martedì 13 Maggio 2025
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Gaza, media: “Drone israeliano uccide civili e due giornalisti””

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Nuovi attacchi israeliani hanno colpito a Beit Lahia, a nord della Striscia di Gaza, provocando la morte di almeno cinque civili di cui due giornalisti. Lo riportano le agenzie locali come Wafa e i reporter di Al Jazeera, i quali affermano che i civili rimasti uccisi sarebbero almeno nove e che tra i deceduti ci sarebbero tre fotografi palestinesi. Secondo testimoni oculari, l’attacco avrebbe preso di mira due veicoli sui quali viaggiavano le vittime mentre cercavano di documentare gli sforzi di soccorso umanitario in zona. Si tratta di «un massacro orribile» e «una continuazione» dei «crimini di guerra», secondo una dichiarazione di Hamas.

Brasile, in vista della COP30 il governo disbosca l’Amazzonia per costruire un’autostrada

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La città brasiliana di Belém si prepara ad ospitare la Conferenza delle Parti sul Clima (COP30) nel novembre 2025. In vista di questo evento internazionale, è in corso la costruzione di un’autostrada a quattro corsie, lunga 13,6 chilometri, denominata Avenida Liberdade (PA-020), che attraverserà una significativa porzione della foresta pluviale amazzonica protetta. L’obiettivo dichiarato dal governo brasiliano è quello di semplificare il traffico verso la città, che ospiterà più di 50mila persone, tra cui leader mondiali, alla conferenza di novembre. Il progetto infrastrutturale ha però suscitato un acceso dibattito, evidenziando una significativa contraddizione tra l’impegno espresso dal presidente Luiz Inácio Lula da Silva per la tutela ambientale e le azioni che il governo ha deciso di intraprendere.

L’idea di costruire l’Avenida Liberdade risale al 2012, ma è stata più volte accantonata a causa delle preoccupazioni ambientali. Nel giugno 2024, il governo dello stato del Pará ha ufficialmente autorizzato il progetto – appoggiato in precedenza dall’ex presidente Bolsonaro – che prevede la realizzazione di un’autostrada a quattro corsie, con tre viadotti e un ponte sul fiume Aurá. Il tracciato parte dalla zona del campus dell’Università Federale del Pará, a Belém, e termina allo snodo dell’Alça Viária, a Marituba, attraversando tre fiumi e avvicinandosi al Parco Statale di Utinga.

[Il tracciato generale della Avenida Liberdade]
Adler Silveira, segretario alle Infrastrutture del governo del Pará, ha inserito questa autostrada tra i 30 progetti in corso nella città per «prepararla» e «modernizzarla», in modo tale da «lasciare un’eredità alla popolazione e, cosa ancora più importante, servire le persone in occasione della COP30 nel miglior modo possibile». Secondo Silveira, l’autostrada è stata progettata come «sostenibile», includendo corridoi per il passaggio della fauna selvatica, piste ciclabili e illuminazione a energia solare. Anche Lula ha sposato il progetto, affermando che l’ammodernamento attorno ai luoghi in cui andrà in scena la COP30 sarà funzionale a «mostrare al mondo cos’è la foresta amazzonica e come la gente ci vive», facendo conoscere alle persone «la straordinaria bellezza dei fiumi, della fauna e degli uccelli». In vista dell’obiettivo finale, sono in costruzione nuovi hotel e il porto è in fase di ristrutturazione per accogliere le navi da crociera. Il governo federale sta investendo più di 81 milioni di dollari per espandere la capacità dell’aeroporto da sette a 14 milioni di passeggeri e realizzare un nuovo parco cittadino di 500.000 m², il Parque da Cidade.

Nonostante le rassicurazioni governative, le immagini dei tronchi accatastati su terreni disboscati hanno sollevato preoccupazioni tra gli ambientalisti e le comunità locali. Lungo la strada parzialmente costruita, la rigogliosa foresta pluviale svetta su entrambi i lati. Gli escavatori continuano a scavare nel suolo della foresta, asfaltando le zone umide per realizzare la strada che attraverserà un’area protetta. Claudio Verequete, residente a circa 200 metri dal tracciato dell’autostrada e raccoglitore di bacche di açaí, ha riferito alla BBC che gli alberi da cui dipendeva per il suo sostentamento sono stati abbattuti. «Tutto è andato distrutto – ha detto -. Il nostro raccolto è già stato tagliato. Non abbiamo più quel reddito per sostenere la nostra famiglia». Ha dichiarato di non aver ricevuto alcun risarcimento dal governo statale e di temere che la costruzione della strada possa portare a una maggiore deforestazione in futuro. Gli scienziati si mostrano preoccupati dal fatto che la strada possa frammentare l’ecosistema, limitare gli spostamenti della fauna selvatica e aumentare il rischio di deforestazione illegale. La professoressa Silvia Sardinha, veterinaria specializzata in fauna selvatica, ha dichiarato che la nuova autostrada renderà ancora più difficile la riabilitazione e il rilascio degli animali curati. «Perderemo un’area in cui non potremmo liberare questi animali in natura – ha affermato -. Anche gli animali terrestri non saranno più in grado di attraversare il fiume, il che ridurrà le aree in cui possono vivere e riprodursi». Il governo del Pará ha negato che la costruzione dell’Avenida Liberdade sia direttamente collegata alla COP30, affermando che i lavori sono iniziati nel 2020, prima che Belém fosse scelta come sede del summit. Tuttavia, molti residenti e osservatori ritengono che la preparazione per la COP30 abbia accelerato la realizzazione del progetto.

Sin dal suo insediamento Lula, che ha già dovuto fare i conti con la difficile eredità del suo predecessore, Jair Bolsonaro, caratterizzata da tagli al welfare, militarizzazione delle istituzioni e deforestazione, ha dichiarato che al centro della sua presidenza ci sarebbe stata proprio la tutela dell’Amazzonia. Un’agenda messa in pratica negli anni in cui Lula ha governato il Brasile – dal 2003 al 2011 – in cui la deforestazione è diminuita da 27.700 chilometri quadrati all’anno a 4.500 chilometri quadrati all’anno. Una svolta resa possibile soprattutto dalla creazione di aree di conservazione e riserve indigene. Già nella sua cerimonia di insediamento di inizio gennaio 2023, il nuovo presidente si era detto favorevole all’autostrada in Amazzonia, presentandolo come un capolavoro di «crescita e sviluppo». Le forti critiche delle associazioni ambientaliste e per i diritti degli indigeni non riguardano solo la realizzazione della Avenida Libertade, ma anche la decisione del governo brasiliano di aderire all’OPEC+, organizzazione dei grandi produttori di petrolio, ufficializzata a febbraio. Sebbene si preveda solo un ruolo consultivo e senza obblighi di taglio della produzione da parte del Brasile, gli attivisti ambientali hanno visto questa mossa come una contraddizione rispetto all’impegno ecologista dichiarato da Lula.

[di Stefano Baudino]

Iraq: ucciso alto comandante dell’Isis in un’operazione congiunta

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Abdallah Makki Muslih al-Rufayi, alto esponente dello Stato Islamico e responsabile in particolare delle cosiddette «operazioni esterne», è stato ucciso dalle forze di sicurezza irachene con il supporto della coalizione internazionale anti-jihadista guidata da Washington. Lo ha annunciato il premier iracheno Mohammed Shia al-Sudani, definendo l’uomo «uno dei terroristi più pericolosi al mondo». L’operazione è stata condotta con un attacco aereo nella provincia di al-Anbar. Il jihadista, noto anche come “vice del Califfo”, era nel mirino delle sanzioni USA dal 2023. Il presidente Donald Trump ha celebrato l’uccisione del leader dello Stato Islamico su Truth Social.

‘’Procida’’, una poesia di Iosif A. Brodskij (1986)

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Baia sperduta; non più di venti barche a vela.
Reti, parenti dei lenzuoli, stese ad asciugare.
Tramonto. I vecchi guardano la partita al bar.
La cala azzurra prova a farsi turchina.

Un gabbiano artiglia l’orizzonte prima
che si rapprenda. Dopo le otto è deserto
il lungomare. Il blu irrompe nel confine
oltre il quale prende fuoco una stella.

Nella pittura e nella poesia il tempo disegna contorni. Lo sguardo
d’assieme cede ai dettagli, il particolare precede e segue il totale. La poesia sta
sul «ciglio del discorso», ha scritto Brodskij ne Il canto del pendolo: la poesia è
‘’tensione del linguaggio’’, ogni sua parola non è mai isolata: ’’richiede
continuazione’’. Tuttavia l’assieme di Procida si compone di sensazioni prima
che di parole e qui la percezione prende atto di una realtà frammentaria che la
coscienza dell’autore e del lettore attiveranno in una opzione comunicativa, in
un incontro e in un’intesa unica ogni volta.

Scriveva Aleksandr Potebnja, un teorico russo del linguaggio del secondo
Ottocento, che la poesia non trasmette significati preesistenti, già noti, ma tenta
di riprodurre l’essenza delle cose che sfugge alle percezioni immediate. E
come? Rendendosi ogni parola un microtesto, unità minima densa che riempie
uno spazio mentale, prima che prendere parte alla frase e al verso.

Scriveva, a sua volta, Salvatore Quasimodo che il poeta costringe la
propria anima a trasmettere i suoi segreti: la poesia non dice, non esprime
soltanto, ma cambia il mondo lasciando ogni parola con i suoi aloni, con i suoi
margini inespressi. Il catalogo dell’esistente diventa la popolazione simbolica
di uno spazio-tempo: «La luna rossa, il vento, il tuo colore/ di donna del Nord,
la distesa di neve…/Ho dimenticato il mare, la grave/ conchiglia soffiata dai
pastori siciliani,/ le cantilene dei carri lungo le strade…»(S. Quasimodo,
Lamento per il Sud, 1946).

Anche a Procida c’è uno spazio immerso nell’assoluto, senza un prima e un
poi, senza una causa e un effetto. Lo sguardo del poeta rifiuta la sintassi, cioè i
verbi. Il suo stile nominale organizza la visione in un modo fotografico, come
un regista che si prepara a girare e che ha bisogno di un certo numero di oggetti
e di persone: barche, lenzuoli, vecchi, un gabbiano, il lungomare, la stella.
Ma le “reti” sono “parenti dei lenzuoli”: e questo non c’è nessuna
immagine che può dirlo, se non ad esempio un montaggio lento che mostri le
une e gli altri in successione, suscitando somiglianze. Così entra appunto in
gioco la metafora, cioè la coscienza, cioè l’interpretazione. 

La poesia si fa ermeneutica: tenta di dire, forse, il maschile delle reti e il femminile delle
lenzuola, se pensiamo a una visione tradizionale che si ripartisce i compiti, e
lascia fuori i vecchi che si giocano a loro volta la metafora della vita come
partita al bar, depurata dalle sue contraddizioni e dai suoi ruoli, e distesa in un
tempo rituale.

In chiusura è l’orizzonte a caricarsi di una attesa bruciante, quella del
tempo che si affaccia come segno di una luce lontana, di un futuro, più ampio
chiarore nelle promesse della notte.

[di Gian Paolo Caprettini]

Serbia, decine di migliaia in piazza contro il governo

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Non si arresta la protesta della cittadinanza serba contro il governo, accusato di una corruzione dilagante e di esercitare un controllo arbitrario sui media. Nel fine settimana sono attese a Belgrado tra le 60mila e le 80mila persone, secondo le autorità serbe. Come nelle iniziative precedenti, a guidare la protesta saranno gli studenti, che da ieri si sono riversati nella capitale. Molti hanno percorso centinaia di chilometri a piedi o in bicicletta. In conferenza stampa, il presidente Aleksandar Vucic ha detto di aver chiesto alla polizia di mostrare moderazione, ma di arrestare i facinorosi.

La CEDU condanna la polizia ucraina per la strage di Odessa (ma incolpa anche i filo-russi)

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La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha condannato l’Ucraina per «negligenza dello Stato negli scontri tra sostenitori e oppositori di Maidan». Il riferimento è ai fatti di Odessa che hanno avuto luogo il 2 maggio 2014, quando 42 persone persero la vita a causa del rogo sviluppatosi nella Casa dei Sindacati della città, dove si erano rifugiate a seguito degli scontri tra i manifestanti a favore del nuovo governo filo-occidentale e i sostenitori del precedente governo filo-russo deposto. Le autorità ucraine non svolsero mai alcuna indagine sulle cause del rogo, nonostante all’esterno dell’edificio fossero presenti centinaia di sostenitori del governo appena eletto (guidato da gruppi neonazisti) che lanciavano bottiglie incendiarie contro l’edificio. La sentenza, pur incolpando le autorità ucraine, ha un retrogusto politico, in quanto sancisce la piena responsabilità della polizia, accusata di essere filo-russa e schierata con gli attivisti che protestavano contro il governo, oltre ad accusare la Russia di propaganda. Nel documento si sottolinea anche come il lancio di molotov sia stato “reciproco” tra l’interno e l’esterno dell’edificio.

In relazione ai fatti, la sentenza della Corte ha stabilito il sussistere di: «violazione dell’articolo 2 (diritto alla vita) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a causa dell’incapacità delle autorità competenti di fare tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare da loro per prevenire la violenza di Odessa del 2 maggio 2014, per porre fine a tale violenza dopo il suo scoppio, per garantire tempestive misure di salvataggio per le persone intrappolate nell’incendio e per avviare e condurre un’indagine efficace sugli eventi; e una violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) nei confronti di una ricorrente (ricorso n. 39553/16) in merito al ritardo nella consegna del corpo del padre per la sepoltura». Tra i 28 ricorrenti, 25 erano parenti delle vittime (alcune delle quali erano attivisti favorevoli al governo filo-occidentale), mentre 3 erano persone sopravvissute alla strage.

Nella descrizione dei fatti principali e del quadro politico e sociale della giornata, la sentenza sottolinea una forte interferenza da parte della Federazione russa negli eventi, attraverso azioni materiali e di propaganda. Gli scontri, riporta la CEDU, avrebbero preso il via dall’aggressione degli attivisti filo-russi contro quelli filo-occidentali (in particolare degli ultras dell’Odesa Chornomorets contro quelli del Kharkiv Metalist, che avrebbero dovuto giocare quel giorno ad Odessa). In un quadro simile, l’incendio dell’edificio dove morirono almeno 42 persone è descritto come un normale incidente nel contesto di uno scontro tra persone che si lanciano bombe molotov.

La Corte dettaglia in modo particolare l’inazione della polizia durante l’intero svolgersi degli eventi, fattore alla base della condanna nei confronti dello Stato ucraino. Gli agenti, infatti, non hanno mosso un dito nè prima dello scontro alla Casa dei Sindacati, nè durante il compimento della strage. La stessa inazione ha caratterizzato anche le indagini successive delle autorità, condotte in maniera approssimativa. La prova della collusione degli agenti con la Federazione russa sarebbe la fuga di alcuni di essi verso quest’ultima, dopo i fatti. Quel 2 maggio, inoltre, la polizia aveva arrestato 63 sopravvissuti alla strage, che furono rilasciati due giorni più tardi, a seguito di un’irruzione degli attivisti filo-russi all’interno degli edifici pubblici in segno di protesta.

Tuttavia, non si può non chiedersi perchè, se la polizia era davvero schierata con gli attivisti filo-russi, non sia intervenuta quando decine di essi venivano uccisi all’interno della Casa dei Sindacati. La sentenza della CEDU, dunque, sembra più rivolta a condannare le forze dell’ordine del vecchio regime, considerato prono alla Russia e ai suoi interessi, dai quali sarebbero dipesi i fatti del 2 maggio 2014. In questo contesto, va sottolineato come la pagina italiana della strage di Odessa, in un tentativo di revisionismo storico nemmeno troppo sottile, descriva i fatti come Incendio della Casa dei Sindacati di Odessa.

[di Michele Manfrin]

Maltempo, ancora allerta rossa in Emilia-Romagna e Toscana

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Continua l’ondata di maltempo in Italia con allerta rossa in Emilia Romagna e Toscana, dove piove senza sosta da oltre 24 ore. Il ministro per la Protezione civile ha disposto in entrambi i casi la mobilitazione straordinaria del Servizio nazionale di Protezione civile. Chiuse scuole, parchi, musei e mercati nelle aree più colpite, mentre a Firenze e Prato sono sospese molte attività. A Bologna l’allerta scende ad arancione, ma restano divieti in parchi e zone fluviali. In Toscana desta preoccupazione il livello dei fiumi, con l’Arno sorvegliato speciale. Frane e smottamenti possibili sull’Appennino a causa dei terreni saturi.

Violenza sessuale e riproduttiva: l’ONU svela il piano demografico del genocidio israeliano

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Ieri, giovedì 13 marzo, l’ONU ha pubblicato un nuovo rapporto della Commissione internazionale indipendente d’inchiesta sui territori palestinesi occupati che dettaglia il piano demografico del genocidio israeliano. Il rapporto, dal titolo “Più di quanto un essere umano possa sopportare” (“More than a human can bear“) rivela come, dal 7 ottobre, Israele abbia fatto un uso sistematico e sempre maggiore della «violenza sessuale, riproduttiva e di altre forme di violenza di genere». Veri e propri «atti genocidi», sottolinea la Commissione, a dimostrazione dell’intenzionalità e della programmaticità degli abusi israeliani che, in aperta violazione della Convenzione genocidio, mirano alla «persecuzione dei palestinesi come gruppo», impedendone lo sviluppo demografico.

Il rapporto dell’ONU documenta un’ampia gamma di violazioni perpetrate contro donne, uomini, ragazze e ragazzi palestinesi nei Territori palestinesi occupati a partire dal 7 ottobre 2023. La pubblicazione del rapporto è stata preceduta da due giorni di udienze pubbliche tenutesi a Ginevra l’11 e il 12 marzo, durante le quali la Commissione ha ascoltato vittime di violenza, testimoni, rappresentanti della società civile, accademici, avvocati, nonché il personale sanitario che ha assistito le vittime ed esperti indipendenti in ambito medico. Lo studio è stato condotto anche sulla base di dati digitali e include solo quelle violazioni corroborate da prove diverse e diversificate. Esso segue analoghi rapporti ed è stato compilato previa richiesta di documentazione, informazioni, indagini, e commenti sui crimini di cui sono accusati IDF e Hamas alle relative autorità statali. Lo Stato di Palestina ha fornito informazioni e commenti estesi; da Israele non è pervenuta risposta. Lo stesso Stato ebraico, inoltre, non ha fornito alcuna informazione sulle violazioni e gli abusi commessi dalle ali militare di Hamas e degli altri gruppi palestinesi il 7 ottobre 2023.

Dopo la nota metodologica, il rapporto passa alla presentazione dei casi, spesso fornendo una ricostruzione dettagliata dei singoli episodi. L’esercito israeliano, spiega lo studio, porta avanti forme di violenza sessuale e di genere quali stupro, «spogliarelli forzati in pubblico», aggressioni sessuali, e mutilazione dei genitali come «parte delle procedure operative standard» nei confronti dei palestinesi. Alcune di queste, come «lo stupro e la violenza sui genitali», sono state commesse «su ordine esplicito o con l’incoraggiamento implicito dei massimi vertici civili e militari di Israele». I detenuti maschi riportano di essere stati ripetutamente picchiati, presi a calci, tirati o schiacciati sui genitali dal personale israeliano, «spesso mentre erano nudi». «Un clima di impunità», si legge, «esiste anche per quanto riguarda i crimini sessuali e di genere commessi dai coloni israeliani in Cisgiordania». In diversi casi, inoltre, sono stati deliberatamente presi di mira bambini, giovani ragazze e donne incinta, tanto attraverso minacce quanto con colpi di arma da fuoco.

Oltre ai casi di violenza diretta e mirata, il rapporto riporta vari episodi di aggressione generalizzata o indirizzata alle strutture. La Commissione scrive di avere documentato diverse dichiarazioni dell’esercito «che possono essere interpretate come un’autorizzazione generale ai combattenti israeliani di colpire luoghi civili nella Striscia di Gaza». L’esercito israeliano, scrive infatti il rapporto, ha portato avanti un’ampia operazione di distruzione e demolizione «delle strutture sanitarie sessuali e riproduttive in tutta Gaza». Le forze dello Stato ebraico «hanno simultaneamente imposto un assedio e impedito l’assistenza umanitaria, inclusa la fornitura di farmaci e attrezzature necessarie per garantire gravidanze, parti e cure post-partum e neonatali sicure».

In conclusione, il rapporto «rileva che la violenza sessuale, riproduttiva e di genere, la cui frequenza e gravità sono aumentate, viene perpetrata nei Territori palestinesi occupati come strategia di guerra di Israele per dominare e distruggere il popolo palestinese». Anche le violenze dei coloni sono portate avanti con lo scopo di instaurare paura negli abitanti palestinesi e di «espellerli» dal territorio. Insomma, portando avanti parallelamente forme di violenza diretta nei confronti di persone specifiche e piani di demolizione delle capacità sanitarie per assistere alla gravidanza, Israele «mina i diritti riproduttivi e sessuali dei palestinesi». Questo costituisce un’aperta violazione dei punti c) e d) dell’articolo 2 della Convenzione genocidio che definiscono rispettivamente «il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale» e le «misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo» come atti genocidi. Al di là degli innumerevoli episodi di sadismo evidenziati dal rapporto, l’obiettivo profondo dello Stato ebraico viene individuato proprio nell’impedire lo sviluppo demografico dei palestinesi che si colloca all’interno di un più ampio e diversificato piano di genocidio ai danni del popolo palestinese.

[di Dario Lucisano]

UE, approvate le sanzioni individuali alla Russia

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L’Unione Europea ha approvato il rinnovo delle sanzioni contro individui e società russe, che sarebbero scadute alla mezzanotte di domani. Le sanzioni sono state approvate dopo negoziati con l’Ungheria, che chiedeva di togliere alcuni nomi dalla lista nera dell’UE. In tutto gli individui rimossi sono 4, di cui tre su richiesta dell’Ungheria. Le sanzioni devono essere confermate ogni sei mesi e richiedono l’unanimità. Tra gli individui di spicco figurano il presidente Vladimir Putin e il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, in una lista che include circa 2.400 nomi tra individui e società. Tra le altre cose, le sanzioni prevedono divieti di viaggio, congelamento dei beni e divieto di finanziamenti.

Perché Marte è rosso? Un nuovo studio svela uno dei misteri dell’astronomia

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Con la sua iconica tonalità ruggine, Marte è stato a lungo chiamato “pianeta rosso”, ma ora gli scienziati potrebbero aver capito perché: al contrario di quanto si pensava in precedenza, la colorazione non deriverebbe dal minerale ferroso ematite formatosi in seguito a reazioni con l’atmosfera marziana nel corso di miliardi di anni ma, piuttosto, dalla ferridrite, ovvero un ossido di ferro che si forma rapidamente in acqua fredda. È quanto emerge da un nuovo studio condotto da un team internazionale di scienziati, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications. Analizzando e combinando i dati di diverse missioni spaziali con esperimenti di laboratorio che hanno replicato la polvere marziana, gli autori hanno effettuato scoperte che, secondo quanto riportato, potrebbero riscrivere la storia geologica di Marte, indicando che la sua colorazione rossa potrebbe essere una traccia lasciata da un passato più umido e forse più adatto alla vita. «Marte è ancora il Pianeta Rosso. È solo la nostra comprensione del perché Marte sia rosso che si è trasformata», ha commentato Adomas Valantinas, ricercatore post-dottorato del dipartimento di Scienze della Terra, ambientali e planetarie della Brown University e coautore.

Marte è tra i pianeti più studiati del nostro sistema solare grazie alla sua relativa vicinanza alla Terra e alla presenza di numerose sonde che ne hanno esaminato la superficie. La sua colorazione rossastra ha sempre incuriosito gli scienziati, i quali ipotizzavano che fosse il risultato di un lungo processo di ossidazione del ferro presente nelle rocce marziane. Si riteneva infatti che questo fenomeno fosse avvenuto dopo la scomparsa dei laghi e fiumi che un tempo solcavano la superficie del pianeta e, finora, le analisi basate sui dati delle sonde avevano suggerito che il principale responsabile fosse l’ematite, un minerale di ferro che può formarsi senza la necessità di acqua liquida. Tuttavia, la difficoltà nello studiare direttamente la polvere marziana ha lasciato aperte molte domande sulla sua reale composizione, le quali sono state indagate nel nuovo studio recentemente pubblicato su Nature Communications.

In particolare, gli scienziati hanno integrato osservazioni spaziali con simulazioni di laboratorio per verificare quale tipo di ossido di ferro sia effettivamente presente sulla superficie di Marte: sono stati analizzati dati provenienti da diverse missioni, tra cui Mars Express ed ExoMars Trace Gas Orbiter dell’Agenzia Spaziale Europea, nonché il Mars Reconnaissance Orbiter e i rover Curiosity, Pathfinder e Opportunity della NASA, ed è stata determinata la composizione e le dimensioni delle particelle di polvere. È stata poi creata una replica della polvere marziana in laboratorio, utilizzando vari tipi di ossido di ferro e riducendoli in particelle delle stesse dimensioni di quelle presenti su Marte e le analisi, effettuate con spettrometri a raggi X e strumenti di riflettanza, hanno mostrato che la ferridrite, un ossido di ferro idrato, è il miglior candidato per spiegare il colore rosso del pianeta. Si tratta di risultati che, secondo gli autori, indicherebbero che la ruggine marziana si sarebbe formata quando l’acqua era ancora presente sulla superficie, suggerendo che il pianeta si sia ossidato molto prima di quanto ipotizzato finora: «Dato che questa ruggine contenente acqua ricopre la maggior parte della superficie marziana, ciò suggerisce che l’acqua liquida nell’antico passato di Marte potrebbe essere stata più diffusa di quanto si pensasse in precedenza. Ciò suggerisce che Marte un tempo aveva un ambiente in cui era presente acqua liquida, che è un prerequisito essenziale per la vita. Il nostro studio rivela che la formazione di ferridrite su Marte richiedeva la presenza sia di ossigeno, proveniente dall’atmosfera o da altre fonti, sia di acqua in grado di reagire con il ferro», ha spiegato Valentinas, concludendo che le nuove scoperte presentano nuovi misteri che dovranno comunque essere indagati in analisi successive, come la posizione della fonte originale della ferridrite prima che venisse distribuita globalmente su Marte attraverso tempeste di polvere e l’esatta composizione chimica dell’atmosfera di Marte quando si formò la ferridrite.

[di Roberto Demaio]