martedì 13 Maggio 2025
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Tregua in Ucraina: Putin detta le sue condizioni

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In seguito all’accordo raggiunto dagli Stati Uniti con l’Ucraina per un cessate il fuoco di 30 giorni nella guerra contro la Russia, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato ieri alla stampa di essere d’accordo in linea generale con la proposta. Tuttavia, ha aggiunto che è necessario definire meglio una serie di presupposti cruciali affinché sia possibile sospendere i combattimenti, dettando così le sue condizioni. Alcune di queste corrispondono alle richieste che Mosca ha messo sul tavolo sin da prima dello scoppio del conflitto nel 2022. Il capo del Cremlino ha affermato che qualunque accordo dovrà affrontare quelle che sono le cause profonde del conflitto e dovrà garantire che l’Ucraina non usi il cessate il fuoco per riorganizzarsi: «Siamo d’accordo con le proposte di cessare le ostilità. L’idea in sé è corretta e certamente la sosteniamo», ha asserito, aggiungendo però che questa tregua «dovrebbe essere tale da condurre a una pace duratura ed eliminare le cause originarie di questa crisi». Inoltre, ha chiesto come verrà organizzato il controllo del cessate il fuoco e che garanzie ci saranno sul fatto che Kiev non si riorganizzi per proseguire il conflitto, definendo queste «tutte domande serie». In altre parole, i presupposti per raggiungere il cessate il fuoco sono ancora lontani e potrebbero richiedere più tempo di quanto Washington vorrebbe.

Le richieste di Mosca e Kiev, infatti, sono ancora distanti tra loro: Putin ha posto come condizioni fondamentali per la tregua la non adesione dell’Ucraina alla NATO, il mantenimento delle regioni ucraine (Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kerson) che hanno aderito alla Federazione russa il 30 settembre del 2022 e il ridimensionamento dell’esercito ucraino. Inoltre, il capo del Cremlino ritiene necessario che in Ucraina si tengano le elezioni. Tutte cose su cui Kiev ha dichiarato di essere contraria: secondo il media russo, Ria Novosti, infatti, durante i negoziati con i rappresentanti degli Stati Uniti in Arabia Saudita, l’Ucraina avrebbe respinto categoricamente la richiesta del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di non aderire alla NATO e avrebbe altresì dichiarato di essere contraria alle restrizioni sulle dimensioni dell’esercito. Nel testo della dichiarazione congiunta concordata da Stati Uniti e Ucraina dopo i colloqui in Gedda non ci sono riferimenti a condizioni particolari di cessate il fuoco, se non un generico impegno a «nominare le squadre di negoziazione e di iniziare immediatamente i negoziati per una pace duratura che garantisca la sicurezza a lungo termine dell’Ucraina». Putin ha, dunque, asserito che i termini per il cessate il fuoco necessitano di chiarimenti e ha ringraziato il presidente statunitense, con la cui amministrazione ultimamente c’è stato un riavvicinamento. Da parte sua, Donald Trump ha comunque definito le dichiarazioni di Putin «molto promettenti», dicendosi disponibile a parlare telefonicamente con il presidente russo. Ha però anche aggiunto che se la Russia non accetterà la proposta degli Stati Uniti «sarà una grande delusione per il mondo».

Il capo del Cremlino ha anche posto l’accento sulla situazione sul campo, in particolare nella regione russa di Kursk, occupata dagli ucraini: secondo lo “zar”, in quella zona la situazione sta rapidamente cambiando a favore della Russia. «Ieri, durante un rapporto, il comandante del gruppo di battaglia Nord e il suo vice mi hanno informato: Domani, Sudzha sarà nelle nostre mani. Ed è esattamente ciò che è accaduto», ha detto, aggiungendo che «il controllo delle truppe ucraine all’interno di questa zona di incursione è stato perso». Ha quindi domandato cosa implicherebbe una tregua di 30 giorni nella regione di Kursk: «Se cessiamo le ostilità per 30 giorni, cosa implica? Tutti quelli che sono all’interno se ne andranno semplicemente senza opporre resistenza? Dobbiamo permettere loro di uscire dopo che hanno commesso numerosi crimini contro i civili? O la leadership ucraina emetterà un ordine di deporre le armi? Come si svolgerà? È una questione non chiara», ha asserito. Ha poi sollevato la questione del controllo del cessate il fuoco: «Chi determinerà dove e chi ha violato un potenziale accordo di cessate il fuoco lungo una linea di 2.000 chilometri? Chi attribuirà la colpa per eventuali violazioni? Sono tutte domande che richiedono un esame approfondito da entrambe le parti». Inoltre, ha anticipato che la Russia ha iniziato a negoziare il ritorno di alcune aziende occidentali «in modalità a porte chiuse».

Sono ancora molte, dunque, le questioni che Russia, Ucraina e Stati Uniti devono affrontare per concordare un cessate il fuoco e per arrivare a una pace duratura e non è scontato che ciò possa avvenire in tempi brevi. In ultima analisi, però, la Russia determinerà i prossimi passi per risolvere il conflitto in Ucraina «in base all’evoluzione della situazione sul campo».

[di Giorgia Audiello]

Maltempo, anche in Toscana scatta l’allerta rossa

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Dopo l’Emilia-Romagna, anche la Toscana vede salire di livello l’allerta meteo in corso, che da mezzogiorno è diventata “rossa” per le province di Firenze, Prato, Pistoia e Pisa. La decisione è stata presa dalla Sala operativa unificata della Protezione civile regionale, in seguito alla riunione dell’unità di crisi. «La popolazione è invitata alla massima prudenza e a limitare i propri spostamenti fin da subito», si legge in una nota, dove si spiega che «il sorvegliato speciale di queste ore è il fiume Arno». Nelle ultime ore si sono registrati allagamenti in zona Campo di Marte, con interventi della Protezione civile alle Cascine del Riccio.

Sardegna: la questura usa il Daspo urbano contro il movimento anti-speculazione eolica

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Le autorità sarde hanno emanato due Daspo urbani, la misura di divieto di accesso al territorio comunale, nei confronti di attivisti sardi che hanno partecipato alle proteste contro la speculazione eolica. Gli attivisti, di preciso, avevano preso parte a una protesta notturna presso il porto di Oristano-Santa Giusta, con l’obiettivo di impedire il trasporto delle pale eoliche tra le strade provinciali 49 e 56. Nei prossimi giorni, ipotizzano i quotidiani locali, misure analoghe potrebbero colpire altre persone presenti alla manifestazione: i due attivisti sanzionati, infatti, si sarebbero limitati a protestare vicino ai tir, nei pressi dei quali si trovavano però altre decine di manifestanti.

Nello specifico, uno dei Daspo urbani già recapitati ha colpito un’attivista di 60 anni, Rosi Tocco, la quale avrebbe insultato con foga l’autista del tir che trasportava la pala eolica, che l’avrebbe attaccata a parole. Tramite il suo avvocato, Michele Zuddas, Tocco chiederà di essere ascoltata in Questura al fine di chiarire la sua posizione. «Ho ricevuto un procedimento amministrativo perché io e alcuni compagni di vari comitati in lotta contro la speculazione energetica, abbiamo legittimamente protestato a Santa Giusta – ha scritto Tocco in un post Facebook – Nello specifico, io ho ostacolato con veemenza l’esecuzione della manovra del mezzo pesante impedendo la prosecuzione, obbligando l’autista ad una sosta forzata, ho insultato e minacciato l’autista e un operatore a terra. Di conseguenza lorsignori ritengono che io sia una persona socialmente pericolosa. Oramai non si può più neanche dissentire con “veemenza “, avrei dovuto dire all’autista con modi gentili e per gentilezza di non trasportare quell’enorme mostro a Villacidro!». Tocco ha concluso il suo post scrivendo: «Io non mi lascio intimorire, per me è soltanto un onore essere processata per aver difeso la mia amata Terra». Un altro Daspo è stato emesso all’indirizzo di un attivista barbaricino di cui non sono state rese note le generalità, ma ci si aspetta che ne arrivino molti altri. In totale, infatti, le persone in protesta a ridosso del tir erano circa trenta, mentre altre venti dimostranti avevano fatto sentire la loro voce per le strade dello scalo portuale.

Quella notte, il grande autoarticolato posizionato nel piazzale del porto industriale, con un’enorme pala eolica caricata per il trasporto, doveva raggiungere il Comune di Villacidro. Alcune decine di militanti del Presidio del popolo sardo, giunti da ogni angolo dell’Isola, avevano inscenato una protesta davanti al mezzo in partenza, rallentando le operazioni per circa un’ora. Sotto l’attenzione controllo delle forze dell’ordine, i manifestanti avevano scandito lo slogan “Fuori la mafia dalla Sardegna!”. Tra le pale e gli agenti, di tanto in tanto, sono comparse le maschere dell’Anonymous sardo, decorate con i Quattro Mori, per richiamare l’attenzione sulla mobilitazione contro l’espansione incontrollata di impianti eolici, fotovoltaici e agrivoltaici sul territorio.

La popolazione sarda lotta da tempo contro la speculazione delle multinazionali dell’eolico. Un presidio permanente presso il porto di Oristano è iniziato nel luglio dell’anno scorso, sfociando fin dai primi giorni in tensioni con le forze dell’ordine, che hanno effettuato sgomberi, identificazioni e denunce all’indirizzo degli attivisti. Contestualmente, nell’entroterra cagliaritano, alcuni cittadini hanno dato il via alla Rivolta degli Ulivi, sollevazione popolare spontanea che risponde agli espropri coattivi dei terreni dei contadini (dove dovranno sorgere i parchi eolici) piantando ulivi e altre specie vegetali.

Nel frattempo, la vicenda ha visto negli ultimi giorni una novità importante sul versante normativo e giurisprudenziale. La Corte costituzionale ha infatti dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 3 della legge regionale della Sardegna che, lo scorso luglio, aveva introdotto una moratoria sulla realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili per un anno e mezzo, in attesa del via libera alla legge regionale per l’individuazione delle aree idonee. Contro la moratoria il governo italiano aveva subito deciso di ricorrere alla Consulta, vincendo la partita. Nel testo della sentenza si spiega infatti che le disposizioni regionali impugnate, sebbene «finalizzate alla tutela del paesaggio, nello stabilire il divieto di installare impianti alimentati da fonti rinnovabili», si pongono in contrasto con gli obiettivi di decarbonizzazione sanciti a livello europeo e recepiti a livello statale.

[di Stefano Baudino]

Repubblica Democratica del Congo, la maledizione della ricchezza

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La Repubblica Democratica del Congo (RDC) è la più grande nazione di tutta l’Africa subsahariana: da sola ha la stessa superficie dell’Europa occidentale. Rigogliosa, piena di vita e culture diverse, con diversi ambienti e migliaia di specie animali, la RDC è anche la nazione più ricca al mondo di risorse minerali: rame, tungsteno, coltan, tantalio, oro, argento e ferro. Risorse che hanno reso un luogo, sulla carta più simile all’Eden che alla Terra dei mortali, in un inferno senza fine. Dall’inizio del nuovo anno, la milizia ribelle M23, che ha incominciato la sua avanzata nelle ricche provin...

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Russia, respinto attacco ucraino con droni nel sud del Paese

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Nella notte, l’esercito ucraino ha attaccato il sud della Russia con quattro droni diretti verso Mosca, che sono stati abbattuti dai sistemi di difesa aerea. Come riportato dai media russi, vari testimoni hanno raccontato di avere «sentito delle esplosioni e di avere visto del fumo» nella regione della capitale. L’attacco ha causato un incendio in un’area di circa mille metri quadrati in un deposito di prodotti petroliferi a Tuapse, sulla costa del Mar Nero. Secondo i rapporti preliminari, non ci sono state vittime. I servizi di risposta alle emergenze stanno lavorando sul posto per domare le fiamme.

 

 

 

Una storica sentenza mette fine all’impunità delle torture di Stato in Libano

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Con una sentenza del 5 marzo, il Consiglio della Shura, il più alto organo della giustizia amministrativa libanese, ha ordinato al governo del Paese di risarcire un cittadino con una somma pari a circa 5.000 euro per non aver impedito che venisse torturato. A percepire il risarcimento sarà Ziad Itani, attore arrestato nel 2017 con una falsa accusa di spionaggio. Itani fu trattenuto in carcere per settimane, durante le quali venne segregato in isolamento, incatenato per ore e malmenato. «Questa decisione rappresenta una rara svolta per la giustizia, che deve aprire la strada alla fine della lun...

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Cessate il fuoco in Ucraina: Putin apre, ma chiede ulteriori discussioni

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Il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che la Russia è favorevole alle proposte degli USA per un cessate il fuoco in Ucraina, evidenziando però che qualsiasi accordo dovrà affrontare le cause profonde del conflitto e che molti dettagli rimangono ancora da definire. «L’idea in sé è giusta e noi sicuramente la sosteniamo – ha dichiarato Putin -. Tuttavia, ci sono questioni che dobbiamo ancora discutere, e credo che sia necessario parlarne anche con i nostri colleghi americani». Di rimando, Trump ha parlato di «una dichiarazione molto promettente» da parte di Putin, che però «non è completa». «Speriamo faccia la cosa giusta», ha aggiunto il tycoon.

Emilia-Romagna, a mezzanotte scatta l’allerta rossa per il maltempo

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Dalla mezzanotte, in Emilia-Romagna scatterà l’allerta rossa per 24 ore. Lo hanno stabilito ARPA e Protezione civile a causa del peggioramento delle previsioni meteo: si aspettano piogge intense sul territorio con conseguenti piene dei fiumi. Nello specifico, l’allerta rossa per le piene dei fiumi è prevista nelle province di Bologna, Ferrara e Ravenna, mentre per frane e piene dei corsi minori è prevista nelle province di Bologna, Ravenna e Ferrara. Un’allerta arancione è invece stata emessa per temporali e vento. Le scuole rimarranno chiuse a Bologna e in diversi altri Comuni della Regione.

 

 

 

I tifosi argentini scendono in piazza per difendere i pensionati dalla polizia

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Un muro di colori si è eretto ieri nelle strade di Buenos Aires, formato da donne e uomini di tutte le età. Erano gli hinchas, tifosi di decine di club argentini che hanno messo da parte le rivalità sportive per una causa comune: la difesa dei pensionati che da mesi, ogni mercoledì, manifestano nella capitale contro le politiche antipopolari del presidente Milei. E lo fanno sfidando la violenza della polizia, come quella che poche settimane fa si è riversata verso Carlos Dawlowfki, 75enne in pensione che in piazza indossava la maglia del Chacarita Juniors, squadra di Buenos Aires militante nella seconda serie argentina. Da quel momento la voce si è diffusa tra i tifosi che ieri hanno deciso di scendere nelle strade della capitale al fianco degli jubilados, i pensionati. In migliaia hanno fatto così sentire la propria voce contro Milei e il suo smantellamento del welfare; la risposta della polizia è stata ancora una volta dura: il bilancio è di oltre cento arresti e di venti feriti tra i manifestanti, a cui si aggiunge un fotografo in gravi condizioni.

12 marzo 2025, manifestanti nei pressi della Casa Rosada.

«A muerte con los jubilados» (morire al fianco dei pensionati). Parla chiaro lo striscione issato sui cancelli della Casa Rosada, sede del potere esecutivo argentino, che richiama la presa di posizione assunta ai tempi da Diego Armando Maradona. «Hay que ser muy cagón para no defender a los jubilados. Lo que les hacen es una vergüenza» (si deve essere vigliacchi per non difendere i pensionati. Ciò che gli stanno facendo è una vergogna), dichiarò nel 1992 El Pibe de Oro, in occasione di una massiccia mobilitazione dei pensionati, minacciati da alcune misure governative.

In Argentina il calcio è ancora del popolo e per il popolo. A raccogliere il rapporto viscerale incarnato da Maradona sono stati ieri i tifosi che muniti della propria camiseta sono scesi in piazza per affiancare i pensionati nelle loro rivendicazioni. «Potrebbero essere i miei genitori, i miei nonni, i miei zii», dice un ragazzo spiegando la sua presenza alla manifestazione. Ai tifosi e ai pensionati si è unito anche il sindacato ATE-CABA, tra i più grandi del Paese. Il corteo, diretto al Parlamento, si è trovato di fronte un imponente schieramento delle forze di polizia. Le strade della capitale sono diventate così teatro di uno scontro che ha visto da un lato lanci di pietre e barricate di fortuna con cassonetti incendiati e dall’altro cariche, proiettili di gomma e granate a gas. Una di queste ha colpito il fotografo Pablo Grillo, attualmente ricoverato in gravi condizioni.

L’Argentina è una polveriera, la tensione sociale è alta a causa della retorica di Milei e delle sue politiche neoliberiste. Gli “shock economici” rivendicati dal presidente argentino passano per una drastica riduzione della spesa pubblica che finisce per colpire soprattutto le fasce più deboli della popolazione, come gli anziani che protestano contro i tagli alle pensioni. L’amministrazione Milei, oltre ad aver ridotto la spesa per le pensioni del 19%, ha eliminato un programma che rendeva gratuiti diversi farmaci. Il 60% dei pensionati argentini percepisce un reddito minimo, pari a 310 euro, meno della metà della spesa media che una persona sostiene a Buenos Aires per vivere.

[di Salvatore Toscano]

L’ex direttore dell’Ilva dovrà risarcire decine di residenti del quartiere Tamburi

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Con una sentenza destinata a fare giurisprudenza, la Corte di Cassazione ha condannato il direttore dell’ex Ilva di Taranto a risarcire 31 cittadini del quartiere Tamburi a causa dell’emissione delle polveri di carbone che hanno impedito loro di godere appieno delle proprie case e hanno provocato uno scadimento della loro qualità di vita. Per la prima volta, una sentenza definitiva ha dunque ammesso le responsabilità manageriali della gestione dello stabilimento rispetto ai risarcimenti richiesti dagli abitanti del rione, che si trova nelle immediate vicinanze dell’impianto siderurgico. Luigi Capogrosso, in qualità di gestore dell’impianto, aveva infatti una posizione di garanzia e avrebbe dovuto adottare tutte le misure necessarie per prevenire la diffusione delle polveri, che avevano superato i limiti consentiti per 35 volte l’anno, dall’autunno 2009 al luglio 2012.

La decisione della Suprema Corte arriva al termine di un lungo iter giudiziario iniziato più di dieci anni fa, quando un gruppo di residenti del quartiere Tamburi ha intentato causa contro l’Ilva. Le sentenze di primo e secondo grado avevano già riconosciuto il diritto dei residenti al risarcimento, sottolineando come l’inquinamento prodotto dall’impianto siderurgico avesse determinato una significativa riduzione del valore immobiliare e un grave disagio per gli abitanti della zona, attraverso l’imbrattamento delle facciate e la limitata possibilità di aprire porte e finestre. Ora la Cassazione conferma questa impostazione e ribadisce la responsabilità diretta dell’ex direttore dello stabilimento. Il suo tentativo di attribuire la responsabilità alla società che gestiva l’Ilva è stato respinto dalla Suprema Corte, che ha evidenziato come l’azione risarcitoria non fosse rivolta contro l’azienda in sé, ma contro il comportamento omissivo del direttore, la cui condotta ha avuto conseguenze dirette sui cittadini. La Cassazione ha quantificato il danno patito dai residenti in una perdita pari al 5% del valore degli immobili. Una cifra che sarà ora determinata dalla corte territoriale competente, chiamata a ricalcolare l’entità del risarcimento.

Nonostante la vittoria legale, resta l’incognita sull’effettiva erogazione del risarcimento. Il problema principale è che l’ex direttore Capogrosso non disporrebbe di beni aggredibili per far fronte al pagamento. Questo significa che, sebbene la giustizia abbia riconosciuto il loro diritto, i cittadini potrebbero non ricevere le somme spettanti. L’avvocato Filippo Condemi, che ha difeso gli abitanti del rione Tamburi, ha espresso soddisfazione per la sentenza, ma anche amarezza per le difficoltà nel rendere concreto il risarcimento. «Questa decisione rappresenta un importante riconoscimento del diritto dei cittadini a vivere in un ambiente salubre e a godere pienamente della propria casa. Tuttavia, il tempo della giustizia ha giocato a favore di chi ha cercato di sottrarsi alle proprie responsabilità. Il rischio è che, pur avendo ragione, gli abitanti del quartiere non vedano mai un euro».

L’annosa questione dei risarcimenti era tornata alla ribalta lo scorso dicembre, quando la Corte d’Assise d’Appello di Taranto ha stabilito che le famiglie del quartiere Tamburi – inizialmente indennizzate con cinquemila euro ciascuna – sono chiamate a restituire l’intera somma ai fratelli Riva, ex proprietari del gruppo industriale. Il risarcimento era stato concesso come provvisionale, un anticipo in attesa della sentenza definitiva del processo “Ambiente svenduto”, in cui i Riva erano imputati per disastro ambientale. Tuttavia, lo scorso settembre, la Corte d’Assise d’Appello ha annullato la sentenza di primo grado, ritenendo che l’imparzialità del giudizio fosse compromessa dalla presenza di due magistrati onorari che rivestivano il ruolo di parte lesa.

Nel mentre, governo e sindacati discutono del futuro della società. Sono giorni determinati per il futuro dello stabilimento, dal momento che la partita per l’acquisizione dell’ex Ilva è vicina alla conclusione, con il termine fissato a domani. Baku Steel, insieme ad Azerbaigian Investment Company e Socar, sembra essere in pole position, anche se il Ministero delle Imprese mantiene il riserbo per evitare possibili ricorsi. Si ipotizza il coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti, Sace e Invitalia, segno che Baku potrebbe necessitare di supporto pubblico. I sindacati spingono per una forte presenza statale e la massima occupazione. Il governo assicura la volontà di rendere Taranto il primo impianto siderurgico europeo completamente green. Nella seconda metà di marzo inizieranno le verifiche sulle offerte, mentre il negoziato esclusivo e il controllo antitrust dovrebbero concludersi entro giugno.

[di Stefano Baudino]