Álvaro Uribe Vélez, ex presidente della Colombia, è stato condannato a 12 anni di arresti domiciliari per frode processuale e corruzione di testimoni. La sentenza, emessa dal giudice Sandra Liliana Heredia, prevede anche una multa di 710.000 euro e un divieto di cariche pubbliche per oltre otto anni. Uribe e il suo avvocato sono accusati di aver manipolato testimonianze di ex paramilitari in un caso che aveva visto l’ex presidente denunciare il senatore Iván Cepeda. La difesa ha annunciato il ricorso in appello.
Trump rilancia l’escalation verbale con la Russia e schiera due sottomarini nucleari
Il botta e risposta tra il presidente statunitense Donald Trump e l’ex presidente russo Dimitry Medvedev ha raggiunto il suo apice nella serata di venerdì 1° agosto, quando Trump ha dichiarato di aver disposto il posizionamento di due sottomarini nucleari «nelle regioni appropriate» – senza specificare quali, ma lasciando intendere che si tratti di regioni della Federazione Russa. Lo scambio di battute tra i due politici era iniziato lo scorso lunedì, quando Trump aveva dichiarato di concedere alla Russia 10 giorni di tempo per portare a termine la guerra in Ucraina.
Dopo le dichiarazioni del presidente statunitense, il 28 agosto Medvedev aveva pubblicato un post sul proprio profilo Twitter, dichiarando che ogni ultimatum rivolto da Trump alla Russia costituisce «una minaccia e un passo verso la guerra. Non tra Russia e Ucraina, ma con il suo stesso Paese». Sul suo canale Telegram Medvedev aveva poi definito l’accordo sui dazi raggiunto con l’Europa «apertamente anti-russo», in quanto vieta l’acquisto di gas e petrolio da Mosca, e fatto apertamente riferimento al programma Dead Hand, il sistema russo risalente alla Guerra Fredda di controllo automatico delle armi nucleari. «A proposito delle “economie morte” dell’India e della Russia e del fatto che “stanno entrando in un territorio molto pericoloso”, ricordategli [a Trump, ndr] i suoi film preferiti sul “morto che cammina” [riferimento a The Walking Dead, ndr] e a quanto possa essere pericolosa la mitica Dead Hand».
La risposta non si è fatta attendere. «Sulla base delle dichiarazioni altamente provocatorie dell’ex Presidente della Russia, Dmitry Medvedev, che ora è il Vice Presidente del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa, ho ordinato di posizionare due sottomarini nucleari nelle regioni appropriate, nel caso in cui tali affermazioni sciocche e infiammatorie si rivelino qualcosa di più – ha scritto Trump sul suo social Truth – Le parole sono molto importanti e spesso possono portare a conseguenze non volute, spero che questo non sia uno di quei casi. Grazie per la vostra attenzione a questo problema!».
La battaglia social dei due politici è iniziata dopo che, all’inizio della scorsa settimana, nel corso di un meeting con il premier inglese Starmer, Trump aveva dichiarato di aver ridotto da 50 a «10-12 giorni» il tempo massimo per la Russia per giungere a un cessate il fuoco con l’Ucraina, minacciando il Paese di dazi se questo non fosse stato rispettato. Secondo quanto dichiarato a Reuters da fonti governative statunitensi, i messaggi di Medvedev non sarebbero tuttavia stati considerati una minaccia da Washington, sottolineando anche che è improbabile che le dichiarazioni di Trump spingano la Russia a cambiare la propria linea sull’Ucraina. Non sarebbe dunque chiaro cosa abbia spinto Trump a rilasciare una dichiarazione del genere. Da quando è iniziato il suo mandato, all’inizio di quest’anno, il presidente USA ha usato spesso il proprio social Truth come piattaforma per fare annunci politici di varia natura. Al momento, la Marina USA e il Pentagono non hanno commentato ufficialmente le dichiarazioni del presidente.
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Serbia, sei arresti per crollo di Novi Sad
In Serbia sei persone, tra cui l’ex ministro Tomislav Momirović, sono state arrestate per il crollo della tettoia della stazione di Novi Sad, avvenuto lo scorso novembre e costato la vita a 16 persone. L’incidente, simbolo della corruzione del sistema di potere del presidente Vučić, aveva scatenato proteste diffuse nel Paese, proseguite per mesi, con centinaia di migliaia di persone riversate nelle piazze. Gli arrestati sono accusati di aver gonfiato i costi dei lavori, affidati a due aziende cinesi, e aver sottratto fondi pubblici per quasi 100 milioni di euro. A dicembre erano già stati arrestati altri 11 indagati, tra cui l’ex ministro Goran Vesić.
Come fare realmente turismo etico, boicottando l’apartheid israeliana
L’industria del turismo ha raggiunto a livello globale 1,4 miliardi di spostamenti nel 2024, con fatturati corrispondenti a circa 1,9 trilioni di dollari, in crescita costante e superando ormai il periodo pre-Covid (secondo dati UNWTO). Il turismo rappresenta inoltre un forte motore di crescita economica per alcune regioni in via di sviluppo, come Nord Africa e America Centrale, che hanno visto crescite record rispettivamente del 22% e del 17% rispetto al periodo pre-pandemico.
Di pari passo con la crescita del turismo a livello globale, è maturata una nuova consapevolezza che ha portato alla formazione del cosiddetto “turismo responsabile” e del “turismo etico”: si è affermata in tal modo la coscienza del valore del viaggio come conoscenza e scambio rispettoso tra popoli e culture diverse. È un turismo sostenibile, rispettoso dell’ambiente, delle tradizioni locali e delle comunità ospitanti. Alla luce di questi valori, diventa pertanto inaccettabile lo sfruttamento a fini turistici di beni o territori sottratti con la forza ai legittimi proprietari. Stride, altresì, l’accoglienza turistica di persone che hanno commesso crimini di guerra e che viaggiano impunemente per svago.
Per questo motivo, il movimento BDS (bdsitalia.org) sta portando l’attenzione sul turismo “non-etico” come potenziale target di boicottaggio e sanzioni, elaborando alcune semplici azioni che tutti noi possiamo compiere per viaggiare in modo più consapevole e, al tempo stesso, per contrastare l’apartheid israeliana e il genocidio in corso a Gaza. Ecco alcune idee per azioni di boicottaggio alla portata di tutti noi.
Boicottare le piattaforme di prenotazione online
Ci sono almeno due situazioni inaccettabili alla base della necessità di boicottare alcune piattaforme di prenotazione online che si stanno rendendo complici dello sterminio in corso. La prima ha a che vedere con il cosiddetto “turismo di guerra”. Tripadvisor pubblicizza macabri tour guidati ai confini di Gaza, come ad esempio il 7 ottobre: Tour del patrimonio e dell’eroismo al confine di Gaza. In questo caso, Tripadvisor diventa veicolo, per soldi, di una pratica disumana che consiste nell’osservazione morbosa di un genocidio in tempo reale. Inoltre, la piattaforma contribuisce alla normalizzazione dell’orrore e del genocidio per cui i visitatori, anziché essere disgustati dai bombardamenti su Gaza, vengono attratti dalla “pornografia della violenza”.
In secondo luogo, è stato evidenziato come alcune delle principali piattaforme di prenotazione online, quali Booking, Airbnb, Expedia e TripAdvisor, mettano a disposizione stanze e appartamenti in colonie israeliane costruite illegalmente in Cisgiordania e Gerusalemme Est. La costruzione di colonie illegali è stata condannata da molteplici risoluzioni, tra cui la Risoluzione 2334 del 2016 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e, più recentemente, dalla Corte Internazionale di Giustizia (CIG), che nel luglio 2024 ha ribadito che queste colonie sono state create da Israele in violazione del diritto internazionale. Secondo BDS, le piattaforme di prenotazione online dovrebbero verificare la legalità degli alloggi che vengono messi in affitto, per evitare di divenire complici di violazioni del diritto. L’illegalità di questi affitti turistici era già stata messa in evidenza da un approfondito rapporto di Amnesty International, intitolato Destination: Occupation, pubblicato nel 2019. Purtroppo, da allora la situazione non è migliorata: Booking.com, per esempio, non ha preso provvedimenti per evitare gli illeciti. Per tale motivo, questa piattaforma è stata messa sotto inchiesta con l’ipotesi di riciclaggio, in base a un’indagine di SOMO, un centro di ricerca indipendente sulle multinazionali, che nel 2024 ha presentato un esposto alla procura olandese. Una recente ricerca del Guardian di febbraio 2025 ha confermato come questa pratica sia ancora ampiamente diffusa: attualmente, si possono trovare oltre 760 camere riconducibili a immobili su colonie illegali messe in affitto su Airbnb e Booking. Tutti noi, come consumatori, possiamo boicottare queste piattaforme facendo pressione affinché non vengano più pubblicizzati alloggi in colonie illegali costruite su terreni rubati.
Perseguire l’impunità dei criminali di guerra
Considerando l’alto numero di uccisioni indiscriminate di oltre 55.000 civili (incluse donne e bambini) e di abusi e torture commessi dall’esercito israeliano a Gaza, è molto probabile che numerosi soldati israeliani in libera uscita come turisti siano stati coinvolti in crimini di guerra. Questa la motivazione per cui il titolare di Wind Villa, un hotel di Kyoto, in Giappone, ha chiesto ai suoi ospiti di sottoscrivere al momento del check-in una Dichiarazione di non coinvolgimento in crimini di guerra, in cui il cliente deve dichiarare «di non aver preso parte ad attacchi su civili, uccisioni di prigionieri di guerra, torture o ogni altro atto che ricada sotto l’Articolo 8 dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (CPI)». Sebbene ci siano state proteste da parte dell’ambasciatore israeliano, il titolare è rimasto fermo nelle sue intenzioni, dichiarando che ciò è a tutela e protezione dei suoi ospiti. Una simile dichiarazione, se adottata da tutti gli hotel, o meglio ancora resa obbligatoria dalle autorità di polizia come forma di controllo e prevenzione, potrebbe ostacolare la libera circolazione di criminali di guerra. Inoltre la Hind Rajab Foundation, nata per combattere l’impunità dell’esercito israeliano, monitora gli spostamenti dei militari israeliani all’estero e segnala tempestivamente alle autorità la presenza di possibili criminali di guerra in località di vacanza. Ciascuno di noi si potrebbe far carico di diffondere la conoscenza di tali pratiche presso centri di accoglienza turistica nei luoghi che avrà occasione di visitare.
Aderire alla campagna SPLAI
Tutti gli spazi turistici, quali ad esempio alberghi, ristoranti, bar, centri culturali e sportivi, possono aderire alla campagna SPLAI (Spazi Liberi dall’Apartheid Israeliana), che promuove la creazione di una rete di spazi che si dichiarano liberi dalla discriminazione e dal razzismo e si impegnano a non avere rapporti con aziende e altre entità complici del regime israeliano di colonialismo, occupazione e apartheid.

Recentemente ha avuto grande risalto la polemica sollevata contro la Taverna Santa Chiara a Napoli, accusata falsamente di antisemitismo per avere risposto alle provocazioni di due clienti israeliani sostenitori del genocidio a Gaza e dell’oppressione del loro governo contro il popolo palestinese. Aderire alla campagna SPLAI per luoghi di accoglienza turistica significa anche dimostrarsi accoglienti nei confronti di turisti che condividono princìpi di giustizia e libertà e che rifiutano l’apartheid israeliana. Sottolineiamo che condannare i crimini di Israele non è antisemitismo e che le campagne di boicottaggio di BDS non prendono mai di mira l’identità delle persone, ma le complicità con il regime di oppressione israeliano.
In conclusione, il turismo può essere un potente veicolo di crescita economica e scambio culturale tra i popoli, ma solo a patto che sia veramente etico. Tutti noi come consumatori critici possiamo sancire comportamenti illeciti e favorire la crescita di valori di giustizia e libertà.
Bosnia: confermata la condanna al presidente della Repubblica Sprska
Una corte d’appello bosniaca ha confermato la condanna contro il presidente della Repubblica Serba della Bosnia ed Erzegovina (Repubblica Sprska), l’entità del Paese a maggioranza serba, Milorad Dodik. Dodik era stato condannato a un anno di carcere e sei anni di interdizione dai pubblici uffici per essersi rifiutato di rispondere alle delibere dell’Alto rappresentante Christian Schmidt, l’autorità incaricata di supervisionare il rispetto degli accordi che posero fine alla guerra nel Paese. Dodik è accusato, assieme a Radovan Višković e Nenad Stevandić, rispettivamente primo ministro e presidente dell’Assemblea Nazionale della Republika Srpska, di avere attaccato l’ordine costituzionale; ha annunciato che ignorerà la scelta del tribunale e continuerà a operare come presidente.
Perché la risposta di ogni intelligenza artificiale si basa anche su pregiudizi politici
Le grandi aziende operanti nel settore dell’intelligenza artificiale hanno spesso descritto i loro modelli come strumenti alimentati da valori assoluti e oggettivi. L’idea alla base è che, in assenza di filtri imposti, l’integrazione massiva di dati sia sufficiente a garantire un punto di vista universale e bilanciato, privo di pregiudizi e inclinazioni. A livello sia aneddotico che tecnico, sappiamo ormai che questo assunto è profondamente fallace. Per contribuire a diffondere questa consapevolezza, una recente ricerca ha cercato di qualificare politicamente le risposte delle IA più rilevanti, con l’obiettivo di valutarne le posizioni.
L’analista dei dati Maria Sukhareva ha avuto l’intuizione di mettere alla prova i principali modelli linguistici di grandi dimensioni, al fine di creare uno spettro qualitativo dei punti di vista che sono programmati a diffondere. La ricercatrice ha definito 200 quesiti riguardanti dieci differenti “tematiche controverse”, chiedendo successivamente alle IA di rispondere fornendo un riscontro binario: un sì o un no. L’esperimento è stato ripetuto cinque volte per verificare la consistenza delle risposte e, aspetto particolarmente interessante, replicato in 14 lingue differenti.
Le domande affrontano temi quali il cambiamento climatico, le politiche migratorie, i diritti LGBTQ+ e sono formulati per generare reazioni classificabili secondo i valori generali della destra e della sinistra politiche, nonché secondo i paradigmi conservatori e progressisti. Ciò che è emerso è che il modello senza censure di Qwen, prodotto dalla cinese Alibaba, si dimostra marcatamente di destra progressista; GPT-3.5 Turbo e LLaMA-3 si attestano su posizioni centriste; mentre GPT-4o viene caratterizzato da un orientamento progressista di sinistra. Contrariamente alle speranze del suo proprietario, Elon Musk, Grok-3 Mini ha evidenziato posizioni di centro-sinistra al momento in cui è stato effettuato il test. Un risvolto ironico, se si considera che a inizio luglio il chatbot è stato trasformato in un megafono per messaggi di matrice nazista.
Sukhareva ha condotto la sua indagine in modo indipendente, su una scala contenuta e partendo da un assunto valoriale che, per forza di cose, nasce da una dimensione soggettiva e contestabile. Nonostante ciò, la sua analisi articolata sottolinea quanto sia errato considerare i modelli di intelligenza artificiale come qualcosa di assoluto e oggettivo, o ipotizzare che la semplice scalabilità dell’addestramento possa neutralizzare le inclinazioni politiche associate a questi strumenti. L’utilizzo delle IA richiede dunque estrema attenzione, responsabilità e consapevolezza, soprattutto quando questa viene applicata a contesti delicati come la salute mentale, la selezione del personale e i processi di sicurezza. Tutti settori su cui stanno puntando con decisione molteplici realtà commerciali.
Andando alla radice del problema, i dataset utilizzati per il pre-addestramento sono già di per sé intrinsecamente soggetti a criticità legate alla rappresentanza degli equilibri di potere, con il risultato che le culture marginalizzate partono spesso sin da subito da una posizione svantaggiata. Affidandosi prevalentemente ai dati raccolti dalla rete, le IA mostrano una propensione a promuovere posizioni polarizzate, conservatrici e di destra — una tendenza successivamente modulata o attenuata tramite filtri e comandi imposti dalle aziende, le quali portano a loro volta specifici interessi aziendali e visioni politiche.
Ancora più interessante, gli esperimenti condotti da Sukhareva hanno evidenziato come uno stesso modello possa generare risposte significativamente differenti in base alla lingua utilizzata per formulare il quesito. In molti casi, ad esempio, le IA hanno mostrato una preferenza per prospettive di destra in risposta a prompt in lingua russa. L’analista ha dichiarato l’intenzione di approfondire il tema delle differenze linguistiche in un prossimo focus di ricerca; tuttavia, tutto lascia intendere che gli utenti che impiegano questi strumenti debbano sviluppare una forte alfabetizzazione digitale, puntuale e critica, soprattutto in previsione di un’integrazione delle IA in ambiti complessi.
La cucina palestinese continua a resistere come il suo popolo: intervista a Mona Zahed
Mentre nella Striscia di Gaza si continua a morire di fame e i palestinesi in fila per ricevere gli aiuti umanitari vengono barbaramente uccisi, c’è chi ha deciso di scrivere un libro di cucina da dentro una tenda da campo. Una scelta apparentemente paradossale che però cela una scelta di riaffermare il diritto all’esistenza del popolo palestinese attraverso la propria cultura, e celebrarne allo stesso tempo la vita specialmente in un momento in cui la fame è utilizzata come un’arma di guerra. Si tratta di Mona Zahed, ed è una cuoca di Gaza che dopo aver visto la sua casa e la sua attività di ristorazione essere distrutte dalle bombe, ha continuato ad alimentare la sua passione per il cibo creando Tabkha: Recipes from Under the Rubble, un volume di ricette tradizionali palestinesi. L’abbiamo raggiunta per un’intervista, utile a spiegare non solo la cultura gazawi, ma anche l’attualità attraverso la lente del cibo.
Oggi che la fame è utilizzata dal governo israeliano come arma di guerra, scrivere di cibo potrebbe sembrare irragionevole, ma, adottando un altro punto di vista, appare come un atto di resistenza. Esattamente come della terra, Israele si è appropriata anche della tradizione culinaria palestinese nel tentativo di creare delle proprie radici, un ladrocinio che ha fatto sì che i falafel, per esempio, siano diventati un piatto tipico della cucina kosher. Che si tratti di un vero e proprio saccheggio culturale lo si può sapere anche leggendo un libro pubblicato nel 1936 dalla Women’s International Zionist Organization dal titolo How to cook in Palestine. Nelle prime pagine del volume si legge: «Noi casalinghe dobbiamo lasciarci alle spalle le tradizioni culinarie europee che non si adattano al contesto palestinese. Dovremmo sposare a pieno la salutare cucina palestinese». Scrivere di cucina è dunque oggi un ulteriore modo per ribadire l’esistenza di un popolo e conoscere le ricette della tradizione culinaria palestinese è un tentativo di marginare la sottrazione che Israele opera ai danni della Palestina.
Come era la tua vita prima del 7 ottobre e com’è oggi dopo quasi due anni di guerra lanciata da Israele contro Gaza?
Prima dell’inizio del genocidio la mia vita era normale; io e mio marito avevamo un lavoro, una casa e i miei figli andavano a scuola e avevano una buona educazione. Avevamo tutto. Purtroppo, con la guerra, le nostre vite sono state sconvolte: io ho perso il mio lavoro, la farmacia di mio marito è stata completamente distrutta e non ci sono più scuole che possono frequentare i miei figli. Siamo stati sfollati per oltre un anno. In tutto, siamo già stati sfollati più di sei volte. Abbiamo vissuto per diversi mesi in una tenda: questi sono stati i giorni più duri. Purtroppo la sofferenza continua anche dopo il nostro ritorno a casa a causa della mancanza di numerosi servizi, della durezza del genocidio e a causa della fame.
Come è nata l’idea di scrivere un libro di ricette palestinesi?
L’idea è nata quando ho iniziato a realizzare una raccolta fondi per la mia famiglia su GoFundMe. Ho incontrato un’amica giapponese, anche lei chef, che si è offerta di aiutarmi a creare un libretto di ricette palestinesi, alcune delle quali vegetariane, da vendere come parte del sostegno alla nostra causa. Poi un’altra amica, un’artista fantastica finlandese che fa parte del team di Coffees for Gaza, mi ha aiutata a sviluppare ulteriormente l’idea facendo un libro con diverse ricette palestinesi e illustrazioni di vari artisti di tutto il mondo che volevano dare una mano alla mia famiglia e a molte altre famiglie di Gaza sostenute da Coffees for Gaza. Così ha preso vita il progetto che, grazie a Dio, è diventato realtà.
Le ricette presenti nel tuo libro risentono della scarsità di cibo dovuta all’occupazione israeliana?
Il libro include alcune varianti di ricette inventate a Gaza a causa delle difficili circostanze: sono fatte con ingredienti alternativi che si riescono ancora a trovare. Sono anche presenti metodi di cottura che i nostri antenati usavano in passato e diversi metodi di conservazione di cibo usati quando non c’erano i frigoriferi.
È possibile oggi a Gaza cucinare le tue ricette?
Ci sono alcune ricette che possono essere fatte ancora oggi nel pieno della carestia, come le lenticchie. Detto ciò, ci sono molti piatti che difficilmente possono essere cucinati a causa della chiusura dei valici e della mancanza di risorse. Viviamo nella fame da quattro mesi e non abbiamo accesso a molti cibi come la carne, la frutta, il formaggio, latticini, noci e dolci. Abbiamo dimenticato il sapore di queste cose.
Cosa rappresenta per te la cucina palestinese?
È la cucina di mio padre e di mio nonno ed è il patrimonio che ho ereditato. Amo cucinare: immagino di mischiare gli ingredienti e il loro sapore prima ancora di mettere le mani in pasta. La cucina palestinese è conosciuta per i suoi piatti deliziosi ed è parte della cucina levantina. Tutte le nostre ricette hanno un sapore particolare che compete con quello di molte altre tradizioni.
Che significato ha nella cultura palestinese l’arte della cucina?
Nel mio Paese cucinare è un’azione molto importante. In Palestina e in particolare a Gaza amiamo cucinare e mangiare: scoprirete che cuciniamo e mangiamo un sacco (a eccezione di questi tempi di carestia). Adoriamo offrire cibo agli ospiti in ogni occasione e abbiamo piatti speciali per particolari circostanze. Il cibo contraddistingue il nostro popolo. A Gaza preferiamo i piatti piccanti e quelli ricchi di spezie ed erbe. Per noi cucinare è davvero qualcosa di fondamentale.
Qual è il piatto più importante nella cucina palestinese?
Tutti i piatti sono importanti, ma credo che ci distinguiamo per i cibi sostanziosi e ricchi. Per esempio, durante i banchetti nuziali serviamo riso Qidra con carne come il pollo; durante l’henna party delle spose [festa organizzata per la sposa prima del matrimonio in cui le donne si decorano reciprocamente mani, braccia e piedi con una pasta di henné] o durante le celebrazioni del matrimonio serviamo la Sumaqqiya [piatto tipico a base di sommaco, cipolla, ceci, aglio, pasta di sesamo, pepe verde, peperoncino, sale, olio d’oliva, farina bianca e carne d’agnello]. Prima della genocidio il fine settimana era un momento di riposo per tutti e in quei giorni non si trovava una casa a Gaza che non profumasse di cibi deliziosi come la maqluba [piatto a base di riso, verdure, pollo e spezie], il maftool [un cous cous palestinese] o il fatteh [ricetta a base di ceci, yogurt e menta].
Condividi con noi una delle tue ricette?
Posso condividere una delle ricette per cui siamo famosi in Palestina: i falafel.
Ingredienti:
- Mezzo chilo di ceci (mettere in ammollo per dieci ore);
- Due grandi cipolle;
- Quattro spicchi d’aglio;
- Un mazzetto di prezzemolo;
- Un peperone verde piccante;
- Un mucchietto di aneto verde;
- Scolare i ceci, aggiungere tutti gli ingredienti e mescolare;
- Tritare il composto fino a ottenere una consistenza simile a quella della pasta;
- Aggiungere le seguenti spezie: un cucchiaio di sale, mezzo cucchiaio di cumino, mezzo cucchiaio di coriandolo macinato, mezzo cucchiaio di bicarbonato, tre cucchiai di semi di sesamo;
- Mescolare:
- Fare delle palline con l’impasto e friggerle in olio vegetale finché non sono dorate e croccanti;
- Servire con pane arabo o pane saj, patatine fritte, insalata e hummus a parte.
La Germania invia sistemi di difesa all’Ucraina
La Germania ha dichiarato che consegnerà due sistemi missilistici di difesa Patriot all’Ucraina. L’annuncio arriva in seguito a un accordo della Germania con gli Stati Uniti, che prevede la fornitura di piattaforme all’Ucraina in cambio dell’ottenimento di sistemi d’arma più avanzati da Washington. Da quanto si legge nel comunicato tedesco, in una prima fase, la Germania fornirà a Kiev lanciatori Patriot, che giungeranno a destinazione nei prossimi giorni; nel frattempo inizierà a preparare l’invio di ulteriori componenti del sistema, che verranno spediti «nei prossimi due o tre mesi».
La retromarcia di Zelensky: l’Ucraina reintroduce l’anticorruzione dopo le proteste
Messo sotto pressione da un’ondata imponente di proteste popolari e dagli stessi vertici dell’Unione Europea, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha fatto marcia indietro sulla contestata legge che elimina l’indipendenza delle agenzie anticorruzione, firmata solo la scorsa settimana. Migliaia di manifestanti si sono radunati a Kiev e in altre città ucraine scandendo slogan come «vergogna!» e «il popolo è il potere», mentre alti funzionari europei hanno avvisato il capo ucraino che la legge metteva a repentaglio la possibilità del Paese di aderire all’Ue. Stretto tra il malcontento popolare e i moniti dell’UE, Zelensky ha rapidamente cambiato direzione, firmando ieri un nuovo disegno di legge che «garantisce l’assenza di qualsiasi tipo di influenza o interferenza esterna» sulle agenzie anticorruzione del Paese. Il tutto anche per disinnescare una crisi politica che ha compromesso la sua stessa credibilità. Il nuovo disegno di legge è stato approvato con 331 voti a favore e nessun contrario. Successivamente, il presidente ucraino si è affrettato a sottolineare su Telegram che «L’Ucraina è una democrazia. Non ci sono dubbi».
Il nuovo disegno di legge annulla gli emendamenti che conferivano al procuratore generale, scelto dal presidente stesso, la possibilità di interferire nelle indagini delle agenzie anticorruzione, ossia l’Ufficio Nazionale Anticorruzione e la Procura Speciale Anticorruzione (NABU e SAPO). Il provvedimento, infatti, avrebbe permesso a Zelensky di proteggere i suoi alleati dalle indagini e da eventuali azioni penali. Del resto, la NABU ha accusato di corruzione 71 persone tra parlamentari e ex parlamentari, 31 dei quali risiedono ancora nel parlamento ucraino. Inoltre, mentre Zelensky firmava il disegno di legge la scorsa settimana, sia la NABU che la SAPO stavano indagando sulle accuse di corruzione che coinvolgono alcuni dei suoi più stretti alleati di governo. Se da un lato, la maggior parte dei parlamentari che la scorsa settimana hanno votato a favore della legge contestata hanno ammesso di aver commesso un errore, dall’altro, alcuni esponenti di rilievo della politica ucraina, come Julia Tymoshenko, hanno difeso l’iniziativa legislativa che sopprime l’indipendenza delle agenzie anticorruzione. «Questo disegno di legge, presentato dal presidente sotto una pressione colossale, non riguarda NABU e SAPO, né la lotta alla corruzione. NABU e SAPO sono organi di pressione politica sul governo ucraino dall’esterno. Non siamo un Paese che può essere governato da potenze straniere come un cane al guinzaglio», ha affermato l’imprenditrice energetica e politica ucraina, tra le principali sostenitrici della rivoluzione arancione del 2004.
Lo stesso Zelensky, in un discorso tenuto il 23 luglio ha sostenuto che l’obiettivo del governo non era quello di smantellare l’apparato anticorruzione bensì di liberarlo dall’influenza russa: «L’infrastruttura anticorruzione funzionerà solo senza l’influenza russa: bisogna liberarsene», aveva detto. Tuttavia, come riporta anche il quotidiano Politico, né lui né il suo capo di gabinetto Andriy Yermak, che funge da co-presidente , hanno indicato esattamente in che modo Mosca potrebbe aver influenzato una delle due agenzie. In altre parole, Zelensky e il suo gruppo non hanno riportato prove di quanto da loro affermato. Da parte sua, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha descritto la legge di giovedì come «un passo positivo» e ha esortato l’Ucraina a proseguire nel suo percorso di riforme, mentre l’Alto rappresentante per la politica estera Kaja Kallas ha scritto che dimostra la «determinazione dell’Ucraina a tornare rapidamente sulla buona strada quando sono in gioco i valori democratici europei».
I due uffici anticorruzione erano stati creati nel 2015, in seguito alla Rivoluzione di Maidan, come parte delle riforme filo-Occidentali e la stessa UE aveva esercitato pressioni in tal senso. La NABU e la SAPO, in seguito, hanno intensificato il loro lavoro di controllo sulla corruzione dopo l’inizio della guerra con la Russia nel 2022, quando si è reso necessario gestire una grande quantità di fondi e di armi provenienti dai Paesi Occidentali come sostegno alla guerra ucraina contro la Russia. In questo contesto, hanno denunciato legislatori e alti funzionari governativi, tra cui un allora vice primo ministro accusato il mese scorso di aver incassato una tangente di 345.000 dollari, secondo la Reuters. Non stupisce, dunque, che Zelensky – come anche i suoi predecessori – abbia provato a mettere sotto il suo controllo l’apparato anticorruzione, anche se questo contraddice gli ideali democratici e liberali a cui la classe politica ucraina sostiene di aspirare. La marcia indietro di Zelensky sembra, infatti, più dettata da interessi e pressioni interne ed esterne, tra cui quella dell’Ue, che da un autentico sentimento democratico. Dopo gli emendamenti che modificano il precedente disegno di legge, i manifestanti hanno applaudito e gridato di gioia, mentre il rappresentante dell’opposizione Yaroslav Yurchyshyn ha ringraziato gli ucraini per aver impedito alle autorità di finire «a un passo dall’abisso» dell’autocrazia.
Migranti, Corte UE: “Scelta Paesi sicuri sia valutata dai giudici”
La Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito oggi, venerdì 1° agosto, che uno Stato membro non può designare un Paese di origine sicuro se non offre protezione sufficiente a tutta la sua popolazione. La decisione si applica fino all’introduzione del nuovo regolamento Ue sull’asilo, previsto per il 12 giugno 2026. La Corte ha precisato che la designazione può avvenire tramite atto legislativo, ma deve essere sottoposta a controllo giurisdizionale. Il governo italiano ha espresso sorpresa, criticando la giurisdizione della Corte e sostenendo che la decisione indebolisca le politiche di contrasto all’immigrazione illegale.