Una maxi operazione contro lo streaming illegale, condotta dalla polizia postale in diverse città italiane, ha azzerato l’80% del flusso delle IPTV “a nero” in Italia ed oscurato 1,5 mln di utenti con abbonamenti illegali. Si tratta di un giro di affari da milioni di euro ai danni di varie piattaforme tra cui: Sky, Dazn, Netflix e Mediaset. Sono 45, inoltre, gli individui indagati con l’accusa di: associazione a delinquere, accesso abusivo a sistema informatico, frode informatica e riproduzione e diffusione tramite internet di opere dell’ingegno e protette dal diritto di autore.
Eni vuole stoccare C02 al largo di Ravenna, possibilmente con fondi pubblici
Un miliardo di euro per immagazzinare l’anidride carbonica nel sottosuolo. Questo l’investimento previsto da Eni per il progetto di cattura e stoccaggio della CO2 a largo delle coste di Ravenna. Il gas verrebbe trasportato con condotte sopra giacimenti esauriti, compresso fino a renderlo liquido e iniettato a circa 4.000 metri di profondità. Nonostante l’azienda abbia marcato l’accento sui benefici ambientali della pratica nonché su quelli occupazionali, il progetto vede la forte opposizione da parte di vari movimenti ambientalisti. Vediamo perché.
Se ancora si fatica a ridurre le emissioni di anidride carbonica, tanto vale che venga stoccata nel sottosuolo. È grossomodo questa la logica dietro la tecnologia Ccs (Carbon Capture and Storage). L’anidride carbonica, prima che venga emessa in atmosfera, verrebbe catturata e immagazzinata in maniera permanente all’interno di formazioni geologiche o in pozzi esauriti di petrolio o gas. Acciaierie, termovalorizzatori e cementifici, potrebbero quindi operare senza rilasciare la tanto temuta CO2. Per quanto riguarda i combustibili fossili, la cattura del dibattuto gas serra potrebbe avvenire attraverso due modalità. Nella pre-combustione, gli idrocarburi vengono privati del carbonio prima di essere bruciati, mentre nella post-combustione l’anidride carbonica viene sequestrata una volta liberata. In entrambi i casi, sfruttando le conoscenze e le tecnologie maturate per l’estrazione delle fonti fossili, segue il trasporto e lo stoccaggio.
Una soluzione quindi apparentemente risolutiva che tuttavia cela rischi difficilmente prevedibili. Pur essendo l’unico strumento di riduzione diretta delle emissioni di cui disponiamo, non si hanno informazioni su possibili conseguenze a lungo termine. Il tema, per questo ed altri motivi, è stato recentemente al centro di accessi dibattiti. Le critiche più consistenti quelle di Friday for Future. «Un enorme spreco di denaro e un pretesto per continuare a estrarre combustibili fossili», queste le accuse avanzate dal noto movimento ambientalista. A rincarare la dose, il chimico Vincenzo Balzani: «un’azione fuori da ogni logica – ha dichiarato a Il Manifesto – tecnicamente non ancora sviluppata, caratterizzata da alti costi e forti pericoli ambientali, soprattutto se lo storage avviene in zone sismiche o con forte subsidenza come la costa di Ravenna».
Non dovrebbe infatti sorprendere che il forte interesse di Eni per la realizzazione di impianti Ccs sia tutt’altro che casuale. L’anidride carbonica, infatti, prima di essere stoccata, può essere iniettata nei pozzi petroliferi per aumentare la resa dell’estrazione di greggio. Ma non solo. Questi processi, in parte, sono anche strettamente correlati alla produzione dell’idrogeno. Quello che ormai si prospetta come il vettore energetico del futuro, per quanto pulito, ha ancora qualche pericoloso legame con il fossile. Specie se parliamo di una delle sue sfumature in particolare. La produzione di “idrogeno blu”, quello ricavato dal gas naturale, comporta la liberazione di anidride carbonica che verrebbe però sequestrata proprio grazie alle tecnologie Ccs. Ed Eni, grazie ai suoi numerosi pozzi esausti, ne sarebbe l’unico potenziale produttore.
Inizialmente sembrava che il piano per lo stoccaggio della CO2 di Eni dovesse essere inserito nel Recovery Plan, quindi finanziato con fondi pubblici. Questo, anche grazie alle proteste degli ambientalisti, non è successo. Tuttavia, considerando che l’idrogeno blu è attualmente il più conveniente in termini economici, quei 3,19 miliardi previsti dal piano del governo italiano per «promuovere la produzione, la distribuzione e gli usi finali dell’idrogeno», hanno buone possibilità di finire comunque, per vie indirette, nelle tasche del colosso petrolifero italiano.
[di Simone Valeri]
Afghanistan: esplosione in una moschea, almeno 12 morti
Almeno 12 persone morte a causa di un esplosione avvenuta all’interno di una moschea a Kabul. L’attentato è avvenuto durante il cessate il fuoco di tre giorni iniziato ieri, a seguito di un accordo tra talebani e forze afghane, in occasione della festività musulmana dell’Eid al-Fitr, che arriva alla fine del mese di digiuno del Ramadan
Quanto sono costati 20 anni di guerra in Afghanistan? Un rapporto fa i conti
Uno studio condotto da Jason W. Davidson, della Brown University, dal titolo The Costs of War to United States Allies Since 9/11, rivela quali sono stati fin ora i costi sostenuti dagli Alleati in termini di personale sul campo, morti, spese e investimenti, nei due conflitti scaturiti dagli eventi dell’11 settembre. Anche l’Italia ha sostenuto questi costi.
Dal documento possiamo leggere che l’Italia ha inviato in Afghanistan 3.770 soldati registrando, tra il 2001 e il 2017, 48 morti. Se guardiamo le spese accorse in questi venti anni di conflitto, il nostro paese ha speso quasi 10 miliardi di dollari, destinandovi il 32% di risorse annue della Difesa. In più, quasi 1 miliardo è stato destinato ad investimenti diretti.
Nel contempo si è combattuta anche la guerra all’Iraq (2003-2011) dove abbiamo mandato circa 3.000 soldati, contando 33 perdite. La spesa per questa guerra è stata di 3 miliardi di dollari, destinandovi il 10% della spesa militare annua. Gli investimenti diretti sono stati pari a 2,1 miliardi di dollari.
Dunque, negli anni in cui le due guerre si sono sovrapposte l’Italia ha destino quasi la metà della propria spesa militare annua a questi due conflitti, spendendo una cifra che si aggira sui 13 miliardi di dollari, più investimenti diretti per 3,1 miliardi.
Nel complesso, i paesi NATO hanno speso in Afghanistan, tra il 2001 e il 2018, quasi 1.000 miliardi di dollari e prodotto circa 50 miliardi di dollari in investimenti diretti. In Iraq, NATO e altri alleati hanno affrontato un costo di circa 770 miliardi di dollari con altrettanti 50 miliardi di dollari di investimenti stranieri diretti nel paese.
Nonostante questi numeri, possiamo vedere quale sia il prodotto di queste due guerre. La Seconda Guerra del Golfo è terminata nel 2011 dopo otto anni di devastazione ma la regione è tutt’altro che appacificata. La guerra all’Afghanistan, che dura da vent’anni, non si è certi che finisca nonostante annunci e proclami.
[di Michele Manfrin]
Gregoretti: Gup, non luogo a procedere per Salvini
In occasione dell’udienza preliminare per il caso Gregoretti, il Gup di Catania, Nunzio Sarpietro, ha emesso sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Matteo Salvini. Al centro del procedimento nei confronti dell’allora ministro dell’Interno i ritardi nello sbarco, nel luglio del 2019, di 131 migranti dalla nave della Guardia costiera italiana nel porto di Augusta, nel Siracusano.
Overshoot Day: da oggi consumiamo risorse che la Terra non ci ha dato
L’Earth Overshoot Day è la data in cui la domanda di risorse e servizi ecologici umani supera ciò che la Terra può rigenerare in quello stesso anno. I calcoli per stabilire tale data sono condotti dal Global Footprint Network, il quale calcola anche il Country Overshoot Day: il giorno in cui le risorse globali vengono esaurite se tutti gli abitanti del mondo consumassero come una particolare nazione. Per l’Italia, e per tutto il mondo se vivesse in base ai nostri consumi, quel giorno è arrivato ieri.
Se tutti vivessero come viviamo noi italiani ci vorrebbero 2,8 pianeti mentre se tutti vivessero come gli statunitensi ce ne vorrebbero 5 oppure 4,6 se il confronto è fatto con i cittadini australiani.

Invece, per soddisfare la nostra stessa domanda, in base a numero di cittadini ed estensione territoriale, avremmo bisogno di 5 volte l’Italia.

Dall’inizio degli anni Settanta, l’umanità ha iniziato ad accumulare deficit ecologico, erodendo e degradando in maniera sempre più netta le risorse del pianeta. Con la campagna “Move the Date”, Global Footprint Network cerca di riportare la data più avanti sul calendario annuale. L’organizzazione sostiene la necessità di trovare soluzioni in cinque aree principali: città, energia, alimentazione, pianeta e popolazione. Occorre ripensare insieme come progettare e gestire le città, decarbonizzare l’economia, cambiare modello di produzione, distribuzione e consumo di cibo, salvaguardando la natura e le risorse come suolo, acqua e aria.
[di Michele Manfrin]
Forze aeree e terrestri attaccano Gaza
Durante tutta la notte, F-16 israeliani hanno condotto centinaia di attacchi aerei mentre le forze di terra circondavano Gaza e attaccavano con cannoneggiamenti di artiglieria pesante. Il bilancio, destinato a salire, è di circa 120 morti – di cui più di 30 minori – e un quasi un migliaio di feriti. Le forze di terra rimangono dispiegate. “Questa operazione proseguirà per tutto il tempo necessario”, scrive su Twitter il premier israeliano Benyamin Netanyahu.
Spagna: approvata definitivamente legge sul cambiamento climatico
La Camera dei deputati spagnola ha dato l’ok definitivo alla prima legge della storia del Paese sul cambiamento climatico. Tale legge prevede l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e di fermare la vendita delle automobili inquinanti entro il 2040. Inoltre, l’obiettivo intermedio è quello di ridurre entro il 2030 del 23% le emissioni di Co2 rispetto ai livelli del 1990. La norma, attesa da anni da parte dei gruppi ambientalisti, entrerà in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
I pescherecci italiani stanno subendo attacchi in Turchia
Nuova aggressione a peschereccio italiano da parte di pescherecci turchi. Dopo la sassaiola di ieri contro un peschereccio di Mazara del Vallo, nelle acque internazionali al largo di Cipro, il San Giorgio I è stato accerchiato da motopesca turche durante una battuta in acque internazionali tra Turchia e Siria. Dopo l’attacco subito insieme al Giacalone, il peschereccio San Giorgio I aveva deciso di allontanarsi da quelle acque ma ciò non è bastato ad evitare lo scontro.
In una nota, la Marina Militare riporta: «Alle ore 10.10 circa, nelle acque a nord di Cipro, si è verificata un’interazione tra un imprecisato numero di pescherecci turchi e due pescherecci nazionali (“Giacalone” e “San Giorgio 1°”). I pescherecci turchi hanno lanciato materiali (pietre e fumogeni) e realizzato manovre cinematiche ravvicinate (una delle quali è sfociata in un contatto con il motopesca Giacalone, che ha riportato danni lievi). In area sono intervenuti la fregata della Marina Militare Italiana Margottini in attività di pattugliamento a 35 miglia a sud, inserita nel dispositivo NATO». Sul posto è intervenuta anche la Guardia Costiera turca che ha ingaggiato i pescherecci con propria bandiera per farli desistere.
Nonostante ciò, all’indomani, la San Giorgio I – che si era allontanata dalle acque dell’aggressione – è stata nuovamente attaccata da motopesca turche. Gli armatori si lamentano e chiedo un intervento delle istituzioni italiane. Gli episodi seguono a distanza di una settimana dall’attacco armato subito dai pescherecci italiani da parte di una motovedetta della Guardia Costiera libica, a 75 miglia a nord-est di Tripoli.
Nel giro di pochi anni, circa 16.000 pescatori hanno perso il posto di lavoro, mentre 600 sono stati arrestati e 3 hanno addirittura perso la vita. Gli scontri scaturiscono dalla così detta “guerra del pesce” che ha origine, nel 2005, con le pretese libiche di espandere in maniera unilaterale la grandezza delle proprie acque territoriali, fino 74 miglia a largo della propria costa.
Nella partita però non c’è solo il pesce e i giocatori sono molti perché la posta è ancora più alta. Il Mediterraneo orientale rappresenta un valore strategico assoluto in termini di estrazione di gas naturale, con riserve stimate in 3.000 miliardi di metri cubi. Molti sono i paesi interessati, anche tra coloro che non vi hanno diretto sbocco. Dal 2019, con il Memorandum turco-libico, la Libia è supportata dalla Turchia (con proprie pretese di controllo), con cui ha un accordo per la spartizione delle acque nel Mediterraneo orientale. Tale accordo ha causato l’ira di Grecia e Cipro che, nel frattempo, hanno rafforzato i propri rapporti con Israele.
Gli equilibri sono molto fragili e gli interessi in gioco sono molto grandi, tanto per quanto riguarda la massa d’acqua e la pesca tanto di più per ciò che sta sotto al fondale.
[di Michele Manfrin]








