Il boss della ‘ndrangheta Giuseppe Palermo, detto “Peppe”, è stato arrestato a Bogotà nelle ultime ore, in un’operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e in collaborazione con l’Europol e la polizia colombiana, che ha confermato la notizia alla stampa. «Palermo gestiva gli acquisti di cocaina da Colombia, Perù ed Ecuador e controllava le rotte verso l’Europa», ha commentato il direttore della polizia colombiana Carlos Triana. L’operazione, inoltre, ha portato alla cattura di altri 20 ricercati in Italia.
ONU: Israele ha ucciso almeno 800 persone durante la distribuzione degli aiuti umanitari
Dall’apertura dei centri di distribuzione degli aiuti umanitari della Gaza Humanitarian Foundation, Israele ha ucciso almeno 798 persone in cerca di sussidi. A dirlo è Ravina Shamdasani, portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR), che ha specificato che la maggior parte delle vittime, precisamente 615, si trovava nelle vicinanze dei siti GHF, mentre le altre 183 erano «presumibilmente sulle rotte dei convogli di aiuti». Mentre continua a sparare ai civili in fila per gli aiuti, Israele non intende fermare l’avanzata nella Striscia, e continua a rilasciare ordini di evacuazione per spingere la popolazione in aree sempre più ristrette, allontanandole da campi dotati di ospedali e uffici umanitari. Nel frattempo continuano i bombardamenti. Dall’alba di oggi, Israele ha ucciso almeno 60 persone.
L’OHCHR fonda i suoi dati su fonti quali informazioni provenienti da ospedali di Gaza, cimiteri, famiglie, autorità sanitarie palestinesi, ONG e partner che operano sul campo. La maggior parte dei feriti palestinesi nelle vicinanze dei centri di distribuzione degli aiuti registrati dall’OHCHR dall’apertura dei centri lo scorso 27 maggio, ha affermato Shamdasani, sono stati colpiti da proiettili di arma da fuoco. Gli attacchi alle persone in cerca di aiuto sarebbero continuati anche oggi, tanto che Israele avrebbe ucciso almeno 30 persone intente a ricevere i sussidi. La violenza è continuata in generale in tutta la Striscia. Il ministro della Difesa Israel Katz ha pubblicato sul social X (ex Twitter) una immagine di Beit Hanun, città situata nel Governatorato di Nord Gaza, completamente distrutta, celebrando l’attività delle IDF: «Dopo Rafah, Beit Hanun: non c’è più rifugio per il terrorismo». A Gaza City l’esercito israeliano ha ucciso 8 palestinesi di cui 4 nel quartiere di Tuffah e 4 nel quartiere di Zeitoun; le IDF hanno confermato di avere condotto attacchi a Zeitoun. Poco più a sud, nel Governatorato di Deir al Balah, Israele ha attaccato un campo per sfollati uccidendo tre palestinesi nelle tende; sempre a Deir al Balah, l’esercito israeliano ha bombardato una stazione di servizio, uccidendo altri 4 palestinesi. Bombardato anche il campo profughi di Al Mawasi, nel governatorato di Khan Younis, dove l’esercito ha ucciso almeno 11 persone.
A Rafah, invece, sembra che continuino le operazioni per l’istituzione di un maxi-campo profughi dove spostare la popolazione della Striscia per poi deportarla. Dalle ultime rivelazioni dei giornali israeliani, il campo dovrebbe venire istituito a prescindere dal raggiungimento di un eventuale cessate il fuoco; secondo il piano, una volta costruito il campo, ogni abitante di Gaza sarebbe sottoposto a ispezione per garantire che non porti armi e non sia affiliato ad Hamas. Tutti coloro che dovessero scegliere di rimanere al di fuori della zona sarebbero così identificati come membri di Hamas, e dunque considerati legittimi bersagli; «de facto, un enorme campo di concentramento», ha detto il direttore dell’UNRWA Philippe Lazzarini. Secondo quanto comunica l’emittente qatariota Al Jazeera, Israele avrebbe inoltre presentato un piano per un cessate il fuoco di 60 giorni in cui avrebbe proposto l’istituzione di un’area cuscinetto attorno alla Striscia che comprenderebbe ampie porzioni di Beit Lahia, Om al-Nasr e Beit Hanun nel Governatorato di Nord Gaza, i quartieri di Tuffah, Shujaiya e Zeitoun di Gaza City, aree di Deir al-Balah e la città di Khuza’a nel Governatorato di Khan Younis. Il piano prevedrebbe che Israele occupi il 40% della Striscia per concentrare a Rafah la maggior parte dei palestinesi, che a partire da lì verrebbero deportati in Egitto.
Intanto la situazione umanitaria continua ad aggravarsi. Il numero di bambini uccisi a causa della malnutrizione ha raggiunto finora quota 67, mentre più di 650.000 bambini di età inferiore ai cinque anni rischiano di andare incontro a problemi di grave malnutrizione. Attualmente, il 96% della popolazione della Striscia soffre di gravi livelli di insicurezza alimentare. La situazione degli ospedali non è delle migliori: mercoledì 9 luglio sono entrati i primi rifornimenti di carburante – circa 75.000 litri – in 130 giorni; «Si tratta di uno sviluppo positivo, ma rappresenta solo una piccola frazione di quanto è necessario ogni giorno per far funzionare la vita quotidiana e le operazioni di soccorso essenziali», si legge in un comunicato congiunto di sette uffici umanitari dell’ONU, che chiedono l’entrata di più carburante. Gli ospedali risultano infatti pieni, con livelli di sovraffollamento del 200%, e gli attacchi israeliani sulle strutture non si arrestano; oggi Israele ha rilasciato due distinti ordini di evacuazione da altrettante aree dotate di ospedali da campo di Gaza City.
Dall’escalation del 7 ottobre, Israele ha distrutto o danneggiato il 92% delle case (l’ultimo aggiornamento è di luglio 2025), l’83% delle terre coltivabili (i dati più recenti sono di aprile 2025), l’88,5% delle scuole (dato del 4 aprile 2025) e, in generale, il 70% di tutte le strutture della Striscia (4 aprile 2025). L’86,1% del territorio della Striscia risulta sotto ordine di evacuazione o interdetto ai civili. In totale, l’esercito israeliano ha inoltre ucciso direttamente almeno 57.762 persone, anche se il numero totale dei morti potrebbe superare le centinaia di migliaia, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet e da una lettera di medici volontari nella Striscia.
ONU: da ottobre quasi 5.000 morti ad Haiti
Secondo un rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, da ottobre del 2024 ad Haiti sarebbero 4.864 le persone uccise ad Haiti, e altre centinaia di migliaia avrebbero lasciato il Paese. Il rapporto arriva in un momento di crisi per il Paese, ormai da anni in mezzo a una profonda crisi tra violenze delle bande armate e instabilità politica. La capitale Port-au-Prince e le aree circostanti risultano le più critiche, tanto che negli ultimi nove mesi hanno registrato oltre 1.000 morti.
L’orale della maturità
Che cosa fa di quell’esame un esame speciale? La maturità è prima di tutto un incontro generazionale e un confronto di ruoli. Il sapere, i suoi contenuti sono importanti ma la maturità è stata e resta un esame di modalità, di ragion d’essere e di modi d’essere, di capacità relazionali: la maturità è un esame gestionale, interattivo.
Il copione della prova attende ansioso i suoi interpreti, la scansione drammaturgica nei tre canonici atti: la posta in gioco, le svolte, la soluzione.
Io l’orale di maturità l’ho affrontato nel 1966 ma sento che il mood di base, la tensione, la notte prima degli esami hanno ancora tutte le loro ragion d’essere. Per me, in cui si faceva strada il daimon del letterato, i colloqui più belli furono fisica e filosofia, indimenticabili.
Lo studente di allora e di ora sa che deve sapere ma sa anche che in gioco c’è un gioco di ruoli e che dunque bisogna scommettere su che cosa ti verrà chiesto, quasi un processo alle intenzioni, e su come si potrebbe sviluppare la narrativa di quella storia.
Io che poi ho fatto il professore in Università e ho esaminato migliaia di studenti so che ci sono professori che pretendono risposte esattamente in determinati termini, professori cioè che odiano i sinonimi e si aspettano soltanto determinate repliche ai loro quesiti, quelle e non altre, e ci sono studenti che si esprimono come dei registratori che ripetono oralmente quello che sta scritto nei testi.
Queste due categorie, se si incontrano, fanno sprizzare soddisfazione reciproca ma appartengono a quel genere di conduzione burocratica della vita, senza fantasie, senza errori, senza invenzioni e soprattutto senza intuito e con scarsa elasticità mentale.
C’è bisogno anche di loro come c’è bisogno di vigili urbani, verbalisti e cancellieri, ma con misura, con estrema misura. E anche loro meglio se non troppo convinti del proprio ruolo.
Due tra i miei filosofi preferiti, Wittgenstein e Popper, memori dell’antica tradizione sperimentale ed empiristica, insegnavano che si impara dagli errori. E dunque è dagli errori, da una discussione degli errori che sprigiona la verità e la formazione.
Ma per fare questo, oltre alla predisposizione e capacità, ci vuole tempo. Il dialogo è più lento dello scontro, d’altra parte il sì e il no sono importantissimi, segnano il ruolo ‘paterno’ della conoscenza, marcano la strada con i suoi incroci e le sue inevitabili scelte ma la conoscenza, lei è ‘materna’, è ampia, paziente, custodisce, cura, perdona.
Si discute in questi giorni del rifiuto di alcuni studenti di presentarsi agli orali, pretendendo nello stesso tempo di convalidare l’esame in base agli scritti. Un errore di infantilismo, un plateale segno di immaturità, di rivendicazione velleitaria.
Se volete che le cose cambino, ma anche che gli esami di maturità restino come barriere indispensabili, allora bisogna in sede d’esami aprire le discussioni, sapere sostenere una dialettica, dimostrare che la maturità per continuare gli studi o fare dell’altro nella vita esiste anche se le risposte non sono tutte esatte.
Sennò eccola lì la risposta burocratica, inevitabilmente repressiva. Il ministro, non paterno ma paternalista, cerca così di trovare consenso sottolineando il proprio ruolo sanzionatorio, evitando qualsiasi interpretazione alternativa.
Ministri dell’Istruzione che hanno giurato sulla bibbia dei regolamenti ne abbiamo avuti fin troppi, studenti che scambiano le lotte con i premi per tutti anche troppi. L’operaia dea Fatica e il platonico dio Dialogo attendono costoro inutilmente.
Nell’Amazzonia brasiliana le comunità autorganizzate stanno fermando i reati ambientali
In Brasile, il pattugliamento volontario messo in atto dalle comunità autorganizzate ha comportato una riduzione dell’80% dei crimini ambientali. Il risultato è emerso nel report Strengthening Amazon conservation through community‐based voluntary patrolling, pubblicato sulla rivista accademica Conservation Biology. Lo studio è stato condotto nel decennio intercorso tra il 2003 e il 2013 e si è focalizzato su dodici unità territoriali facenti parte delle riserve di sviluppo sostenibile di Mamirauá e Amanã, nello stato di Amazonas. L’obiettivo del progetto era quello di constatare se le operazioni di pattugliamento volontario riducessero le attività criminali in ambito medio ambientale, contro le sole operazioni di routine attuate dal governo brasiliano.
La Voluntary Environmental Agents (VEA) ha effettuato quasi ventimila pattugliamenti in dieci anni, con un conteggio di centocinquantamila ore di lavoro, con un impatto sui crimini ambientali, si spiega nel report, dell’80% in undici delle dodici aree prese in esame. Delle varie violazioni, il 78,24% era legato a pesca illegale, in special misura l’utilizzo di attrezzature vietate o lo svolgimento dell’attività in aree proibite, come le zone di riproduzione ittica. Il 19% invece riguardava la caccia, spesso ai danni di specie protette o in vari casi senza licenza; mentre in misura meno frequente (3%) le attività di pattugliamento hanno impedito operazioni di disboscamento, nelle quali si includeva il prelievo di legname pregiato, il taglio in aree protette o la deforestazione finalizzata a creare spazio per altre attività, spesso condotte da agenti esterni alle comunità locali.
Il report ha inoltre rivelato che le attività della VEA si sono rivelate particolarmente efficaci in caso di intervento in contesti segnalati dalle comunità locali, pratica che ha creato un equilibrio tra le agenzie statali, i comitati scientifici e le organizzazioni non governative impegnate sul posto.
L’approccio messo in atto dagli agenti volontari consisteva nella confisca dei mezzi considerati illegali e dei materiali estratti, la registrazione delle attività sgominate e la segnalazione delle infrazioni alle autorità ambientali competenti. Inoltre, la creazione di un registro dei dati ha permesso un monitoraggio capillare, finalizzato alla segnalazione delle aree con maggiore incidenza e alla conseguente strategia di pattugliamento. La rilevazione ha segnalato, inoltre, che il numero dei crimini scovati aumentava in maniera direttamente proporzionale all’aumento dei volontari coinvolti nelle operazioni di pattugliamento, mettendo in evidenza la possibilità di aumentare il coinvolgimento delle comunità per ottenere risultati ulteriormente efficaci.
D’altra parte, lo studio ha analizzato in forma comparativa le operazioni condotte esclusivamente dagli agenti ufficiali del governo, in un lasso di tempo decennale (dal 2002 al 2012) in varie riserve dello stato di Amazonas, fatta eccezione per le due aree pattugliate dalle VEA. In questo caso i risultati non sono stati ugualmente positivi: attraverso sessantanove operazioni, dalla durata media di 159 ore ciascuna, che hanno coinvolto almeno sei agenti per missione, sono stati scovati in media tredici crimini ambientali per operazione, senza però mostrare alcuna tendenza significativa nella diminuzione degli stessi. Secondo lo studio questo metterebbe in evidenza l’inefficienza dell’impianto di controllo governativo nella dissuasione dei crimini ambientali, a causa della scarsa legittimità percepita dalle popolazioni locali o per fenomeni di corruzione sistemica nella relazione tra agenti e attività criminale.
I risultati incredibili ottenuti dai pattugliamenti volontari dimostrano come questo modello porti non solo benefici alla salvaguardia delle riserve sostenibili, ma sia capace di alimentare un circolo virtuoso all’interno delle comunità stesse. Difatti lo studio denota una maggiore consapevolezza all’interno del contesto sociale interessato, oltre che uno sviluppo nella coesione e nell’educazione ambientale. Nonostante i benefici, il report sottolinea anche eventuali criticità: in primis i pattugliamenti possono mettere in pericolo i volontari; inoltre, si sottolinea anche la sottorappresentazione della comunità volontaria femminile (26%) e di quella indigena (12%). A questo si aggiunge la dipendenza gestionale che le VEA hanno nei confronti di ONG e Stato, specialmente da un punto di vista logistico-economico e il rischio che il lavoro dei volontari possa disincentivare ulteriormente l’impegno governativo nel controllo e nella lotta contro la criminalità organizzata in contesto ambientale.La collaborazione volontaria ha messo in evidenza la forza autogestita delle comunità amazzoniche nella salvaguardia degli equilibri ambientali dell’area. Il report pubblicato su Conservation Biology afferma, inoltre, che i risultati straordinari ottenuti, rendono questo modello perfettamente replicabile in altri territori tropicali, divenendo così un punto di partenza nella gestione delle aree protette in tutto il mondo.
La Russia avrebbe lanciato un massiccio attacco contro l’Ucraina
Le forze russe avrebbero lanciato un massiccio attacco con droni e missili sull’Ucraina. La notizia arriva dalle forze armate ucraine, che riportano che gli armamenti russi si sarebbero abbattuti sulla regione di Kiev, e su quelle di Kherson, Mykolaiv, Cernihiv, Cerkasy e Vinnytsia. I droni si sarebbero concentrati anche nell’est di Zytomyr, nell’ovest di Sumy e nel nord di Odessa, e il sindaco di Leopoli ha segnalato un incendio. Dopo l’annuncio ucraino, la Polonia ha dispiegato i propri aerei da combattimento per monitorare la situazione.
Un comune del Salento ha vietato le manifestazioni per non disturbare i turisti
«Il centro storico è interdetto a qualsiasi genere di comizi e/o manifestazioni politiche, esposizioni al pubblico sia esterne sia interne di bacheche volantini e quant’altro sia idoneo a divulgare verso l’esterno attività politica». Così recita l’ordinanza firmata dalla sindaca di Specchia, Anna Laura Remigi che impedisce ogni tipo di manifestazione o semplice esternazione politica tra le vie del centro del comune salentino.
Se di per sé quest’ordinanza mette in allarme e fa discutere per le modalità repressive che impone sulla cittadinanza, sono le motivazioni a rendere questo provvedimento incredibile e ai limiti della distopia: nel centro di Specchia non si può manifestare per non disturbare i turisti.
Secondo quanto si può leggere dall’ordinanza, in vigore dal 29 giugno al 30 settembre, il comune di Specchia farebbe parte della lista stilata dall’associazione privata denominata «I borghi più belli d’Italia». In aggiunta, durante i mesi estivi il centro storico sarebbe impegnato nell’iniziativa culturale “Estate Specchiese 2025”. Definite quindi queste peculiarità del comune salentino, la sindaca sottolinea tra le motivazioni della misura la «consistente presenza di turisti interessati alle bellezze del Centro Storico e alle attività di puro svago»; tutte queste ragioni rendono quindi «necessario» interdire il centro cittadino da ogni tipo di espressione politica per «motivi di sicurezza» e per preservare «l’ordine pubblico e la pace sociale».
Nel corso della storia più volte sono state proibite manifestazioni per imporre un controllo sociale ed evitare la deflagrazione di movimenti “scomodi” pronti a destabilizzare il potere costituito; questo caso invece, unico nel suo genere, segna una novità assoluta e mette in evidenza il totale assoggettamento della popolazione verso l’economia turistica. Difatti con questa ordinanza non si vorrebbe, quantomeno ufficialmente, evitare attacchi al potere comunale, bensì «garantire ai turisti e cittadini tutti quella serenità di incontrarsi ed intrattenersi serenamente senza essere investiti da argomenti che nulla hanno di intrattenimento o svago».
Quest’ordinanza però, non si tratta di una novità assoluta nel comune di Specchia, difatti, già nell’estate del 2023, la sindaca Remigi interdì con la stessa misura ogni attività politica dal centro con le medesime motivazioni.
Si assiste così alla frantumazione del contesto comunitario cittadino, con l’obiettivo di far spazio alla mera logica del profitto turistico, da difendere ad ogni costo. Mentre si osserva la diffusione a macchia d’olio di proteste contro la massificazione turistica in varie città spagnole e del Sud Europa, durante le quali si mettono in evidenza le criticità di un modello che aliena la sfera pubblica, rende inaccessibile il mercato immobiliare e inasprisce il conflitto interno alla cittadinanza, a Specchia la situazione viene capovolta. Nel comune salentino non solo si applicano politiche atte a intensificare l’afflusso turistico, ma si impone una misura preventiva onde evitare ogni tipo di attitudine che possa «arrecare danno all’attività di fruizione turistica e all’immagine del paese».
Come segnala l’Osservatorio Repressione, questa misura si scontra apertamente con l’Articolo 21 della Costituzione, tanto da vietare manifestazioni e volantinaggio su tematiche come la pace e la difesa dei diritti umani. La sindaca annuncia «che su tutto il restante territorio comunale, su tutte le altre piazze e luoghi del comune si possono tenere comizi e fare manifestazioni politiche o fare volantinaggio od apporre bacheche», ma in questo caso la pezza è anche peggio del buco: specificando che questa “eccezione” garantisce «la libera espressione del pensiero e l’attività politica, spesso indirizzata ai residenti», quello che si può osservare è un maldestro tentativo di giustificare una ghettizzazione delle cause politiche e soprattutto un’ammissione di colpa. La garanzia della libertà d’espressione è presente, ma solo fuori dal centro cittadino.
Facendo un’analisi dell’ordinanza stessa, già dal primo punto è possibile intuire la giustificazione di tale attitudine politica. Per entrare a far parte della lista dei «Borghi più belli d’Italia», ogni paese deve vantare determinati requisiti che ne attestino la «qualità urbanistica e architettonica», ma soprattutto deve comprovare l’impegno nell’accoglienza turistica, che deve fornire da servizi di alloggio, alla presenza di «artigiani d’arte», oltre che un’offerta culturale e festiva peculiare. In nessuna di queste caratteristiche si esplicita la necessità di investire in servizi destinati alla cittadinanza, alimentando così pratiche atte alla costruzione di un luogo «bello», ma spesso vuoto per chi lo abita. A questo si aggiunge l’ineluttabile processo di turistificazione del Salento, terra da un lato attanagliata da un grave processo di spopolamento, ma dall’altro preda della speculazione immobiliare e della gentrificazione finalizzata all’accoglienza turistica. Solo l’anno scorso la celebrazione del G7 nel resort di lusso di Borgo Egnazia, nel brindisino, fortemente voluta dalla premier Giorgia Meloni, mise in evidenza il processo che sta costruendo un’identità parallela del Salento, fatta di tradizione, eccellenza gastronomica e slow life, rin contrasto con il lavoro stagionale sottopagato, e quindi dall’incertezza e dall’arretratezza infrastrutturale.
La pace sociale diviene così parola d’ordine, con il fine di non rovinare il sogno di chi raggiunge il Salento per trovare un locus amoenus. Chi vive in Salento sa bene che l’estate è spesso l’unico momento in cui è possibile racimolare uno stipendio e mettere così da parte il pensiero di una precarietà che aleggia costantemente sulla testa di una terra martoriata dall’ingordigia di chi vuole trasformare il territorio in un parco a tema.
«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» recita l’Articolo 21 della Costituzione. Evidentemente, per preservare la patina di un luogo alla visita dei turisti, si può sorvolare su un diritto costituzionale.
Per volare all’interno dei Paesi europei non serve più il documento
Gli italiani per volare all’interno dell’area Schengen non avranno più bisogno del documento, ma basterà la carta d’imbarco. È la decisione annunciata dall’Ente nazionale per l’aviazione civile, dopo l’approvazione del ministero dell’Interno. Prima di essere approvata, la misura è stata testata in alcuni voli. Essa è pensata per ridurre i tempi di imbarco in un sistema che, come precisato dal presidente dell’Enac, Pierluigi Di Palma, risulta già parecchio controllato: «Gli aeroporti sono luoghi protetti, è il momento di equiparare i viaggi in aereo a quelli in treno». Restano controlli a campione e su tratte a rischio immigrazione.
I Paesi Europei hanno firmato 200 accordi con l’Ucraina, 40 riguardano l’Italia
Sono circa 200 gli accordi firmati con aziende e governi europei per la cosiddetta «ricostruzione dell’Ucraina» per un valore complessivo di oltre dieci miliardi di euro. È quanto emerso dalla Quarta conferenza per la ripresa dell’Ucraina, svoltasi ieri e oggi a Roma, e organizzata congiuntamente dall’Italia e dall’Ucraina. All’evento hanno preso parte circa 5000 partecipanti, tra cui decine di capi politici, quaranta organizzazioni internazionali – incluse le principali banche di sviluppo – più di 2000 aziende e diversi rappresentanti della società civile. «Il piano russo è fallito, oggi abbiamo assunto impegni per oltre dieci miliardi di euro. Mi piace pensare che questa conferenza possa essere il punto di partenza per il miracolo economico dell’Ucraina», ha affermato la premier italiana Giorgia Meloni. Roma si è ritagliata un ruolo di spicco nella ricostruzione post-bellica dell’Ucraina e lo stesso presidente ucraino Zelensky ha dichiarato di contare sull’Italia «che sarà molto attiva in questo percorso»: non a caso la Penisola ha firmato 40 accordi per la ricostruzione dell’ex Stato sovietico. Se da un lato, i Paesi occidentali hanno celebrato l’evento come una prova di solidarietà e unità delle cosiddette democrazie, dall’altro, non è mancata la reazione dall’Ambasciata russa, secondo cui «dietro alla conferenza per la ripresa dell’Ucraina apertasi oggi a Roma si nasconde una “logica cinica e menzognera” che viene portata avanti dagli attuali leader dei Paesi occidentali, Italia compresa».
Secondo la Banca mondiale la ricostruzione e la ripresa del Paese dovrebbero costare circa 447 miliardi di euro nei prossimi dieci anni. In questo contesto, la presidente della Commissione europea ha annunciato un nuovo fondo europeo per la ricostruzione dell’Ucraina che sarà, secondo von der Leyen, «il più grande fondo azionario a livello globale per sostenere la ricostruzione». Il fondo è destinato agli investimenti nei settori dell’energia, dei trasporti, delle materie prime critiche e delle industrie a doppio uso. «Stiamo letteralmente puntando sul futuro dell’Ucraina, sfruttando il denaro pubblico per portare investimenti su larga scala nel settore privato e contribuire alla ricostruzione del Paese», ha affermato von der Leyen.
Per quanto riguarda l’Italia, invece, il ministero per gli Affari Esteri ha reso noto di avere approvato due nuove iniziative di cooperazione del valore complessivo di circa 32 milioni di euro: la prima prevede un credito di aiuto di 30 milioni per la costruzione di un nuovo padiglione dell’Ospedale Pediatrico Regionale di Odessa; la seconda, affidata allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, prevede la fornitura di attrezzature mediche a favore dell’ospedale. È previsto che il sostegno italiano all’ambito salute in Ucraina si rafforzerà ulteriormente attraverso un programma pluriennale, che farà leva su varie eccellenze italiane e che dovrebbe partire nei prossimi mesi. Il Viceministro Cirielli ha approvato anche il rifinanziamento del valore di 22 milioni di euro dell’iniziativa di emergenza multisettoriale in Ucraina condotta dalle organizzazioni della società civile italiane lanciata a dicembre 2024. Verranno così finanziati altri tredici progetti di realtà italiane molto apprezzate in Ucraina. Oltre al settore della salute, la Penisola si occuperà dei beni culturali di Odessa e dell’efficienza idrica della città: a riguardo il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha siglato due accordi con il ministro ucraino per lo Sviluppo per le comunità e la ricostruzione dei territori Oleksii Kuleba. «Questo non è solo una semplice dichiarazione ma un segnale della nostra unità a sostegno per la ricostruzione dell’Ucraina con la partecipazione del settore privato», ha affermato Tajani.
La conferenza ha ospitato a margine anche la riunione della “Coalizione dei volenterosi”. Per la prima volta gli USA hanno preso parte ai colloqui della Coalizione: erano presenti, infatti, l’inviato speciale degli Stati Uniti per l’Ucraina e la Russia Keith Kellogg, il senatore repubblicano Lindsey Graham e quello democratico Richard Blumenthal, che hanno recentemente sponsorizzato un nuovo disegno di legge sulle sanzioni contro la Russia. Il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro britannico Keir Starmer, invece, hanno partecipato all’incontro in videoconferenza dalla Gran Bretagna, dove il presidente francese si trovava in visita di Stato. I Paesi membri della coalizione hanno concordato di istituire un quartier generale a Parigi per un rapido dispiegamento di una nuova forza militare di deterrenza, dopo la fine delle ostilità.
Nonostante la guerra sia tutt’altro che vicina alla conclusione e, al contrario, gli attacchi di Mosca si intensifichino, i capi dei governi europei siglano accordi per la ricostruzione e i privati stanno già pensando di acquisire parte di ciò che resterà del Paese martoriato dalla guerra. Assenti, invece, i piani per fare cessare le ostilità e risolvere le gravi controversie diplomatiche e le cause che hanno scatenato il conflitto. Il tutto avviene mentre l’Europa si prepara alla guerra contro la Russia e nazioni come Lituania e Finlandia sono pronte ad avviare la produzione nazionale di mine antiuomo per difendersi da quella che percepiscono come la minaccia russa. Per questo, Mosca ritiene che quella degli aiuti e della ricostruzione sia una «mangiatoia» che «ha già acquisito vita propria». Secondo l’ambasciata russa, «Dai media trapelano periodicamente notizie in merito al fatto che una parte consistente delle risorse allocate dagli USA e dall’UE sia andata a depositarsi nelle tasche dei funzionari ucraini e di quelli occidentali. Una sorte che, evidentemente, attende anche quelle somme a molti zeri che verranno annunciate a conclusione di questa Conferenza di Roma».