venerdì 17 Ottobre 2025
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SCO 2025: attorno a Cina e Russia si riunisce il nuovo mondo multipolare

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Il 25° vertice della Shanghai Cooperation Organisation (SCO), che si è aperto il 31 agosto a Tianjin, si presenta come un crogiuolo geopolitico in cui relazioni, simboli e investimenti convergono per disegnare i contorni di quel “nuovo ordine mondiale” che da anni affiora oltre le rigide linee del consueto equilibrio Occidente‑Oriente. Mai prima d’ora l’organizzazione eurasiatica aveva convocato così tanti leader – compresi Xi Jinping, Vladimir Putin e Narendra Modi – in una sorta di piano inclinato verso la multipolarità e il superamento dell’egemonia occidentale. Il presidente cinese si è fatto autore di una performance calibrata: un discorso che osteggia la “mentalità da guerra fredda”, il “bullismo geopolitico” e il dominio unilaterale, offrendo al contempo ai suoi interlocutori – da Russia e India alle nuove leve del Sud Globale – una solida iniezione di prestiti, aiuti e la promessa di una banca di sviluppo SCO, con l’impegno a erogare prestiti per un totale di 1,4 miliardi di dollari nei prossimi tre anni ai Paesi membri. 

«Abbiamo una missione importante: costruire un consenso tra tutte le parti», ha spiegato Xi Jinping domenica, invitando i partner dell’organizzazione a sostenere i sistemi commerciali multilaterali, con un riferimento non troppo velato alla politica dei dazi avviata da Trump. La SCO ambisce a diventare un nuovo snodo di governance multilaterale, uno strumento per la Cina per bilanciare l’ordine mondiale a trazione statunitense: un’ambizione che Putin ha sostenuto apertamente, parlando di «multilateralismo vero»e di un «nuovo sistema di stabilità e sicurezza in Eurasia». Dall’altro, l’atmosfera relazionale intessuta tra Xi, Modi e Putin non è stata solo un’allegoria: la complicità visiva, accompagnata dalla celebre immagine dell’“elefante e del drago” al centro del palco, evocava quella convergenza strategica che, pur sospesa tra obiettivi divergenti, cerca una traiettoria condivisa. Ma è nelle parole di Putin, nell’intervista rilasciata a Xinhua alla vigilia del summit, che si rivela la sua cornice ideale della contesa globale: il presidente russo è tornato a difendere l’Operazione Speciale, definendola una «conseguenza di un colpo di Stato» a Kiev, «provocato e sostenuto dall’Occidente» nel 2014 e ha condannato il costante tentativo «di attirare l’Ucraina nella NATO». Il presidente russo ha anche biasimato la «distorsione della verità storica» sulla Seconda guerra mondiale, la falsificazione dei fatti e la glorificazione dei nazisti. 

Dietro la sagoma proiettata dal triangolo strategico SCO, si nasconde un’altra dinamica: la rottura tra Narendra Modi e Donald Trump, e l’effetto propulsore che questa separazione ha avuto sul riavvicinamento con Pechino, dopo anni contraddistinti da forti tensioni. Le tariffe punitive decise da Washington – prima un 25% “reciproco”, poi un supplemento fino al 50% come punizione per l’import di petrolio russo – hanno rappresentato la mossa decisiva che ha frantumato anni di fiducia diplomatica tra India e Stati Uniti. La risposta cinese non si è fatta attendere: agli occhi di Nuova Delhi, Pechino si è presentata come un interlocutore stabile, capace di offrire rinnovato spazio di manovra e cooperazione economica – anche sulle materie prime strategiche, come i metalli rari. Simbolicamente, il vertice è anche la scena di una potente dimostrazione hard‑power: a Pechino si terrà la grande parata militare del 3 settembre, in occasione dell’80esimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale nel Pacifico, un incontro senza precedenti di cui il governo cinese approfitterà per mostrare i muscoli, insieme a Russia e Corea del Nord. Un’occasione anche per Kim Jong-un per tornare alla ribalta dopo un periodo di isolamento, con il suo ultimo viaggio all’estero in Russia nel settembre 2023. 

Questa architettura simbolica e militare si innesta su fondamenti pratici: la SCO – nata nel 2001 con sei Paesi membri e oggi estesa a dieci (con l’aggiunta di India, Iran, Pakistan e Bielorussia) – è diventata il più esteso blocco regionale al mondo, in termini di territorio, popolazione e crescita economica. Oltre ai membri effettivi, la SCO comprende anche osservatori (tra cui Afghanistan e Mongolia) e diversi partner di dialogo (ad esempio Turchia, Arabia Saudita, Qatar, Egitto, Cambogia, ecc.), che ne ampliano la portata geopolitica. In definitiva, Tianjin affronta l’Occidente con una sfida dichiarata: rilanciare la globalizzazione alternativa, cimentandosi in un “gioco multipolare”. 

Il vertice di Tianjin, al netto delle sue contraddizioni, dimostra che la geografia del potere globale non è più cristallizzata come nel passato: le strategie si fanno anche nei pentagrammi ambigui della diplomazia economica, nella commistione di simboli e contratti, nella narrazione concertata che plasma le coscienze oltre le frontiere. La SCO non appare soltanto come un forum di cooperazione regionale, ma come un laboratorio politico ed economico, che si intreccia con la traiettoria già intrapresa dai BRICS. Se a Johannesburg, nel 2023, l’allargamento del gruppo aveva sancito l’ambizione di creare un polo alternativo al G7, oggi a Tianjin quella prospettiva si è arricchita di nuovi strumenti: una banca di sviluppo, pacchetti di aiuti mirati, una piattaforma diplomatica capace di attrarre attori del Sud Globale. Ciò che emerge è l’idea che SCO e BRICS possano divenire architravi complementari di un’architettura multipolare destinata a ridefinire gli standard della cooperazione internazionale, non soltanto sul terreno della sicurezza, ma anche in campo tecnologico, energetico e finanziario. Non più satelliti o semplici antagonisti dell’Occidente, bensì soggetti che rivendicano un posto al tavolo delle decisioni globali. La sfida sarà mantenere la coesione interna, trasformando rivalità storiche in cooperazione pragmatica. Se questo processo riuscirà, la convergenza tra SCO e BRICS potrà costituire la base per un nuovo equilibrio planetario, in cui l’Asia e il Sud Globale non chiedono più il permesso di entrare nella storia, ma la scrivono da protagonisti.

Cioccolato OGM: come le multinazionali vogliono cambiare la produzione di cacao

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Il cioccolato, alimento universale e simbolo di piacere, da sempre circondato da un’aura che lo lega alla tradizione, alla convivialità e persino alla sfera rituale, oggi si trova al centro di una trasformazione epocale. Mentre i coltivatori lottano contro cambiamenti climatici, malattie e costi insostenibili, i colossi come Mars e Nestlé stanno orchestrando un giro di vite tecnologico, che potrebbe ridefinire radicalmente la produzione del cacao. Le coltivazioni dell’Africa occidentale, che rappresentano oltre il 60% della produzione mondiale, sono infatti in ginocchio a causa delle piogge ir...

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A Bologna la polizia ha preso a manganellate un picchetto antisfratto

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Saputo dello sgombero in atto di una famiglia con bambini, decine di attivisti della Piattaforma di intervento sociale (PLAT) sono accorse in via Cherubini, a Bologna, trovando le manganellate delle forze dell’ordine. A seguito dello sfratto, un corteo spontaneo si è diretto verso la sede dei servizi sociali del Comune per pretendere una soluzione degna. Gli inquilini pagavano regolarmente l’affitto, ma quando il contratto di locazione è terminato non sono state fornite soluzioni alternative e, al momento dello sgombero, l’assistente sociale di riferimento si trovava in ferie. Il tutto a poche ore dal discorso della premier Giorgia Meloni a Rimini, dove lanciava l’importanza di un piano casa per aiutare le giovani famiglie in difficoltà.

«ISEE troppo alto per entrare in una casa popolare, troppo povero per il mercato privato dell’affitto»: questa la problematica del nucleo familiare, che risiedeva in via Cherubini da 19 anni pagando regolarmente l’affitto, secondo quanto denunciato dal PLAT. La situazione abitativa del capoluogo è infatti tra le più complesse e problematiche in Italia per i residenti: Bologna si trova infatti sul podio degli affitti più cari in Italia, con una media di 17 euro al metro quadro, subito dopo Milano (23 €/mq) e Firenze (21 €/mq). In aggiunta a ciò, vi sono circa 600 alloggi di edilizia pubblica sfitti per carenze manutentive e tra i 13 e i 15 mila alloggi privati vuoti.

A complicare ulteriormente la situazione del nucleo di via Cherubini vi era inoltre la presenza di due figli minori: secondo la legge, infatti, prima di procedere allo sfratto è necessario individuare una soluzione abitativa ad essi idonea. Nel caso in cui non fosse disponibile, si sospende la procedura – o, nei casi estremi in cui il locatario non sia disposto a prolungare la permanenza degli inquilini, si collocano temporaneamene i minori in una comunità. In nessun caso, insomma, questi possono essere mandati per strada. Secondo la denuncia del PLAT, invece, ai familiari non sarebbe stata data alcuna soluzione alternativa e anzi non si sarebbe nemmeno atteso il rientro dalle ferie dell’assistente sociale che seguiva il caso, con il quale le autorità avrebbero dovuto collaborare per proseguire con le pratiche di sfratto. La situazione economica della famiglia ha fatto sì che trovare una nuova sistemazione risultasse impossibile: un serpente che si morde la coda, insomma, che mette a nudo tutte le problematiche strutturali che compongono il problema dell’abitare a Bologna – così come in molte altre città italiane.

Nel febbraio di quest’anno, la città aveva chiesto al Parlamento Europeo di attivare un piano di emergenza proprio per far fronte alla crisi degli alloggi, che fa sì che le soluzioni abitative per famiglie a medio e basso reddito, studenti e lavoratori siano sempre meno. Il sindaco Matteo Lepore, insieme quelli di Roma e di altre città europee, avevano chiesto l’attivazione di misure quali il raddoppiamento delle risorse per i fondi di Coesione (da 7,5 a 15 miliardi di euro), maggiori investimenti in alloggi sociali a prezzi accessibili e attivazione delle clausole di salvaguardia previste nel nuovo Patto di Stabilità per escludere gli investimenti in alloggi dai massimali di deficit e debito. Mentre le soluzioni tardano ad arrivare, il governo opta per gestire le questioni sociali «trasformandole in una questione di ordine pubblico», come sottolinea il PLAT. Il reato di occupazione abusiva è peraltro centrale nel nuovo decreto Sicurezza, misura cardine del governo Meloni, che prevede il carcere tanto per chi occupa con non meglio specificate forme di violenza o minaccia un immobile (permettendo alla polizia di intervenire immediatamente per sgomberare gli occupanti) quanto per chi è solidale con l’occupazione.

Nel frattempo, il diritto all’abitazione per le famiglie è sempre meno garantito: «solo grazie alla determinazione delle atattivisti ed all’occupazione della sede dei servizi sociali la famiglia è riuscita ad evitare di finire in strada contrattando una soluzine alberghiera con un contributo mensile di centinaia di euro che consideriamo inadeguata e contro la quale continueremo a dare battaglia», riferisce il PLAT.

USA: stop ai visti temporanei per i cittadini palestinesi

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Gli Stati Uniti hanno ordinato alle proprie ambasciate di fermare il rilascio di visti temporanei a qualsiasi cittadino palestinese che ne faccia richiesta. Questo include tutti i visti diversi da quelli per l’immigrazione, che di solito richiedono il sostegno motivato di un cittadino o residente statunitense, e dunque i visti per turismo, studio, salute, affari, transito, commercio, scambio culturale, giornalismo, lavoro temporaneo, e diversi altri. L’annuncio arriva qualche giorno dopo un’analoga mossa presa dal segretario di Stato Marco Rubio, che aveva disposto la revoca dei visti per membri dell’OLP e dell’AP (incluso il presidente, Mahmoud Abbas) al fine esplicito di impedirne la partecipazione alla prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Pesto genovese o “alla genovese”? Il tranello dell’industria alimentare

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Conosciamo davvero la ricetta del pesto genovese? Si tratta di una salsa di condimento tradizionale per la pasta o per altri piatti, nata in Liguria, che ha una ricetta ben specifica caratterizzata da 7 ingredienti. Ma in commercio questo prodotto si trova molto raramente: esiste invece un imitazione di tipo industriale caratterizzata da ingredienti diversi, che tutti pensano essere il pesto genovese. In realtà, con un po’ più di attenzione nella lettura dell’etichetta e degli ingredienti, scopriremo che in commercio si vende il pesto “alla genovese”, che consiste appunto nell’imitazione industriale della ricetta originale e contiene ingredienti talvolta anche poco salutari, oltre a zuccheri aggiunti.

L’imitazione industriale e il vero pesto genovese

Perché abbassare la qualità e usare materie prime meno costose come olio di girasole e anacardi invece dei pinoli e dell’olio extravergine di oliva? La risposta è molto semplice: perché in questo modo l’industria massimizza i propri profitti e il fatturato. Infatti riesce ad abbassare il costo di produzione e della materia prima, e poi a massimizzare il profitto vendendo al supermercato un numero molto più elevato di vasetti o confezioni di pesto, a un prezzo mediamente più basso di quello del vero pesto genovese. Come vedremo, quest’ultimo si riesce comunque a reperire anche in alcune catene di supermercati, a patto che si faccia una ricerca certosina da veri detective.

Diciamo che questa imitazione industriale dell’originale costa mediamente di meno, ma a volte può arrivare a costare anche di più dell’originale, per esempio quando siano aziende del biologico a produrre la versione industriale con ingredienti diversi e materie prime meno pregiate. Ecco un classico vasetto di pesto “alla genovese” messo in vendita da un’azienda biologica: leggendo gli ingredienti vediamo che non si tratta delle sostanze tipiche del pesto, ma dei loro sostituti industriali meno pregiati (olio di girasole, anacardi, e solo lo 0,9% di pinoli) al prezzo di 26,85 euro al chilo! Notate anche come la denominazione di vendita, nella prima riga degli ingredienti, non sia «pesto» bensì «preparazione a base di basilico», proprio a indicare che non si tratta del prodotto tradizionale e della ricetta originale.

Vediamo adesso invece la ricetta originale e ufficiale del pesto genovese tradizionale, che comprende solo 7 ingredienti e deve presentare obbligatoriamente il Basilico Genovese DOP (e non un generico basilico), oltre ad altri ingredienti DOP come il Pecorino Romano DOP e il Parmigiano Reggiano DOP (ammessa anche la variante con Grana Padano DOP). Pertanto, i prodotti in commercio che rispecchiano pienamente tale ricetta possono fregiarsi della dicitura «pesto genovese» sulla confezione; tutti gli altri, che imitano la ricetta o ne variano uno o più ingredienti, dovranno essere chiamati pesto “alla genovese”.

Ecco i 7 ingredienti della ricetta tradizionale originale:

  • Basilico Genovese DOP;
  • Olio extravergine di oliva, possibilmente della riviera ligure;
  • Parmigiano Reggiano DOP (con variante Grana Padano DOP);
  • Pecorino Romano DOP;
  • Pinoli;
  • Aglio;
  • Sale.

La maggior parte dei pesti “alla genovese” preparati dall’industria alimentare e venduti nei supermercati sono invece un’accozzaglia di vari ingredienti, talvolta anche molto discutibili, presentati al consumatore come salsa al pesto genovese. Guardate alcune etichette che ho selezionato al supermercato: contengono sciroppo di glucosio, aromi, latte in polvere, olio di girasole, zucchero, un generico basilico o addirittura l’estratto di basilico (cioè un aroma di basilico). Tutte cose che nulla hanno a che fare con la ricetta tradizionale. E vi assicuro che ho selezionato le marche più blasonate e ritenute affidabili dai consumatori fra quelle presenti in commercio.

Se nella preparazione di un pesto genovese ci si mette del vero basilico, e nella quantità giusta, non si capisce il motivo di aggiungere l’estratto di basilico. Gli aromi sono un preparato chimico di laboratorio e nulla hanno di naturale. Potrebbe nascere il legittimo dubbio che, se vengono inclusi aromi, allora non sia stato impiegato basilico vero, o che ne venga impiegata una quantità molto ridotta o di scarsa qualità, che non ha più il profumo tipico del basilico.

E poi, spiegatemi perché in un pesto ci si debba mettere dello sciroppo di glucosio, che altro non è che zucchero in forma di sciroppo estratto dal mais. Ma perché mettere lo zucchero in una salsa salata che fa da condimento a un primo piatto? C’è un motivo valido? No: è solo per conquistare il senso del gusto e il palato del consumatore, oltre che per fare volume nel prodotto con un ingrediente a basso costo, anziché usare quelli più pregiati e costosi come i pinoli o il Parmigiano. A questo punto il consumatore assocerà a quel prodotto un sapore molto particolare e buono, e lo comprerà regolarmente! Intanto, però, sta assumendo zucchero senza nemmeno saperlo (infatti quanti guardano davvero gli ingredienti di un barattolo di pesto al momento dell’acquisto?).

La lezione da imparare è: comprare solo vero pesto genovese senza zucchero e senza aromi, e con vero basilico genovese in quantità consistente. Oppure imparare a fare il pesto in casa, perché è semplicissimo e velocissimo: basta avere un frullatore e inserire tutti gli ingredienti giusti nelle dosi corrette. In rete troverete facilmente video e ricette per la preparazione casalinga.

Una confezione di vero Pesto Genovese – foto di Gianpaolo Usai

A questo punto vi starete chiedendo: ma esiste il vero pesto genovese al supermercato? La risposta è sì: si trova in alcune catene, e dovete scovarlo fra le varie marche di pesto presenti. Solitamente lo si trova nel reparto frigo, fra i prodotti freschi con data di scadenza ravvicinata, mentre il pesto “alla genovese” è nello scaffale normale perché ha una data di scadenza più lunga e non necessita di refrigerazione.

 

Corea del Sud: interrotta una trasmissione militare verso la Corea del Nord

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La Corea del Sud ha sospeso una trasmissione radiofonica militare indirizzata alla Corea del Nord. L’annuncio è arrivato dal ministero della Difesa di Seoul, che ha spiegato che la mossa arriva in un contesto di alleggerimento delle tensioni con Pyongyang. La trasmissione interrotta, chiamata “Voce della Libertà”, trasmetteva notizie sul regime del Nord, sullo sviluppo economico della Corea del Sud e sulla cultura della musica K-pop. È la prima volta in quindici anni che la Corea del Sud interrompe un programma di propaganda verso la Corea del Nord.

Israele ha annunciato l’intenzione di “stabilire la propria sovranità” sulla Cisgiordania

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Israele vuole estendere la propria sovranità sulla Cisgiordania. La notizia ha iniziato a circolare timidamente la scorsa settimana, dopo il misterioso vertice tenutosi a Washington tra Trump, Rubio, l’ex premier britannico Tony Blair e due ministri israeliani, ed è poi emersa con sempre maggiore intensità. Secondo i funzionari israeliani, l’annuncio dovrebbe arrivare entro settembre e sarebbe una risposta alle dichiarazioni di intenti da parte degli Stati europei di riconoscere la Palestina. Dentro il governo, si sta ancora discutendo su cosa e quanto dichiarare territorio israeliano, quando farlo e come comunicarlo all’esterno: Netanyahu vuole annettere circa un terzo del territorio, mentre i più estremisti, come il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, puntano all’annessione completa. Quello che è certo è che le annessioni ci saranno, e che tutto il governo è d’accordo sulla questione.

La discussione sull’annessione della Cisgiordania è emersa dopo l’incontro tra il Segretario di Stato statunitense Marco Rubio e il ministro Sa’ar tenutosi a Washington la scorsa settimana, tanto che c’è chi ritiene che sia stata lanciata proprio nel corso del vertice. È stata tuttavia ripresa con maggiore vigore ieri, domenica 31 agosto, dopo un vertice del gabinetto di sicurezza israeliano. Le ricostruzioni dei media, che sostengono di aver parlato con diversi funzionari statunitensi e israeliani, sono diverse. Secondo il sito di informazione israeliano Walla, il governo starebbe ancora discutendo sull’estensione della porzione di Cisgiordania da annettere: c’è chi ritiene che Israele debba limitarsi a riconoscere gli insediamenti già costruiti e le strade che li collegano (che costituiscono circa il 10% della Cisgiordania); chi, come Netanyahu, vuole estendere la sovranità anche alla Valle del Giordano (circa il 30% della Cisgiordania); chi, come il ministro degli Affari Strategici Ron Dermer, vuole annettere l’intera area C (quella che secondo gli accordi di Oslo sarebbe sotto controllo israeliano e costituisce il 60% circa del territorio); e chi invece pensa che la sovranità vada estesa a tutta la Cisgiordania, come il ministro Smotrich. Rispondendo alla proposta di Netanyahu, emersa pubblicamente, Smotrich ha affermato: «Non stiamo facendo un lavoro a metà o per un quarto; stiamo applicando la sovranità israeliana all’intera area. Semplicemente perché questo è il nostro Paese».

Il sito di informazione statunitense Axios ha raggiunto l’ambasciatore statunitense in Israele Mike Huckabee, che ha affermato di non sapere quanto l’annessione pianificata sia estesa e che gli USA non hanno ancora una posizione a riguardo. I funzionari israeliani sentiti da Axios, tuttavia, sono sicuri che troveranno l’appoggio di Trump. Huckabee ha spiegato che il dibattito sarebbe emerso in risposta agli annunci europei sul riconoscimento della Palestina, ipotesi appoggiata anche da altri funzionari israeliani e da testimonianze apparse sul quotidiano israeliano Maariv, uno dei maggiori del Paese. Sebbene le modalità dell’annuncio e la porzione di territorio da annettere siano ancora in discussione, tutte le fonti concordano sul fatto che il governo è d’accordo nel ritenere che le annessioni vadano fatte.

Diretta – Terremoto in Afghanistan: oltre 800 morti e 3.000 feriti

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Nella serata di domenica 31 agosto un terremoto di magnitudo 6 si è verificato in Asfghanistan, nella regione nordorientale di Kunar, seguito da numerose scosse di assestamento. I nostri aggiornamenti in diretta.


Secondo l’agenzia statunitense USGS, almeno 1,2 milioni di persone hanno percepito il terremoto e almeno cinque delle successive nove scosse di assestamento in maniera forte o molto forte. L’OCHA ha dichiarato che almeno 12 mila persone subiranno conseguenze dirette dall’evento, a causa di fattori quali il crollo delle loro abitazioni e i danni alle infrastrutture.


Un portavoce del governo ha confermato ad Al Jazeera che la conta dei morti è arrivata a 812, mentre sono oltre 3.000 i feriti. Nelle scorse ore, l’UNICEF ha riferito di aver messo a disposizione i propri team medici per portare soccorso. Un messaggio di cordoglio è arrivato dal Segretario Generale dell’ONU, Antionio Guterres, che ha espresso «le più sentite condoglianze» ai parenti delle vittime. Secondo la BBC, le strutture sanitarie sono in sofferenza anche a causa dei tagli ai fondi dell’agenzia americana USAID disposti dall’amministrazione Trump.


I soccorsi stanno arrivando con ogni mezzo a disposizione per trasportare i civili in ospedale, velivoli compresi, facendosi aiutare dalla popolazione locale. Sui media, circolano video di persone che cercano i dispersi in mezzo alle macerie, di elicotteri in volo e di camionette militari in corsa. Gli ospedali stanno accogliendo a fatica i feriti, mentre le Nazioni Unite e i gruppi di aiuto umanitario hanno mobilitato cibo, forniture mediche e rifugi.


L’Afghanistan è un Paese particolarmente soggetto ai terremoti, in particolare attorno alla catena montuosa indù Kush, dove si incontrano le placche tettoniche indiane ed eurasiatiche.

L’ultimo tra i più disastrosi risale all’ottobre del 2023, quando venne colpita la provincia occidentale di Herat. Il sisma, di magnitudo 6,3, provocò la morte di oltre 2.000 persone e il fermineto di altre 9.000. Vennero danneggiate oltre 1.300 case. Nel 2022 un sisma di abbatté nell’Afghanistan orientale, uccidendo oltre 1.500 persone; nel 2002, un terremoto nel nord del Paese provocò la morte di circa 1.000 persone; nel 1998 ne scoppiò uno a nordest, causando circa 4.500 morti.


Il ministro dell’Interno del Paese ha accertato che almeno 622 persone sono morte nel corso dei terremoti, mentre almeno 1.500 sono i feriti. Si attende un aumento del bilancio nelle prossime ore. La Afghan Red Crescent Society sta cercando di portare soccorso alle zone interessate dal sisma.


La regione nella quale si è verificato il terremoto è montuosa e remota, motivo per il quale per i soccorsi è complicato raggiungere tutti i villaggi che sono rimasti coinvolti dai terremoti. Per questo motivo, riferisce il governo, ci si aspetta che il bilancio delle vittime aumenti rapidamente con il trascorrere delle ore.


L’epicentro della prima scossa. è stato localizzato a 27 chilometri a est-nordest della città di Jalalabad, nella provincia di Nangarhar. La profondità era tra gli 8 e i 10 chilometri. Successivamente, numerose altre scosse di assestamento sono state registrate durante la notte nella provincia. Secondo quanto si apprende dai media, le scosse sono state avvertite anche in Tajikistan, Uzbekistan, Pakistan e India. Danni ingenti a strade, edifici e infrastrutture di vario genere sono stati registrati in tutta la regione. La regione di Kunar è stata oggetto negli scorsi giorni anche di una violenta alluvione.

Afghanistan terremoto a est del Paese: circa 250 morti

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Nella notte tra ieri e oggi è scoppiato un terremoto di magnitudo 6.0 nella regione afghana nordorientale di Kunar, vicina al confine con il Pakistan. L’epicentro è stato localizzato a 27 chilometri a est-nordest della città di Jalalabad, nella provincia di Nangarhar. La profondità era tra gli 8 e i 10 chilometri. L’Autorità per la gestione dei disastri di Kunar ha rilasciato una prima stima sostenendo che dopo la scossa sarebbero morte almeno 250 persone e che altre 500 sarebbero rimaste ferite nei distretti di Nur Gul, Soki, Watpur, Manogi e Chapadare.

Messico, Guatemala e Belize creeranno una riserva per proteggere la foresta Maya

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Messico, Guatemala e Belize hanno annunciato la creazione di una riserva transnazionale con l'obiettivo di proteggere la foresta pluviale Maya, un'area ricca di biodiversità e di siti storici e casa di comunità indigene. La presidente messicana Claudia Sheinabum ha parlato di un accordo storico, che realizzerà la seconda riserva naturale più grande dell'America Latina, alle spalle della Foresta Amazzonica. La protezione della giungla Maya bilancia in parte i danni ambientali arrecati dal Messico con la costruzione, nel 2023, di un treno che collega la penisola caraibica dello Yucatan e la giun...

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