giovedì 4 Settembre 2025
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Birmania, tre gruppi ribelli annunciano il cessate il fuoco unilaterale

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L’Alleanza delle Tre Fratellanze, coalizione dei gruppi ribelli birmani dell’Esercito dell’Alleanza Democratica Nazionale del Myanmar, dell’Esercito di Liberazione Nazionale di Ta’ang e dell’Esercito di Arakan, ha annunciato un cessate il fuoco unilaterale per favorire una risposta umanitaria internazionale al terremoto che ha colpito il Paese. Per un mese, dichiara l’Alleanza, i membri dei gruppi ribelli non avvieranno operazioni offensive contro l’esercito regolare, a cui hanno chiesto di fare lo stesso. Ieri, il gruppo ribelle Karen National Union, esterno all’Alleanza delle Tre Fratellanze, ha accusato l’esercito birmano di stare continuando i bombardamenti nonostante il disastro naturale. A oggi, le vittime del terremoto hanno superato le 2.700 persone.

Ogni europeo spreca in media 130 chili di cibo l’anno

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Ogni giorno, in Europa, tonnellate di cibo perfettamente commestibile finiscono nei cassonetti, sprecate lungo l’intera filiera alimentare. Dalla produzione alla distribuzione, fino ai consumatori finali, lo spreco di alimenti rappresenta una delle sfide più urgenti per la sostenibilità ambientale ed economica. I numeri sono allarmanti: ogni cittadino europeo, in media, butta via circa 130 chili di cibo all’anno. Questo dato, contenuto nell’ultimo report dell’European Environment Agency (EEA), mette in luce un problema profondo che riguarda non solo l’etica del consumo, ma anche le ripercussioni sul clima e sulle risorse naturali. Su cui l’UE – sebbene con grave ritardo – sta cercando di intervenire.

Il report “Preventing waste in Europe – Progress and challenges, with a focus on food waste” mostra che, nel 2022, la quantità di cibo sprecato per persona si aggirava attorno ai 132 chili, equivalenti a oltre 59 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari, con un elevato impatto ambientale ed economico. Le cause di questo fenomeno sono molteplici. I dati rivelano che le famiglie sono responsabili della quota più significativa del cibo sprecato, contribuendo per oltre il 55% al totale. Seguono la produzione manifatturiera (18-19%), la produzione primaria (8-9%), i ristoranti e i servizi (9-11%) e la vendita al dettaglio (7-8%). La prevalenza del consumo domestico evidenzia come il comportamento individuale e le abitudini di acquisto giochino un ruolo determinante. Il rapporto sottolinea inoltre come il fenomeno dello spreco alimentare non sia solo un problema di quantità, ma abbia profonde implicazioni ambientali ed economiche. Lo spreco di cibo equivale infatti a uno spreco di tutte le risorse impiegate nella sua produzione: acqua, energia, suolo e input chimici, oltre alle emissioni di gas serra associate alle diverse fasi della catena alimentare. La mancata valorizzazione del cibo comporta, dunque, un duplice danno: uno spreco economico e una pressione in più sugli ecosistemi, contribuendo al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità ​.

Per fronteggiare tale problematica, l’Unione Europea ha adottato una serie di politiche e misure volte a ridurre lo spreco alimentare. La direttiva quadro sui rifiuti (WFD) e la strategia “farm to fork” pongono l’accento sulla prevenzione, invitando gli Stati membri a implementare programmi specifici per la riduzione degli sprechi. Tali programmi includono campagne di sensibilizzazione, incentivi economici e l’adozione di strumenti normativi per migliorare la tracciabilità e il monitoraggio dei dati relativi allo spreco alimentare. Per accelerare i progressi, la Commissione europea ha proposto obiettivi vincolanti di riduzione dei rifiuti alimentari che gli Stati membri dell’UE devono raggiungere entro il 2030: una riduzione del 10% nella lavorazione e nella produzione e una riduzione del 30% pro capite a livello di vendita al dettaglio e di consumo. A febbraio, il Consiglio e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo provvisorio su questi obiettivi nel corso di negoziati a tre.

Un altro aspetto rilevante evidenziato dal report riguarda le metodologie di misurazione dello spreco alimentare. Le variazioni nei dati registrati da anno in anno non sempre riflettono cambiamenti reali, ma in parte derivano da modifiche nelle pratiche di reporting. Ciò sottolinea l’importanza di standardizzare le procedure di raccolta dei dati per poter effettuare confronti accurati e monitorare l’efficacia delle misure adottate nel tempo. Infine, è fondamentale evidenziare come la lotta contro lo spreco alimentare rappresenti un’opportunità per promuovere un’economia circolare. Ridurre il cibo sprecato significa infatti non soltanto salvaguardare risorse preziose, ma anche creare nuove opportunità di business e favorire la crescita di settori economici legati al recupero e alla redistribuzione degli alimenti in eccedenza. In questo contesto, iniziative come la donazione di cibo in eccedenza, il recupero tramite il riciclo o la trasformazione in nuovi prodotti possono contribuire a creare un sistema più sostenibile ed efficiente.

Uno sciopero contro l’austerità ha paralizzato il Belgio

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Ieri si è tenuto in Belgio uno sciopero nazionale per contestare le politiche del lavoro del governo, costringendo gli aeroporti a tenere a terra tutti i voli programmati. La protesta ha coinvolto l’intero settore dei trasporti, causando interruzioni del servizio su scala nazionale. Alcuni manifestanti hanno inoltre bloccato l’accesso a diversi negozi nella zona commerciale di Bruxelles. I dimostranti contestavano in particolare le misure di austerità dell’esecutivo, soprattutto in materia di pensioni e politiche del lavoro. Secondo i manifestanti, la riforma delle pensioni pianificata dal governo premierebbe infatti chi lavora oltre l’età pensionabile con almeno 35 anni di servizio, penalizzando invece chi va in pensione anticipata senza aver maturato tale requisito.

Lo sciopero ha fatto fermare il Paese per 24 ore, bloccando il settore pubblico e privato e generando gravi interruzioni nei trasporti e nei servizi essenziali. La protesta, organizzata dai sindacati cristiani e socialisti, è stata una risposta ai tagli al bilancio annunciati dal governo di coalizione guidato dal nazionalista fiammingo Bart De Wever, noto come “Arizona” per i colori dei partiti che lo compongono. Le riforme proposte incidono pesantemente su pensioni, sussidi di disoccupazione, servizi pubblici e mercato del lavoro, suscitando un ampio dissenso tra la popolazione. Fin dalle prime ore di lunedì, i lavoratori hanno formato picchetti in tutto il Paese, paralizzando i trasporti: meno della metà degli autobus e tram nelle Fiandre sono entrati in servizio, mentre il traffico ferroviario ha subito drastici rallentamenti. A livello internazionale, l’impatto si è fatto sentire soprattutto nel traffico aereo, con tutti i 244 voli dell’aeroporto di Bruxelles cancellati e lo scalo di Charleroi completamente fermo. Anche Brussels Airlines ha annullato la quasi totalità dei voli, coinvolgendo passeggeri da Germania, Italia e Spagna. L’agitazione ha coinvolto ampi settori dell’economia. Oltre ai trasporti, anche scuole, uffici postali e servizi di raccolta rifiuti sono stati interrotti, mentre i porti di Anversa e Zeebrugge hanno subito rallentamenti nelle operazioni logistiche. Sebbene l’impatto nel settore sanitario e nella grande distribuzione sia stato più limitato, la mobilitazione ha coinvolto anche lavoratori dell’industria, della cultura e del commercio al dettaglio.

I sindacati accusano il governo di aver tradito le promesse elettorali, implementando oltre un miliardo di euro di tagli ai servizi sociali mentre aumentano le spese per la difesa. «In breve: hanno mentito», ha dichiarato la Federazione generale del lavoro del Belgio (FGTB), denunciando le misure che penalizzano soprattutto lavoratori, pensionati e giovani. Un tema ricorrente nei picchetti è stata la sproporzione nell’impatto delle riforme, con i costi dell’austerità scaricati sulle fasce più deboli della popolazione mentre i grandi capitali restano intoccati. Le nuove politiche – evidenziano i sindacati – colpiscono in modo particolare le donne, già sovrarappresentate nei lavori precari e a tempo parziale. Le riforme sulle pensioni rischiano di rendere ancora più difficile per loro maturare i requisiti per un assegno dignitoso, mentre l’allungamento dell’orario di lavoro e la liberalizzazione dei turni notturni potrebbero aggravare il loro carico di stress. Le organizzazioni femministe, come Collecti.ef 8 maars Ghent, hanno partecipato allo sciopero denunciando il divario salariale e le difficoltà di conciliazione tra vita lavorativa e familiare. Un altro nodo cruciale è rappresentato dalle nuove normative sugli straordinari, che potrebbero aumentare la settimana lavorativa fino a 52 ore, minacciando il benessere fisico e mentale dei lavoratori. «Questo ritmo aumenterà il rischio di malattie legate allo stress e indebolirà ulteriormente la nostra rete di sicurezza sociale», ha avvertito la Confederazione dei sindacati cristiani (ACV-CSC).

Le tensioni tra il governo e i lavoratori non sono nuove. Già a febbraio, centinaia di migliaia di persone erano scese in piazza a Bruxelles contro le politiche dell’esecutivo, in concomitanza con un altro sciopero nazionale. «Oggi il movimento è molto popolare, la gente è stufa. Nessuno vuole lavorare fino a 67 anni per guadagnare meno», ha dichiarato Stefano Scibetta, delegato senior della FGTB. Il Partito dei Lavoratori del Belgio (PTB-PVDA), che ha sostenuto lo sciopero, ha sottolineato come la pressione pubblica abbia già costretto il governo a rivedere alcune proposte. «Abbiamo la sensazione che siano divisi ed esitanti. Più sosteniamo lo sciopero, maggiori saranno le nostre possibilità di bloccare i loro piani di distruzione sociale», ha affermato un rappresentante del partito. I sindacati promettono di non fermarsi qui, annunciando che la battaglia per pensioni dignitose, salari equi e servizi pubblici di qualità è appena iniziata.

Migranti in Albania, UE: “Decreto italiano in linea con norme comunitarie”

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Le strutture italiane per migranti costruite in Albania sono in linea con la legge dell’UE. A dirlo è un portavoce della Commissione europea, dopo l’approvazione del decreto del governo Meloni che modifica il protocollo Roma-Tirana. Il decreto trasforma le strutture, originariamente pensate per l’accoglienza e il trattenimento dei richiedenti asilo, in Centri per il Rimpatrio, destinati a ospitare persone già munite di ordine di espulsione. Esse sarebbero «conformi al diritto UE» poiché al loro interno si applicherebbe «la normativa nazionale». Malgrado l’ok della Commissione, spetta ancora ai giudici nazionali ed europei verificare l’effettiva validità del decreto e la sua eventuale compatibilità col diritto UE.

Abbiamo letto tutto il piano di riforma della scuola di Valditara (forse siamo gli unici)

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Il ministero dell’istruzione ha pubblicato le Nuove indicazioni per la scuola dell’infanzia e primo ciclo di istruzione 2025, che presentano le linee guida per le scuole materne, elementari e medie. Sin da ben prima della sua pubblicazione il documento ha attirato fiumi di analisi, commenti, editoriali e dichiarazioni, provenienti da intellettuali e giornalisti che hanno dato risalto a dettagli di poco conto, dando l’idea che nessuno abbia letto il documento per intero. Come tanti hanno scritto, le Nuove indicazioni avanzano un’idea di cultura tendenzialmente tradizionalista, eurocentrica e nazionalista. Lo fanno, tuttavia, non reintroducendo il latino curricolare o proponendo l’apprendimento di poesie a memoria, bensì riformando la visione disciplinare delle materie e il concetto stesso di insegnamento e studente. Noi de L’Indipendente abbiamo deciso di prenderci il tempo necessario per leggere integralmente il documento, per poter presentare nella maniera più corretta e completa possibile le modalità in cui il governo intende declinare la propria idea di scuola e formazione.

Le modifiche introdotte 

Introdotte per la prima volta nel 1999, le indicazioni per la scuola servono a orientare la didattica e organizzare i curricula degli istituti. Il documento di Valditara introduce diverse novità, in primo luogo nell’insegnamento della disciplina storica. Le Nuove indicazioni elencano la lista delle conoscenze obbligatorie attese dagli studenti di elementari e medie, fornendo un lungo catalogo di contenuti da spiegare in classe, suddividendoli anno per anno. Vale la pena notare che questa modalità di presentazione delle conoscenze attese risulta assente in tutte le discipline diverse da quella storica. 

Le indicazioni per la scuola furono introdotte nel 1999, durante il mandato di Luigi Berlinguer come ministro della Pubblica Istruzione.

In generale, alle elementari la storia verrà insegnata sotto forma di narrazione e non più basandosi sulle fonti. Il primo anno deve servire a introdurre l’alunno alla disciplina attraverso lo studio di testi classici come la Bibbia, l’Iliade e l’Odissea; il secondo anno sarà interamente dedicato alla storia d’Italia e la sua costituzione come nazione nel periodo risorgimentale, con abbozzi di educazione civile; dal terzo al quinto anno, infine, lo spazio dedicato alla preistoria e alle società orientali viene ridotto all’osso e l’insegnamento si concentra prevalentemente sulle grandi vicende della storia greca e romana. Alle medie, invece, si partirà da Carlo Magno per arrivare a Mani Pulite, assumendo, come alle elementari, un punto di vista quasi esclusivamente occidentale.

Eurocentrismo e suprematismo 

«Solo l’Occidente conosce la Storia». Sono queste le parole con cui viene presentato l’indirizzo della disciplina storica, che mostrano chiaramente l’intento ideologico del documento. Valditara procede così a spiegare, con toni esplicitamente eurocentrici, le presunte ragioni per cui l’Occidente sia l’unica civiltà degna di fregiarsi di una cultura storica. Questo approccio viene consolidato dalla cancellazione dell’insegnamento della geostoria: essa, infatti, apre a un’interpretazione interdisciplinare della materia e fornisce le competenze basilari per avvicinarsi a quel campo della storiografia definito “Storia Globale”. Questo metodo, sempre più utilizzato in ambito accademico, mira a studiare gli eventi da un punto di vista mondiale, inserendoli all’interno di una narrazione interconnessa su scala – appunto – globale. Preferirvi l’approccio classico della storiografia nazionale, oltre a essere poco al passo coi tempi, riafferma quella stessa logica eurocentrica – e a tratti suprematista – di cui è intrisa la presentazione della materia. 

Sempre in termini disciplinari, anche la riduzione all’essenziale dello studio della preistoria mostra la tendenza ideologica del documento. Negli ultimi anni, infatti, lo studio della preistoria sta venendo messo fortemente in risalto, in virtù dell’evolversi delle discipline scientifiche, dell’antropologia e dell’archeologia. All’interno del dibattito accademico c’è chi sta iniziando a riconsiderare la stessa definizione di “storia”, ripensando quella che per decenni è stata fissata come sua simbolica data di inizio, che viene fatta coincidere con l’avvento della scrittura. La riproposizione dell’insegnamento della storiografia nazionale, focalizzata sul solo «Occidente» a scapito della preistoria, costituisce un enorme passo indietro dal punto di vista disciplinare, sottolineando ancora una volta la tendenza eurocentrica e tradizionalista delle Nuove indicazioni.

Nazionalismo

Giuseppe Valditara, dal 2022 ministro dell’Istruzione e del Merito con il governo Meloni

La volontà di promuovere una lettura della storia tradizionalista ed eurocentrica si traduce in ultima istanza come una proposizione dell’insegnamento della disciplina in chiave nazionalista. Gli intenti nazionalisti sono ben visibili tenendo a mente la chiave di lettura disciplinare che viene proposta dal documento e guardando le conoscenze attese alla fine del secondo anno di elementari. Spiegare a bambini di sette e otto anni la costituzione dell’Italia in senso nazionale, senza prima avere fornito loro un’adeguata introduzione ai metodi della stessa disciplina storica, sembrerebbe costituire un tentativo di indottrinamento in giovane età. Inoltre, dal punto di vista contenutistico e disciplinare, scegliere di isolare il periodo risorgimentale senza avere prima spiegato il processo che ha portato all’emergere dell’idea di Nazione non può che risultare in una lettura della storia faziosa e parziale, intrinsecamente connotata politicamente. 

Nei vari moti nazionalisti che hanno investito l’Europa, i teorici della Nazione risignificano in termini politici quel concetto che fino alla rivoluzione francese non era mai stato connotato politicamente. La Nazione diventa l’espressione di una comunità che detiene la sovranità all’interno di un territorio e, precisamente, quella di un popolo che condivide, a discrezione dei pensatori, lingua, religione, sangue, lignaggio, cultura, luogo di provenienza… i concetti di popolo, patria e Nazione, colorati da una nuova sfumatura politica, finiscono così per fondarsi su elementi precostituiti a cui viene attribuito un valore eterno: non sono solo gli uomini dall’Ottocento in poi a essere italiani, ma lo erano anche Dante, Petrarca e Boccaccio, Galileo e Bruno, l’Ariosto e Tasso, in quanto rappresentanti della “cultura italiana” e dotati di quelle stesse caratteristiche che servono a essere definiti italiani. Spiegare il Risorgimento senza avere prima spiegato come si sia arrivati a dare un nuovo significato al concetto di Nazione, presenta tale concetto non più come frutto di un processo storico, ma come quella stessa verità granitica e assoluta che i risorgimentali gli attribuivano, ritraducendolo ideologicamente.

Individualismo, tradizionalismo e conservatorismo 

Ultima, ma non meno importante, la visione individualista e conservatrice, ben visibile sin dalle prime pagine delle Nuove indicazioni. Il documento muove infatti i primi passi da un’interpretazione del concetto di “persona” come quello di «una realtà che si costituisce attraverso la possibilità di dire “io”». Valditara passa poi a parlare dell’importanza di valorizzare le relazioni tra bambini in termini estremamente generici, sfruttando il linguaggio intrinsecamente generale del documento per trasformarlo in vaghezza. In molti hanno lamentato come nelle Nuove indicazioni siano assenti riferimenti diretti ai temi dell’inclusività, dell’uguaglianza di genere, dell’educazione sessuo-affettiva, che vengono in ultima istanza risolti con un rimando al concetto di «bona fides»: insomma, per Valditara la soluzione ultima alle discriminazioni razziali e di genere è che ci si comporti bene l’uno con l’altro. L’educazione al rispetto viene piuttosto profilata in maniera definita solo nell’ottica di osservazione delle regole — come nel caso della grammatica, che serve a «introiettare la cultura della regola» — e della gerarchia verticale, come nei confronti dell’insegnante come «magis» e del «principio di autorità», definito «conquista interiore dell’uomo libero».

Secondo specialisti e associazioni sociali, la completa assenza di riferimenti concreti a programmi integrativi che educhino al rispetto, la mancanza strutturale del principio di uguaglianza di fronte a un’esaltazione della «libertà» presentata come trionfo dell’Occidente e l’insistenza con cui si parla delle capacità individuali e dei «talenti» dei singoli senza metterli in relazione al lavoro condiviso promuovono quella classica visione ultra-individualista e competitiva della scuola. Essa si poggia su una contrapposizione tra il sé e l’altro perfettamente delineata dal concetto di persona come quella cosa che può acquisire «consapevolezza di sé» solo attraverso «la differenza con gli altri io e con il mondo».

In tutta Italia sono riprese le manifestazioni contro il riarmo, la guerra e la NATO

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La piazza voluta da Michele Serra e dal giornale Repubblica lo scorso 15 marzo, ufficialmente «a favore dell’Europa» ma nei fatti a favore del riarmo europeo in vista di una potetica guerra UE contro la Russia, è stata un boomerang. Anziché anestetizzare il mondo pacifista, l’ha risvegliato. In tempi rapidissimi, gli attivisti hanno organizzato due contromanifestazioni a Roma per quel giorno (una indetta dalla sinistra extraparlamentare a piazza Barberini e una, senza bandiere, a Bocca della Verità), oltre a raccogliere centinaia di firme prestigiose contro l’iniziativa di Serra e di RepubblicaAnche a Milano si è riusciti a organizzare una contromanifestazione il 15 marzo in via Mercanti, promossa dal Coordinamento per la pace. Ma non finisce qui: nei giorni successivi, il mondo pacifista ha messo in cantiere, in tutta Italia, una serie di eventi contro il riarmo e per la pace, la maggior parte calendarizzata per i prossimi 4, 5 e 6 aprile.

«L’Europa deve riarmarsi, è finito il tempo della melassa», aveva detto Carlo Calenda alla folla in piazza del Popolo, dando il là al maxi raduno del 15 marzo. Il suo appello è rimasto senza contraddittorio: i rappresentanti della Marcia Perugia Assisi, venuti in piazza con un contro appello a favore del disarmo, si sono visti rifiutare il palco e gli organizzatori hanno «tentato in tutti i modi» di fargli chiudere la loro bandiera arcobaleno. Ampio spazio sul palco, invece, è stato lasciato a chi faceva discorsi sulla superiorità europea (definiti da Guendalina Middei neocoloniali e guerrafondai). 

A fronte di quanto accaduto in piazza, i pacifisti di tutta la penisola si sono dati una serie di appuntamenti per contestare l’attuale Europa guerrafondaia. I giovani romani di Esc Atelier hanno indetto un incontro nazionale di tre giorni (28, 29 e 30 marzo) nella Capitale intitolato Riarm? No! Reset against the war, con campeggio nel prato dello spazio sociale Acrobax. A Firenze, venerdì 28 marzo (ma anche il venerdì precedente), il Coordinamento Fiorentino contro il Riarmo ha organizzato presidi in piazza Sant’Ambrogio per raccogliere firme «contro l’attuale delirante progetto del riarmo europeo». A Bari, sabato 29 marzo gli attivisti della Rete dei Comitati per la Pace di Puglia hanno riempito piazza Umberto con lo slogan «No alla corsa al riarmo, fermare la guerra, tornare all’ONU».  

La maggior parte delle iniziative è stata programmata per venerdì 4, sabato 5 e domenica 6 aprile prossimi e inserita in un calendario online creato dal neo Coordinamento Nazionale No NATO, fondato solo quattro mesi fa (qui la tabella per consultare le iniziative, città per città). Il 4 aprile, per esempio a Napoli verrà organizzato un flash mob per contestare l’anniversario della fondazione della NATO, davanti alla ex base NATO di Bagnoli che andrebbe riconvertita, dicono gli attivisti, in una struttura ad uso civile e sociale; il 5 aprile, sempre a Napoli, ci sarà una iniziativa a Casoria contro la militarizzazione delle scuole, mentre il 6 aprile è previsto un incontro, nella Galleria Principe di Napoli, con la delegazione sudcoreana della PAM (Piattaforma Antimperialista Mondiale) contro le provocazioni belliche statunitensi nel Pacifico. 

Tra tutte le iniziative elencate dal Coordinamento Nazionale No NATO, spicca soprattutto un evento pacifista di inedito carattere collegiale, programmato per sabato 5 aprile a partire dalle ore 13 a Roma, in piazza Vittorio Emanuele. Si tratta della manifestazione Basta soldi per le armi – fermiamoli, promossa dal Movimento Cinque Stelle. Gli attivisti del Coordinamento, mettendo da parte le loro differenze ideologiche, confluiranno nell’evento M5S, con i propri striscioni e le proprie parole d’ordine. Si tratta di un insolito “gesto di unità” da parte del Coordinamento, accolto con favore persino da gruppi storici anti-establishment come Rete NoWar e Donne in Nero, che aderiranno all’evento M5S anch’essi.

L’idea di confluire nell’iniziativa cinque stelle è stata fatta propria anche da un folto gruppo di intellettuali ed attivisti italiani, progressisti ma non seguaci del M5S, come ad esempio lo storico Angelo D’Orsi, l’ex-ambasciatrice Elena Basile, l’autrice satirica Francesca Fornario, il docente Alexander Hobel e l’editor Giulia Abbate – in tutto, più di 400 firmatari di un appello di trasformare, il 5 aprile, «una manifestazione indetta da un singolo partito in una mobilitazione di massa […] contro la guerra e contro le politiche dell’Europa». Anche Luciana Castellina, Luigi Ferrajoli e Gian Giacomo Migone hanno scritto un loro appello a essere presenti all’evento del 5 aprile. 

Malesia, incendio in un gasdotto: 63 ricoverati

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Nella mattina di oggi, nei pressi di Kuala Lumpur, capitale della Malesia, è scoppiato un incendio in un gasdotto, in seguito al quale sono state ricoverate 63 persone e ne sono rimaste ferite oltre un centinaio. Da quanto comunicano le autorità, le persone ricoverate hanno riportato ustioni, problemi respiratori e altre lesioni di diversa gravità. Il gasdotto appartiene alla società energetica statale Petronas e, dalle prime ricostruzioni, ci sarebbe stata una fuga di gas. L’incendio ha colpito almeno 49 abitazioni, intrappolando gli abitanti all’interno degli edifici. Le operazioni di soccorso sono ancora in corso.

La criminale proposta di “pace” israeliana: stop al genocidio in cambio della pulizia etnica

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Il primo ministro israeliano Netanyahu ha chiarito le condizioni israeliane per fermare il genocidio a Gaza: ottenere il controllo della Striscia e implementare il piano di deportazione di Trump. L’annuncio è arrivato in occasione della riunione dell’esecutivo israeliano di domenica 30 marzo, in cui il primo ministro ha discusso delle «menzogne» che si direbbero riguardo a Israele e ai suoi rapporti con Hamas. Il giorno seguente è arrivata la proposta israeliana, che prevede in prima battuta l’instaurazione di una tregua temporanea durante la quale fare rientrare la metà degli ostaggi vivi ancora presenti nella Striscia. Nel frattempo, i bombardamenti non si sono fermati. Dalla ripresa delle aggressioni militari, Israele ha ucciso più di 1.000 persone. Solo negli ultimi due giorni l’esercito israeliano ha ucciso 80 persone, e sono stati trovati i corpi di 15 operatori umanitari e sanitari. Le IDF, inoltre, hanno diffuso ordini di evacuazione in quasi tutta la città di Rafah, nel sud della Striscia, sfollando decine di migliaia di persone.

La proposta israeliana ad Hamas è arrivata ieri ed è stata spiegata al quotidiano israeliano Jerusalem Post da un funzionario anonimo. Il piano sarebbe quello di instaurare una tregua temporanea di 40 giorni, in cui fare rientrare 10 degli ostaggi israeliani ancora vivi e l’ostaggio israelo-statunitense Edan Alexander. Il quadro proposto richiederebbe inoltre ad Hamas di fornire informazioni complete sulle condizioni degli ostaggi rimasti. Durante i 40 giorni di tregua si discuterebbe di come arrivare a una completa cessazione delle ostilità che, in ogni caso, passerebbe dall’istituzione di una zona cuscinetto all’interno della Striscia di Gaza, la smilitarizzazione della zona, la gestione della sicurezza a Israele e l’espulsione dei membri di Hamas. Proprio sulle condizioni israeliane per una tregua finale, Netanyahu è stato piuttosto limpido: «Hamas deporrà le armi. Ai suoi leader sarà permesso di andarsene. Ci occuperemo della sicurezza generale nella Striscia di Gaza e consentiremo la realizzazione del piano Trump per la migrazione volontaria», ha spiegato. «Questo è il piano. Non lo nascondiamo e siamo pronti a discuterne in qualsiasi momento».

La proposta di “pace” israeliana è arrivata due giorni dopo l’annuncio che Hamas aveva accettato un piano che contemplava, a detta dell’agenzia di stampa Associated Press, la liberazione di 5 ostaggi vivi, tra cui Edan Alexander, e l’instaurazione di una tregua di 50 giorni in cui fare entrare aiuti umanitari nella Striscia. Mentre si discute della tregua, come sottolineato dallo stesso Netanyahu, Israele non ha smesso di bombardare e ha, anzi, alzato il tiro nelle violenze come parte di una strategia di pressione per spingere Hamas ad accettare le sue condizioni. Ieri, il numero di persone uccise dalla rottura definitiva della tregua ha superato i 1.000 individui. Solo ieri, Israele ha ucciso 27 persone e sono stati rinvenuti i corpi di 15 operatori umanitari e sanitari appartenenti all’ONU, alla protezione civile e alla Mezzaluna Rossa Palestinese nell’area di Rafah, sepolti in una fossa comune con le luci di emergenza della loro ambulanza. Sempre ieri mattina, il portavoce delle IDF in lingua araba, Avicahy Adraee, ha diramato un ordine di evacuazione per buona parte del governatorato di Rafah, costringendo circa 140.000 persone ad abbandonare i propri rifugi per dirigersi a nord. «Come se la morte, le malattie, la distruzione e la fame non bastassero ai palestinesi di Gaza» scrive Philippe Lazzarini, Commissario generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente, «le persone vengono trattate come flipper e i loro destini e le loro vite vengono costantemente influenzati da ordini militari».

Cina, esercitazione attorno a Taiwan

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Oggi le navi della Guardia Costiera cinese (CCG) hanno condotto esercitazioni attorno all’isola di Taiwan «per esercitare la legittima giurisdizione e il controllo sull’isola in conformità con il principio di una sola Cina». Secondo quanto comunica Zhu Anqing, portavoce dell’ufficio del Mar Cinese Orientale della CCG, le flotte hanno eseguito simulazioni di operazioni di «ispezione, cattura, intercettazione e detenzione di imbarcazioni non autorizzate». L’esercitazione cinese a Taiwan arriva in un contesto di generale tensione nel Mar Cinese Meridionale, dove USA e Filippine stanno rilanciando la cooperazione militare.

In Australia i petauri maggiori sono tornati a popolare le foreste

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In Australia, nelle foreste delle Southern Tablelands del Nuovo Galles del Sud, uno spettacolo straordinario ha sorpreso gli ecologi: il ritorno in massa dei petauri maggiori, piccoli marsupiali planatori tradizionalmente diffusi nel Paese. Durante le ricerche condotte con i riflettori, gli studiosi hanno contato fino a 59 esemplari a notte, con densità che arrivano fino a 140 individui ogni 50 ettari. Questo recupero, pari a un incremento del 45% rispetto ai livelli precedenti al 2019 - quando le fiamme e la siccità avevano messo a rischio la loro sopravvivenza - appare quasi incredibile, spe...

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