domenica 2 Novembre 2025
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Los Angeles: in migliaia contro le politiche migratorie di Trump, centinaia di arresti

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È stato un fine settimana di durissimi scontri a Los Angeles, con i cittadini scesi in strada per protestare contro le politiche antimigratorie del presidente Donald Trump. Venerdì sera gli agenti dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE) – l’agenzia federale che si occupa di frontiere e immigrazione – hanno arrestato più di 40 persone per presunte violazioni delle leggi sull’immigrazione, per poi fermarne oltre un centinaio nelle ore successive. L’ultima di una lunga serie di operazioni diventate la normalità sotto l’amministrazione Trump, cui i cittadini di Los Angeles hanno deciso di ribellarsi dando vita a scene di guerriglia urbana, tra lanci di pietre verso i poliziotti, barricate di fortuna e sabotaggi. Trump ha firmato un ordine esecutivo per inviare 2mila agenti della Guardia Nazionale, mentre il segretario alla Difesa Peter Hegseth ha fatto sapere che sono pronti a intervenire anche i marines. Decine i manifestanti arrestati fino ad ora dalla polizia.

Gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine sono stati violenti. Centinaia di persone sono scese in strada per protestare contro le misure sull’immigrazione. Manifestazioni spontanee si sono moltiplicate in vari quartieri della città. In Downtown, l’intero centro è stato sgomberato e ogni assembramento dichiarato illegale, mentre i manifestanti hanno bloccato arterie strategiche come la Highway 101 e Figueroa Street. Alcuni hanno lanciato bottiglie e altri oggetti contro gli agenti. La polizia e la Guardia Nazionale hanno risposto con gas lacrimogeni, granate stordenti e proiettili di gomma sparati ad altezza degli occhi e delle gambe. Almeno 56 persone sono state arrestate, con accuse che vanno dal lancio di molotov contro gli agenti all’utilizzo di motociclette per speronare i cordoni di polizia. Tre agenti sono rimasti feriti. Anche alcuni giornalisti sono rimasti feriti: il fotografo inglese Nick Stern ha raccontato al Guardian: «Alcuni manifestanti sono venuti ad aiutarmi, mi hanno portato in braccio e ho notato che mi colava sangue lungo la gamba». La giornalista australiana Lauren Tomasi è stata colpita da un proiettile di gomma mentre stava documentando le cariche della polizia.

L’invio della Guardia Nazionale, verificatosi senza il consenso del governatore, rappresenta la prima applicazione unilaterale di questa misura in California dal 1965. Quest’azione ha scatenato una crisi politica e istituzionale, con il governatore della California Gavin Newsom e la sindaca della città Karen Bass che hanno apertamente contestato l’intervento federale. Newsom ha annunciato l’intenzione di ricorrere per vie legali contro quella che ha definito «una violazione della sovranità dello Stato della California»: «Questi sono gli atti di un dittatore, non di un presidente», ha dichiarato. Anche la sindaca Bass ha chiesto formalmente a Trump di revocare l’intervento militare e ha invitato i manifestanti a mantenere la calma: «Non date a Trump ciò che vuole – ha scritto – restate calmi, restate pacifici. Non cadete nella trappola. Non usate mai la violenza e non fate del male alle forze dell’ordine». Bass ha inoltre sottolineato che «quando si fanno irruzioni nei supermercati e nei luoghi di lavoro, quando si dividono genitori e figli e quando si fanno circolare blindati per le nostre strade, si crea paura e si crea panico», definendo lo schieramento della Guardia Nazionale «una escalation pericolosa». Sul fronte legale, il Titolo 10 del Codice delle Forze Armate richiederebbe che l’impiego della Guardia Nazionale avvenga su richiesta del governatore. La Casa Bianca, però, ha giustificato l’intervento parlando di «ribellione» in corso.

Le proteste sono scoppiate dopo una serie di raid dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE), in particolare nel distretto di Paramount, dove sono stati arrestati molti migranti. Gli agenti federali hanno fatto irruzione in abitazioni e luoghi di lavoro, provocando paura e panico tra la popolazione. L’area è a forte presenza latinoamericana: nelle proteste in corso a Los Angeles contro i raid dell’ICE spiccano infatti tra la folla numerose bandiere messicane. Il New York Times le ha definite «un simbolo» delle manifestazioni. Molti dei partecipanti sono cittadini statunitensi di origine messicana — 26,6 milioni secondo il Pew Research Center — che rivendicano con orgoglio le proprie radici.

Nel frattempo, il Pentagono ha messo in stato di massima allerta anche i Marines di Camp Pendleton. Il capo della Difesa Pete Hegseth ha avvertito che, in caso di ulteriore violenza, saranno mobilitati. Trump, dal canto suo, ha rincarato la dose su Truth Social, definendo i manifestanti «istigatori e facinorosi spesso prezzolati» e invocando l’arresto immediato di chi protesta con il volto coperto. Ha accusato Newsom e Bass di essere incompetenti e di averlo costretto ad agire per ristabilire l’ordine. «Rendiamo di nuovo grande l’America!», ha scritto il presidente, alimentando ulteriormente lo scontro.

Giappone, incidente in base militare USA: 4 feriti

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Quattro soldati giapponesi sono rimasti feriti in un’esplosione avvenuta in un deposito di ordigni bellici inesplosi presso una base militare statunitense a Okinawa. L’incidente è avvenuto mentre i militari lavoravano in un sito per l’immagazzinamento di vecchi ordigni rinvenuti sull’isola, teatro di pesanti bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale. Le Forze di autodifesa giapponesi stanno indagando per chiarire la dinamica dell’esplosione, che si sarebbe verificata nella base aerea di Kadena. A Okinawa restano sepolti numerosi ordigni inesplosi, spesso ritrovati durante lavori di costruzione.

Freedom Flotilla: Israele dirotta e sequestra l’equipaggio che portava aiuti a Gaza

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È stata assaltata nella notte da mezzi dell’esercito israeliano (IDF) la Madleen, l’imbarcazione della Freedom Flotilla salpata lo scorso 1° giugno da Catania per tentare di rompere l’assedio di Gaza e portare aiuti umanitari alla popolazione della Striscia. Intorno alle 2 di notte (ora italiana), l’imbarcazione è stata intercettata prima da droni e poi da motoscafi israeliani mentre si trovava in acque internazionali, nelle quali Tel Aviv non ha alcuna giurisdizione. Successivamente, l’esercito ha sequestrato l’intero equipaggio e dirottato l’imbarcazione verso le coste israeliane. Prima che i contatti fossero interrotti, l’equipaggio ha dichiarato che dai droni è stata sparata una sostanza bianca, simile a vernice, con effetti urticanti – non è ancora chiaro di cosa si trattasse. Il ministero degli Esteri israeliano ha fatto sapere questa mattina che tutti i membri verranno fatti rientrare nei propri Paesi.

«Siamo circondati dalle loro navi» ha dichiarato Thiago Avila, capitano dell’imbarcazione, in un video apparso sui social della Flotilla intorno all’una di notte di lunedì 9 giugno. «Non abbiamo paura di loro, ma un crimine di guerra sta avvenendo proprio ora. Per favore, diffondete l’allarme». Circa un’ora dopo, droni quadricotteri hanno cominciato a sorvolare la Madleen e, poco dopo, il segnale radio e quello dei cellulari è stato bloccato, impedendo ai membri dell’equipaggio di chiedere aiuto. Nel frattempo, dai droni è stata spruzzata una sostanza bianca urticante, che ha costretto i volontari a coprirsi il volto e ritirarsi all’interno della nave – anche per il timore che i droni potessero sparare proiettili. Subito dopo l’attacco israeliano, le pagine social della Freedom Flotilla hanno pubblicato una serie di messaggi preregistrati dell’equipaggio, nei quali si invitano i vari governi a fare pressione su Israele in caso di aggressione da parte di Tel Aviv.

Secondo quanto dichiarato da Francesca Albanese, che è rimasta al telefono con il capitano fino a che il segnale non è stato interrotto, poco dopo la mezzanotte di ieri (ora italiana) cinque imbarcazioni israeliane avevano raggiunto la Flotilla e le stavano girando intorno. Il capitano ha dato istruzioni di stare calmi e seduti, con i giubbotti salvavita indosso. «Li sento parlare con soldati israeliani mentre scrivo questo post» riporta Albanese, che riferisce di aver registrato l’intera conversazione, «stanno dicendo che portano aiuti umanitari e che arrivano pacificamente». Intorno alle due, la comunicazione è stata interrotta.

Sono 12 gli attivisti a bordo della Madleen: Greta Thunberg, attivista svedese; Rima Hassan, europarlamentare franco-palestinese; Yasemin Acar, tedesca; Baptiste Andre, Omar Faiad, Pascal Maurieras, Yanis Mhamdi e Reva Viard dalla Francia; Thiago Avila, brasiliano; Suayb Ordu, turco; Sergio Toribio, spagnolo; Marco van Rennes, olandese. Al momento dell’arresto, la Madleen si trovava in acque internazionali, motivo per cui il loro arresto è «illegale», ha dichirato ad Al Jazeera l’organizzatrice della spedizione, Huwaida Arraf. «Tutti coloro che sono a bordo sono stati rapiti. Sono stati presi contro la loro volontà mentre stavano navigando pacificamente in acque internazionali. Bisogna che sia estremamente chiaro che Israele non ha giurisdizione nè autorità legale per prendere il controllo dell’imbarcazione».

Intorno alle due di notte, il ministero dell’Interno israeliano ha dichiarato che la marina era in comunicazione con «lo yacht dei selfie», come è stato rinominata dagli israeliani l’imbarcazione, e alle 10 di questa mattina ha riferito che sta navigando verso le coste di Israele, che tutto l’equipaggio è al sicuro e che ciascun membro sarà rispedito al proprio Paese d’origine. «Il piccolo quantitativo di aiuto che non è stato consumato da queste “celebrità” sarà trasferito a Gaza attraverso veri canali umanitari». Tuttavia, l’unico canale autorizzato da Israele a distribuire aiuti umanitari nella Striscia – la Gaza Humanitarian Foundation, ONG americana – ha sospeso le attività dopo nemmeno una settimana dopo le stragi di civili avvenute per mano dell’IDF durante le operazioni di distribuzione. Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha inoltre fatto sapere di aver dato istruzioni ai soldati che hanno sequestrato l’equipaggio della Flotilla di costingere «l’antisemita Greta e i suoi compagni sostenitori di Hamas» a visionare video «del massacro del 7 ottobre» una volta giunti al porto israeliano di Ashdod.

L’attacco ha ricevuto la condanna di alcuni governi, tra i quali quello iraniano che ha parlato di «atti di pirateria» da parte di Israele, e di quello turco. Anche un senatore australiano ha parlato di «violazione delle norme internazionali» da parte di Israele, mentre gruppi ebrei australiani hanno condannato le azioni di Tel Aviv. Al momento, tuttavia, la reazione dei governi europei – la Svezia, Paese d’origine di Greta Thunberg, ha dichiarato che offrirà aiuto ai membri dell’equipaggio della Madleen, se necessario. Dal governo italiano, nemmeno a dirlo, non è giunto alcun segnale.

La NATO chiede spese militari al 5% del Pil: per l’Italia + 66 miliardi l’anno

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I ministri della Difesa dei 32 Paesi membri della NATO si sono accordati sui nuovi obiettivi per le spese militari. Non ha usato mezzi termini il segretario americano alla Difesa Pete Hegseth quando, prima della riunione ministeriale, ha detto che «ogni Paese deve contribuire con il 5% del PIL». Una posizione sposata dai Paesi Baltici ma osteggiata — seppur timidamente — dagli altri Alleati, su tutti la Spagna. Si è arrivati così a un compromesso: aumentare le capacità nazionali della Difesa al 3,5% del PIL, aggiungendo un ulteriore e più discrezionale 1,5% in investimenti correlati, tra cui le infrastrutture e la cybersicurezza. Da Roma è già partito il tentativo di convincere gli Alleati a inserire in queste ultime la costruzione del Ponte sullo Stretto. Mani avanti poi sui tempi di raggiungimento del nuovo obiettivo — non prima del 2035, fa sapere il ministro Guido Crosetto. Per raggiungere appieno gli obiettivi richiesti dalla NATO, l’Italia dovrebbe investire circa 66 miliardi di euro in più all’anno nella Difesa – i quali, a meno di miracoli economici, si tradurrà in tagli alla spesa sociale, indebitamenti e privatizzazioni.

L’obiettivo del piano concordato dai ministri degli Esteri membri della NATO è costruire un’Alleanza «più forte, equa e letale», in grado di garantire «la prontezza bellica negli anni a venire». L’Italia ha dichiarato di aver raggiunto quest’anno l’obiettivo del 2%, che il ministro Crosetto aveva già definito solamente un «punto di partenza», con l’obiettivo finale di arrivare a soddisfare le richieste dell’Alleanza. Tuttavia, secondo quanto dichiarato dal ministro stesso alla stampa nelle scorse ore, l’Italia potrebbe aver bisogno di altri 10 anni di tempo per giungere all’obiettivo del 3,5%. «Abbiamo sposato la tesi inglese di spostare al 2035 il raggiungimento degli obiettivi di capacità che vengono richiesti» ha dichiarato il ministro. Un investimento che dovrebbe portare nelle casse del ministero della Difesa ulteriori 33 miliardi di euro circa all’anno, che vanno raddoppiati per arrivare all’obiettivo finale richiesto dalla NATO (considerato il valore del PIL italiano nel 2024, pari a 2.192.182 milioni di euro).

Già ora, per far quadrare i conti l’Italia ha chiesto all’UE di poter inserire nel bilancio per la Difesa opere strategiche quali il Ponte sullo Stretto di Messina, per il governo un’infrastruttura «imperativa e prevalente per l’interesse pubblico» in quanto potrebbe dover essere necessaria per «il passaggio di truppe e mezzi della NATO». Come riscontrato dall’Osservatorio Milex, infatti, per raggiungere gli obiettivi di spesa richiesti l’Italia è costretta a inserire nel bilancio altre voci fino ad ora non considerate – e questo già solamente per raggiungere l’obiettivo del 2%. Al quale, in base alle richieste attuali, vanno ora aggiunte altre decine di miliardi di euro.

Russia, Putin approva un importante rinnovamento della marina

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Il presidente russo Vladimir Putin ha approvato una nuova strategia navale che mira a ripristinare completamente la posizione della Russia come una delle principali potenze marittime mondiali. Lo ha reso noto il consigliere del Cremlino Nikolai Patrushev, il quale non ha fornito ulteriori dettagli. Secondo la maggior parte delle classifiche pubbliche, la Russia ha la terza marina più potente al mondo, dopo Cina e Stati Uniti. I dati open source suggeriscono che la Russia abbia 79 sottomarini, inclusi 14 sottomarini con missili balistici a propulsione nucleare, e 222 navi da guerra.

L’ONU ha stabilito che le comunità Maya devono essere ricompensate per i danni coloniali

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Il Guatemala non sta attuando gli accordi di reinsediamento e le altre misure di riparazione raggiunte con il popolo Maya per i loro continui trasferimenti forzati. A denunciarlo è il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite, a margine di indagini condotte sin dal 2021, quando 269 membri dei popoli Maya K'iche', Maya Ixil e Maya Kaqchikel hanno chiesto all'organismo ONU di far valere i propri diritti. Nella sua decisione, il Comitato ha concluso che le vittime sono state violentemente sradicate dai loro territori e costrette a cercare rifugio nella capitale. In un ambiente culturale es...

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Referendum, alle 19 affluenza al 16%

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Non decolla l’affluenza ai cinque quesiti referendari, quattro sul lavoro e uno sulla cittadinanza. Alle 19 ha votato circa il 16% degli aventi diritto. A mezzogiorno l’affluenza si era fermata intorno al 7,35%. L’ultima rilevazione della giornata è attesa alle 23, quando chiuderanno i seggi per poi essere riaperti domani, dalle 7 alle 15. Per rendere valido l’esito referendario dovranno recarsi alle urne il 50%+1 degli aventi diritto.

Roland Garros: Errani e Paolini trionfano a Parigi

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Sara Errani e Jasmine Paolini si aggiudicano il Roland Garros di Parigi. Le tenniste azzurre hanno ottenuto il titolo del doppio battendo in finale in due ore e un quarto la coppia Danilina/Krunic (Kazakistan/Serbia). Si tratta del primo titolo Slam vinto insieme nel doppio femminile. Due giorni fa Sara Errani si era aggiudicata il doppio misto al Roland-Garros in coppia con Andrea Vavassori. Alle 15 in campo Jannik Sinner per la finale contro Carlos Alcaraz.

Colombia, attentato al candidato presidente Uribe

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Miguel Uribe Turbay, senatore e candidato presidente in Colombia, è stato ferito a colpi d’arma da fuoco durante un comizio nella capitale Bogotà. Il trentanovenne risulta essere in condizioni critiche dopo l’attentato. Un ragazzo di 15 anni, trovato nei pressi del comizio con una pistola 9mm, è stato arrestato col sospetto di aver agito per conto di altri. Le autorità sono a lavoro per capire le motivazioni dell’attentato.

 

 

 

 

I legami profondi tra Microsoft e il sistema di occupazione israeliano

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Il colosso dell’informatica statunitense Microsoft ha ammesso di aver fornito al governo israeliano grandi quantità di servizi di intelligenza artificiale (IA) e di archiviazione a partire dal 7 ottobre del 2023 e dall’avvio della campagna militare israeliana a Gaza. In particolare, Microsoft avrebbe fornito al Ministero della Difesa israeliano (IMOD) le tecnologie Azure e AI. Di fronte alle preoccupazioni sollevate da attivisti e dalla società civili sulla possibilità che tali tecnologie siano state utilizzate per colpire i civili di Gaza, la società statunitense fondata da Bill Gates ha risposto che, in base a indagini condotte internamente, non risultano prove che tali tecnologie siano state utilizzate a fini militari per arrecare danni a Gaza e alla popolazione civile. Ma, ovviamente, non esiste alcuna prova nemmeno del contrario, ed anzi tutti gli indizi portano proprio in questa direzione. La collaborazione tra Microsoft e il governo e l’intelligence d’Israele è infatti più profonda e tentacolare di quanto si potrebbe pensare, tanto da non poter definire esattamente i confini tra le due realtà. Tel Aviv peraltro rappresenta un’avanguardia nell’innovazione tecnologica e lo stesso Bill Gates, intervenendo a un evento del 2016 del Microsoft Israel R&D Center a Tel Aviv, aveva affermato che gli sviluppi israeliani in settori come l’analisi e la sicurezza stavano «migliorando il mondo».

Microsoft negli ultimi anni non ha solo rilevato molte start up tecnologiche israeliane fondate da ex ufficiali dell’intelligence dell’unità di spionaggio delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), ma impiega attualmente almeno mille dipendente israeliani, di cui alcuni sono ex membri dell’IDF, come è emerso da un’indagine indipendente riportata dal sito d’inchiesta The Grayzone. A confermare la presenza di mille israeliani tra le fila dei professionisti di Microsoft è anche il sito della Jewish Virtual Library che spiega come nell’aprile del 2006 Microsoft abbia inaugurato il Centro di Ricerca e Sviluppo Israeliano, uno dei tre centri di ricerca e sviluppo strategici di Microsoft a livello globale. Nel 2015, l’azienda fondata da Bill Gates ha acquisito le start up israeliane Adallom, Aorato e Secure Island, quest’ultima attiva nella protezione dei dati. Dal 2000 al 2022, il colosso informatico ha acquisito 17 aziende tecnologiche israeliane, tutte fondate da ex membri dell’intelligence dello Stato ebraico. L’ultima a essere rilevata nel 2022 è Oribi, società di analisi e monitoraggio web, la cui fondatrice, Iris Shoor, ha prestato servizio nello spionaggio dello Stato ebraico dal 1999 al 2001.

Considerate queste premesse, è difficile credere – come ha sostenuto Microsoft per smarcarsi dalle accuse – che il governo e l’intelligence israeliana non abbiano utilizzato le tecnologie Microsoft per portare avanti la campagna bellica che Israele ha intrapreso contro Gaza e i suoi abitanti. L’azienda statunitense in un comunicato ha dichiarato che “Sulla base della nostra analisi […] non abbiamo trovato prove che le tecnologie Azure e AI di Microsoft, o qualsiasi altro nostro software, siano stati utilizzati per danneggiare le persone”, anche se subito dopo ha ammesso che “Microsoft non ha visibilità su come i clienti utilizzano il nostro software sui propri server o altri dispositivi”. A smentire la versione del colosso informatico è stato un articolo della rivista +972, un’organizzazione indipendente con sede in Israele-Palestina: secondo la stessa, i dipendenti Microsoft lavorano a stretto contatto con le unità dell’esercito israeliano per sviluppare prodotti e sistemi, spesso rimanendo integrati nelle IDF per mesi: “il personale Microsoft collabora a stretto contatto con unità dell’esercito israeliano per sviluppare prodotti e sistemi. Decine di unità hanno acquistato da Microsoft “servizi di ingegneria estesi”, grazie ai quali, secondo il sito web dell’azienda, gli esperti Microsoft diventano parte integrante del team [del cliente]”.

Un’inchiesta realizzata congiuntamente da The Guardian, da +972 Magazine e un’emittente in lingua ebraica, Local Call, e basata su documenti ottenuti da Drop Site News, rivela come Israele abbia di fatto integrato il gigante tecnologico a stelle e strisce nei suoi apparati militari per soddisfare la crescente domanda di strumenti cloud e di intelligenza artificiale nell’ambito delle sue operazioni militari contro Gaza. Secondo quanto emerso, “Nell’ottobre 2023, il consumo mensile di servizi di intelligenza artificiale forniti da Azure da parte dell’esercito è aumentato di sette volte rispetto al mese precedente la guerra; a marzo 2024, era 64 volte superiore”. Sebbene i documenti non riportino in che modo l’intelligence abbia usato questi strumenti informatici, indicano però che circa un terzo degli acquisti era destinato a sistemi “air-gapped“, vale a dire isolati da Internet e dalle reti pubbliche, “rafforzando così la possibilità che gli strumenti siano stati utilizzati per scopi operativi – come il combattimento e l’intelligence – anziché per semplici funzioni logistiche o burocratiche”, come scrive +972 Magazine.

Le tecnologie della società informatica fondata da Gates hanno inoltre avuto un ruolo fondamentale per lo sviluppo del sistema di apartheid palestinese: secondo i documenti, infatti, il sistema “Rolling Stone” utilizzato dall’esercito per gestire il registro della popolazione e gli spostamenti dei palestinesi in Cisgiordania e a Gaza, è gestito attraverso Microsoft Azure. Quello tra Israele e Microsoft può essere considerato l’esempio più “riuscito” del connubio tra tecnologia, potere e ricchezza, ossia tra tecnologia e capitalismo, dove la prima risulta al servizio del secondo non solo per mire di profitto senza limiti, ma anche per scopi colonialisti e di pulizia etnica.