mercoledì 11 Dicembre 2024

Il problema degli stupri e la necessità di un’educazione sessuale nelle scuole

Dopo che i recenti fatti di cronaca di Palermo e Caivano hanno riportato all’attenzione pubblica la questione degli stupri, la maggioranza di governo ha annunciato la volontà di prendere rapidamente misure per contrastare la violenza sessuale. Si è proposto un po’ di tutto ed ancora è presto per capire cosa realmente diverrà proposta di legge e cosa si fermerà ad una boutade estiva: Matteo Salvini è tornato alla carica con la proposta della castrazione chimica per gli stupratori, suo vecchio cavallo di battaglia; la ministra della Famiglia, Eugenia Roccella, ha rilanciato con l’idea di rendere “strettissimo e inaggirabile” il divieto di fruire della pornografia per i minori – ritenendo il porno colpevole di inquinare l’immaginario sessuale dei giovani – mentre il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha annunciato brevi cicli educativi, da tenersi solo nelle scuole superiori, in cui parlare di “educazione alla sessualità” con degli incontri gestiti dagli stessi studenti. In questo articolo vedremo come si tratti di proposte improvvisate e con scarse (o nulle) possibilità di incidere, mentre l’unica soluzione che è dimostrato possa servire a qualche cosa dal punto di vista educativo continui a non essere applicata in Italia, nonostante sia realtà da decenni con risultati tangibili nella maggior parte dei Paesi Europei: l’educazione sessuale e affettiva come materia obbligatoria, affidata a professionisti, nelle scuole dell’obbligo.

Perché le proposte del governo saranno poco utili

[Partendo da sinistra: Giuseppe Valditara (ministro dell’Istruzione e del Merito), Matteo Salvini (ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili) e Eugenia Maria Roccella (ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità).]
“Blocco androgenico totale” è il termine tecnico di quella che viene chiamata la  cosiddetta castrazione chimica: prevede un trattamento farmacologico che, abbassando quasi del tutto i livelli di testosterone produce cambiamenti corporei, come la riduzione dei caratteri sessuali maschili, provocando anche una riduzione della libido. «Se stupri devi essere curato, è una proposta di buon senso», afferma Salvini. Il leader della Lega ha così rilanciato una proposta di legge già depositata dal suo partito nel 2018, chiedendone l’approvazione. Leggendo il testo della proposta si scopre che la castrazione chimica sarebbe prevista solo in caso di recidiva e di pedofilia, ed in più a decidere caso per caso sarebbe il giudice valutando la “pericolosità sociale” del soggetto. Si tratterebbe quindi di una misura da attuare solo su pedofili e stupratori seriali, quindi su una minima minoranza dei casi. Da sottolineare poi, come la castrazione chimica non farebbe altro che agire sugli stupri già avvenuti, senza fare nulla per prevenirli, senza contare che i farmaci utilizzati non agiscono sul piano psicologico né, ovviamente, su quello socio-culturale, rendendo ad ogni modo possibile altre forme di violenza. In buona sostanza si tratterebbe di una pena aggiuntiva al carcere che, per qualche mese o anno (la castrazione chimica ha infatti durata transitoria), impedirebbe allo stupratore di ripetere il reato. Una proposta di poco conto per contrastare la violenza sessuale, che oltretutto avrebbe profili di incostituzionalità evidenti, come denunciato anche dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che l’ha definita un «ritorno al medioevo» e alla «pena corporale» che «sovvertirebbe completamente la struttura del nostro codice e della Costituzione».

L’idea del blocco della pornografia per i minori – cavallo di battaglia della ministra della Famiglia – è invece una proposta dai profili quasi comici se vista dal punto di vista tecnico. In pratica, secondo quando dettagliato dalla Roccella, per fare rispettare effettivamente il divieto di consultare contenuti pornografici ai minori (che già esiste) si propone di creare una applicazione di Stato, sulla quale dimostrare la propria maggiore età caricando il documento d’identità, da utilizzare per accedere alle piattaforme pornografiche. Una misura che richiederebbe investimenti pubblici notevoli in cambio di una possibilità di funzionare realmente prossima allo zero, visto che qualsiasi minorenne con una minima dimestichezza con la rete internet sa perfettamente come utilizzare un sistema VPN per aggirare il blocco simulando di navigare da un Paese estero. Anche se funzionasse, tra l’altro, sotto il profilo culturale è necessario pensare al fatto che incolpare il porno per gli stupri sarebbe un po’ come incolpare i film d’azione per gli omicidi o le corse di Formula Uno per gli eccessi di velocità sulle strade. Il porno è un prodotto culturale, e come ogni prodotto culturale non crea un immaginario, ma si inscrive nel contesto socio-culturale dominante, mettendone in scena credenze e valori. In altre parole, se si ritiene che la pornografia (riferendosi a quella mainstream) trasmetta una visione diseducativa e discriminatoria dei rapporti sessuali il problema non è tanto del porno, ma del fatto che nella nostra società questi valori diseducativi e discriminatori sono dominanti. Se poi si ritiene che la pornografia abbia assolto una funzione educativa, è soltanto colpa del vuoto legislativo che abbiamo sulla materia e che ha creato di conseguenza un immenso vuoto di informazioni.

In ultimo c’è la proposta del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. Quello che si propone è l’istituzione di un ciclo di lezioni per sensibilizzare i giovani delle scuole di II grado. Si tratterebbe di un ciclo di incontri brevissimo (andrebbe concluso simbolicamente entro il 25 novembre, la giornata contro la violenza sulle donne) e da attuarsi secondo il modello della peer education, ovvero l’educazione tra pari effettuata dagli stessi studenti. Nell’idea di Valditara “ogni gruppo di studenti organizzerà una vera e propria lezione sull’argomento, e la presenterà al resto della classe. Lo scopo è di rendere protagonisti gli studenti e fare sì che queste materie delicate vengano trattate in un modo il più possibile comprensibile”. Se, a livello teorico, quella di Valditara ha quantomeno il merito di essere l’unica proposta che va nel senso dell’educazione scolastica, l’idea di farne non una materia con tutti i crismi, ma una piccola serie di lezioni rende l’idea di come ancora ci si rifiuti di dare centralità al tema. Inoltre l’idea della peer education, con le lezioni affidate agli stessi studenti anziché a professionisti non ha alcuna base se non, probabilmente, quella di evitare di dover fare investimenti in merito, visto che affidando le lezioni agli studenti non ci sarà bisogno di pagare professionisti da chiamare in cattedra.

Cosa sono realmente lo stupro e la violenza di genere

Psicologi, antropologi, scienziati sociali, sessuologi, concordano nel ritenere che un comportamento sessuale non consensuale, che si tratti di un abuso, uno stupro, una violenza o una molestia, viene favorito dalla presenza di riferimenti culturali che legittimano le disposizioni maschili primitive di sopraffazione. Comportamenti che nulla hanno a che vedere con la natura maschile, ma piuttosto derivano dal modo in cui vengono costruite la mascolinità e la femminilità – da intendere come la rappresentazione culturale del proprio genere – nella nostra società. Un atto sessuale non consensuale è l’affermazione di un atto di potere da parte dell’aggressore contro la vittima. Un annientamento basato sull’affermazione della maggiore forza fisica. Volendo dare una definizione, per violenza di genere si intende non solo l’aggressione fisica di un uomo contro una donna, ma un insieme di comportamenti vessatori che includono violenze piscologiche, minacce, molestie, ricatti economici. Si tratta di quelle azioni violente, spesso ripetute nel tempo, compiute da uomini “contro le donne in quanto donne”, nel senso che scaturiscono dalle differenze sociali fra i sessi.

Secondo una recente indagine Istat, quasi un italiano su quattro (23,9%) ritiene tutt’oggi che un modo di vestire provocante possa causare una violenza sessuale; quasi il 40% degli intervistati pensa che, se una donna lo vuole davvero, può sottrarsi a un rapporto non consensuale; il 15% crede che se una donna subisce uno stupro in stato di alterata percezione della realtà ne sia in parte responsabile. Convinzioni come queste si traducono nell’idea – ancora assai diffusa – che una donna debba muoversi per la strada con la consapevolezza di un essere indifeso in un mondo di potenziali stupratori, stando attenta a come si veste, al non dare troppa confidenza, magari a non uscire da sola dopo il tramonto. E poi deve stare attenta anche a non bere, perché – come affermato da Andrea Giambruno, giornalista nonché compagno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni – se ti ubriachi «poi rischi che il lupo lo trovi». È questa, in buona sintesi, quella “cultura dello stupro” che va superata: l’insieme dei comportamenti, del linguaggio, delle norme socialmente accettate che contribuiscono a plasmare una società in cui le violenze sessuali sono in un certo modo tollerate.

Nella nostra società diamo per scontato che se un uomo si impossessa dell’automobile di un’altra persona senza il suo consenso sia un reato; diamo per scontato che se un uomo si introduce in casa di altri senza permesso sia un reato; ma se un uomo forza una donna ad un rapporto sessuale senza il suo consenso, il fatto che sia un reato non è più scontato: riteniamo legittimo prima chiederci come era vestita, se aveva bevuto, se forse prima di dire «no» aveva avuto atteggiamenti che l’uomo aveva potuto interpretare come ambigui, e magari quel «no» non era veramente un no. E questo è un problema culturale che, come tale, può essere affrontato con l’educazione.

Cos’è l’educazione sessuale e a cosa serve sul tema della violenza e dello stupro

Dire che la violenza di genere e la cultura dello stupro sono strutturali nella nostra società significa affermare che fanno parte della nostra cultura in ogni suo aspetto, un fenomeno di cui spesso non abbiamo consapevolezza e quindi non riusciamo nemmeno a riconoscere. Uno degli obiettivi che si pone l’insegnamento dell’educazione sessuale è anche quello di facilitare la costruzione di relazioni basate sul rispetto reciproco, attraverso la trasmissione di informazioni scientificamente corrette che, in maniera differente in base alle fasce d’età, aiutino a destrutturare modelli relazionali rigidi e costruiti sulle basi di secoli di cultura patriarcale, improntata ad un profondo rifiuto di una reale parità di genere. Modelli relazionali stereotipati – talmente interiorizzati da essere considerati naturali – hanno una relazione profonda con la violenza di genere. Il primo passo educativo è quindi quello di accrescere la consapevolezza del condizionamento degli stereotipi di genere nell’educazione alla sessualità.

Ecco perché anche la proposta del ministro Valditara di sedute di autocoscienza sulla violenza di genere, tenute da studenti per studenti non è adeguata a intervenire in maniera efficace sul problema. Non servono corsi spot improvvisati, ma programmazione. Sul modo in cui l’educazione sessuale andrebbe fatta nelle istituzioni scolastiche esistono linee guida da lungo tempo. Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e Centro federale per l’educazione sanitaria in Germania (BZgA) hanno pubblicato nel 2010 un documento quadro per l’educazione sessuale in Europa, nel quale si afferma la necessità di attivare progetti a livello nazionale a partire dall’infanzia. Una guida che, in maniera chiara ed esaustiva, delinea come e quali argomenti trattare per fasce d’età. Tuttavia la reazione di molti all’idea di introdurre la materia di “educazione sessuale” nelle scuole elementari è di istintiva avversione, come se si trattasse di un insegnamento pericoloso, che chissà cosa potrebbe mettere in testa ai bambini.

Il tabù dell’educazione sessuale ai bambini

Ma perché è importante coinvolgere già i più piccoli in momenti di educazione sessuale e affettiva? Ad esempio, entrando nel concreto, sarebbe essenziale già dalle scuole materne e primarie insegnare ai bambini come gestire le proprie delusioni; come esprimere e comunicare le proprie emozioni, desideri e bisogni; come saper mettere dei confini di fronte a situazioni spiacevoli. E poi, nei termini dei ruoli sociali, a rinforzare gli elementi di parità, aiutandoli nel tempo a riconoscere stereotipi di genere, linguaggi non rispettosi, immagini allusive, pubblicità sessiste, tutti elementi diffusi nella comunicazione (anche pubblicitaria e mediatica) del mondo degli adulti che possono alimentare, se non ben decodificati, comportamenti irrispettosi e violenti.

In particolar modo, l’educazione sessuale e affettiva applicata alla violenza di genere promuove e rimette al centro il tema del consenso, argomento che è essenziale introdurre già dall’infanzia. Spiegare il tema del consenso ai più piccoli significa insegnare loro a riconoscere i propri diritti in merito all’inviolabilità del corpo, educare a comprendere e saper esprimere nel modo corretto le proprie emozioni, ma non solo, significa anche educare al rispetto delle diversità. Ad esempio, significa insegnare ad un bambino sin da quando è piccolo a non dover per forza abbracciare o baciare qualcuno se non lo vuole. Questo lo aiuterà nel tempo a riconoscere cosa gli piace e cosa no e a essere preparato a riconoscere un possibile abuso, passo essenziale affinché possa opporsi. Rinunciare ad educare i bambini a questi temi significa rischiare di continuare a trasmettergli il concetto che la loro volontà e il loro disagio non hanno importanza o a non riconoscere il disagio né quello dell’altro. I bambini possono subire abusi che impattano sul loro sviluppo: non si pensi solo a fatti più gravi come le violenze sessuali da parte di adulti, ma anche ai comportamenti maneschi e inappropriati tra bambini, che spesso portano a sofferenze per chi le subisce. Insegnare già dall’infanzia a riconoscere ciò che si può esigere di non subire e ciò che non può essere fatto agli altri senza il loro consenso significa porre le basi affinché crescano senza accettare di subire violenze e senza effettuarne sugli altri.

L’educazione sessuale negli adolescenti

Con gli adolescenti è fondamentale mettere il sesso al centro del discorso, riconoscendo che il nodo critico nel nostro Paese è il tabù del sesso che genera ignoranza e inconsapevolezza. Se così non fosse avremmo una legge nazionale che segue le linee guida e che rende la materia obbligatoria in tutte le scuole di ogni ordine e grado. Invece l’Italia continua ad essere tra i pochissimi Paesi europei a non effettuarla. Come suggerisce l’antropologa culturale Nicoletta Landi, l’educazione sessuale nelle scuole secondarie di secondo grado non dovrebbe essere orientata solamente alla tutela della salute – come la prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse o delle gravidanze non desiderate – ma dovrebbe mettere il tema del “piacere” al centro del discorso. Educazione al piacere: ovvero insegnare innanzitutto alle ragazze ad essere sicure e consce dei loro desideri, perché viviamo in una società che demonizza il desiderio femminile e lo reprime in maniera costante. Se non liberiamo il discorso sul piacere non stiamo veramente parlando di consenso: come posso capire cosa non mi piace e non desidero se non conosco quello che mi piace?

Un altro aspetto connesso all’educazione sessuale e affettiva applicata alla violenza di genere negli adolescenti è legato al ruolo che giocano le rappresentazioni culturali della femminilità e della mascolinità nei processi di socializzazione di genere. Durante l’adolescenza come individui siamo più consapevoli dei nostri impulsi sessuali e dobbiamo dimostrare al mondo chi siamo. A questa età gli adolescenti maschi sono spesso impegnati a dimostrare chi sono esibendo l’attrazione per le ragazze al loro gruppo (fischiando, facendo apprezzamenti), con il solo obiettivo di dimostrare la loro mascolinità. Alle adolescenti viene invece insegnato che per stare al mondo è importante piacere gli altri, avere un comportamento sessuale disciplinato. Per contrastare la cultura dello stupro bisogna partire dal principio, da come viene interiorizzata nei ragazzi e nelle ragazze la costruzione della mascolinità e della femminilità che risponde a modelli identitari e relazionali rigidi e stereotipati.

Molta attenzione negli ultimi anni è stata dedicata da parte di ricercatori al fenomeno delle teen dating violence (TDV), ovvero quell’insieme di atti di coercizione, prevaricazione e controllo che si concretizzano all’interno di relazioni intime tra adolescenti e si mettono in atto attraverso comportamenti violenti, aggressivi e di dominazione. Atteggiamenti che si traducono in pratiche come la gelosia eccessiva, il desiderio di controllo e monitoraggio costante sulle attività dell’altro, l’impedire al partner di vedere persone o di uscire con gli amici, fino all’induzione ad avere rapporti sessuali non desiderati o a non voler contrattare sull’uso della contraccezione. Rispetto ai numeri di questo fenomeno, in Italia non abbiamo ancora molti dati a riguardo, ma appare da numerose ricerche che le ragazze subiscono un numero più elevato di maltrattamenti maggiore rispetto ai ragazzi. Molti aspetti di questo fenomeno sono stati evidenziati e confermati ad esempio dall’indagine nazionale realizzata nel 2014 da Telefono Azzurro e Doxa Kids.

Il tema del consenso: solo sì è sì

Il discorso educativo sul consenso è al centro delle possibilità dell’educazione sessuale contro lo stupro e la violenza di genere. Abbiamo già visto come nella società (e talvolta purtroppo anche nei tribunali) vi sia ancora la tendenza ad inquisire le possibili responsabilità della vittima di fronte ai casi di stupro. La verità è che chi ha subito violenza spesso si sente processata allo stesso modo del violentatore: come era vestita? Ma aveva bevuto? Ma se a casa del violentatore è salita di sua volontà forse se l’è cercata?

A pensarci è un’inversione dell’onere della prova che mai ci si sognerebbe di applicare ad altri tipi di reati e che si basa sull’idea – propria del sistema patriarcale – che tra uomo e donna sia ancora in vigore la legge di natura basata sul predominio della forza fisica e sulla giustificazione dell’istinto animale. Molteplici sentenze in Italia hanno assolto o garantito sconti di pena a stupratori per motivazioni che mostrano come sia ancora lunga la strada da fare. Nel luglio 2022, a Torino, viene assolto un ragazzo che ha violentato una ragazza nel bagno di un locale, il giudice interpreta il fatto che la ragazza aveva lasciato la porta del bagno socchiusa come un “invito a osare”. Nell’agosto 2023, a Firenze, due ragazzi vengono assolti dopo aver abusato sessualmente di una loro conoscente completamente ubriaca ad una festa: secondo il giudice il fatto che lei non fosse in grado di dire di no li ha indotti a credere che lei ci stesse. Una sorta di silenzio-assenso che giustifica la violenza sessuale, insomma.

Anche in questi casi l’educazione sessuale è fondamentale, e se non è possibile farla ai giudici di oggi serve quantomeno provare a formare quelli di domani. Il tema del consenso – del quale dovremmo aver già parlato ai bambini, nell’ambito dei giochi e delle relazioni con i pari – verrà ripreso tra gli adolescenti per spiegare un principio basilare eppure tutt’altro che scontato: una violenza si verifica ogni volta che si abusa di una persona che non ha mostrato in modo esplicito di essere consenziente. Ed è stupro anche se si forza ad un rapporto sessuale una persona che inizialmente era favorevole ma poi ha detto di no cambiando idea. In Spagna, in questo senso, è stata approvata una legge ribattezzata “Solo sì è sì”: prevede che “il consenso può essere considerato tale solo quando sia stato liberamente manifestato attraverso atti che, a seconda delle circostanze del caso, esprimono in maniera chiara la volontà della persona”. Un principio elementare che però, per diventare effettivamente rispettato, deve essere fatto proprio anche a livello culturale, tramite l’educazione.

Chi deve fare l’educazione sessuale: Scuola contro famiglia?

Uno degli argomenti principali contro l’educazione sessuale nelle scuole da parte delle famiglie contrarie è che possa incoraggiare gli adolescenti ad anticipare le loro relazioni sessuali. La ricerca internazionale, tuttavia, indica chiaramente che l’inizio precoce dei contatti sessuali non è il risultato dell’educazione sessuale. Diversi studi hanno fatto una valutazione dell’impatto che ha avuto l’introduzione di programmi nazionali a lungo termine di educazione alla sessualità in alcuni paesi e i risultati sono tangibili:

  • Riduzione delle gravidanze e degli aborti in età adolescenziale
  • Diminuzione delle infezioni sessualmente trasmissibili (IST) tra i giovani tra i 15 e i 24 anni
  • Diminuzione delle infezioni da HIV tra i giovani di età compresa tra 15 e 24 anni
  • Diminuzione degli abusi sessuali
  • Diminuzione dell’omofobia

La scuola, avendo fra i suoi obiettivi quello di favorire la crescita, lo sviluppo, il benessere psico-fisico degli alunni e le relazioni positive con gli altri e con la comunità, è chiamata a pieno titolo a occuparsi di queste tematiche, trasversali a diverse discipline. Realizzare programmi di educazione affettiva e sessuale nelle scuole richiede grande attenzione, soprattutto rispetto alla dimensione socio-culturale in cui crescono gli adolescenti. La realtà con cui essi si interfacciano oggi è più complessa: sia perché si ha finalmente un’attenzione diversa dal passato sul tema della violenza, sia perché il mondo di oggi pone di fronte a rischi che non erano presenti per le generazioni precedenti. Pensiamo ad esempio al modo in cui si relazionano tra di loro attraverso l’uso delle nuove tecnologie, e come queste possano rappresentare un nuovo strumento attraverso cui esercitare violenza. Il tema è rilevante al punto che è stata coniata la definizione di Technoogy Assisted Adolescent Dating Violence and Abuse (Violenza e abusi adolescenziali assistiti dalla tecnologia – TAADVA). Pensiamo ad esempio alla possibilità che hanno oggi gli adolescenti di controllare l’altro attraverso l’analisi dei social network, attivazione del GPS, o di minacciarlo attraverso la condivisione non consensuale in rete di materiale intimo e privato.

Se si vogliono promuovere per davvero dei cambiamenti culturali che vadano nella direzione del contrasto della violenza di genere è necessario mettere in campo sin dall’infanzia percorsi strutturati di educazione alla sessualità e all’affettività, e ove possibile mettere insieme competenze diverse costruendo una collaborazione educativa tra genitori, insegnanti, educatori e operatori socio-sanitari. L’acquisizione di informazioni sulla sessualità attraverso un’educazione formale è l’unica possibilità che abbiamo per avviare i nostri giovani verso un percorso di emancipazione che li aiuti a costruire relazioni paritarie libere da rapporti di forza e di potere.

[di Elisa Arianna Passatore]

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9 Commenti

  1. Mi permetto di riepilogare alcuni punti su educazione sessuale, stupri e “consenso” di minorili.
    Alla fine degli anni 1970, la Mafia, sorretta dalla CIA (suo legame esistente sin dallo sbarco in Sicilia del 1943 assieme al mafioso americano condannato a perpetuità, Lucky Luciano – riconosciuto eroe USA – per invadere l’Europa con la cultura “americana”) fece chiudere le sale da ballo per dirigere i clienti verso le “discoteche” che si aprivano in simultanea. Ero testimone in quanto anche musicista all’epoca.
    Perché ignorare che già ai primi del 1980 si profilava la trilogia: disco-droga e sesso? Entrando in alcune discoteche di pomeriggio, si osservavano ragazzi/e minori che fumavano e… si divertivano.
    Nessun genitore sapeva cosa facevano i figli? No! neanche oggi che, autorizzando i figli a rincasare alle 4-5 del mattino, senza preoccuparsi di cosa fanno, pur con documentazione video su internet dei ragazzini/e che s’incontrano solo per fare sesso?
    Grave leggerezza dei genitori, oltre che stimolo ai ragazzini a proseguire con i loro divertimenti tirando fuori la pillola del giorno dopo? Dal 1990 che sostengo l’irresponsabile e vergognosa complicità politica nel non vietare la diffusione di video erotici totalmente espliciti disponibili ai ragazzini dai 9-10 anni. Da tre anni, una legge in Gran Bretagna, invita i genitori ad insegnare ai bambini sin dai loro 5 anni a non rimproverarli se si toccano in pubblico. Anzi, stimolarli a masturbarsi liberamente e permettergli di conoscere anche gli attributi dei loro coetanei, oltre che dei genitori ! A quale livello di perversione vogliamo giungere? I Trans, dopo la moda dei Gay, è finanziata – è risaputo – da gruppi finanziari USA. Quando finiranno i genitori a vivere in una sfera ignorante di vergognosa decadenza morale, culturale e comportamentale?

  2. D’accordo con la replica di Alessandro. C’è ancora molto da lavorare su quella “cultura” che trova sempre modo di scaricare parte delle responsabilità sulle scelte femminili e che, pur non giustificando la violenza maschile, di fatto finisce in qualche modo per minimizzarla. La realtà, quella che il commento di Mario mette in evidenza, è che ancora oggi c’è il pensiero che tende ad addossare parte delle responsabilità alle vittime delle violenze. Quando sono andato ad una manifestazione sul tema ricordo un cartello: “voglio essere libera di ubriacarmi senza aver paura di essere molestata”, che mi pare una bella risposta a chi fa ancora la paternale sotto forma di presunto realismo di come va o andrebbe la vita là fuori.

  3. Articolo molto ben fatto, chiaro e onesto nell’esposizione. Le argomentazioni critiche a questo approccio secondo me si focalizzano troppo sul minimo fattore scatenante momentaneo (l’aver bevuto poco prima, l’incapacità di reprimere la malsana violenza, …) e troppo poco sulle cause latenti (perché basta bere per farti diventare aggressivo e incapace di giudicare?). Questo articolo mostra in modo efficace cosa si potrebbe fare per risolvere la prima e, insieme, rendere inefficaci i primi.

  4. Ottimo articolo sull’educazione sessuale che però dimentica l’educazione all’autodifesa, un 2% di educazione all’autodifesa nelle scuole in linea con i patti NATO, non solo judo o Karatè, ma più semplicemente pura autodifesa insegnata nelle scuole da donne Carabiniere, farebbe molto.
    Sono sicuro che anche un maschio più forte se cerca di stuprare deve abbassare le sue difese e allora una donna, anche se più debole ma ben preparata, può ridurlo ad uno straccio: Finché siamo nella NATO l’auto difesa non è solo un diritto ma sopratutto un DOVERE.

  5. E così, a parte mettere nella testa dei bambini maschi l’idea di essere tutti potenziali stupratori e avere casi in cui una donna, con la volontà di danneggiare un uomo per svariati motivi potrà, certo in maniera anch’essa criminale (e perché no?), negare un consenso che invece c’era stato, magari fra un po’ arriveremo al contratto firmato prima del rapporto sessuale.

  6. Articolo definitivo, chiaro ed esaustivo, serve un cambio di rotta, tutte le altre proposte sono pura propaganda elettorale, e le dichiarazioni dei mariti di certi “politici” sono la prova dell’ignoranza degli adulti (nel senso che ignorano compleanno il problema)

  7. Mi spiace io sono d’accordo con Giambruno che ha detto una cosa BANALE MA REALE e cioè che se non sei ubriaco (ma vale pure per gli uomini)hai molte più probablità di farla franca,dallo stupro,dal furto,dalla rapina, purtroppo il mondo REALE n cui viviiamo è questo. E NON c’entra assolutamente nulla con l’abbigliamento. Tra l’altro la stessa ragazza di Palermo un mese prima ha sventato uno stupro d 2 ragazzi ben messi spruzzandogli iin faccia spray al peperoncino ma in quel momento era SOBRIA. Questo è il mondo REALE purtroppo quello d cui parlate nell’articolo è il mondo IDEALE. Fermo restando che se subisco uno stupro un furto o una rapina la colpa è sempre al 100% dell’autore del reato che io sia ubriaco o no…….se non lo sono è più difficile che il reato riesca!!

    • Credo ci sia un incomprensione di fondo.
      Tu sottolinei come sia un dato di fatto che se sei ubriaco sei meno sensibile a stupro, come a qualsiasi atto criminale, per ovvie ragioni.
      Nell’articolo invece si sottolinea come il concetto di ”se non sei ubriaco non succede” venga utilizzato con funzione di giustificare certi tipi di comportamenti fornendo un capro espiatorio (insieme a tutti gli altri, quali ”se non si fosse vestita così”..) e un alibi allo stupro, una legittimazione assolutistica degli istinti primordiali maschili a danno della libertà di scelta della donna.
      Va bene la prevenzione e la consapevolezza che il pensiero patriarcale dalla quale siamo influenzati un po tutti domina ancora la realtà odierna, ma se vogliamo fare un passo avanti da una concezione uomo-donna arcaica e ormai superata, è fondamentale portare alla consapevolezza il modo in cui tale radicato pensiero si insinui un po ovunque, come in una frase ingenua tipo: ”è un dato di fatto che se non avesse bevuto probabilmente non sarebbe capitato”. Leggiamo bene questa affermazione: non suona tanto di ingiustificata giustificazione?

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