giovedì 28 Agosto 2025
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La CPI ha emanato mandati d’arresto per due leader talebani

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La Corte Penale Internazionale ha emesso mandati di arresto per due leader talebani in Afghanistan, accusandoli di crimini contro l’umanità . A essere oggetto dei mandati sono il leader spirituale Haibatullah Akhundzada e il presidente della Corte Suprema dei talebani, Abdul Hakim Haqqani. La Corte ha accusato i due leader di avere perseguito donne, ragazze e altre persone che non si allineano alla politica dei talebani in materia di genere.

Vicenza: la polizia sgombera i cittadini in presidio contro gli espropri per la TAV

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È iniziato questa mattina all’alba lo sgombero da parte della polizia del bosco di Ca’ Alte e Lanerossi, a Vicenza, dove era stato installato il presidio permanente degli attivisti contro gli espropri di boschi e case per la costruzione della linea ad alta velocità. Il bosco è occupato ormai da un anno dai cittadini, che intendevano così difendere le zone verdi dalle ruspe. Oggi sarebbero dovuti iniziare i lavori di sgombero: il cantiere interessa un’area di circa 177 mila metri quadrati di territorio e prevede lo sfratto di 200 famiglie. Il piano per l’alta velocità a Vicenza, dal valore di circa 1,82 miliardi di euro, rientra nel più ampio progetto della linea ad alta velocità/capacità Verona-Padova; la tratta vicentina prevede lavori su 6,2 chilometri all’interno della città, lungo i quali verrebbero abbattuti decine di edifici e intere aree verdi, come lo stesso bosco Lanerossi.

I poliziotti hanno portato via attivisti e attiviste che si erano incatenati ai cancelli di ingresso del bosco, mentre quelli che si trovavano all’interno, su di piattaforme sopraelevate costruite sugli alberi, sono stati fatti scendere dai vigili del fuoco mediante un camion con braccio. Successivamente, le piattaforme sopraelevate sono state abbattute per mezzo di una ruspa, mentre la polizia in assetto antisommossa ha respinto con gli idranti gli ultimi attivisti rimasti a presidiare l’area. Una volta concluse le operazioni di sgomebro, molti di loro sono comunque rimasti all’esterno del bosco, per dare segnale alle forze dell’ordine che la resistenza contro gli sgomberi e l’abbattimento degli alberi non si sarebbe fermata. Secondo quanto denunciano gli attivisti, nel primo pomeriggio uno di loro si trovava ancora in cima a un cedro all’interno del bosco, uno dei primi alberi che avrebbero dovuto essere abbattuti dalle ruspe.

Il Progetto Av/Ac Verona-Padova 2° lotto “Attraversamento di Vicenza” prevede il raddoppio dei binari sulla linea Milano-Venezia, inclusi i tratti che attraversano il centro abitato della città veneta. Per la realizzazione del piano per l’alta velocità sono previste diverse demolizioni abitative, soprattutto nei quartieri di San Lazzaro, San Felice e Ferrovieri, tra i più popolosi di Vicenza, per un totale di circa 62.316 metri quadri di superficie. L’opera andrà a modificare 6,2 chilometri di tratto con annessi interventi all’intera viabilità nella parte ovest della città, fino alla stazione ferroviaria nel centro storico. Le proteste contro l’opera si sono intensificate da maggio dell’anno scorso, quando il bosco Lanerossi è stato occupato dai collettivi che si oppongono alla sua distruzione. Gli attivisti hanno organizzato performance, proiezioni, attività per bambini e momenti di condivisione collettiva, con l’obiettivo di fare luce sulle criticità del progetto e sull’impatto ambientale dell’opera.

Il rapporto ONU sulle torture in Ucraina di cui nessun media occidentale parla 

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In un rapporto recente, che i media occidentali hanno per lo più fatto finta di non vedere, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR) dettaglia i crimini contro la comunità commessi dalle parti coinvolte nel conflitto russo-ucraino. Smentendo la narrazione mainstream che impone l’esistenza di un “buono” e un “cattivo”, l’OHCHR specifica come tali violazioni siano state commesse da entrambe le parti. Sebbene si dilunghi molto su quanto imputato alla Russia, nella parte finale il documento riporta anche i crimini contro l’umanità che l’Ucraina commette contro i propri stessi cittadini. 

Il rapporto spiega come il 95% delle vittime civili sia stato ucciso nei territori controllati dall’Ucraina a causa dell’utilizzo di armi esplosive ad ampio raggio in aree popolate. L’OHCHR ha documentato diversi attacchi che coinvolgono anche munizioni a grappolo, il cui uso in aree popolate è incompatibile con il diritto internazionale umanitario. Un esempio sarebbe l’attacco russo a Dobropillia, verificatosi il 7 marzo 2025, che ha ucciso 11 civili e ne ha feriti 48. Inoltre, l’aumento delle vittimi civili avuto in questo periodo sarebbe imputabile ad un utilizzo sempre più massiccio di droni a corto raggio, che hanno ucciso 207 civili e causato 1.365 feriti nel periodo di indagine. 

L’OHCHR denuncia anche almeno cinque occasioni in cui le forze russe hanno colpito strutture ospedaliere e condotto 115 attacchi alle infrastrutture energetiche, interrompendo così le forniture di gas alla popolazione civile. Inoltre, l’OHCHR ha registrato anche accuse sull’uso, da parte della Federazione Russa, di bambini ucraini al fine di condurre operazioni di sorveglianza, trasmettere informazioni militari o commettere atti di sabotaggio e incendio doloso. I bambini sarebbero stati contattati tramite social media e pagati per compiere tali atti. Inoltre, secondo le informazioni raccolte dall’OHCHR, almeno 35 soldati ucraini catturati sono stati giustiziati dalle forze russe. Interviste con prigionieri di guerra ucraini rilasciati hanno confermato l’uso diffuso e sistematico di torture e maltrattamenti. Infine, i tribunali russi hanno condannato almeno 125 prigionieri di guerra ucraini con accuse legate al terrorismo per atti che rientrano nelle legittime azioni di guerra.

Nella parte finale del rapporto dell’OHCHR vengono esposte anche le accuse rivolte verso le forze ucraine. Nel periodo di indagine, almeno un soldato russo prigioniero è stato giustiziato e diverse interviste hanno confermato l’utilizzo di tortura, violenza sessuali e finte esecuzioni durante la detenzione in Ucraina. Per quanto concerne i cittadini ucraini, l’OHCHR ha intervistato 56 individui detenuti dalle autorità ucraine con accuse di tradimento, “collaborazione” e altri crimini legati alla sicurezza nazionale. Alcuni di loro hanno descritto percosse e minacce durante l’arresto o l’interrogatorio. Molti sostengono di aver compiuto azioni considerate come tradimento e diserzione soltanto per salvarsi la vita.

Almeno 11 uomini delle comunità dei Testimoni di Geova e Battisti hanno invocato l’obiezione di coscienza, ma sono stati comunque accusati di evasione dal servizio militare o diserzione e poi picchiati. La Corte Suprema dell’Ucraina ha confermato la condanna a tre anni di prigione per un obiettore di coscienza. Sempre rimanendo in tema di religione, il rapporto analizza la repressione del culto applicata nei territori ucraini. La violenza viene perpetrata da gruppi “radicali” contro la Chiesa Ortodossa Ucraina, con la polizia che non interviene immediatamente e rimane a guardare per poi intervenire in un secondo momento. Irruzioni e passaggi all’interno delle chiese ortodosse sono frequenti e ben documentati.

Insomma, il rapporto espone come in guerra non ci siano buoni e cattivi ma solo vittime. Esporne il contenuto significa mettere in luce i crimini commessi nel teatro di guerra da entrambe le parti e non parteggiare ciecamente in nome di principi democratici e liberali, i quali ripropongono un doppio standard nella narrazione del conflitto e si infrangono sulla realtà dei fatti.

Le più diffuse app per cellulare che sono state realizzate da agenti israeliani

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Dai giochi agli editor di foto, centinaia di app scaricate centinaia di milioni di volte sono il prodotto di una rete invisibile: quella di ex spie israeliane e membri dell’intelligence militare. Queste applicazioni costituiscono canali opachi che convogliano enormi entrate verso un’economia di occupazione, apartheid e genocidio, complici silenziose di un’ideologia e di una volontà di supremazia e annientamento. Un’inchiesta giornalistica ha infatti mostrato come individui con un passato nell’Unità 8200 dell’intelligence israeliana o nell’esercito riciclino le loro competenze in un’industria tech fiorente. Non si tratta propriamente di una novità: più di una volta abbiamo parlato dei profondi legami e rapporti tra le Big Tech e Israele, così come della porta girevole che mette in comunicazione le grandi aziende tecnologiche con gli apparati di sicurezza e le start-up israeliane, nel settore tecnologico come anche in altri settori ritenuti strategici. Vale la pena però conoscere sempre meglio tutti i fili e tutte le mani che si stringono attorno al popolo palestinese, così come su quelli che lo sostengono.

L’inchiesta riporta come Gal Avidor, fondatore e CEO di ZipoApps, colosso che acquisisce e monetizza app su larga scala, abbia ammesso che tutti i fondatori dell’azienda provengono dall’Unità 8200. App come Collage Maker Photo Editor e Instasquare Photo Editor, con centinaia di milioni di download, convogliano enormi quantità di dati e di profitti. Non a caso, gli utenti si lamentano da tempo delle aggressive politiche di privacy e data mining di ZipoApps: un’app come Simple Gallery è passata da gratuita e open source a un prodotto invasivo con tracker, solo una settimana dopo essere stata acquisita da Zipo.

Ma la lista è lunga. Playtika, quotata al NASDAQ con oltre 2,5 miliardi di dollari di ricavi, è un produttore di app di gioco d’azzardo saldamente invischiato nella macchina da guerra. Fondata da Uri Shahak, figlio dell’ex capo dell’IDF Amnon Lipkin-Shahak, l’azienda ha ammesso che il 14% del suo personale è stato richiamato come riservista per andare a Gaza. Bazaart, un’app di fotoritocco basata sull’IA, è stata fondata da ex ufficiali dell’intelligence dell’IDF, Dror Yaffe e Stas Goferman. Stessa cosa per Facetune di Lightricks, co-fondata da Yaron Inger, veterano dell’Unità 8200. Supersonic di Unity, uno dei maggiori editori di giochi mobile al mondo, che tra i suoi titoli ha un gioco chiamato Conquer Countries, è stata fondata da Nadav Ashkenazy, con un passato nell’IDF. 

Crazy Labs, con un valore stimato di circa 1 miliardo di dollari, è un altro produttore di app fondato da membri dell’intelligence e dell’esercito. I suoi titoli più venduti sono Phone Case DIY, Miraculous Ladybug & Cat Noir e Sculpt People. Nir Erez, proveniente dal Mamram, il centro informatico specializzato dell’IDF che forma “guerrieri informatici” e gestisce l’intranet militare per l’attuazione del genocidio, è tra i fondatori di Moovit, l’app di trasporto urbano con quasi un miliardo di utenti. Call App, l’app che scherma le chiamate per lo spam, è un altro prodotto dell’economia militare israeliana, il cui CEO, Amit On, ha passato tre anni nell’Unità 8200. Anche le famose app di navigazione e ride-hailing come Gett e la popolarissima Waze, acquisita da Google per 1,3 miliardi di dollari, sono state fondate da persone formate e provenienti dagli stessi ambienti dell’intelligence israeliana.

L’infiltrazione di queste app nelle nostre vite digitali è profonda e insidiosa. Non solo contribuiscono a finanziare un regime di occupazione e violenza, ma sollevano anche serie questioni sulla privacy. Lo Stato di Israele si serve infatti enormemente della tecnologia, tra intelligenza artificiale, dati biometrici, big data e altro, per attuare i suoi scopi di dominio. Secondo l’autore dell’inchiesta, questa dovrebbe costituire una nuova e cruciale frontiera per il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), al fine di negare supporto a un’economia che dipende dalla militarizzazione e dall’applicazione tecnologica alla sofferenza palestinese.

Al momento, infatti, le app tradizionalmente utilizzate per comprendere quali prodotti ed aziende evitare per non sostenere Israele e il genocidio palestinese vengono scaricate da Google e ricevono finanziamenti attraverso le pubblicità sulla stessa piattaforma – nonostante Google sia tra le aziende da boicottare proprio per il suo sostegno a Israele. Una morsa di non facile soluzione, insomma, ma che non dovrebbe precludere all’azione.

È uscito il numero di luglio del mensile de L’Indipendente

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A luglio L’Indipendente torna con il sesto numero del mensile, una rivista rilegata da conservare con all’interno 80 pagine di contenuti esclusivi – tra inchieste, reportage, guide per un consumo critico e consapevole e molto altro. La copertina di questo mese riguarda le attività di una delle più grandi aziende energetiche italiane, ENEL, che si arricchisce enormemente in Paesi del sud globale come il Cile alle spese delle popolazioni locali e della loro volontà. In un contesto nel quale le multinazionali agiscono indisturbate grazie anche alla connivenza e alla complicità dei governi, tuttavia, cittadini e gruppi nativi non sono spettatori passivi, ma mettono in atto pratiche di resistenza e di lotta per la tutela dei propri diritti.

Il mensile de L’Indipendente ha come sottotitolo i tre pilastri che ne definiscono la cifra giornalistica: inchieste, consumo critico, beni comuni. Ogni parola è stata scelta con cura, racchiudendo ciò che vogliamo fare e che, a differenza di altri media, possiamo fare, perché non abbiamo padroni, padrini o sponsor da compiacere.

Questi tre punti cardinali rappresentano il nostro impegno per il giornalismo che crediamo necessario: inchieste (per svelare i lati nascosti della politica e dell’economia), consumo critico (per vivere meglio, certo, ma anche per promuovere scelte consapevoli capaci di colpire gli interessi privilegiati) e beni comuni (perché la nostra missione è quella di leggere la realtà nell’interesse dei cittadini e non delle élite oligarchiche che controllano i media dominanti). Al suo interno ci saranno poi, naturalmente, approfondimenti sull’attualità e sui temi che caratterizzano da sempre la nostra agenda: esteri, geopolitica, ambiente, diritti sociali.

Questi sono solamente alcuni degli altri argomenti che potrete ritrovare nel nuovo numero:

  • Gli affari di ENEL in Cile e la resistenza del popolo mapuche: in Sudamerica, una delle più grandi aziende italiane si arricchisce enormemente sulla pelle della popolazione locale, mentre questa cerca di resistere allo sfruttamento e alla devastazione del proprio territorio
  • Il Sinai tra guerre, affari e sfollamento di Gaza: come il governo egiziano fa il lavoro sporco per conto di Israele, gestendo lo sfollamento da Gaza e reprimendo chiunque manifesti il proprio dissenso
  • Ibrahim Traoré, l’uomo che sta facendo sognare l’Africa: il presidente del Burkina Faso sta sfidando l’ordine globale, alimentando i sogni di riscatto di milioni di africani
  • La rinascita della DC in Sicilia: la nuova Democrazia Cristiana di Totò Cuffaro (su cui pesa una condanna per favoreggiamento mafioso) sta facendo incetta di voti e poltrone sull’isola, tra cambi di casacca e politici dal curriculum controverso
  • Il business delle università telematiche: inchiesta su come questi enti stanno trasformando il mondo accademico, grazie a un sistema fatto di relazioni politiche, corsi di bassa qualità e titoli facili
  • L’imbroglio del gelato artigianale: disinformazione e mancanza di una normativa precisa fanno sì che i consumatori siano indotti a credere che questo alimento contenga soltanto ingredienti genuini e “naturali”, quando in realtà spesso è prodotto con preparati industriali ricchi di additivi e aromi

La nuova rivista de L’Indipendente è acquistabile (in formato cartaceo o digitale) sul nostro shop online, ed è disponibile anche tramite il nuovo abbonamento esclusivo alla rivista, con il quale potreste ricevere la versione cartacea a casa ogni mese per un anno al prezzo di 90 euro, spese di spedizione incluse. Per riceverlo basta consultare la pagina: lindipendente.online/abbonamenti.

Trump rinvia l’entrata in vigore dei dazi

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato una estensione della data di inizio dei cosiddetti dazi reciproci, fissandola al 1° agosto. I dazi sarebbero dovuti entrare in vigore il 9 luglio. Rispondendo a una domanda su eventuali ulteriori rinvii, Trump ha affermato di avere preso una decisione ferma, ma non al 100%. Trump ha inoltre affermato che gli Stati Uniti avrebbero imposto tariffe del 25% sui prodotti provenienti da Giappone, Corea del Sud, Tunisia, Malesia e Kazakistan, con imposte del 30% su Sudafrica e Bosnia-Erzegovina, che sarebbero salite al 32% sull’Indonesia, al 35% su Serbia e Bangladesh, al 36% su Cambogia e Thailandia e al 40% su Laos e Birmania.

La ribellione dei ricercatori: 300 membri del CNR rifiutano di collaborare al riarmo

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Oltre 300 ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche hanno dichiarato la propria indisponibilità a prestare la propria attività intellettuale a studi finalizzati al settore bellico. L’appello richiama l’articolo 11 della Costituzione italiana, che sancisce che la Repubblica Italiana ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali; i ricercatori affermano la loro opposizione a collaborare con i «piani di riarmo o ad essere in qualunque modo contigui a chi ricorra all’esercizio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». A tale appello ne è seguito un altro che coinvolge in generale i lavoratori del CNR, e che chiede al Consiglio di Amministrazione l’immediata sospensione delle collaborazioni con le istituzioni accademiche israeliane.

La lettera contro il riarmo è stata presentata al CNR da «ricercatori e ricercatrici, tecnologi e tecnologhe, collaboratori e collaboratrici» del Centro. Nel loro appello, esteso a tutti i colleghi, i ricercatori sono concisi: «Volutamente non ci diffondiamo in analisi», scrivono. «Molte ne sono disponibili e ci sorreggono, ma la nostra urgenza oggi è evitare i distinguo e dichiarare una presa di posizione inequivocabile». Le «competenze intellettuali e scientifiche sono parte essenziale delle azioni belliche», in tutte le forme in cui si presentano, a partire dal lato tecnico, per arrivare fino alla costruzione ideologica e retorica di una «cultura della guerra». Secondo i ricercatori, tutti i saperi vengono sfruttati dalla macchina di propaganda bellicista; è il caso non solo delle discipline tecniche che contribuiscono al progresso tecnologico dei mezzi con cui la guerra viene portata avanti, ma anche di quelle più teoriche e della comunicazione pubblica. Con la loro lettera, insomma, i ricercatori vogliono opporsi a un sistema che orienta interamente le conoscenze per metterle al servizio della macchina della guerra.

Nel testo dei ricercatori si fa breve menzione agli scenari di guerra attuali, e si cita rapidamente la situazione a Gaza. A sfidare apertamente la collaborazione con lo Stato ebraico è una seconda lettera che chiede al Consiglio di Amministrazione del CNR di sospendere in via cautelativa tutte le collaborazioni con gli enti di ricerca israeliani. Nel documento, i ricercatori sottolineano che la sospensione è stata sollecitata dalla Società Italiana di Diritto Internazionale, dalla relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori Palestinesi Occupati Francesca Albanese, e che rispetta le recenti decisioni dell’Assemblea Generale dell’ONU e della Corte Internazionale di Giustizia che chiedono a Stati ed enti di «non riconoscere, aiutare e supportare l’occupazione illegale del Territorio Palestinese Occupato». I firmatari chiedono che la sospensione venga accompagnata da una ricognizione completa di tutti i rapporti degli enti di ricerca italiani con quelli israeliani direttamente o indirettamente coinvolti nel sistema di apartheid e genocidario dello Stato ebraico. La recente lettera fa eco a un analogo documento inviato lo scorso anno, e alle diverse mobilitazioni lanciate dagli studenti nelle università italiane e di tutto il mondo con la cosiddetta intifada studentesca, che ha rapidamente preso i connotati di un movimento globale.

Netanyahu vola da Trump: “Israele controlli la sicurezza in Palestina”

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Il premier israeliano Netanyahu è arrivato alla Casa Bianca per un incontro con il presidente degli Stati Uniti, Trump. I due leader hanno detto di stare lavorando a un cessate il fuoco a Gaza e di intrattenere colloqui con i Paesi della regione per portare avanti il piano di deportazione dei palestinesi promosso da Trump. Il premier israeliano ha inoltre affermato che il suo piano per il futuro della Palestina prevede una soluzione in cui i palestinesi detengano il controllo amministrativo delle proprie aree, cedendo a Israele il controllo «della sicurezza». Netanyahu ha candidato Trump al Nobel per la Pace.

Texas: i cittadini vincono la battaglia legale contro Exxon per l’inquinamento dell’aria

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La Corte Suprema degli Stati Uniti ha respinto il tentativo di ExxonMobil di annullare una multa record di 14,25 milioni di dollari per inquinamento atmosferico. Questo risulta dalla lunga battaglia legale durata oltre 15 anni, che ha visto coinvolto il colosso petrolifero in relazione alle sue attività presso la raffineria di Baytown, nel sud-est del Texas, uno degli impianti più grandi degli Stati Uniti. La decisione della Corte Suprema arriva dopo che un tribunale di grado inferiore aveva confermato la sanzione nel dicembre 2022. Exxon aveva cercato di ribaltare la contravvenzione, sostenen...

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Caso Epstein: le indagini dell’FBI si chiudono con un nulla di fatto

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A quasi sei anni dalla morte di Jeffrey Epstein, il milionario pedofilo al centro di un vasto giro di traffico sessuale internazionale, le indagini ufficiali dell’FBI e del Dipartimento di Giustizia statunitense sembrano voler chiudere definitivamente il caso, con una conclusione tanto semplice quanto disarmante: nessuna prova di omicidio, nessuna lista clienti, nessun ricatto ai danni di élite politiche o finanziarie. In particolare, negare l’esistenza di una lista clienti e il conseguente ricatto dei potenti equivale a cancellare la parte più esplosiva dell’inchiesta che riguarda Epstein e la sua ex compagna, ancora in carcere, Ghislaine Maxwell.

Considerato il volume e la gravità delle irregolarità emerse negli anni successivi al decesso, la mossa dell’FBI sembra voler mettere a tacere le inchieste e le rivelazioni sconcertanti che si sono susseguite nel tempo, e sta suscitando un mix di perplessità e indignazione collettiva, a due mesi e mezzo dallo “strano” suicidio di Virginia Giuffrè, la principale accusatrice di Epstein e del principe Andrea.

Tra chi vede la vicenda come l’ennesimo cover-up globale troviamo Elon Musk, ora nemico giurato di Trump, che su X ha sbeffeggiato le conclusioni dell’indagine. In un post appare l’immagine di un timer azzerato con la scritta: «Che ore sono? Oh, guarda, è di nuovo l’ora in cui nessuno è stato arrestato…». Dopo la rottura pubblica del 5 giugno scorso con il presidente americano, l’imprenditore sudafricano aveva accusato Trump di essere «nei file di Epstein. Questo è il vero motivo per cui non sono stati resi pubblici», per poi scusarsi e cancellare il tweet.

Un decesso pieno di incongruenze

Sul caso Epstein, il 27 febbraio 2025, l’attorney general Pamela Bondi aveva reso nota una prima parte di file declassificati che, però, contenevano in gran parte documenti già trapelati, anche se mai resi pubblici ufficialmente dal governo americano. Le carte hanno suscitato delusione generale, poiché non rivelavano nulla di nuovo. Ora, secondo quanto anticipato da Axios, l’amministrazione Trump ha diffuso un video che dimostrerebbe che nessuno sarebbe entrato nel carcere la notte della morte di Epstein. Il breve filmato, datato 9 agosto 2019, mostra il finanziere mentre viene accompagnato da una guardia nella sua cella.

La ricostruzione ufficiale parla di suicidio per impiccagione. Le circostanze in cui è avvenuta la morte – il 10 agosto 2019 presso il Metropolitan Correctional Center di New York, una struttura federale ad alta sicurezza – appaiono, a dir poco, misteriose, con una lunga serie di anomalie. Il primo a suggerire che si fosse trattato di omicidio fu proprio Donald Trump, che su Twitter rilanciò alcune teorie del complotto, puntando addirittura il dito contro i Clinton.

Jeffrey Epstein e Ghislaine Maxwell insieme a Bill Clinton

Poche settimane prima di morire, come riportato dal Daily Mail, Epstein aveva confidato alle guardie del carcere che qualcuno voleva ucciderlo. La stessa fonte lo aveva incontrato in varie occasioni durante la detenzione, affermando che il finanziere, solitamente riservato, sembrava di buon umore: «Non c’erano segnali che potesse tentare il suicidio».

Il 23 luglio, esattamente tre settimane prima della morte, Epstein fu trovato privo di sensi nella sua cella con lesioni al collo. Il finanziere sostenne di essere stato aggredito dal suo compagno di cella, l’ex poliziotto Nick Tartaglione, 52 anni. Tartaglione, accusato di aver ucciso quattro uomini, ha negato l’aggressione. L’episodio giustificò l’inserimento nel protocollo anti-suicidio, revocato inspiegabilmente il 29 luglio, solo 12 giorni prima della morte. La sorveglianza prevista ogni 30 minuti non fu rispettata: la notte tra il 9 e il 10 agosto, i controlli non furono effettuati per quasi nove ore. Come se non bastasse, le telecamere di sorveglianza esterne alla cella risultarono malfunzionanti. I video? Danneggiati o cancellati “per errore tecnico”.

Il compagno di cella di Epstein fu trasferito poche ore prima della morte, nonostante le norme prevedano la presenza obbligatoria di un secondo detenuto. Secondo fonti citate dal Washington Post, almeno otto membri del personale del Federal Bureau of Prisons avrebbero ignorato l’ordine di non lasciare Epstein da solo. In parallelo, due guardie furono successivamente accusate di falsificazione di documenti, mentre oltre 20 membri del personale carcerario furono oggetto di mandati di comparizione. La direttrice del carcere, Shirley Skipper-Scott, fu trasferita.

L’autopsia ufficiale, firmata da Barbara Sampson, confermò la morte per impiccagione. Ma un’analisi indipendente del patologo forense Michael Baden – già coinvolto in casi celebri come quello di O.J. Simpson – evidenziò lesioni atipiche per un suicidio:

  • Tre fratture nella cartilagine tiroidea e nell’osso ioide, raramente riscontrate in impiccagioni volontarie, ma compatibili con strangolamento.
  • Contusioni, ematomi e ferite su polsi, spalla, labbro e braccio, né spiegate né documentate nel rapporto ufficiale.
  • Presenza di capillari esplosi su viso e occhi, ulteriore segnale di strangolamento manuale secondo Baden.

Secondo il noto patologo, le lesioni – in particolare le tre fratture al collo – non sarebbero compatibili con un suicidio: «Le prove indicano un omicidio piuttosto che un suicidio», ha dichiarato in un’intervista a Fox & Friends.

A tutto questo si aggiunge un altro dato inquietante: non esiste alcuna immagine del cadavere di Epstein all’interno della cella, come confermato dalla trasmissione d’inchiesta 60 Minutes, che ha dedicato un’intera puntata alla vicenda su CBS.

La questione della “lista clienti”

L’aspetto più controverso dell’indagine dell’FBI è l’affermazione secondo cui non esisterebbero prove che Epstein tenesse una lista clienti o praticasse ricatti ai danni dei potenti. 

Un’affermazione in netto contrasto con:

  • Le testimonianze giurate di numerose vittime, che parlano di personalità influenti (politici, reali, banchieri, imprenditori) coinvolte nei festini con minori.
  • I documenti sequestrati nella residenza di Epstein: hard disk, video, fotografie compromettenti, registri di volo del jet privato (soprannominato Lolita Express).
  • Le dichiarazioni di avvocati e investigatori indipendenti, che descrivono un sistema di raccolta di materiale compromettente da usare come strumento di pressione e ricatto.

Sostenere oggi che «non ci sono prove» equivale a rimuovere decine di elementi raccolti negli anni, trasformando un caso giudiziario esplosivo in un incidente burocratico archiviato per “mancanza di evidenze”. Negare l’esistenza di una lista clienti significa cancellare la rete e, con essa, ogni complicità.

Indagine o insabbiamento?

La chiusura del caso Epstein da parte dell’FBI rappresenta, a tutti gli effetti, un esempio da manuale di gestione del danno istituzionale. Invece di fare luce sulle ramificazioni globali di un sistema di abusi con protezioni ai più alti livelli, si è scelto di archiviare il caso, tra omissioni, “errori tecnici” e silenzi strategici.

La cella di Jeffrey Epstein dopo il suo presunto suicidio

La narrazione ufficiale riduce la morte di Epstein a un evento isolato, scollegato da tutto ciò che rappresentava in vita: un nodo nevralgico nel cuore di una rete internazionale di potere, sesso, pedofilia, ricatto e manipolazione.

La domanda resta aperta: se davvero non c’è nulla da nascondere, perché è stato fatto di tutto per non vedere?

Per i suoi legami oscuri con CIA e Mossad. Come ben documentato nel libro Robert Maxwell: Israel’s Superspy (2002), il padre di Ghislaine – compagna storica di Epstein – sarebbe stato un agente di alto livello del Mossad. Robert Maxwell, imprenditore ed editore, grande antagonista di Rupert Murdoch, morì il 5 novembre 1991 alle Canarie per un presunto infarto, anche se tre patologi forensi smentirono questa ipotesi.

Secondo un altro saggio, Dead Men Tell No Tales, a introdurre Epstein nei circoli dell’intelligence israeliana sarebbe stato proprio Maxwell. Da giovane, il finanziere frequentava la casa dell’editore, dove conobbe Ghislaine, con la quale ebbe una lunga relazione.

Secondo l’ex agente del Mossad Ari Ben-Menashe, Jeffrey Epstein e Ghislaine Maxwell avrebbero procurato ragazze minorenni a politici e potenti di tutto il mondo, per poi ricattarli per conto dei servizi segreti israeliani.