lunedì 7 Ottobre 2024

Come la Lega Calcio ha imposto la censura totale su quanto avviene negli stadi

Da fenomeno popolare a fonte di profitto integrata nel sistema capitalistico. Uno show redditizio pensato per essere fruito passivamente dal divano, che niente deve disturbare. Da tempo il calcio moderno lavora per sottrazione: meno attaccamento alla maglia, meno passione, meno legami tra club e territorio. Uno spettacolo asettico da acquistare in abbonamento mensile. A rovinare la sceneggiatura dello show scritta dai padroni del giocattolo, fino a ieri, si presentava talvolta l’ostinazione di chi continua ad andare sugli spalti senza accettare di limitarsi al ruolo riservatogli nella messinscena (quello di comparsa pagante pensata per dare colore alle riprese televisive), usando i gradoni delle curve per lanciare messaggi, che siano di contestazione verso la società o di opposizione sociale. Ma ora la Lega Serie A – associazione che riunisce i venti club iscritti alla massima competizione calcistica italiana – ha reso impossibile che lo spettatore da divano possa venire a conoscenza di questi “virus del sistema”. Dalla protesta dei tifosi romanisti, agli scontri sugli spalti, ai tifosi della nazionale italiana che girano le spalle all’inno israeliano: niente deve essere trasmesso al di fuori dello spettacolo. Una censura totale di quanto avviene negli stadi e nei suoi paraggi. Con buona pace del duplice diritto a informare e a essere informati, sanciti da una Costituzione che va sempre più di moda calpestare.

Curva Sud vuota per protesta durante Roma-Udinese, 22 settembre 2024.

«Chi ama la Roma entra mezz’ora dopo» recita uno striscione esposto fuori all’Olimpico dai tifosi della Curva Sud. È soltanto uno dei tanti tasselli che ha dato forma alla protesta messa in piedi dopo l’esonero di Daniele De Rossi, bandiera giallorossa con 616 presenze all’attivo da calciatore. L’anno scorso era subentrato allo Special One Josè Mourinho nella sua prima avventura da allenatore. Il ritorno a casa ha comportato entusiasmo tra i tifosi e buoni risultati sul campo. Arriva dunque il rinnovo fino al 2027 da dieci milioni di euro netti, a cui fa seguito l’acquisto di nuovi giocatori congeniali al gioco di De Rossi – nonostante i paletti economici sbandierati fino a pochi mesi prima durante la gestione Mourinho. Come un fulmine a ciel sereno il 18 settembre avviene lo strappo totale della dirigenza statunitense dei Friedkin che, dopo appena quattro giornate di campionato (senza vittorie), decide di esonerare l’allenatore. In un clima surreale si arriva dunque al match con l’Udinese. Per la prima mezz’ora la Curva Sud resta deserta, in compagnia di uno striscione rivolto ai proprietari: «Non rispettate i nostri valori e le nostre bandiere… Da oggi torniamo alle vecchie maniere». Di tutto questo né su Sky né su Dazn – detentrici dei diritti tv della Serie A – c’è traccia. Non si spiegano né i motivi della curva vuota né del suo improvviso riempimento: la protesta dei tifosi è silenziata, si evita quindi di amplificare la loro voce scagliata contro uno dei padroni del calcio moderno, che oltre alla Roma possiede il Cannes e l’Everton, in uno dei tanti casi di multiproprietà. 

Riavvolgiamo il nastro di qualche giorno. È il 15 settembre e alla Domus Arena il Cagliari sfida il Napoli, per un match che da anni si conferma infuocato sugli spalti a causa di una rivalità trentennale. I circa quattrocento supporters partenopei sbarcano sull’isola con uno striscione eloquente: «A caccia di pecore». La tensione sale con l’avvicinarsi del fischio di inizio e raggiunge il suo culmine a metà del primo tempo, quando a seguito del lancio di fumogeni e petardi tra il settore ospiti e la Curva Sud l’arbitro La Penna interrompe la partita per ben sei minuti. Ci si aspetterebbe la cronaca di quanto sta succedendo in campo e invece la regia opta per lunghi primi piani sui calciatori, mentre in sottofondo si sentono le esplosioni di diverse bombe carta lanciate dalla Curva Nord verso il terreno di gioco. Una situazione surreale, che lascia in stallo lo spettatore in barba al diritto all’informazione. La sospensione verrà completamente glissata nella “maxi sintesi” (sic!) che la Lega Serie A caricherà qualche ora dopo sul proprio canale YouTube: in 21 minuti di video non si accenna minimamente all’interruzione di gioco né si commentano le successive esplosioni che si sentono distintamente. 

I fatti di Roma e Cagliari sono soltanto gli ultimi di una lunga serie di silenziamenti e tagli operati da tempo da Sky e Dazn, che sottostanno alle direttive della Lega Serie A. All’interno degli stadi sussiste una sorta di monopolio istituzionale per le immagini, gestito appunto dall’associazione informale dei venti maggiori club italiani e scalfito dalle riprese amatoriali dei presenti, che tra X e Telegram provano a colmare i coni d’ombra volutamente creati per non turbare il normale andamento delle partite, in linea con il disegno capitalistico dell’eliminazione della sofferenza e del dolore. Ai giornalisti seduti in tribuna stampa non è permesso scattare foto o registrare video; dall’anno scorso la mixed zone, l’area dello stadio dedicata alle interviste post-partita, è preclusa ai giornalisti che non lavorano né per Dazn né per Sky.

Con l’attuale gestione monopolistica della Lega Serie A si punta insomma a fare dello stadio un luogo neutro, un nonluogo – per usare un termine coniato dall’antropologo Marc Augé – in cui non accade nient’altro al di fuori del rotolamento di un pallone. Nessuna presa di posizione, nessuno scontro, nessuna invasione di campo. Tutto silente, pervaso da un filtro che finisce per sminuire lo spettro di emozioni legate al calcio e il suo racconto.

[di Salvatore Toscano]

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