gli avversari si sono sbagliati, tutti che si ritengono vociferanti dalla parte indiscutibilmente giusta, i politici rimangono estranei a una dote importante: quella della creatività, dell’inventiva, della novità di soluzioni possibili.  Finché i politici non sapranno riconoscere i propri errori non potranno progettare nulla ma soltanto gestire con mille maschere il fluire del presente, riservando per il tempo futuro soltanto promesse o minacce, non soluzioni.

Io penso che il modo attuale di fare politica abbia annientato il valore creativo della politica, la sua forza immaginativa, la sua sensibilità, la sua apertura al cambiamento. Si prova un terribile senso di frustazione nell’ascoltare politici che non fanno trapelare sistemi di pensiero al di là dei fatti contingenti. Ma è ancora più grave che non facciano intravedere orizzonti di variazione, di potenzialità, di cambio di passo.

McLuhan, rispondendo a chi lo intervistava per Playboy (1969), sosteneva che bisogna «tracciare una mappa di nuove terre piuttosto che rilevare i vecchi punti di riferimento». Noi consumatori di comunicazione, infatti, rischiamo l’anestesia dalla consapevolezza di ciò che sta accadendo, indotta dai media, dai computer, dalla televisione. I media intensificano e amplificano i sensi e le loro funzioni ma nello stesso tempo li intorpidiscono, li privano di elasticità perché annullano e insieme esaltano il presente saturando con esso l’intero campo di attenzione.

Il soggetto sociale che ne è vittima ritiene che debba e possa avvenire soltanto quello che gli viene detto. Lo spettatore televisivo è convinto che i fatti riportati non facciano parte di ciò che è avvenuto ma soltanto si riferiscano a uno spazio lontano: il tempo è così annientato, lo spazio è collassato, è quasi soltanto digitale, non c’è causa ed effetto ma soltanto evento. La notizia quindi esaurisce il fatto, non lascia porte aperte, non lascia desideri, nemmeno quello elementare di sapere. Ogni delitto, ogni timore, ogni orrore sono una conferma del generale stato di cose, i fatti perdono i loro contorni reali.

Al soggetto passivo sembra che sia necessario soltanto ciò che il sistema, l’applicazione, l’uso dello strumento gli richiede: la percezione è ridotta al qui ed ora e l’errore è sempre e soltanto un guasto nella procedura, un intoppo che si deve poter superare.

Siamo diventati macchine esecutrici, dalle funzionalitĂ  preordinate e ripetitive, immersi in congegni che ci richiedono prestazioni, mai fantasie, mai deviazioni.

Un cambiamento radicale è ancora possibile? La distanza abissale dai centri decisionali non riguarda più soltanto i semplici cittadini; gli stessi politici e amministratori si conformano ad entità sovranazionali. E allora non capisci se il potere è questione di forza economico-finanziaria o di forza deterrente. Così la frustrazione di chi governa ma non ha niente in mano gli fa invocare orizzonti di guerra per riprendersi una centralità decisionale, visto che tutti gli aspetti economici sono in mano ad altri.

I potentati della ricchezza lasciano che i politici e i governanti frustrati giochino a Risiko ed escogitano l’impossibile affinché i cittadini si sentano estranei a quanto accade. Sempre più estranei sempre più manipolabili.

[di Gian Paolo Caprettini]