domenica 11 Maggio 2025
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Il ministero dell’Ambiente ha presentato il ddl per il ritorno del nucleare

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Il governo italiano ha avviato l’iter per il ritorno del nucleare civile. Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha infatti inviato a Palazzo Chigi il testo di un ddl delega sul «nucleare sostenibile»: tra le proposte, ci sono l’adozione di tecnologie avanzate e piccoli reattori modulari (SMR), un piano nazionale per la neutralità carbonica entro il 2050 e la creazione di un’Autorità indipendente per la sicurezza nucleare. Nel provvedimento si prevedono la «predisposizione di una disciplina organica dell’intero ciclo di vita dell’energia nucleare» e la realizzazione di «un coordinamento e un dialogo costante con i gestori delle reti elettriche». La mossa del governo va dunque a disattendere risultati dei referendum del 1987 e 2011, con cui i cittadini si erano espressi per mettere fine all’energia atomica in Italia: l’esecutivo si giustifica però asserendo che il nucleare di oggi non sia comparabile con quello che gli italiani avevano rifiutato nelle consultazioni referendario, sottolineando che oggi si punta su tecnologie più avanzate, mentre le vecchie centrali saranno dismesse.

Il testo è già stato trasmesso alla Presidenza del Consiglio e sarà discusso nel prossimo Consiglio dei Ministri. Se approvato, il governo avrà 24 mesi di tempo per emanare i decreti attuativi necessari per disciplinare ogni aspetto della produzione di energia nucleare sostenibile sul territorio nazionale. Il disegno di legge individua quattro obiettivi fondamentali: garantire la sicurezza nazionale attraverso l’indipendenza energetica, riducendo la dipendenza da fornitori esteri e proteggendo il Paese dagli effetti delle crisi geopolitiche; raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, in linea con gli impegni del Green Deal europeo; assicurare continuità e stabilità nell’approvvigionamento energetico, in un contesto di domanda crescente; mantenere la competitività del sistema industriale e a contenere i costi per gli utenti finali. Si prevede inoltre la definitiva archiviazione degli impianti nucleari del passato, destinati alla dismissione, realizzando un “Piano Nazionale” per la produzione di energia nucleare sostenibile, con particolare attenzione ai piccoli reattori modulari (SMR).

I decreti legislativi che seguiranno il ddl dovranno disciplinare vari aspetti, tra cui la localizzazione, costruzione e gestione delle nuove centrali, lo smaltimento delle scorie e il riordino delle competenze in materia. Nonostante le ambizioni del governo, il ritorno al nucleare presenta sfide significative. La tecnologia dei piccoli reattori modulari è infatti ancora in fase sperimentale e immaginarne la diffusione entro i primi anni del prossimo decennio appare decisamente ottimistico. Inoltre, il tema dei costi resta cruciale: finora, le centrali nucleari sono state realizzate solo grazie a ingenti finanziamenti pubblici. Sarà fondamentale dimostrare la sostenibilità economica di queste soluzioni. Altro nodo critico è la gestione delle scorie. Il nostro Paese non ha infatti ancora individuato un deposito nazionale per i rifiuti radioattivi, nonostante decenni di tentativi.

C’è poi un’altra questione di peso, rappresentata dai risultati dei referendum con cui gli italiani, in due diverse occasioni, hanno in passato bocciato l’energia nucleare. Nel 1987, vinse con percentuali tra il 71% e l’80% il “sì” al referendum che chiedeva l’abolizione dell’intervento statale ove un Comune non avesse concesso un sito per l’apertura di una centrale nucleare nel suo territorio, l’abrogazione per gli enti locali dei contributi pubblici per la presenza nel loro territorio di centrali nucleari e l’esclusione della possibilità per l’Enel di partecipare alla costruzione di centrali nucleari all’estero. Poi, nel 2009, il governo Berlusconi annunciò l’intenzione di rilanciare il nucleare: due anni dopo andò in scena un referendum che riguardava l’abrogazione delle norme che consentivano la realizzazione di nuove centrali nucleari in Italia: con un’affluenza del 54,8%, gli italiani votarono “sì” nel 94% dei casi, annullando di fatto i piani dell’esecutivo. Oggi, però, il tema torna in pista, e il governo sembra aver già trovato l’escamotage per uscire dall’impasse. «Il nucleare sostenibile oggi rappresenta una delle fonti energetiche più sicure e pulite – si legge nella relazione illustrativa del ddl –. Esso non è dunque tecnologicamente comparabile con quello al quale, anche a seguito di referendum, il Paese aveva rinunciato». Secondo il Mase, ciò rende legittimo «intervenire sulla materia senza alcun rischio che i precedenti referendari possano costituire un ostacolo normativo all’intervento del legislatore». La partita, dunque, è ora più aperta che mai.

[di Stefano Baudino]

Congo, offensiva ribelli: ucciso governatore militare

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Il governatore militare della provincia del Nord Kivu nella Repubblica Democratica del Congo è morto per le ferite da arma da fuoco riportate in prima linea durante un’offensiva dei ribelli M23, secondo quanto riferito venerdì da una fonte governativa e da un rapporto delle Nazioni Unite. I ribelli stanno avanzando su due fronti nei pressi del capoluogo di provincia Goma, nell’est del Paese, dove decine di migliaia di persone stanno fuggendo e l’ONU avverte che la violenza potrebbe sfociare in una guerra regionale più ampia. Dall’inizio dell’anno, gli scontri si sono intensificati nella parte orientale del Congo, ricca di risorse minerarie.

Le Big Tech sono sempre più colluse con l’esercito israeliano

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La sorveglianza e la guerra rappresentano attività altamente redditizie, e l’industria tecnologica sembra esserne pienamente consapevole, sebbene preferisca spesso non pubblicizzare troppo i legami che intrattiene con governi ed eserciti. Di tanto in tanto, però, emergono rivelazioni che svelano uno scorcio di ciò che avviene dietro le quinte. Questa volta sotto i riflettori sono finite Microsoft e Google: documenti trapelati rivelano il rapporto sempre più stretto tra le Big Tech e le forze armate israeliane, un legame che si è intensificato rapidamente dopo il 7 ottobre 2023, in concomitanza con l’attacco mosso nei territori palestinesi.

Già nell’agosto del 2024, la testata investigativa israelo-palestinese +972 aveva denunciato come Amazon, Microsoft e Google fossero impegnate in una vera e propria competizione per rispondere alla crescente domanda israeliana di spazi di archiviazione cloud, servizi che si rivelano fondamentali per supportare gli strumenti d’intelligenza artificiale e gestire le immense quantità di dati raccolti tramite operazioni di sorveglianza. Ora, l’entità giornalistica indipendente Drop Site ha fornito in tal senso dettagli più concreti. Analizzando contratti stipulati dal governo israeliano con Microsoft, il gruppo ha evidenziato come l’escalation del conflitto abbia portato a un aumento significativo della richiesta di servizi cloud offerti dalla piattaforma Azure.

A partire da ottobre 2023, i costi di supporto e consulenza richiesti dai militari israeliani hanno raggiunto la somma di 10 milioni di dollari, mentre ulteriori 30 milioni sono stati vagliati in sostegno delle spese del 2024. Tra giugno 2023 e aprile 2024, l’utilizzo dei server messi a disposizione da Microsoft è cresciuto del 155%, un incremento significativo che suggerisce il ricorso intensivo a strumenti di intelligenza artificiale. Per soddisfare le imponenti esigenze israeliane, la Big Tech ha dovuto spingersi oltre ai soli server locali, attingendo anche alle infrastrutture europee. Attualmente, il Ministero della Difesa figura tra i 500 migliori clienti della società, tuttavia l’analisi delle dinamiche dei flussi di finanziamenti vengono rese più complesse dal fatto che le diverse entità militari possano siglare contratti in autonomia, utilizzando i rispettivi budget interni.

The Washington Post, dal canto suo, ha ottenuto documenti interni che rivelano maggiori informazioni sui rapporti intrattenuti da Google con le forze armate di Tel Aviv. Anche in questo caso, la domanda di servizi cloud ha registrato un’impennata in concomitanza con l’avvio delle operazioni punitive. Il Ministero della Difesa ha richiesto un accesso ampliato ai servizi di intelligenza artificiale offerti dalla Big Tech, mostrando particolare interesse per Vertex, una piattaforma di sviluppo IA che consente ai clienti di caricare e analizzare i propri dati. Documenti risalenti a novembre 2024 rivelano inoltre l’intenzione delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) di utilizzare il Gemini AI sviluppato da Google per creare assistenti virtuali in grado utili a elaborare in maniera più efficiente documenti e contenuti audio. Scambi di email interni suggeriscono che Google abbia assecondato con decisione le richieste israeliane, temendo che eventuali rallentamenti potessero convincere il Governo di Tel Aviv a rivolgersi ai servizi della concorrente Amazon Web Services.

Le recenti rivelazioni non chiariscono un punto cruciale: come vengano effettivamente impiegati i servizi di cloud e intelligenza artificiale. Questi potrebbero, ipoteticamente, essere utilizzati per scopi amministrativi, contribuendo ad alleggerire il carico burocratico, oppure per altre finalità tecniche non direttamente collegate agli sforzi bellici. Tuttavia, la scarsa trasparenza dimostrata dalle Big Tech, unita all’aumento del flusso di dati in concomitanza con le operazioni militari, non può che sollevare legittimi dubbi. Google, ad esempio, ha sempre assicurato che il servizio Nimbus fornito a Israele non venga usato per “carichi di lavoro altamente sensibili, classificati o militari rilevanti per le armi o i servizi di intelligence”. Eppure, questa posizione è stata di fatto smentita dal Direttore generale della Direzione nazionale per la sicurezza informatica del governo israeliano, Gaby Portnoy, il quale ha ammesso con una certa leggerezza che tale tecnologia ha permesso di “far capitare cose fenomenali durante i combattimenti”.

[di Walter Ferri]

Nord di Gaza, Israele distrugge unico impianto di dissalazione dell’acqua

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L’Autorità idrica palestinese ha reso noto che i soldati israeliani hanno distrutto l’unico impianto di dissalazione che rifornisce di acqua la zona settentrionale di Gaza. In una nota dell’Autorità citata dall’agenzia di stampa Wafa si legge che le forze di occupazione israeliane «hanno completamente demolito alcuni dei componenti chiave dell’impianto», tra cui «cinque pozzi di approvvigionamento di acqua di mare, la condotta di aspirazione dell’impianto, due generatori di corrente, una pompa, una condotta di ritorno dell’acqua» e  «recinzioni esterne e pompe di mandata». L’impianto forniva acqua pulita anche ai quartieri settentrionali e occidentali di Gaza City.

Il Parlamento Europeo ha approvato una nuova risoluzione contro la “propaganda russa”

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Il 23 gennaio, il Parlamento europeo ha adottato una Risoluzione non vincolante sulla «disinformazione e la falsificazione della storia da parte della Russia per giustificare la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina». All’interno della risoluzione, che contiene in realtà gli argomenti più disparati, c’è anche la richiesta di fermezza nell’applicazione delle leggi europee contro i magnati statunitensi dei social network, Mark Zuckerberg (Meta) ed Elon Musk (X), così come la quella di intensificare la lotta alla propaganda russa attraverso «l’alfabetizzazione mediatica e sostegno per i canali di informazioni di qualità e il giornalismo professionale», ma anche l’equiparazione tra simboli nazisti e comunisti sovietici e il loro divieto di utilizzo e diffusione in tutta l’Unione Europea. Nel suo complesso, la risoluzione è passata con 480 voti favorevoli, 58 contrari e 48 astensioni. La compagine italiana ha visto la Lega astenersi e Movimento 5 Stelle e Sinistra Italiana contrari.

Nella risoluzione, il Parlamento europeo ribadisce la contrarietà alla guerra «di aggressione» e «ingiustificata» della Russia nei confronti dell’Ucraina, accusando la prima di falsificazione storica degli eventi della Seconda Guerra Mondiale e di promuovere un culto della vittoria (come se l’Unione Sovietica non avesse portato un enorme contributo alla vittoria sul nazifascismo), citando l’accordo Ribbentrop-Molotov del 1939 come chiarificatore della volontà di propaganda russa sull’effettivo andamento del conflitto mondiale e le sue conseguenze.

Nel documento, il Parlamento chiede l’istituzione di un tribunale speciale incaricato di indagare e perseguire il crimine di aggressione commesso dai dirigenti della Federazione Russa contro l’Ucraina. In seconda battuta, al fine di preservare la democrazia europea dalla disinformazione e dalla propaganda russa, il Parlamento europeo chiede di promuovere attivamente «l’alfabetizzazione mediatica» e il sostegno dei «media di qualità e il giornalismo professionale, in particolare quello investigativo che svela la propaganda russa, i suoi metodi e le sue reti, e sostenendo la ricerca sulle nuove tecnologie di influenza ibrida». Al contempo viene chiesto di ampliare le sanzioni contro gli organi di informazioni russi.

Per quanto concerne i social network, il Parlamento europeo si dice preoccupato «per i recenti annunci dei dirigenti delle imprese di social media in merito all’allentamento delle loro norme in materia di verifica e moderazione dei fatti e per il modo in cui ciò andrà a favorire ulteriormente la campagna di disinformazione della Russia in tutto il mondo». Pertanto, «invita la Commissione e gli Stati membri ad applicare rigorosamente il regolamento sui servizi digitali in risposta a tali annunci fatti da Meta e ancor prima da X, anche come elemento importante della lotta contro la disinformazione russa».

In riferimento all’utilizzo di certa simbologia, al fine di combattere «i tentativi della Russia di travisare, rivedere e distorcere la storia dell’Ucraina compromettano la memoria collettiva e l’identità dell’Europa nel suo complesso e rappresentino una minaccia per la verità storica, i valori democratici e la pace in Europa», il Parlamento chiede di «vietare, all’interno dell’Unione, l’uso dei simboli nazisti e comunisti sovietici, così come dei simboli dell’attuale aggressione russa contro l’Ucraina». Il Parlamento europeo sembra tuttavia dimenticare che i gruppi neonazisti ucraini che l’Unione sostiene con armi e denaroaderenti all’Internazionale Nera, di cui vi abbiamo già parlato in una nostra inchiesta – sono i primi a compiere la revisione storica della Seconda Guerra Mondiale e che molti di questi, che transitano e vengono ospitati su suolo europeo, portano sulla propria pelle i simboli del nazismo e che a tale ideologia fanno riferimento.

[di Michele Manfrin]

L’Italia continua ad aumentare i sussidi alle industrie dannose per l’ambiente

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Per il 2022 il Ministero dell’Ambiente ha censito 55 Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD), i quali hanno pesato complessivamente sulle casse dello Stato per 24,2 miliardi di euro. Tenendo fede alle sole valutazioni ministeriali, si tratta del 15% in più rispetto al 2021. In mancanza di una definizione condivisa a livello internazionale di questi sussidi, le stime sono però molto variabili. Per lo stesso anno, il Fondo monetario internazionale stima per l’Italia 63 miliardi di dollari, mentre Legambiente arriva perfino a 94,8 miliardi di euro. Ad ogni modo, attraverso il PNRR, è previsto un taglio di almeno 2 miliardi entro dicembre 2026 e la definizione di un calendario per ridurre i sussidi di ulteriori 3,5 miliardi entro il 2030.

I SAD sono agevolazioni, incentivi o benefici economici concessi da governi o enti pubblici che, direttamente o indirettamente, favoriscono attività, prodotti o comportamenti che hanno un impatto negativo sull’ambiente. Questi sussidi possono manifestarsi sotto forma di esenzioni fiscali, sovvenzioni dirette, prezzi agevolati, riduzioni di tariffe o altri meccanismi che sostengono settori o pratiche inquinanti. Nella maggior parte dei casi si tratta di agevolazioni fiscali per l’uso di petrolio, carbone o gas naturale, come la riduzione delle accise sui carburanti fossili. Nella categoria rientrano però anche gli incentivi per l’uso di fertilizzanti e pesticidi in agricoltura, quelli alla pesca a strascico e gli gravi fiscali per il carburante utilizzato nei trasporti marittimi e aerei. I dati rilasciati dal dicastero guidato da Pichetto Fratin si riferiscono al 2022 poiché, per motivi ignoti, il Governo Meloni aveva smesso di aggiornare il Catalogo dei sussidi dannosi per l’ambiente così come previsto dalla legge n.221 del 28 dicembre 2015. Secondo tale norma, il Catalogo andava aggiornato ogni anno con relativa relazione alle Camere. Dopo un lungo e ingiustificato silenzio, e solo sotto la spinta del PNNR, l’esecutivo è quindi tornato ad aggiornare la lista dei sussidi statali alle attività dannose per la natura e il clima. «Nell’ambito del processo di revisione del PNRR per consentire l’integrazione degli obiettivi del RePowerEu – ha spiegato lo stesso ministro – è stata approvata la riforma che pone un primo obiettivo di riduzione dei SAD al 2026 e un percorso di ulteriore graduale riduzione fino al 2030, a seguito di un’ampia consultazione con le parti interessate».

Ad ogni modo, i dati più aggiornati per i SAD italiani sono quelli dell’associazione ambientalista Legambiente, la quale è da sempre attiva nel loro monitoraggio a livello nazionale. Secondo il rapporto del Cigno Verde redatto lo scorso anno, nel 2023 i SAD hanno toccato quota 78,7 miliardi di euro. Una cifra pari al 3,8% del Pil nazionale, in calo rispetto alle stime della stessa associazione per il 2022. Una tendenza – specificano – legata però alla riduzione delle risorse stanziate per far fronte all’emergenza energetica negli anni passati. Guardando nel dettaglio il documento, i SAD italiani risultano suddivisi in 119 voci. Tra i settori più interessati, al primo posto si conferma quello energetico con 43,3 miliardi di euro, segue il settore dei trasporti (12,45 miliardi di euro), il settore edilizia (18 miliardi di euro), il comparto agricolo e della pesca (3,2 miliardi di euro) e infine canoni, concessioni e rifiuti (1,6 miliardi di euro). A livello globale, le cose non vanno meglio. Secondo un’analisi dell’organizzazione Earth Track, in tutto il mondo, nel 2023 si sono spesi almeno 2,6 mila miliardi di dollari all’anno in sussidi che alimentano il riscaldamento globale e distruggono l’ambiente. L’aumento è di oltre 800 miliardi di dollari rispetto al 2022.

[di Simone Valeri]

Riallineamento accise: più tasse sul gasolio, lo Stato incassa di più

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La Commissione Finanze del Senato ha dato il via libera al decreto che riallinea le accise su gasolio e benzina. Viene previsto un aumento graduale sul diesel, tra 1 e 2 centesimi, e una riduzione parallela sulla benzina, come richiesto dall’Unione Europea per penalizzare i carburanti più inquinanti. Tuttavia, il processo porterà maggiori entrate per lo Stato, almeno inizialmente, poiché il gasolio è più consumato: un incremento di 1 centesimo garantirebbe 170 milioni di euro. Le accise attuali sono 0,61 euro/litro per il gasolio e 0,72 per la benzina. Piovono critiche dalle forze di opposizione, che denunciano l’ennesima «stangata» per i cittadini.

La guerra politica nascosta tra Donald Trump e papa Francesco

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Che il neoeletto presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e Papa Francesco abbiano visioni divergenti è cosa nota. La posizione del Papa è stata ribadita nel messaggio inviato a Trump nel giorno del suo insediamento, contenente un appello affinché «sotto la sua guida il popolo americano si sforzi sempre di costruire una società più giusta, dove non ci sia spazio per odio, discriminazione o esclusione». In ogni caso, la battaglia sotterranea tra l’amministrazione Trump e il Vaticano prosegue da mesi. Questa tensione non si manifesta tanto nelle dichiarazioni pubbliche, che restano improntate a una cordiale freddezza, come da protocollo, quanto piuttosto negli atti concreti. Negli ultimi mesi, entrambe le parti si sono impegnate in manovre strategiche per cercare di influire nella sfera dell’altro, spesso attraverso la nomina di rappresentanti considerati scomodi per la controparte. Una battaglia che si consuma non solo sulle questioni relative ai migranti, ma su molteplici dossier, tra cui le politiche ambientali, i rapporti con la Cina e quelli con Israele.

Lo scorso dicembre, Trump ha nominato Brian Burch, cattolico devoto alle posizioni tradizionaliste, come nuovo ambasciatore presso la Santa Sede. Poco dopo, è arrivata la risposta di Papa Francesco, che ha scelto il cardinale Robert McElroy, fermo oppositore di Trump, come nuovo arcivescovo di Washington. Burch e McElroy rappresentano due visioni del cattolicesimo agli antipodi: entrambi sono strettamente legati alle posizioni di coloro che li hanno nominati e critici dei vertici degli Stati in cui opereranno. La scelta di due figure così chiaramente schierate sembra preannunciare futuri rapporti incerti tra l’amministrazione americana e il Vaticano.

Burch è stato definito da Trump come un «cattolico devoto». È un uomo dalle posizioni tradizionaliste, spesso in conflitto con quelle papali, e, secondo molti, più vicino alle idee di Carlo Maria Viganò, uno dei più accesi critici di Papa Francesco, recentemente scomunicato. Alcuni osservatori ritengono che la nomina di Burch costituisca una sorta di monito a Bergoglio. Burch ha più volte criticato Papa Francesco, in particolare per la sua apertura nei confronti delle coppie omosessuali e per il suo approccio, da lui definito «vendicativo», nella gestione delle controversie interne alla Chiesa. Inoltre, non ha risparmiato accuse ai sostenitori del Pontefice, descrivendoli come «cheerleader progressisti».

Di posizioni tradizionaliste e fortemente critiche verso il pontefice – tanto da definirlo «falso papa» – Viganò è stato scomunicato il 5 luglio 2024, dopo essere stato riconosciuto colpevole del delitto canonico di scisma. Il provvedimento è stato motivato dal suo «rifiuto di riconoscere e sottomettersi al Sommo Pontefice, dalla mancanza di comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti e dalla negazione della legittimità e dell’autorità magisteriale del Concilio Ecumenico Vaticano II». Dopo la scomunica, Viganò ha ricevuto il sostegno di Burch, che ha dichiarato: «Viganò potrebbe non avere ragione su tutto, ma c’è una cosa di cui sono certo: Satana è reale ed è in agguato». Viganò, da sempre sostenitore di Trump, ha inoltre espresso più volte dure critiche nei confronti di Kamala Harris, definendo i suoi sostenitori «criminali psicopatici dediti al culto di Satana».

Di fronte alla nomina di Burch e al sostegno di Viganò, Papa Francesco non è rimasto a guardare. Il 6 gennaio, infatti, il pontefice ha nominato il cardinale Robert McElroy, di posizioni apertamente progressiste, come nuovo arcivescovo di Washington. McElroy è un convinto difensore dei migranti in chiave anti-razzista, un fervido sostenitore delle linee papali sulle coppie omosessuali e divorziate, e un deciso critico della prima amministrazione di Donald Trump. Egli prende il posto di Wilton Daniel Gregory, primo cardinale afroamericano negli Stati Uniti, dimessosi per raggiunti limiti di età. Durante il primo mandato di Trump, McElroy si è opposto apertamente alle politiche del presidente, in particolare sulla gestione della migrazione, esortando i cattolici a protestare contro di esse. In occasione di una visita di Trump per ispezionare i prototipi del muro con il Messico, McElroy dichiarò: «È un giorno triste per il nostro Paese quando scambiamo il simbolismo maestoso e pieno di speranza della Statua della Libertà con un muro inefficace e grottesco, che mostra e infiamma le divisioni etniche e culturali che a lungo hanno fatto parte della nostra storia nazionale».

Questa serie di nomine incrociate sembra inaugurare una nuova stagione di tensione tra la casa bianca e il vaticano. Durante il primo mandato presidenziale, Bergoglio e Trump hanno vissuto diversi momenti di confronto e attrito su questioni politiche e sociali. Il pontefice ha più volte criticato le politiche migratorie statunitensi e il progetto di costruire un muro al confine con il Messico, dichiarando che «chi costruisce muri invece di ponti non è cristiano». Inoltre, Papa Francesco ha condannato il ritiro degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi sul clima e ha espresso preoccupazione per lo spostamento dell’ambasciata statunitense in Israele a Gerusalemme. Dal canto suo, Trump ha sempre guardato con sospetto il tentativo di distensione nei rapporti con la Cina promosso da Bergoglio, culminato il 22 settembre 2018 nella firma di un patto, recentemente rinnovato per la terza volta, per la riconciliazione pastorale con Pechino. Questo accordo ha suscitato critiche da parte dell’amministrazione Trump, che percepisce Pechino come un rivale strategico. Per quanto riguarda i rapporti con la Cina e le possibili reazioni statunitensi, il Papa non si è ancora espresso pubblicamente sulla vittoria di Trump. Tuttavia, le parole del Segretario di Stato del Vaticano, Pietro Parolin, sono state chiare: la Santa Sede confermerà la sua linea «al di là delle reazioni che possano venire anche dall’America».

[di Dario Lucisano]

In Colombia si è riaccesa la guerra tra Stato e gruppi ribelli

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In Colombia è riesplosa la violenza dei gruppi paramilitari proprio mentre erano in corso colloqui di pace con lo Stato, che presto si sarebbero potuti concretizzare in un accordo. Il sangue è tornato a scorrere soprattutto nella regione del Catatumbo, dove i gruppi armati hanno messo in atto un vasto attacco prendendo di mira la popolazione civile locale e alcuni ex membri delle formazioni paramilitari impegnati nel processo di pace con lo Stato. Il presidente colombiano, Gustavo Petro, ha ufficialmente sospeso i colloqui di pace con l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN). Dal ministero dell’Interno è stato detto che l’ELN ha «gettato via l’ultima possibilità di costruire la pace» e che adesso sarà affrontato con fermezza. Circa 30.000 persone sono sfollate a seguito dello scoppio della violenza nella regione.

Gustavo Petro ha deciso di sospendere i colloqui di pace con l’ELN dopo aver accusato il gruppo di aver commesso un crimine di guerra nella regione del Catatumbo, nella provincia di Norte de Santander: «Il processo di dialogo con questo gruppo è sospeso, l’ELN non ha alcuna volontà di pace», ha dichiarato Petro. Circa 80 persone sono state uccise e oltre 20 ferite nell’attacco della scorsa settimana. Lo scoppio della violenza sanguinaria ha anche prodotto lo sfollamento di circa 30.000 persone della regione. Come riferito dal governo, almeno cinque delle vittime erano ex ribelli delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) smobilitati, che facevano parte di un accordo di pace del 2016, mentre molte tra le altre vittime erano familiari di ex membri del gruppo. Anche i membri dell’Estado Mayor Central (EMC), una fazione dissidente delle FARC impegnata in colloqui di pace separati con il governo, sono stati attaccati.

I dissidenti dell’EMC e delle FARC si sono ritirati nell’interno della regione, grazie anche all’intervento del governo, per evitare il confronto con l’ELN. Il ministro dell’Interno, Juan Fernando Cristo, ha affermato che «più di 400 persone, tra cui leader sociali e comunitari e firmatari della pace, sono state prelevate dall’area del Catatumbo per salvare le loro vite». Sul brutale attacco avvenuto, il ministro ha spiegato: «È evidente che quello che è successo qui è stata un’azione premeditata, con brutalità, organizzata con molto tempo, con commando trasferiti da Arauca, con l’inganno dell’ELN, perché mancavano pochi giorni al sedersi di nuovo al tavolo dei negoziati, presumibilmente per vedere come si facevano progressi nella ricerca della pace». Cristo ha poi aggiunto che «l’ELN ha gettato nel bidone della spazzatura la sua ultima opportunità per costruire la pace in Colombia e ora tocca a noi come Stato e come società affrontare questi criminali».

Il ministro dell’Interno ha delineato i passi che il governo intende mettere in atto per combattere l’emergenza. In primo luogo viene emanato un «decreto di tumulto interno» che permette al governo di aumentare la presenza di polizia, di intelligence e militare, anche con l’utilizzo della forza aerospaziale, all’interno della regione di Catumbo, per riportare l’ordine e passare alla controffensiva. In secondo luogo, il decreto permette una maggior assistenza umanitaria nei confronti della popolazione della regione. Il terzo punto che il governo intende affrontare comprende il Patto per la Trasformazione Sociale del Catatumbo, con cui si mira all’investimento sociale con l’attivazione della società civile così come di trasformazione infrastrutturale che potrà portare benessere alla regione. Ecopetrol, la società energetica a maggioranza statale della Colombia, ha comunicato che limiterà il lavoro e i movimenti dei suoi lavoratori nelle operazioni in corso a Catatumbo, tra cui il giacimento di Tibu e l’impianto di gas di Sardinata.

I colloqui di pace tra l’ELN e il governo, ripresi nel 2022, sono stati segnati da diverse battute d’arresto. Nel settembre scorso, il governo aveva sospeso i negoziati il giorno dopo che un attacco esplosivo dell’ELN aveva ucciso due soldati colombiani, ferendone 29, vicino al confine venezuelano. I colloqui si sono arenati anche quando il governo ha aperto negoziati separati con un gruppo scissionista dell’ELN nel sud-ovest, mentre l’ELN proseguiva con rapimenti, bombardamenti di oleodotti e attacchi alle forze di sicurezza.

[di Michele Manfrin]

Monte dei Paschi di Siena presenta offerta per acquistare Mediobanca

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Monte dei Paschi di Siena, gruppo bancario il cui primo azionista è lo Stato italiano, ha presentato un’offerta per l’acquisizione della banca di investimento Mediobanca (azionista al 13% di Generali), con l’obiettivo di portarla a termine entro il 2025. MPS offre 13,3 miliardi di euro per controllare completamente Mediobanca tramite un’Offerta Pubblica di Scambio, offrendo 2,3 azioni di nuova emissione di Monte dei Paschi per ogni azione di Mediobanca. Se portata a termine, l’operazione sarebbe la più grande di questo genere degli ultimi anni e porterebbe alla creazione di un terzo grande polo bancario (insieme a Unicredit e Intesa Sanpaolo).