Più di settanta persone sono morte e altre decine sono rimaste ferite a seguito di un attacco aereo nella regione sudanese del Darfur Settentrionale. A dare la notizia è il capo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha lanciato un appello perché cessino gli attacchi contro operatori e strutture sanitarie nel Paese. Il governatore del Darfur, Mini Minnawi, ha attribuito la responsabilità dell’attacco alle Forze di Supporto Rapido. Dal 15 aprile 2023, il Sudan è teatro di violenti scontri tra l’esercito regolare e il movimento paramilitare delle Forze di Supporto Rapido; il conflitto ha causato milioni di sfollati e decine di migliaia di morti.
In Repubblica Democratica del Congo i ribelli sono ormai alle porte della capitale
Sempre di più vicino lo scontro tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo. La milizia ribelle M23, sostenuta dal Ruanda, è riuscita negli ultimi 10 giorni a circondare la capitale regionale del Nord Kivu, Goma. Con la morte, avvenuta ieri, del governatore militare del Nord Kivu, l’M23 sta preparando l’assalto alla città dove vivono più di due milioni di persone. La comunità internazionale si dice preoccupata per il peggiorare delle condizioni umanitarie della popolazione civile e riporta che dall’inizio dell’anno sono state sfollate 400.000 persone.
La settimana scorsa con roboanti dichiarazioni il portavoce dell’esercito della Repubblica Democratica del Congo, Guillaume Ndjike Kaiko, affermava che «I ribelli dell’M23 sono stati fermati dalle Forze armate della RDC e sono stati respinti quasi ovunque». Una dichiarazione che sembrava presagire una nuova fase della devastante guerra nelle ricche regioni orientali della Rdc, ma così non è stato. All’inizio di questa settimana infatti la milizia ribelle M23 sostenuta, secondo diverse indagini di Nazioni Unite, Stati Uniti e Congo, dal Ruanda ha sferrato una pesante offensiva riconquistando diverse posizioni perse nelle regioni ricche di minerali del Nord e Sud Kivu, arrivando a una ventina di chilometri dalla capitale del Nord Kivu, Goma. La città è un polo regionale per il commercio affacciata sul lago Kivu e il suo aeroporto è fondamentale per il trasposto degli aiuti umanitari. Nei lunghi anni di instabilità della regione, Goma è stata rifugio per milioni di persone in fuga dalle violenze. Oggi conta due milioni di abitanti molti dei quali vivono negli enormi campi profughi alla sua periferia. Il governatore provinciale del Sud Kivu, Jean-Jacques Purusi, ha confermato martedì la perdita di Minova, città chiave sulla rotta di approvvigionamento per Goma, aggiungendo che i ribelli hanno catturato anche le città minerarie di Lumbishi, Numbi e Shanje, come riporta Al-jazeera.
Mercoledì sono iniziati gli scontri anche a Sake, fondamentale città nel Nord Kivu, portando l’M23 a poco più di di 20 chilometri dalla capitale regionale. La battaglia per la conquista di Sake sembrerebbe continuare e ancora non ci sono notizie certe su chi abbia il pieno controllo della città. É di ieri la notizia dell’uccisione del governatore del Nord Kivu, il generale Peter Chirimwani, al comando del governo provinciale dal 2023 quando la regione è stata posta sotto legge marziale. Il generale pare che giovedì abbia fatto visita ai soldati sulla linea del fronte dove è stato ferito per poi morire ieri in un ospedale di Kinshasa dove era stato trasferito d’urgenza. La missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite in Congo, MONUSCO, ha affermato che la sua artiglieria pesante ha fatto fuoco contro le posizioni dell’M23 a Sake nelle ultime 48 ore e ha riposizionato le sue forze in punti strategici per rafforzare il suo dispiegamento a Goma e nei dintorni.
Con l’avvicinarsi della battaglia, negli ultimi 10 giorni, almeno 180.000 persone sono scappate da Goma, fuggitivi che si aggiungono ai più 230.000 sfollati registrati dall’inizio del nuovo anno dalle Nazioni Unite. Il panico è esploso tra la popolazione quando si sono iniziati a sentire i colpi di artiglieria sempre più vicini e si sono visti arrivare centinaia di civili feriti che, arrivati dai villaggi vicini, sono stati portati all’ospedale centrale della città.
«Stiamo scappando, ma non sappiamo dove stiamo andando perché ovunque le bombe ci seguono» ha raccontato ad Ap David Kasereka mentre saliva in sella a una vecchia moto con in braccio un bambino di 3 anni. A causa dei duri scontri e bombardamenti che stanno avvenendo alla periferia della città, molti civili hanno deciso di rifugiarsi nel centro della capitale regionale, «I pesanti bombardamenti hanno costretto le famiglie di almeno nove insediamenti di sfollati nella periferia di Goma a fuggire in città per cercare sicurezza e riparo» ha affermato ieri Matthew Saltmarsh, portavoce dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).

«La popolazione di Goma ha sofferto molto, come altri congolesi», ha detto un portavoce dell’M23, Lawrence Kanyuka, giovedì su X. «L’M23 è in viaggio per liberarli e devono prepararsi ad accogliere questa liberazione». Parole che però non trovano riscontro nei racconti dei civili in fuga dalle città conquistate, che parlano di stupri uccisioni sommarie e arruolamento nella milizia di giovani e giovanissimi.
L’M23 è uno dei più di 100 gruppi armati che si contendo il controllo delle miniere e delle vie commerciali nel Congo orientale. Nata il 23 marzo del 2009, l’M23 è formata da soldati di etnia tutsi che iniziarono la prima avanzata verso Goma, per poi conquistarla e tenerla per qualche settimana, nel 2012. Rimasta dormiente per un decennio, nel 2022 la milizia ha ricominciato a minacciare le regioni orientali della Rdc, riuscendo, negli ultimi 10 giorni, a conquistare più territorio di quanto non avesse fatto negli ultimi due anni e mezzo. Secondo indagini indipendenti delle Nazioni Unite e non solo, la milizia è sostenuta logisticamente e numericamente dal Ruanda. Kigali ha sempre negato queste accuse anche se ha ammesso la presenza di truppe e postazioni missilistiche ruandesi sul suolo congolese. La motivazione del dispiegamento di questi effettivi è sempre stata la difesa dei confini del Ruanda soprattutto dalle milizie hutu che dopo essersi macchiate del genocidio ruandese sono fuggite in Congo.
Ormai però è chiaro il sostegno all’M23 che ha come missione quella di prendere il controllo delle maggiori città e miniere della regione, per poi contrabbandare i minerali in Ruanda. «Gli studi hanno da tempo evidenziato il contrabbando di risorse dal Congo al Ruanda», ha affermato Ladd Serwat, analista senior per l’Africa presso l’Armed Conflict Location & Event Data Project. «I funzionari congolesi accusano sempre più il Ruanda di volere il controllo sulle risorse della regione e di voler annettere parti del Congo». Nei territori sotto il suo controllo l’M23 implementa il proprio sistema fiscale, gestisce un governo locale e controlla le risorse naturali.

La tensione e gli scontri non sono mai stati così gravi come lo sono ora, e la paura che le cose possano degenerare in una vera e propria guerra regionale non è poi così improbabile. Mercoledì infatti il portavoce del governo di Kinshasa, Patrick Muyaya, ha dichiarato a France24 che la guerra con il Ruanda «è un’opzione da considerare». Un’eventualità che inasprirebbe la già gravissima crisi umanitaria che vede più di 7 milioni di sfollati interni e centinaia di migliaia di morti che si aggiungono ai milioni di morti che il Congo orientale ha collezionato dalla fine della trentennale dittatura di Mobutu Sese Seko nel 1998. Anche il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, giovedì sera ha condannato duramente la rinnovata offensiva dell’M23, affermando che «questa offensiva ha un impatto devastante sulla popolazione civile e ha aumentato il rischio di una guerra regionale più ampia». Per lunedì è stata convocata una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza dell’Onu per affrontare la crisi congolese. Chiesta da Kinshasa e sostenuta dalla Francia la convocazione della riunione ha lasciato spazio a delle critiche da parte del governo congolese che per voce del suo ministro degli Esteri, Thérèse Kayikwamba Wagner, ha criticato l’inattività del Consiglio di Sicurezza dell’ONU affermando che «questa crisi è soprattutto il risultato dell’inazione del Consiglio, nonostante l’internazionalizzazione del conflitto e le prove evidenti della presenza ruandese sul suolo congolese».
[di Filippo Zingone]
Treni, rischio disagi: sciopero di 24 ore
Weekend a rischio per chi deve viaggiare il 25 e 26 gennaio: è stato proclamato uno sciopero nazionale del personale del Gruppo FS, il quale durerà 24 ore e partirà alle ore 21:00 di oggi, sabato 25 gennaio, per finire alle 21:00 di domenica, anche se gli effetti in termini di cancellazioni e ritardi potrebbero estendersi anche prima e dopo l’orario ufficiale. Previsti possibili disagi con cancellazioni totali e parziali di Frecce, Intercity e treni regionali. Alcuni treni a lunga percorrenza sono comunque garantiti e Trenitalia ha offerto la possibilità di rimborso o riprogrammazione dei viaggi a seconda dei casi.
Marte: raccolte le prove dell’esistenza passata di acqua liquida e poco profonda
Su Marte, circa 4 miliardi di anni fa, non solo l’acqua esisteva, ma scorreva libera e senza ghiacci a coprirla formando laghi poco profondi sotto un’atmosfera abbastanza densa da sostenerne la presenza: è quanto emerge dal lavoro eseguito da un team internazionale di ricercatori, i quali hanno dettagliato i loro risultati all’interno di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Science Advances. Gli scienziati, grazie all’utilizzo del rover Curiosity della NASA, hanno individuato due serie di antiche increspature delle onde perfettamente conservate, le quali rappresenterebbero una prova diretta di acque stagnanti e poco profonde, aperte al vento e all’aria marziana. Gli autori hanno spiegato che la ricerca aggiunge evidenza ad un quesito decennale e suggerisce che le condizioni per l’acqua liquida e potenzialmente per la vita microbica siano durate più a lungo di quanto ipotizzato in precedenza: «La scoperta delle increspature delle onde è un importante progresso per la scienza paleoclimatica di Marte. Stiamo cercando queste caratteristiche da quando i lander Opportunity e Spirit hanno iniziato le loro missioni nel 2004», ha commentato John Grotzinger coautore e scienziato dell’Istituto di Tecnologia della California.
L’acqua su Marte è sempre stata un elemento di grande interesse scientifico. Fin dagli inizi delle missioni marziane, infatti, i ricercatori hanno cercato prove di antichi ambienti acquatici. I primi indizi risalgono al 2004, con i lander Opportunity e Spirit che identificarono increspature create dall’acqua scorrente. Tuttavia, c’era un problema: non era chiaro se queste acque si fossero mai accumulate in laghi o mari. Nel 2014, il rover Curiosity della NASA fece un primo passo avanti, scoprendo prove di antichi laghi di lunga durata anche se, spiegano i ricercatori, il mistero della loro copertura da ghiaccio continuava a persistere. Ora però, grazie ai modelli computerizzati creati dall’esperto e coautore Michael Lamb e ai dati raccolti sul campo nel cratere Gale, si è giunti a un’ulteriore svolta: sono state scovate increspature risalenti a 3,7 miliardi di anni fa, alte solo circa 6 millimetri e distanziate tra loro di 4 e 5 centimetri, le quali secondo i ricercatori dimostrano che, almeno in alcuni momenti storici, l’acqua stagnante era esposta all’aria, in assenza di ghiaccio, indicando un clima più caldo e umido di quanto si pensasse per quell’epoca.
Le increspature sono state studiate e analizzate a lungo visto che sono state scoperte nel 2022 in due siti distinti del cratere: il primo, chiamato Prow, localizzato in un’antica area di dune spazzate dal vento, mentre il secondo, nella fascia rocciosa Amapari Marker, indicherebbe secondo gli esperti un lago poco profondo, con acqua di circa 2 metri di profondità. Gli scienziati, infatti, hanno spiegato che il particolare modo con cui queste increspature si sono formate – grazie all’azione delle onde spinte dal vento – forniscono vincoli chiari sulla profondità e sull’estensione dell’acqua, limitando gli scenari possibili a quelli dedotti dai coautori: «La forma delle increspature può essersi formata solo sott’acqua esposta all’atmosfera e influenzata dal vento. Estendendo la durata della presenza di acqua liquida si estendono le possibilità di abitabilità microbica più avanti nella storia di Marte», ha commentato la coautrice Claire Mondro. «La scoperta delle increspature delle onde è un importante progresso per la scienza paleoclimatica di Marte. Stiamo cercando queste caratteristiche da quando i lander Opportunity e Spirit hanno iniziato le loro missioni nel 2004. Le missioni precedenti, a partire da Opportunity nel 2004, hanno scoperto increspature formate dall’acqua che scorreva sulla superficie dell’antico Marte, ma non era certo se quell’acqua si fosse mai accumulata per formare laghi o mari poco profondi. Il rover Curiosity ha scoperto prove di antichi laghi di lunga durata nel 2014 e ora, 10 anni dopo, Curiosity ha scoperto antichi laghi privi di ghiaccio, offrendo un’importante panoramica sul clima primordiale del pianeta», ha commentato John Grotzinger coautore e ricercatore dell’Istituto di Tecnologia della California.
[di Roberto Demaio]
Colombia, avviata offensiva militare al confine venezuelano
In Colombia è iniziata un’offensiva contro i guerriglieri dell’Esercito di Liberazione Nazionale, impegnati in scontri per il controllo del Catatumbo, al confine con il Venezuela. Lo hanno riportato il ministro della Difesa colombiano Ivan Velásquez e l’Agence France-Presse, rendendo noto che sono stati dispiegati più di 9.000 soldati supportati dall’artiglieria pesante per indebolire il gruppo armato e proteggere la popolazione civile. Solo nel 2025, secondo quanto riportato, il conflitto ha provocato circa 80 morti e 38.000 sfollati e gravi attentati che il presidente Gustavo Petro ha definito “crimini di guerra”. «C’è già stato un primo combattimento e l’ordine è di impadronirsi del territorio», ha riferito Velásquez ai media.
Rimpatri scenici e soldati alle frontiere: è iniziato il piano anti-migranti di Trump
A soli quattro giorni dall’insediamento del presidente Trump, il programma di deportazione di migranti è iniziato. L’operazione è stata annunciata con un post su X condiviso dalla stessa Casa Bianca, in cui l’amministrazione presidenziale mostra un’immagine che ritrae nove migranti incatenati in fila indiana mentre salgono su un aereo militare. «Promesse fatte, promesse mantenute. I voli di deportazione sono iniziati», si legge in sovraimpressione sulla foto, in riferimento alle dichiarazioni del presidente durante la campagna elettorale. L’appariscente operazione ha interessato circa 150 migranti provenienti dal Guatemala, rispediti nel loro Paese di origine a bordo di due voli militari separati. I piani della Casa Bianca prevedono di rimpatriare migliaia di persone, e di annullare il programma di accoglienza dei migranti in fuga dell’era Biden. Per farlo, il presidente ha già mosso i primi passi per rafforzare il confine con il Messico, inviandovi truppe militari e annunciando uno stato di emergenza nazionale, con l’obiettivo di portare avanti una tanto drastica quanto vistosa operazione di repressione dell’immigrazione.
La scenica operazione ha destato parecchio clamore, sia tra i sostenitori di Trump che tra i suoi critici. La natura tanto d’impatto della foto suggerisce che, almeno in questo primo momento, l’intento primario sia proprio quello di fare rumore: per quanto sia stata delineata una bozza del programma di rimpatri, infatti, non è ancora chiaro quanto costerà, quante persone coinvolgerà, come verranno deportate, né se i Paesi di origine saranno disposti ad accoglierle. In questi giorni, i media stanno parlando di una prima fase che dovrebbe interessare circa 5.000 migranti, ma il piano intero potrebbe arrivare a coinvolgere centinaia di migliaia di persone: se dovesse prevedere un volo militare ogni 80 individui, il programma risulterebbe particolarmente oneroso. A sottolineare la possibile natura propagandistica di questi primi interventi di Trump, arriva anche il decreto con cui il presidente ha abolito lo ius soli; l’ordine risultava più che altro di natura simbolica perché essendo il diritto di cittadinanza per nascita garantito dalla Costituzione, non era possibile che potesse venire confermato senza passare da una revisione della Carta fondamentale. Esso, infatti, è già stato sospeso.
Le operazioni di rimpatrio, inoltre, non sono così austere e lineari come l’immagine dei migranti incatenati potrebbe far pensare. Mentre i 160 detenuti erano in volo verso il Guatemala, sembrerebbe che il Messico abbia rifiutato un’analoga richiesta di atterraggio da parte dell’amministrazione statunitense. La fallita operazione di rimpatrio verso il Paese confinante è stata citata da diversi media e confermata in almeno due occasioni da funzionari anonimi tanto degli USA quanto del Messico, ma non è apparsa su fonti ufficiali. La questione messicana è probabilmente quella per cui Trump, sin dai suoi primi decreti presidenziali, si è mosso in maniera più celere e decisa: il primo giorno di lavori, il tycoon ha firmato un ordine per escludere il diritto d’asilo per le persone appena arrivate alla frontiera meridionale e uno in cui dichiara l’attraversamento irregolare del confine con il Messico un’emergenza nazionale, sbloccando così più finanziamenti per contrastare il fenomeno senza passare dall’approvazione del Congresso. Il presidente ha inoltre varato un ordine per designare i cartelli del narcotraffico e altre organizzazioni come “organizzazioni terroristiche straniere” e ha inviato 1.500 soldati al confine per «sigillare la frontiera».
Parallelamente, il presidente si è mosso per fermare la piattaforma di accoglienza promossa dalla precedente amministrazione Biden. Il programma, introdotto all’inizio del 2023, consentiva ai migranti provenienti da Cuba, Nicaragua, Haiti e Venezuela di volare negli Stati Uniti se soddisfacevano alcuni criteri. I migranti che entravano nel programma potevano restare fino a due anni, a meno che non trovassero altri modi per restare a lungo termine. Secondo il New York Times, alla fine dello scorso anno, più di 500.000 migranti erano entrati nel Paese grazie a questa iniziativa. Trump ha inoltre bloccato il funzionamento della piattaforma su app per gestire gli appuntamenti con CBP One, anch’essa lanciata da Biden.
[di Dario Lucisano]
Medioriente, nuovo scambio di ostaggi e prigionieri
Oggi avrà luogo il nuovo scambio di ostaggi e prigionieri tra Hamas e Israele, che prevede il rientro di 200 detenuti palestinesi e 4 ostaggi israeliani. L’approvazione dello scambio da parte di Israele non è avvenuta senza frizioni, perché prevede la liberazione di quattro donne soldato, ma nelle mani di uno dei gruppi palestinesi dovrebbe esserci ancora una donna civile, che avrebbe dovuto essere liberata prima. Le quattro soldatesse sono tornate in Israele e, riferisce Al Jazeera, tre bus con 114 dei 200 prigionieri palestinesi stanno per raggiungere Ramallah. 70 dei prigionieri palestinesi verranno deportati in Tunisia, Algeria e Turchia, 121 stanno scontando l’ergastolo e 79 sentenze lunghe. Il più giovane ha 15 anni.
Aveva ragione Jung, la realtà non ci basta
Aveva ragione Carl Gustav Jung: ci sono pieghe irrazionali nella vita. Non tutto si spiega subito. Di conseguenza, non dobbiamo rifiutare quello che va contro le nostre teorie e aspettative: ci vuole tempo per capire, perché la sicurezza, la certezza, la tranquillità non portano da nessuna parte, impediscono le scoperte, occultano le novità. Tra stati psichici e avvenimenti esterni si formano relazioni di scambio: possono avvenire conferme e coincidenze non previste, possono presentarsi suggestioni inaspettate, lucidità rivelatrici, eventi inimmaginabili. In sostanza l’attesa rilassata ma vigile diventa alleata di quella speciale fisica delle sincronicità, di quelle coincidenze di pensiero e realtà, che ci possono stupire e inquietare. Ti accade, ad esempio, come se avessi chiamato in causa qualcosa o qualcuno senza averlo davvero fatto. E ti chiedi come è possibile, perché.
Esistono due forme del pensare, secondo Jung: la prima è il pensare indirizzato, che si esprime con il linguaggio e che è rivolto ad altri e si adatta ai contesti; la seconda opera invece spontaneamente con contenuti preesistenti ed è guidata da motivi inconsci: è il sognare o fantasticare. La prima imita la realtà e cerca di influire su di essa. La seconda invece «volge le spalle alla realtà», mette in libertà tendenze soggettive. Insomma, logos contro eros. Lo aveva sostenuto Aristotele, all’inizio della Metafisica: «Tutti gli uomini…amano le sensazioni per se stesse, anche indipendentemente dalla loro utilità».
Il sogno, per esempio, ha la forza speciale di proporre banalità mescolate a rivelazioni, incontri con le circostanze di cui abbiamo già avuto esperienza ma anche con l’ignoto, in forma misteriosa, quasi mai chiara e razionale.
Un’altra forza speciale che va messa in campo, a mio parere, è rappresentata dal riconoscimento di avere torto: avere sbagliato reazioni, calcoli, valutazioni, decisioni. Ammetterlo è importante soprattutto nei confronti di noi stessi. Svela orizzonti, produce alternative, alleanze impreviste, conclusioni aperte. Rende il linguaggio, la comunicazione insufficienti: c’è bisogno di intuito, di fantasia, di forza simbolica per uscirne. Sempre che l’individuo non si nasconda, non fugga da sé, non voglia continuamente sottrarsi alle prove.
Una categoria di persone resta indenne da tutto questo: i politici. Tutti presi dal fatto di mostrare che gli avversari si sono sbagliati, tutti che si ritengono vociferanti dalla parte indiscutibilmente giusta, i politici rimangono estranei a una dote importante: quella della creatività, dell’inventiva, della novità di soluzioni possibili. Finché i politici non sapranno riconoscere i propri errori non potranno progettare nulla ma soltanto gestire con mille maschere il fluire del presente, riservando per il tempo futuro soltanto promesse o minacce, non soluzioni.
Io penso che il modo attuale di fare politica abbia annientato il valore creativo della politica, la sua forza immaginativa, la sua sensibilità, la sua apertura al cambiamento. Si prova un terribile senso di frustazione nell’ascoltare politici che non fanno trapelare sistemi di pensiero al di là dei fatti contingenti. Ma è ancora più grave che non facciano intravedere orizzonti di variazione, di potenzialità, di cambio di passo.
McLuhan, rispondendo a chi lo intervistava per Playboy (1969), sosteneva che bisogna «tracciare una mappa di nuove terre piuttosto che rilevare i vecchi punti di riferimento». Noi consumatori di comunicazione, infatti, rischiamo l’anestesia dalla consapevolezza di ciò che sta accadendo, indotta dai media, dai computer, dalla televisione. I media intensificano e amplificano i sensi e le loro funzioni ma nello stesso tempo li intorpidiscono, li privano di elasticità perché annullano e insieme esaltano il presente saturando con esso l’intero campo di attenzione.
Il soggetto sociale che ne è vittima ritiene che debba e possa avvenire soltanto quello che gli viene detto. Lo spettatore televisivo è convinto che i fatti riportati non facciano parte di ciò che è avvenuto ma soltanto si riferiscano a uno spazio lontano: il tempo è così annientato, lo spazio è collassato, è quasi soltanto digitale, non c’è causa ed effetto ma soltanto evento. La notizia quindi esaurisce il fatto, non lascia porte aperte, non lascia desideri, nemmeno quello elementare di sapere. Ogni delitto, ogni timore, ogni orrore sono una conferma del generale stato di cose, i fatti perdono i loro contorni reali.
Al soggetto passivo sembra che sia necessario soltanto ciò che il sistema, l’applicazione, l’uso dello strumento gli richiede: la percezione è ridotta al qui ed ora e l’errore è sempre e soltanto un guasto nella procedura, un intoppo che si deve poter superare.
Siamo diventati macchine esecutrici, dalle funzionalità preordinate e ripetitive, immersi in congegni che ci richiedono prestazioni, mai fantasie, mai deviazioni.
Un cambiamento radicale è ancora possibile? La distanza abissale dai centri decisionali non riguarda più soltanto i semplici cittadini; gli stessi politici e amministratori si conformano ad entità sovranazionali. E allora non capisci se il potere è questione di forza economico-finanziaria o di forza deterrente. Così la frustrazione di chi governa ma non ha niente in mano gli fa invocare orizzonti di guerra per riprendersi una centralità decisionale, visto che tutti gli aspetti economici sono in mano ad altri.
I potentati della ricchezza lasciano che i politici e i governanti frustrati giochino a Risiko ed escogitano l’impossibile affinché i cittadini si sentano estranei a quanto accade. Sempre più estranei sempre più manipolabili.
[di Gian Paolo Caprettini]
Anno giudiziario, in tutta Italia scoppia la protesta dei magistrati
Come annunciato, i magistrati stanno protestando oggi in tutta Italia contro le riforme della giustizia del governo Meloni, durante le cerimonie di inaugurazione dell’Anno giudiziario nelle Corti d’Appello. In varie città le toghe hanno lasciato l’aula quando a parlare era un rappresentante del governo. A Napoli, all’esterno di Castel Capuano, dove partecipa il ministro della Giustizia Carlo Nordio, i magistrati indossano la toga con una coccarda tricolore al petto e tengono in mano una copia della Costituzione, esponendo cartelli con frasi di Piero Calamandrei. Proteste molto partecipate anche a Roma, Bologna, Palermo e Torino, dove sono stati organizzati flash mob.
La ricchezza dei miliardari globali è cresciuta di duemila miliardi in un anno
Nel 2024 la ricchezza dei miliardari è cresciuta, in termini reali, di 2mila miliardi di dollari, pari a circa 5,7 miliardi di dollari al giorno, a un ritmo tre volte superiore rispetto all’anno precedente. È quanto emerge da un dettagliato rapporto pubblicato da Oxfam e intitolato “Takers, not Makers” (“Prenditori, non produttori”). Il documento evidenzia chiaramente come un ristretto gruppo di persone, definito “aristocrazia”, detenga una ricchezza sproporzionata rispetto al resto della popolazione mondiale. Questa ricchezza, in molti casi, è il risultato di eredità intergenerazionali, pratiche colonialiste o di un sistema basato su monopoli e distorsioni del mercato capitalista, piegato al loro volere grazie all’enorme potere economico e politico che esercitano. Nonostante i tassi di povertà complessivi siano diminuiti nel mondo, il numero di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà rimane invariato rispetto al 1990, rappresentando ancora il 44% della popolazione globale. Nel frattempo, l’1% delle persone più ricche possiede circa il 45% dell’intera ricchezza mondiale.
Eredità, clientelismo, corruzione e drenaggio di denaro pubblico
L’idea che la ricchezza estrema sia una ricompensa per un talento eccezionale è ampiamente diffusa e fortemente alimentata dalla narrazione prevalente, che spazia dai mass media alla cultura popolare. Questa percezione, tuttavia, non trova riscontro nella realtà dei fatti. Il rapporto di Oxfam sostiene che la ricchezza estrema della classe dei miliardari di oggi non sia in gran parte guadagnata, ma piuttosto ereditata o accumulata attraverso pratiche che somigliano a una vera e propria rapina, un fenomeno che non accenna ad arrestarsi. L’oligarchia mondiale si è consolidata grazie a un intreccio di eredità, clientelismo e potere monopolistico, che generano ricchezze spropositate. Inoltre, data la sua immensa influenza economica e politica, si potrebbe aggiungere che l’accumulo di tale ricchezza avviene anche tramite pratiche come l’insider trading, ovvero lo sfruttamento di informazioni privilegiate per trarre vantaggio sul mercato finanziario.
Nel 2023, la maggior parte dei nuovi miliardari si è arricchita tramite eredità piuttosto che attraverso l’imprenditorialità. Tutti i miliardari al mondo di età inferiore ai 30 anni hanno ereditato la loro fortuna. Nei prossimi tre decenni, oltre 1.000 miliardari attualmente in vita trasferiranno più di 5,2 mila miliardi di dollari ai loro eredi. Secondo Oxfam, il 36% della ricchezza dei miliardari deriva dall’eredità, che spesso è esente da tasse. L’analisi mostra che due terzi dei Paesi nel mondo non applicano alcuna tassazione sull’eredità per i discendenti diretti. Inoltre, metà dei miliardari vive in nazioni dove non esiste imposta di successione sul denaro che verrà trasferito ai figli. L’America Latina è la regione con il più alto volume di ricchezza ereditata al mondo. Questo fenomeno sta rapidamente creando una nuova aristocrazia globale, in cui la ricchezza estrema si trasmette di generazione in generazione, consolidando ulteriormente le disuguaglianze.
Il clientelismo e la corruzione sono altri due aspetti fondamentali che caratterizzano la fortuna di questa nuova aristocrazia. Non importa tanto il livello di competenza o conoscenza individuale, quanto piuttosto chi si conosce, su chi si può fare pressione, chi si può finanziare o corrompere. Gran parte della ricchezza estrema è infatti il risultato di legami clientelari tra i più ricchi e i governi. Questo fenomeno si manifesta frequentemente nell’intreccio tra pubblico e privato, dove le partnership pubblico-privato diventano uno strumento per drenare risorse pubbliche a vantaggio di interessi privati. Queste collaborazioni, spesso presentate come strategie per stimolare l’economia o migliorare i servizi, finiscono invece per rafforzare le disuguaglianze economiche e consolidare il potere di pochi.
Monopoli e colonialismo
I monopoli rafforzano la loro presa sulle industrie, permettendo ai miliardari di accumulare ricchezze senza precedenti. Il potere dei monopoli sta alimentando sia la crescita della ricchezza estrema sia l’aumento delle disuguaglianze a livello globale. Le società monopolistiche hanno la capacità di controllare i mercati, stabilire le regole, fissare i prezzi e definire i termini di scambio con altre aziende e con i lavoratori. Queste strategie non fanno altro che incrementare la ricchezza dei loro proprietari, i cosiddetti “aristocratici”, tra i quali figurano alcuni degli uomini più ricchi del pianeta. Un esempio emblematico è Jeff Bezos, con un patrimonio netto di 219,4 miliardi di dollari, che ha costruito il suo impero attraverso Amazon, azienda che rappresenta il 70% degli acquisti online in Germania, Francia, Regno Unito e Spagna. Un altro esempio è Aliko Dangote, con un patrimonio netto di 11 miliardi di dollari, l’uomo più ricco dell’Africa, che detiene un monopolio sul cemento in Nigeria e un notevole potere di mercato in tutto il continente africano. Secondo Oxfam, il 18% della ricchezza dei miliardari del mondo deriva direttamente dal potere di monopolio, che continua a consolidare le disparità economiche su scala globale.
Questa mentalità economica deve la sua esistenza al colonialismo, che continua a produrre effetti tangibili nel presente nonostante sia un fenomeno storico risalente a secoli fa e apparentemente concluso con la decolonizzazione dei Paesi colonizzati. Oggi, la maggior parte dei miliardari risiede nei Paesi ricchi del Nord del mondo, che ospitano appena un quinto della popolazione globale. Come evidenziato nel rapporto, è difficile spiegare questa concentrazione di ricchezza senza considerare l’impatto persistente del colonialismo.
Il colonialismo è un fenomeno sia storico che moderno. Il colonialismo storico si riferisce al periodo di occupazione e dominio formale da parte delle potenze occidentali, principalmente europee, terminato in gran parte con le lotte di liberazione nazionale nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale. Il colonialismo moderno, o neocolonialismo, descrive invece quei processi attuali che continuano a estrarre ricchezza dai Paesi del Sud del mondo verso quelli del Nord. Questo avviene attraverso meccanismi di controllo economico e coercizione che, pur non basandosi più sul dominio diretto, perpetuano gli impatti del colonialismo storico.
L’economia globale odierna è chiaramente strutturata in modo tale che la ricchezza fluisca dal Sud del mondo al Nord, e più precisamente dalle classi meno abbienti del Sud alle élite più ricche del Nord. Tuttavia, non tutte le persone nei Paesi ricchi beneficiano di questo sistema: la ricchezza è concentrata nelle mani di una piccola minoranza, e anche all’interno di queste nazioni la disuguaglianza continua a crescere in modo significativo, Italia inclusa.
Il mondo odierno, profondamente segnato dalla brutale storia coloniale, è ancora dilaniato da divisioni razziali e da un sistema economico che favorisce le élite a discapito della maggioranza. L’eredità di disuguaglianza forgiata attraverso il saccheggio e lo sfruttamento durante il colonialismo storico continua a plasmare le vite moderne, creando un sistema globale in cui la ricchezza viene sistematicamente estratta dal Sud del mondo per avvantaggiare una piccola élite nel Nord del mondo.
Multinazionali e colonialismo moderno
L’impresa multinazionale è una diretta eredità del colonialismo, discendente di istituzioni come la Compagnia delle Indie Orientali, che agiva come un’entità autonoma ed era responsabile di numerosi crimini coloniali. Oggi, le multinazionali, spesso in posizioni di monopolio o semi-monopolio, continuano a sfruttare i lavoratori del Sud del mondo per conto di ricchi azionisti prevalentemente basati nel Nord del mondo.
Le catene di fornitura globali e le industrie di trasformazione per l’esportazione rappresentano moderni sistemi coloniali di estrazione della ricchezza dal Sud al Nord. I lavoratori coinvolti in queste catene di fornitura affrontano spesso condizioni di lavoro precarie, privazione dei diritti di contrattazione collettiva e scarsa protezione sociale. In alcuni casi, si trovano in situazioni assimilabili alla schiavitù, simili a quelle del colonialismo storico. Come evidenziato da Oxfam, i salari nel Sud del mondo sono tra l’87% e il 95% inferiori rispetto a quelli del Nord del mondo per lavori con pari competenze.
Le grandi multinazionali dominano le catene di fornitura globali, beneficiando della manodopera a basso costo e della continua estrazione di risorse. Queste aziende catturano la stragrande maggioranza dei profitti, perpetuando dipendenza, sfruttamento e controllo attraverso strumenti economici.
Nel 2022, uno studio condotto dall’Universitat Autonoma de Barcelona e pubblicato su Nature Communication ha cercato di quantificare il vantaggio derivante da questo scambio ineguale tra il Sud e il Nord del mondo tra il 1995 e il 2015. I risultati hanno rivelato che ben 242 mila miliardi di dollari sono stati trasferiti dal Sud al Nord del mondo in questo periodo. Questo costante depauperamento, radicato nei secoli di storia umana, costituisce la base su cui si fonda l’aristocrazia globale degli ultra-ricchi miliardari di oggi.
Educazione alla disuguaglianza
Come spiegato da Oxfam, nel 1820, il reddito del 10% più ricco del mondo era 18 volte superiore a quello del 50% più povero. Nel 2020, questa disparità è salita a 38 volte. L’attuale sistema educativo contribuisce a perpetuare l’eredità coloniale della disuguaglianza attraverso il predominio della conoscenza e delle lingue occidentali, oltre che le profonde disparità nei finanziamenti e nella ricerca a livello globale. L’influenza sproporzionata di poche istituzioni educative situate nel Nord del mondo ha plasmato le politiche economiche e sociali del Sud del mondo. Nel 2017, ad esempio, il 39% dei capi di stato a livello globale aveva studiato in università nel Regno Unito, negli Stati Uniti o in Francia.
Molto spesso, durante il periodo della decolonizzazione, l’indipendenza politica non è stata accompagnata dall’instaurazione dell’uguaglianza o della giustizia sociale. In molti Paesi, i governanti coloniali sono stati semplicemente sostituiti da élite nazionali, che hanno mantenuto sistemi economici e politici profondamente ineguali in cambio di un arricchimento personale smisurato rispetto al tenore di vita della popolazione. Inoltre, l’eredità coloniale, fatta di confini arbitrari e Stati fragili, ha contribuito a generare conflitti, guerre e instabilità persistenti.
Razzismo, odio e gerarchie sociali radicate continuano a influenzare le società moderne, manifestandosi anche nelle disparità salariali all’interno dei singoli Paesi, come negli Stati Uniti, in Australia e in Sudafrica. Durante il colonialismo storico, divisioni basate su casta, religione, genere, sessualità, lingua e geografia sono state sfruttate e aggravate con l’obiettivo di massimizzare i profitti e ostacolare ogni forma di opposizione unitaria.
Motori economici di estrazione come istituzioni globali, mercati finanziari e multinazionali, tutti plasmati dal colonialismo e dal predominio dei Paesi ricchi, continuano oggi a perpetuare schemi che favoriscono il trasferimento di ricchezza dal Sud al Nord del mondo. Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale (FMI) e Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite rappresentano ancora oggi simboli tangibili della disuguaglianza mondiale. I Paesi del G7 detengono infatti il 41% dei voti nel FMI e nella Banca Mondiale, nonostante rappresentino meno del 10% della popolazione globale. Inoltre, i leader della Banca Mondiale e del FMI sono nominati rispettivamente dagli Stati Uniti e dall’Europa.
Queste organizzazioni esercitano una significativa influenza nel modellare il sistema economico globale, insistendo sull’attuazione di politiche che spesso penalizzano i Paesi a basso e medio reddito. Il FMI, ad esempio, richiede ai Paesi debitori di dare priorità al rimborso dei debiti rispetto ad altre esigenze e promuove misure come la privatizzazione, la liberalizzazione del commercio e la riduzione della spesa pubblica come condizioni per l’accesso a nuovi prestiti.
Secondo il rapporto di Oxfam, tra il 1970 e il 2023, i governi del Sud del mondo hanno pagato 3,3 mila miliardi di dollari in interessi ai creditori del Nord del mondo. Inoltre, Oxfam stima che per ogni dollaro ricevuto dai Paesi poveri tramite il FMI, questi abbiano dovuto tagliare quattro dollari dai loro già magri bilanci pubblici.
Banche, tasse e sistema finanziario globale
Le valute forti delle nazioni ricche conferiscono a questi Paesi e ai proprietari di asset finanziari al loro interno un enorme vantaggio economico. Nel primo trimestre del 2024, ad esempio, circa il 58,9% delle riserve valutarie globali detenute dalle banche centrali era in dollari statunitensi. Questo consente a queste nazioni di accedere a capitali a un costo estremamente basso, che vengono poi investiti in attività più redditizie nei Paesi del Sud del mondo. Questo squilibrio genera un flusso di quasi mille miliardi di dollari all’anno dal Sud al Nord del mondo, di cui circa 30 milioni di dollari all’ora finiscono nelle mani dell’1% più ricco delle nazioni ricche.
Oggi, Paesi come gli Stati Uniti e il Regno Unito continuano a ospitare i mercati e le istituzioni finanziarie più potenti del mondo, oltre alle principali agenzie di rating. Queste agenzie plasmano la percezione globale della stabilità finanziaria e del rischio, influenzando direttamente il costo dei prestiti per i Paesi, soprattutto quelli del Sud del mondo, che vengono invariabilmente collocati in fondo alla scala delle valutazioni.
L’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), un club esclusivo di nazioni ricche, continua a dominare la politica fiscale globale. Oltre il 70% di tutti gli abusi fiscali aziendali avviene attraverso i Paesi dell’OCSE, privando le nazioni del Sud del mondo di ingenti entrate fiscali. Inoltre, la maggior parte dei paradisi fiscali si trova all’interno dei Paesi ricchi o in piccolissimi Stati che dipendono esplicitamente da essi, perpetuando un sistema che favorisce la concentrazione della ricchezza e l’elusione fiscale.
[di Michele Manfrin]