martedì 9 Settembre 2025
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I Paesi Europei hanno firmato 200 accordi con l’Ucraina, 40 riguardano l’Italia

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Sono circa 200 gli accordi firmati con aziende e governi europei per la cosiddetta «ricostruzione dell’Ucraina» per un valore complessivo di oltre dieci miliardi di euro. È quanto emerso dalla Quarta conferenza per la ripresa dell’Ucraina, svoltasi ieri e oggi a Roma, e organizzata congiuntamente dall’Italia e dall’Ucraina. All’evento hanno preso parte circa 5000 partecipanti, tra cui decine di capi politici, quaranta organizzazioni internazionali – incluse le principali banche di sviluppo – più di 2000 aziende e diversi rappresentanti della società civile. «Il piano russo è fallito, oggi abbiamo assunto impegni per oltre dieci miliardi di euro. Mi piace pensare che questa conferenza possa essere il punto di partenza per il miracolo economico dell’Ucraina», ha affermato la premier italiana Giorgia Meloni. Roma si è ritagliata un ruolo di spicco nella ricostruzione post-bellica dell’Ucraina e lo stesso presidente ucraino Zelensky ha dichiarato di contare sull’Italia «che sarà molto attiva in questo percorso»: non a caso la Penisola ha firmato 40 accordi per la ricostruzione dell’ex Stato sovietico. Se da un lato, i Paesi occidentali hanno celebrato l’evento come una prova di solidarietà e unità delle cosiddette democrazie, dall’altro, non è mancata la reazione dall’Ambasciata russa, secondo cui «dietro alla conferenza per la ripresa dell’Ucraina apertasi oggi a Roma si nasconde una “logica cinica e menzognera” che viene portata avanti dagli attuali leader dei Paesi occidentali, Italia compresa».

Secondo la Banca mondiale la ricostruzione e la ripresa del Paese dovrebbero costare circa 447 miliardi di euro nei prossimi dieci anni. In questo contesto, la presidente della Commissione europea ha annunciato un nuovo fondo europeo per la ricostruzione dell’Ucraina che sarà, secondo von der Leyen, «il più grande fondo azionario a livello globale per sostenere la ricostruzione». Il fondo è destinato agli investimenti nei settori dell’energia, dei trasporti, delle materie prime critiche e delle industrie a doppio uso. «Stiamo letteralmente puntando sul futuro dell’Ucraina, sfruttando il denaro pubblico per portare investimenti su larga scala nel settore privato e contribuire alla ricostruzione del Paese», ha affermato von der Leyen.

Per quanto riguarda l’Italia, invece, il ministero per gli Affari Esteri ha reso noto di avere approvato due nuove iniziative di cooperazione del valore complessivo di circa 32 milioni di euro: la prima prevede un credito di aiuto di 30 milioni per la costruzione di un nuovo padiglione dell’Ospedale Pediatrico Regionale di Odessa; la seconda, affidata allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, prevede la fornitura di attrezzature mediche a favore dell’ospedale. È previsto che il sostegno italiano all’ambito salute in Ucraina si rafforzerà ulteriormente attraverso un programma pluriennale, che farà leva su varie eccellenze italiane e che dovrebbe partire nei prossimi mesi. Il Viceministro Cirielli ha approvato anche il rifinanziamento del valore di 22 milioni di euro dell’iniziativa di emergenza multisettoriale in Ucraina condotta dalle organizzazioni della società civile italiane lanciata a dicembre 2024. Verranno così finanziati altri tredici progetti di realtà italiane molto apprezzate in Ucraina. Oltre al settore della salute, la Penisola si occuperà dei beni culturali di Odessa e dell’efficienza idrica della città: a riguardo il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha siglato due accordi con il ministro ucraino per lo Sviluppo per le comunità e la ricostruzione dei territori Oleksii Kuleba. «Questo non è solo una semplice dichiarazione ma un segnale della nostra unità a sostegno per la ricostruzione dell’Ucraina con la partecipazione del settore privato», ha affermato Tajani.

La conferenza ha ospitato a margine anche la riunione della “Coalizione dei volenterosi”. Per la prima volta gli USA hanno preso parte ai colloqui della Coalizione: erano presenti, infatti, l’inviato speciale degli Stati Uniti per l’Ucraina e la Russia Keith Kellogg, il senatore repubblicano Lindsey Graham e quello democratico Richard Blumenthal, che hanno recentemente sponsorizzato un nuovo disegno di legge sulle sanzioni contro la Russia. Il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro britannico Keir Starmer, invece, hanno partecipato all’incontro in videoconferenza dalla Gran Bretagna, dove il presidente francese si trovava in visita di Stato. I Paesi membri della coalizione hanno concordato di istituire un quartier generale a Parigi per un rapido dispiegamento di una nuova forza militare di deterrenza, dopo la fine delle ostilità.

Nonostante la guerra sia tutt’altro che vicina alla conclusione e, al contrario, gli attacchi di Mosca si intensifichino, i capi dei governi europei siglano accordi per la ricostruzione e i privati stanno già pensando di acquisire parte di ciò che resterà del Paese martoriato dalla guerra. Assenti, invece, i piani per fare cessare le ostilità e risolvere le gravi controversie diplomatiche e le cause che hanno scatenato il conflitto. Il tutto avviene mentre l’Europa si prepara alla guerra contro la Russia e nazioni come Lituania e Finlandia sono pronte ad avviare la produzione nazionale di mine antiuomo per difendersi da quella che percepiscono come la minaccia russa. Per questo, Mosca ritiene che quella degli aiuti e della ricostruzione sia una «mangiatoia» che «ha già acquisito vita propria». Secondo l’ambasciata russa, «Dai media trapelano periodicamente notizie in merito al fatto che una parte consistente delle risorse allocate dagli USA e dall’UE sia andata a depositarsi nelle tasche dei funzionari ucraini e di quelli occidentali. Una sorte che, evidentemente, attende anche quelle somme a molti zeri che verranno annunciate a conclusione di questa Conferenza di Roma».

Maturità: studenti boicottano l’orale contro il sistema scolastico, Valditara vuole bocciarli

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Gli esami di maturità sono agli sgoccioli. A prendersi la scena nelle ultime ore è stata la protesta intentata da tre studenti veneti contro i meccanismi di valutazione scolastici, l’ipercompetitività e la mancanza di empatia dei docenti. Gianmaria Favaretto, Maddalena Bianchi e un terzo studente di cui ancora non è stata resa nota l’identità hanno scelto la scena muta all’orale di maturità per denunciare la deriva del sistema scolastico e avviare un confronto sul suo rinnovamento. I tre studenti non saranno bocciati, dal momento che hanno raggiunto il voto minimo grazie ai crediti maturati durante il triennio e il superamento delle due prove scritte. Dall’anno prossimo non sarà più possibile: gli studenti che non sosterranno la prova orale, pur possedendo i punteggi minimi, saranno bocciati. A confermare l’attacco al boicottaggio e al dissenso è il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, promotore di una riforma scolastica fortemente contestata dagli studenti per il suo contenuto individualista e conservatore.

«Credo che ciascuno debba sempre mettersi in discussione. Sono deluso da chi dovrebbe guidarci, dagli adulti, e dal fatto che la scuola sia ormai diventata un luogo in cui si trasmettono solo nozioni. C’è molto su cui riflettere», ha detto Gianmaria Favaretto, studente del liceo Fermi di Padova, in un’intervista al Corriere della Sera, ponendo l’attenzione sulla competizione malsana che avvolge il mondo della scuola e tende a isolare gli studenti piuttosto che favorire cooperazione e integrazione. Il sistema dei voti premia chi si adegua a tale deriva e non chi la mette in discussione facendo ricorso al pensiero critico. «Agli obiettivi si dovrebbe arrivare insieme. Invece, in questi anni, mi è sembrato che i miei compagni venissero ridotti ai loro voti, e che quei voti diventassero un pretesto, per chi andava meglio, per sentirsi superiore e screditare gli altri. Se questo accade, è perché il sistema ci spinge in quella direzione. È ciò che ci viene insegnato», ha aggiunto Favaretto, seguito nella sua protesta da Maddalena Bianchi. La studentessa di Belluno ha ripreso i temi del compagno, concentrandosi sull’assenza di empatia da parte del corpo docenti, il che crea una distanza incolmabile tra le parti, facendo venir meno negli studenti un importante banco di confronto. Nelle ultime ore si è unito un terzo liceale, del Canova di Treviso, al moto di dissenso che dall’anno prossimo si tradurrà in bocciatura. «Se un ragazzo non si presenta all’orale o volontariamente decide di non rispondere alle domande dei docenti, non perché non è preparato, quello può capitare, ma perché vuole non collaborare o vuole boicottare l’esame, dovrà ripetere l’anno», ha spiegato il ministro Giuseppe Valditara a Rai News 24.

Le considerazioni fatte dai tre ragazzi veneti — e da tanti prima di loro — sono in linea col sentimento emerso negli ultimi anni durante le varie mobilitazioni studentesche, che hanno puntato il dito contro l’aziendalizzazione del sapere, l’individualismo dilagante, la repressione dell’attivismo. Questioni che la riforma Valditara non risolverà, esacerbandole. Poche settimane fa, il ministero dell’istruzione ha pubblicato le Nuove indicazioni per la scuola dell’infanzia e primo ciclo di istruzione 2025, da cui è emersa la visione di una scuola conservatrice, poco aperta al confronto, dove ad esempio il rispetto dell’altro viene profilato in maniera definita solo nell’ottica di osservazione delle regole — come nel caso della grammatica, che serve a «introiettare la cultura della regola» —, della gerarchia verticale verso l’insegnante e del principio di autorità, definito «conquista interiore dell’uomo libero».

UNICEF, nord Darfur: raddoppia il numero di bambini malnutriti

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Mentre la guerra in Sudan continua, il numero di bambini gravemente malnutriti nel nord Darfur è raddoppiato tra gennaio e maggio rispetto allo stesso periodo del 2024. A rivelarlo è l’UNICEF. In 9 località su 13, il tasso di malnutrizione acuta ha superato i livelli di emergenza stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). «I bambini del Darfur sono affamati dal conflitto e tagliati fuori dagli aiuti che potrebbero salvarli», ha dichiarato Sheldon Yett, rappresentante dell’UNICEF per il Sudan.

Boom di voti, poltrone e guai: la strana rinascita della Democrazia Cristiana in Sicilia

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Salvatore Cuffaro, fondatore della nuova DC, già condannato per favoreggiamento a Cosa Nostra, è oggi al centro della scalata del partito tra retorica legalitaria, nuovi ingressi controversi e inchieste su sanità, tangenti e affari opachi

In Sicilia, negli ultimi tempi, c’è un forte odore di ritorno alla Prima Repubblica. A emanarlo sono in particolare le operazioni politiche della nuova Democrazia Cristiana, che sta cercando di scalare le gerarchie del centro-destra anche grazie a un consenso crescente nella popolazione. Eppure, dopo la fondazione a opera di Totò Cuffaro – ex presidente della Regione Sicilia che ha espiato una condanna per favoreggiamento alla mafia – sono tante le ombre che aleggiano sulle azioni del partito. Negli ultimi giorni, il presidente della nuova DC ha accolto tra le sue fila il deputato regionale di...

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Gaza, Israele uccide altri 10 bambini in fila per il cibo

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I negoziati per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza non fanno progressi. Nel frattempo, Israele continua il genocidio del popolo palestinese. Nelle ultime ore sono state uccise sedici persone, tra cui dieci bambini, a Deir al Balah, nel cuore della Striscia. Erano in fila per la distribuzione di latte in polvere e integratori per l’infanzia. Dalla fine di maggio, quando Israele ha messo le mani sulla distribuzione degli aiuti umanitari, sono più di cinquecento i palestinesi uccisi mentre aspettavano un pasto o dei medicinali.

Napoli: i disoccupati chiedono lavoro, trovano la carica della polizia

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Ieri a Napoli avrebbe dovuto essere una giornata di festa per centinaia di lavoratori, dopo anni di porte in faccia e di lotta. Invece si è trasformata presto in un incubo: la piattaforma che avrebbe dovuto formalizzare l’avviamento al lavoro dei disoccupati organizzati 7 Novembre e del Cantiere 167 Scampia — due sigle storiche del panorama sociale partenopeo — non ha funzionato. Fallito il “click-day”, in centinaia hanno dato vita a un corteo per le strade di Napoli. Il confronto con lo Stato si è però esaurito nella repressione: chi chiedeva lavoro e dignità non ha trovato il dialogo con le istituzioni, soltanto agenti in tenuta antisommossa, cariche, feriti e arresti. Coinvolti anche i sindacalisti Cobas, che di tutta risposta hanno indetto uno sciopero nazionale per la giornata odierna.

Il Movimento disoccupati organizzati 7 Novembre e il Cantiere 167 Scampia avevano dato appuntamento alle 7 davanti alla prefettura. L’obiettivo era «far espletare a tutti i disoccupati e le disoccupate nella massima trasparenza la procedura del click per accedere al progetto conquistato con 10 anni di dura lotta», scrivono in una nota congiunta. Il lancio della piattaforma avrebbe dovuto raccogliere le domande per gli 800 tirocini finanziati dal ministero del Lavoro. Pochi minuti dopo il lancio la piattaforma si è bloccata, impedendo a molti disoccupati — tra cui quelli delle platee storiche riconosciute da oltre 10 anni — di partecipare alla selezione, sottolineano le due organizzazioni, che denunciano le mancate risposte da parte delle autorità. Da Piazza del Plebiscito è partito dunque un corteo spontaneo, caricato dalla polizia all’altezza del porto, nei pressi del Molo Beverello, dove secondo la questura i manifestanti si erano recati «per impedire ai turisti di imbarcarsi».

Durante gli scontri sono stati feriti 8 poliziotti e decine di disoccupati, a cui si aggiunge il coordinatore provinciale dei Cobas Giuseppe D’Alesio. Tra le fila del sindacato di base — storicamente vicino ai disoccupati organizzati 7 Novembre e al Cantiere 167 Scampia — si è registrato anche l’arresto di Mimì Ercolano, fermata insieme a due manifestanti che questa mattina saranno processati per direttissima, con l’accusa di resistenza, lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento. I promotori del corteo sono stati invece denunciati per mancato preavviso della manifestazione. All’impianto repressivo le sigle dei disoccupati, insieme ai Cobas, hanno deciso di rispondere organizzando una nuova giornata di mobilitazione. Il sindacato di base ha proclamato uno sciopero nazionale, invitando i solidali a partecipare ai presidi che si terranno fuori le prefetture dalle ore 10, in concomitanza col processo per direttissima ai due arrestati. A Napoli, l’appuntamento è presso il Tribunale di piazzale Cenni, dove le realtà sociali del territorio saranno in presidio al fianco dei fermati, denunciando il «clima di escalation repressiva che vuole fermare l’esperienza di emancipazione proveniente dai quartieri popolari della città di Napoli e rappresentante una pagina di dignità proletaria».

Nepal: i saperi tradizionali delle comunità locali fanno funzionare la riforestazione

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In Nepal, un progetto di riforestazione avviato nel 2010 ha portato alla piantumazione di 131.186 alberi di 44 specie autoctone su 76 ettari di terre statali nella provincia di Gandaki. Tra il 2018 e il 2022 la densità della vegetazione è passata da rada a densa, secondo analisi satellitari. Il successo è legato alla conoscenza ecologica locale per la scelta delle specie in base a suolo ed esigenze economiche, sostenendo anche attività come la produzione della tipica carta nepalese. Tuttavia, la partecipazione comunitaria sta calando dopo la fine del progetto, frenata da carenze di fondi e mal...

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Incendio a Olbia: disagi all’aeroporto

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Oggi pomeriggio è scoppiato un vasto incendio a Su Trambuccone, località situata vicino alla strada statale che collega Sassari e Olbia. Le cause dell’incendio non sono ancora chiare, ma sembra che non recherà danni alle abitazioni. Alcuni voli in arrivo all’aeroporto Costa Smeralda di Olbia sono stati dirottati verso Cagliari, Alghero e Roma, mentre quelli in partenza non hanno subito disagi. Bruciati circa quattro ettari di pascolo. Sul posto sono arrivati due elicotteri, i vigili del fuoco, membri del gruppo di analisi e uso del fuoco, e una pattuglia del Corpo forestale di Olbia.

Sanchez prova a riemergere dalla crisi di governo con 15 misure anticorruzione

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BARCELLONA – Ancora una volta Pedro Sánchez sembra essere riuscito ad uscire indenne dal pantano che in questi mesi ha coinvolto il Partido Socialista Obrero Español (PSOE). Durante la seduta del Consiglio dei ministri che si è celebrata ieri, 9 luglio, il presidente del governo si è pronunciato sui casi di corruzione nei quali sono risultati invischiati José Luis Ábalos e Santos Cerdán, le due pedine essenziali del partito e che per un momento hanno fatto tremare il futuro prossimo della legislatura.

Davanti ai gruppi parlamentari radunati tra gli scranni del Congresso, Sánchez ha nuovamente chiesto «perdono» per la leggerezza con la quale ha scelto persone apparentemente di fiducia, per ricoprire la carica di segretario d’organizzazione del partito socialista. 

«Mi chiedono dimissioni e nuove elezioni. Ho considerato queste opzioni e mi è sembrata la soluzione più semplice per me e per la mia famiglia. Ma dopo aver ascoltato molte persone ho capito che gettare la spugna non è un’opzione. Continuerò perché sono un politico pulito che non conosceva questi casi di corruzione». Con queste parole Sánchez ha smentito ogni tipo di ipotesi riguardante la possibilità di celebrare nuove elezioni e ha rilanciato invece il suo impegno varando quindici misure anticorruzione, per le quali però non sono ancora chiari i rispettivi iter legislativi e le concrete applicazioni.

In un primo blocco finalizzato alla prevenzione e al controllo sulla corruzione, Sánchez ha annunciato la creazione di una «Agenzia d’integrità pubblica indipendente» indirizzata alla supervisione e alla persecuzione di pratiche corrotte. Ha inoltre esteso la metodologia per l’aggiudicazione dei fondi Next Generation su tutta l’amministrazione pubblica, oltre all’uso dell’Intelligenza Artificiale nella Piattaforma di contrattazione del Settore pubblico. Attraverso la Ley de Adminstración Abierta, il governo rafforza l’obbligo sulla trasparenza attiva e stabilisce controlli a campione sui patrimoni delle alte cariche dello stato. In questo contesto Sánchez ha annunciato l’imposizione di controlli esterni sui partiti e le fondazioni che ricevono finanziamenti per più di 50.000 euro e ha proposto un disegno legge che protegga coloro che sporgono denuncia di pratiche corrotte alle forze dell’ordine. Tra le altre cose il presidente ha promosso normative per perseguire «non solo i corrotti, ma anche i corruttori», facendo riferimento a nuovi controlli, multe e liste nere contro quelle aziende già incriminate. Infine, sono state annunciate misure atte alla riscossione e il recupero dei beni «rubati mediante corruzione».

In seguito al discorso del presidente, i vari portavoce dei partiti alleati e d’opposizione si sono alternati pronunciandosi sulla questione. I due rappresentanti della destra e dell’estrema destra spagnola, Alberto Núñez Feijóo del Partido Popular e Santiago Abascal di VOX, hanno duramente attaccato Sánchez e hanno chiesto elezioni. D’altra parte, i partiti alleati hanno teso la mano al presidente del Governo, scagliandosi principalmente contro la destra. Yolanda Díaz, ministra del Lavoro, vicepresidente e portavoce di Sumar, ha espresso la sua fiducia sul Governo e rivendicato l’autorialità di dieci delle quindici misure anticorruzione. In un discorso emozionato, nel quale ha fatto menzione al padre, noto sindacalista e antifranchista galiziano deceduto solo il giorno precedente, Díaz ha sottolineato la necessità di proseguire con la legislatura e mettere un freno alle destre. Anche il portavoce di Esquerra Republicana de Catalunya Gabriel Rufián si è scagliato contro la destra, per poi avvertire il Partito Socialista, senza grande incisività, di dover prendere misure in caso di ulteriori scandali mentre non si sono discostati particolarmente i partiti indipendentisti baschi e galiziani Euskal Herria Bildu e BNG.

Particolarmente critici invece sono stati i partiti indipendentisti conservatori catalani e baschi Junts e PNV: la portavoce catalana Míriam Nogueras ha minacciato Sánchez di essere in uno stato di proroga che non può durare l’intera legislatura; mentre la nuova portavoce del PNV Maribel Vaquero ha messo il presidente davanti alla necessità di una mozione di fiducia, proposta seguita anche da Cristina Valido, portavoce del partito canario Coalición Canaria. Dura è stata anche la portavoce di Podemos Ione Belarra, che ha definito le misure proposte da Sánchez come «cosmetiche» e ha messo il fuoco sul machismo venuto fuori dalle intercettazioni e sulla corruzione del bipartitismo spagnolo.

Nonostante Pedro Sánchez abbia provato a mettere in ordine e a prendersi le responsabilità della questione, lo spettacolo messo in scena ieri si è rivelato grottesco, ai limiti dell’imbarazzo. Fatta eccezione per la presentazione delle misure, per le quali al momento non è chiaro come e quando possano essere applicate e soprattutto quanto dovranno essere rimaneggiate per poter essere presentate al voto della Camera, Sánchez non ha dimostrato concretamente l’intenzione di voltare pagina. Difatti, durante il suo turno di risposta il presidente del governo ha dato vita ad un siparietto nel quale ha accusato i popolari di essere il partito con il maggior numero di scandali nella storia spagnola, mettendo a paragone i “soli” 5 milioni presuntamente rubati mediante la corruzione di Santos Cerdán, contro i 123 milioni sottratti dal caso “Gurthel” esploso durante gli anni del governo di Mariano Rajoy, oltre che le decine di scandali avvenuti durante il governo di José Maria Aznar.

Per il momento la legislatura è salva. Poco prima della pausa estiva Pedro Sánchez è riuscito a sopravvivere assicurandosi la fiducia degli alleati. Nonostante la seduta di ieri non prevedesse votazione, la destra spagnola ha avuto la conferma che una mozione di sfiducia sarebbe ancora prematura, ma non impossibile. Davanti ai giochi della politica, però, la cittadinanza è stata costretta ancora una volta a veder vincere il «male minore» del bipartitismo, ma i frutti di questa strategia probabilmente non si riveleranno favorevoli a Pedro Sánchez. La politica spagnola va in vacanza, al ritorno ci si aspetta un autunno caldissimo.

Gaza: Israele uccide 82 persone

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Israele ha intensificato gli attacchi aerei e terrestri in tutta la Striscia, uccidendo almeno 82 persone nelle ultime 24 ore. Nove di queste erano persone in fila per gli aiuti. Nel frattempo, le brigate di Al Qassam (che fanno capo ad Hamas) e quelle di Al Quds (Jihad Islamico Palestinese) continuano le operazioni contro l’esercito israeliano; le brigate di Al Quds hanno attaccato con dei razzi un nuovo avamposto dell’esercito israeliano a nord di Khan Younis. Continuano anche le operazioni di Ansar Allah, il movimento yemenita meglio noto col nome di Houthi, che ieri ha abbattuto una nave greca battente bandiera liberiana.