venerdì 5 Settembre 2025
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Serbia, nominato il nuovo primo ministro

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Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha nominato Djuro Macut come nuovo primo ministro. Macut, 62 anni, è medico e professore di endocrinologia all’Università di Belgrado. Privo di esperienza politica, Macut ha in passato dichiarato di avere posizioni vicine a quelle del Partito Progressista Serbo di Vucic. Entro il 18 aprile, Macut dovrebbe presentare una squadra di governo; la sua nomina dovrà poi essere confermata dal parlamento del Paese. Macut sostituisce il primo ministro Milos Vucevic, dimessosi a causa delle proteste che hanno investito il Paese dopo il crollo della tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad.

Il piano del Messico per raggiungere la sovranità alimentare grazie ai piccoli agricoltori

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Il Messico ha annunciato un piano di oltre 4 miliardi di dollari per raggiungere la sovranità alimentare tramite il sostegno ai piccoli agricoltori. Il programma, definito “Raccogliere Sovranità” (Cosechando Soberanía), rientra nel più ampio “Plan México”, la strategia di sviluppo economico svelata dall’amministrazione di Claudia Sheinbaum, e prevede l’incremento della produzione di mais bianco naturale, di fagioli e di riso. Per farlo, il governo messicano ha messo a punto un piano sfaccettato, che va da un ampliamento delle tutele legali dei prodotti locali a investimenti mirati nel settore agricolo, che passano in primo luogo da finanziamenti diretti e agevolati ai piccoli produttori, a cui dovrebbero accedere fino a 750.000 agricoltori. Solo nel 2025, ha affermato il ministro dell’Agricoltura Julio Berdegué, il governo dovrebbe spendere oltre 2,5 miliardi di dollari per avviare il piano, arrivando a sostenere circa 300.000 lavoratori.

Il programma Raccogliere Sovranità è stato annunciato venerdì 4 aprile e illustra una serie di misure di finanziamento ai piccoli e medi produttori messicani volte ad aumentare la produzione agricola nazionale. Il programma prevede prestiti agevolati con un tasso di interesse massimo del 9% annuo fino a 1,3 milioni, lancia una piattaforma di sostegno per l’acquisizione di assicurazioni agricole e garantisce la copertura per l’accesso alle polizze minime, coprendo anche i possibili disastri ecologici. Raccogliere Sovranità, inoltre, intende garantire prezzi minimi per i prodotti agricoli immessi nel mercato, fornire agli agricoltori sementi e fertilizzanti di alta qualità e dare ai piccoli e medi produttori accesso alle nuove tecnologie agricole e all’assistenza tecnica necessaria per il loro utilizzo. Sono previsti anche supporto alla commercializzazione dei prodotti e l’istituzione di un fondo per distribuire semi non transgenici di alta qualità. L’amministrazione messicana accompagnerà il programma di sostegno economico con un piano di tutela legale dei prodotti, consolidando l’uso di etichettatura per tutelare la produzione biologica locale. A beneficiare del piano saranno gli agricoltori che coltivano mais, fagioli, riso e caffè, e i lavoratori che producono latte o praticano la pesca.

Il piano del governo messicano mira ad aumentare entro il 2030 la produzione di mais bianco non transgenico del 17% (pari a 2,5 milioni di tonnellate in più all’anno), quella di fagioli del 64% (1,2 milioni di tonnellate in più), quella del latte del 15% (15 miliardi di litri), e quella del riso del 103% (450.000 tonnellate in più). Solo quest’anno verranno stanziati 2,64 miliardi di dollari. Raccogliere Sovranità rientra nel più ampio, Plan México, annunciato mesi fa e dettagliato solo negli ultimi giorni. Il piano viene definito come «una strategia di sviluppo economico, equo e sostenibile per la prosperità comunitaria». Consiste in circa 2.000 progetti divisi in 18 punti chiave, elaborati per raggiungere 13 obiettivi entro il 2030, anno in cui scadrà il mandato della presidente Claudia Sheinbaum, e può contare su un portafoglio di circa 277 miliardi di dollari complessivi. Il piano, in sintesi, intende rafforzare lo sviluppo economico facendo dialogare governo, uffici pubblici e attori privati.

Cannabis e nuovo Codice della strada: c’è il primo ricorso alla Corte Costituzionale

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Un lieve incidente stradale, un test tossicologico dubbio, la scoperta dell’epilessia e ora una battaglia legale che potrebbe cambiare il nuovo Codice della strada. È la storia di Elena Tuniz, giovane insegnante friulana di 32 anni, protagonista del primo caso in cui viene contestata la legittimità costituzionale delle nuove norme approvate dalla maggioranza lo scorso dicembre su spinta del vicepremier Matteo Salvini. Dopo un improvviso malore alla guida e la successiva diagnosi di epilessia, Elena si è trovata coinvolta in un procedimento penale e con la patente sospesa per un anno, a causa di una «dubbia» positività al THC, il principio psicotropo della cannabis. Il suo caso ora potrebbe approdare alla Corte Costituzionale.

Il 7 gennaio scorso Elena stava tornando a casa in auto quando ha perso conoscenza, andando a sbattere contro un paletto. Ricoverata in ospedale, è stata sottoposta a vari esami, tra cui un test tossicologico che ha evidenziato possibili tracce di THC. Nello specifico, come attestato dallo screening tossicologico, rispetto alla voce “cannabonoidi” il risultato è “dubbio”, mentre per tutte le altre sostanze in elenco il responso è “negativo”. Nonostante la diagnosi di epilessia arrivata solo dopo un successivo attacco, le autorità hanno attribuito l’incidente alla “positività” alla cannabis, ignorando il quadro clinico completo. Il risultato? La sospensione della patente per un anno – con pesanti ripercussioni sulla sua vita, dato che il tragitto casa-lavoro copre circa 70 chilometri – e l’avvio di un procedimento penale che prevede fino a due anni di carcere e una multa che può arrivare a 12mila euro. I legali della donna parlano di una «sanzione sproporzionata», che nulla ha a che vedere con la reale alterazione psicofisica durante la guida. Inoltre, come ha evidenziato la stessa Tuniz, nella nuova terapia stabilita dal neurologo per fronteggiare la patologia appena scoperta c’è anche la prescrizione di cannabis medica.

A denunciare il paradosso è l’associazione Meglio Legale, che ha preso in carico la difesa di Elena. In una conferenza stampa alla Camera dei Deputati, Antonella Soldo, coordinatrice dell’associazione, ha parlato di «una storia che grida vendetta», sottolineando come la nuova normativa rischi di penalizzare anche chi utilizza cannabis terapeutica prescritta da un medico, senza essere affatto in stato di alterazione alla guida. Sentita da L’Indipendente, Soldo ha affermato che si tratta di un «provvedimento puramente ideologico» che, con la scusa della lotta contro la cannabis, «ha evitato di soffermarsi sulle reali cause degli incidenti sulle strade», ovvero «la velocità e la guida sotto gli effetti dell’alcool». Al contrario, ha aggiunto Soldo, «il ministro Salvini si è dimostrato il più strenuo nemico degli Autovelox e della “Zona 30″», mentre i limiti sul consumo di sostanze alcoliche non sono cambiati. Alla Camera è intervenuto anche il deputato di +Europa Riccardo Magi, che ha definito il nuovo Codice «incostituzionale» e ha criticato duramente il ministro Matteo Salvini, accusandolo di aver promosso un approccio «da polizia morale» più che di tutela della sicurezza stradale. «Non si punisce chi è alterato alla guida, ma chi presenta anche minime tracce di sostanze risalenti a 70 ore prima», ha spiegato Magi, parlando di una «caccia alle streghe» dal sapore propagandistico.

La strategia difensiva degli avvocati di Elena punta a sollevare la questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte: se il Giudice di Pace di Udine accoglierà il ricorso, si aprirà la strada a una possibile revisione della legge, con effetti potenzialmente dirompenti per molte altre situazioni analoghe. I numeri, d’altronde, confermano che il problema è tutt’altro che isolato: nei primi tre mesi di applicazione del nuovo Codice della strada, dal 14 dicembre 2024 al 15 marzo 2025, la polizia stradale ha ritirato 16.432 patenti. Un record assoluto, se si pensa che in tutto il 2024 le patenti sospese erano state 38mila.

Il nuovo Codice della strada, entrato in vigore il 14 dicembre 2024, ha generato forti critiche per le potenziali implicazioni nei confronti dei pazienti che utilizzano cannabis terapeutica. La norma prevede infatti sanzioni severe per chi risulti positivo al test antidroga, che rileva la presenza di cannabinoidi nell’organismo senza distinguere chi è sotto effetto della sostanza da chi ha assunto una dose terapeutica giorni prima. Tracce di THC possono infatti persistere fino a tre giorni nel corpo, ben oltre la durata degli effetti psicotropi. Nelle settimane successive all’approvazione del testo, associazioni di pazienti e avvocati si sono spinti a diffidare il governo, chiedendo l’immediata convocazione di un Tavolo tecnico entro il 20 gennaio per definire deroghe specifiche. Sebbene Salvini avesse aperto a modifiche, non è stata adottata in tal senso alcuna misura concreta.

USA, inondazioni nel Midwest e nel Sud: almeno 18 morti

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Sono almeno diciotto le vittime causate dalle forti piogge e inondazioni che negli ultimi giorni hanno colpito alcuni Stati meridionali e del Midwest degli Stati Uniti. Tra i morti ci sono anche due bambini. I fenomeni meteorologici, particolarmente violenti, hanno provocato anche centinaia di feriti e grossi danni materiali. Nel frattempo, i livelli dei bacini idrici continuano a crescere in diverse zone di Arkansas, Tennessee e Kentucky. Si sono verificate in alcuni casi esondazioni che hanno causato la sommersione di strade e abitazioni. Nel Kentucky centro-settentrionale, le autorità hanno ordinato l’evacuazione di Falmouth e Butler, centri siti vicino al fiume Licking.

Meta pubblicizza gli insediamenti israeliani illegali (ma censura chi denuncia il genocidio)

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Facebook ha consentito, nell’ultimo anno, la pubblicazione di annunci pubblicitari da parte di agenzie immobiliari israeliane che promuovono la vendita di abitazioni in villaggi e località della Cisgiordania occupata. La piattaforma, controllata dalla società Meta fondata e guidata da Mark Zuckerberg, ha ospitato inserzioni relative a immobili situati all’interno di insediamenti considerati illegali secondo il diritto internazionale. Alcuni annunci chiedevano anche la demolizione di edifici palestinesi, comprese scuole, mentre altri sollecitavano donazioni a favore dei soldati israeliani impegnati nelle operazioni militari nella Striscia di Gaza. Secondo diverse segnalazioni, Meta ha quindi permesso la diffusione di contenuti pubblicitari a sostegno di azioni considerate in violazione del diritto internazionale. Allo stesso tempo, la piattaforma ha rimosso contenuti che documentavano tali operazioni, ha oscurato pagine e profili pro-Palestina e ha licenziato alcuni dipendenti che avevano espresso dissenso rispetto a queste scelte.

Facebook ha pubblicato oltre 100 annunci pubblicitari a pagamento che promuovono insediamenti illegali e attività di coloni nella Cisgiordania occupata: è quanto emerge da un’inchiesta pubblicata da Al Jazeera. La maggior parte degli annunci riguarda la vendita di immobili situati nei territori occupati, rivolti ad acquirenti israeliani, statunitensi e britannici. Le inserzioni sono apparse per la prima volta nel marzo 2024 e molte risultano ancora attive. Tra queste, 48 sono state pubblicate dall’agenzia Gabai Real Estate, che promuove abitazioni all’interno degli insediamenti di Ma’ale Adumim e Efrat. Le abitazioni fanno parte di un piano di espansione approvato nello stesso mese dal Comitato di pianificazione superiore israeliano, organo sottoposto al Ministero delle Finanze guidato da Bezalel Smotrich, il quale, dal 2023, non necessita più di approvazioni politiche o militari per l’autorizzazione di nuovi insediamenti.

Tra le pubblicità individuate da Al Jazeera figurano quattro annunci della società immobiliare Ram Aderet, che promuovono la vendita di proprietà nell’insediamento israeliano di Ariel, situato a circa 20 chilometri a est della Linea Verde, nella Cisgiordania occupata. Ram Aderet ha ricevuto finanziamenti dalla Prima Banca Internazionale di Israele, istituto oggetto di una campagna di boicottaggio da parte del movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni), che accusa la banca di sostenere il sistema degli insediamenti nei territori occupati. Il 12 febbraio 2020, le Nazioni Unite hanno incluso la Prima Banca Internazionale di Israele in una lista di 112 entità coinvolte nel sostegno all’espansione degli insediamenti israeliani. L’inserimento è motivato dalla «fornitura di beni e servizi a sostegno della manutenzione e dell’esistenza degli insediamenti» e dalle «attività bancarie e finanziarie che contribuiscono allo sviluppo, all’espansione o al mantenimento degli insediamenti e delle loro operazioni».

Secondo il diritto internazionale, tutti gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono illegali. Il trasferimento della popolazione civile di una potenza occupante all’interno di territori occupati è classificato come crimine di guerra dallo Statuto di Roma della Corte penale internazionale. Oltre alla promozione di vendite immobiliari, tra gli annunci individuati da Al Jazeera figurano anche richieste di demolizione di abitazioni, scuole e parchi giochi palestinesi, allo scopo di liberare spazio per nuovi insediamenti. Inoltre, al di là della questione insediativa, Meta ha pubblicato annunci pubblicitari destinati alla raccolta fondi per unità militari israeliane impegnate nelle operazioni di sterminio nella Striscia di Gaza.

Interessante notare come, mentre lucrava sulla pubblicazione di annunci che promuovono l’espulsione nei confronti dei palestinesi, Meta ha costantemente censurato i contenuti che denunciano il genocidio ed esprimono sostegno nei confronti della resistenza palestinese. Arrivando al punto di denunciare chi, all’interno della stessa azienda, si opponeva alla censura. Come accaduto a Ferras Hamad, che ha fatto causa a Meta per il suo licenziamento che sostiene sia basato sulla condotta contraria agli algoritmi che oscurano i contenuti che riguardano il massacro subito dal popolo palestinese. Anche in Italia, la censura di Meta ha colpito i contenuti contrari agli interessi di Israele e in favore del popolo palestinese.

La scoperta di una fossa comune di soldati romani racconta la storia di un disastro militare

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Nella città di Vienna, in Austria, è stata scoperta per caso una fossa comune romana durante i lavori di ristrutturazione di un campo da calcio. A rivelarlo è il Dipartimento di archeologia della città insieme al Wien Museum, che parlano di «un ritrovamento unico in Europa che potrebbe contenere la chiave per decifrare la storia della fondazione di Vienna». Gli scavi hanno portato alla luce i resti di oltre 150 individui, per lo più soldati romani, probabilmente vittime di una battaglia conclusasi con una tragica ritirata. Gli scheletri, datati tra il I e il II secolo d.C., testimoniano una fase della storia della città finora conosciuta solo attraverso fonti scritte, secondo gli esperti, i quali avvertono però che saranno necessarie ulteriori indagini per comprendere le condizioni e gli stili di vita dei soldati. «A Vienna si è sempre pronti a imbattersi in tracce romane non appena si apre un marciapiede o si apre la terra», commenta Veronica Kaup-Hasler, assessora alla Cultura e alla Scienza della città.

Nel periodo in cui è avvenuta la scoperta, l’area che oggi corrisponde a Vienna faceva parte dell’Impero Romano. La città di Vindobona, che in seguito sarebbe diventata Vienna, era un avamposto militare situato lungo il Limes del Danubio, la linea di difesa che separava l’Impero dalle tribù germaniche. Fino al III secolo d.C., la cremazione era la pratica funeraria più comune nelle province romane d’Europa, e solo raramente si registravano sepolture di corpi interi. La fossa comune di Simmering rappresenta quindi, secondo gli esperti, un’anomalia, poiché contiene resti di soldati sepolti in modo disordinato e con segni evidenti di ferite da combattimento. Nonostante la scoperta sia avvenuta per caso durante i lavori di ristrutturazione di un campo da calcio, un team di archeologi e antropologi ha successivamente analizzato i resti scheletrici e i reperti associati, tra cui armature, elmi e pugnali.

Il sito ha rivelato che i resti appartengono quasi esclusivamente a uomini giovani, alti oltre 1,70 metri e con un’età media compresa tra i 20 e i 30 anni, probabilmente soldati. Gli scheletri mostrano pochi segni di malattie infettive, un buono stato di salute generale e ferite da combattimento, tra cui lesioni a cranio, torace e bacino, attribuite a scontri armati, secondo i ricercatori. «In base alla disposizione degli scheletri e al fatto che si tratta esclusivamente di resti maschili, si può escludere che il sito fosse legato a un ospedale o a una struttura simile, o che un’epidemia sia stata la causa della morte», ha dichiarato l’antropologa Michaela Binder, precisando che le ferite risultano compatibili con l’uso di armi di epoca romana come lance, spade e pugnali. I reperti sono stati datati tra la fine del I secolo e l’inizio del II secolo d.C. e, secondo il contesto, indicano che queste persone siano morte durante un conflitto lungo il confine dell’Impero con popolazioni barbariche. «La fossa comune di Simmering rappresenta la prima prova fisica di combattimenti in questo periodo e individua il possibile luogo di una battaglia nell’area dell’attuale Vienna. L’evento attestato qui potrebbe essere stato una delle ragioni per l’ampliamento della piccola base militare in un accampamento legionario a Vindobona, a meno di sette chilometri dal sito. Hasenleitengasse potrebbe quindi segnare l’inizio della storia urbana di Vienna», ha dichiarato Martin Mosser, archeologo del Dipartimento di archeologia urbana, precisando che saranno necessarie ulteriori analisi, tra cui studi sul DNA e sugli isotopi, per approfondire le origini e le condizioni di vita dei soldati.

[di Roberto Demaio]

Gaza, raid israeliano su tenda per giornalisti: 2 morti

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Un attacco aereo dell’esercito israeliano ha colpito una tenda a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, dove si trovavano alcuni giornalisti nei pressi dell’ospedale Nasser. Lo ha reso noto la Difesa civile palestinese, affiliata al ministero degli Interni di Gaza. L’offensiva ha causato due morti, tra cui un giornalista, e il ferimento di altre persone, tra cui due giornalisti. Il numero di cronisti morti dallo scoppio del conflitto sale così a 210. I nuovi attacchi sono avvenuti dopo che l’esercito israeliano ha ucciso più di 50 persone, ordinando agli abitanti di cinque quartieri del centro di Deir el-Balah di fuggire.

Ad Anagni saranno adibiti 11 capannoni alla produzione di munizioni per missili e bombe

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Dopo oltre trent’anni, l’industria militare potrebbe tornare ad Anagni. La città dei Papi, nota per la sua storia millenaria, si prepara a un futuro molto diverso: la produzione di esplosivi. La Knds Ammo Italy, multinazionale franco-tedesca leader europeo nella difesa terrestre e navale, ha infatti presentato un progetto per riconvertire l’ex stabilimento Winchester. Finora destinato alla “demilitarizzazione” – cioè al disassemblaggio e recupero di materiali bellici – il sito potrebbe diventare, a partire dalla primavera 2026, un polo produttivo di nitrogelatina, sostanza base per i propellenti di missili e bombe. Il progetto, ora in fase di valutazione da parte della Regione Lazio, prevede la costruzione di 11 nuovi capannoni su un’area di circa 2500 metri quadri.

La decisione della Knds arriva sulla scia dell’approvazione dell’ASAP (Act to Support Ammunition Production), il piano europeo varato nel 2023 per potenziare la produzione di munizioni dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Un’opportunità che il gruppo franco-tedesco – già presente a Colleferro con un altro stabilimento – ha scelto di cogliere rilanciando la storica area industriale di Anagni, nascosta tra l’autostrada e la via Casilina, in un polmone verde della Valle del Sacco. In passato, l’area ospitava la Winchester, importante realtà industriale chiusa nei primi anni Novanta. Dopo anni di abbandono e passaggi di gestione, era stata recuperata dalla Simmel Difesa e successivamente assorbita dalla Knds. L’attuale progetto prevede la produzione fino a 150 chilogrammi all’ora di nitrogelatina, ottenuta mescolando nitroglicerina diluita in acqua con una piccola percentuale di nitrocellulosa, derivata dal cotone trattato con acidi. Questo composto è relativamente più sicuro da maneggiare rispetto alla nitroglicerina pura, ed è fondamentale per la realizzazione di propellenti militari.

L’iniziativa promette benefici economici e occupazionali per il territorio, sebbene gran parte del personale che verrà richiesto sarà altamente specializzato. Le perplessità e le preoccupazioni fioccano invece sul piano ambientale e della sicurezza. Gli stabilimenti sorgono infatti vicino a zone abitate e ad aree agricole, alimentando timori per un uso intensivo di risorse idriche e per l’impatto potenziale sulle falde acquifere e sull’ecosistema locale. Tra le voci critiche si è levata quella di Sara Battisti, consigliera regionale del Partito Democratico, che ha denunciato il progetto come «un rischio inaccettabile per l’ambiente e per la salute delle nostre comunità». Battisti ha annunciato un’interrogazione a risposta immediata al presidente della Regione Lazio, chiedendo chiarimenti sulle misure di tutela per il territorio e per i cittadini coinvolti.

Il sito di Anagni, oggi gestito da Knds Ammo Italy, si trova a pochi passi dall’autogrill “La Macchia”, ben nascosto alla vista in mezzo a campi e boschi. Il ritorno della produzione militare – dopo anni di quiete e smantellamento – rischia di cambiare radicalmente il volto di questa zona della Ciociaria. Il futuro della “capitale della nitrogelatina” dipenderà dalle decisioni della Regione Lazio, chiamata a bilanciare crescita economica e tutela della salute pubblica. In attesa del responso, ad Anagni si respira una tensione crescente: quella che accompagna ogni grande trasformazione industriale, soprattutto quando in gioco ci sono esplosivi e munizioni.

Il programma europeo ASAP (Act in Support of Ammunition Production) – lanciato nel maggio del 2023 per il sostegno all’esercito ucraino – è stato messo a punto per aumentare rapidamente la produzione di munizioni e missili nei Paesi dell’Unione Europea. L’obiettivo è finanziare e potenziare le aziende che producono armamenti, riducendo i tempi di consegna e migliorando la capacità industriale. L’UE ha stanziato circa 500 milioni di euro per il progetto, con la possibilità di ulteriori fondi. Nello specifico, la Commissione Europea ha selezionato una trentina di progetti per sostenere l’industria europea nell’aumento della produzione delle polveri. Il nostro Paese è presente con le aziende Simmel Difesa e Bachieri&Pellagri.

Pakistan, uccisi 9 filo-talebani al confine con l’Afghanistan

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Continuano gli scontri tra milizie filo-talebane ed esercito regolare pakistano. Oggi l’esercito pakistano ha affermato di aver ingaggiato degli scontri con un gruppo di talebani pakistani, uccidendo nove militanti, tra cui un capobanda. Gli scontri, in particolare, sono avvenuti a Dera Ismail Khan, una città nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa al confine con l’Afghanistan. Le persone uccise facevano parte del Movimento dei talebani del Pakistan (Tehrik-e-Taliban Pakistan, o TTP), che è un alleato dei talebani in Afghanistan e rafforzatosi da quando i talebani afghani hanno preso il potere nel Paese nel 2021.

Trump ha approvato la vendita di ventimila fucili d’assalto a Israele

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Gli Stati Uniti continuano ad approvare vendite di armi a Israele, lontano da occhi indiscreti. L’ultima, infatti, sarebbe avvenuta circa un mese fa, ma ne è stata diffusa notizia solo a inizio aprile. Secondo un documento visualizzato dall’agenzia di stampa Reuters, gli USA avrebbero autorizzato la vendita di oltre 20.000 fucili d’assalto di fabbricazione statunitense a Israele, nell’ambito di un accordo ritardato dalla precedente amministrazione Biden per timore che le armi potessero essere utilizzate dai coloni israeliani in Cisgiordania. Almeno in teoria, le armi, fucili d’assalto automatici, sarebbero destinate alla dotazione della polizia nazionale, ma il Dipartimento di Stato ha preferito non rilasciare alcuna dichiarazione quando gli è stato chiesto se Israele avesse fornito rassicurazioni sul loro uso. Il totale della transazione sarebbe pari a 24 milioni di dollari, che andrebbero così ad aggiungersi ai miliardi già sbloccati dall’amministrazione Trump.

La vendita dei 20.000 fucili d’assalto a Israele sarebbe avvenuta il 6 marzo, ma è stata resa nota solo venerdì 4 aprile. Il documento visualizzato dall’agenzia di stampa Reuters parla di fucili completamente automatici Colt Carbine calibro 5,56 mm. Questa stessa vendita era stata sospesa dopo che i legislatori democratici avevano sollevato obiezioni e chiesto informazioni su come Israele intendesse utilizzare i fucili. Quando era presidente, infatti, Biden aveva diffuso un memorandum in cui ricordava gli obblighi legali degli USA, che impediscono al Paese di trasferire armi quando è «più probabile di quanto non lo sia» che esse vengano utilizzate per commettere o facilitare il compimento di atti che violano i diritti umanitari. Contrariamente a quanto sostenuto da molti media, non si trattava di un «embargo parziale», tuttavia il documento aveva sortito qualche limitato effetto, bloccando indirettamente alcune vendite, proprio come quella di fucili potenzialmente utilizzabili dai coloni o quella di bombe ad alto impatto distruttivo.

La vendita di marzo si colloca all’interno di una generale accelerazione nella spedizione di armi statunitensi verso lo Stato ebraico. Sin da quando si è insediata, l’amministrazione Trump ha sbloccato vecchie transazioni e approvato nuove vendite per un valore totale di almeno 12 miliardi di dollari. Per quanto dal lato democratico ci sia maggiore contrarietà alla vendita di armi a Israele, il sostegno di cui godono le varie iniziative è quasi sempre bipartisan. Giovedì scorso, il Senato degli Stati Uniti ha respinto a larga maggioranza una proposta avanzata da Bernie Sanders per bloccare 8,8 miliardi di dollari di vendite di armi a Israele, votando separatamente due risoluzioni che hanno ottenuto solo 15 voti contrari su un totale di poco meno di 100 votanti.

Intanto non si fermano le aggressioni israeliane in Palestina. Domenica, dopo che le brigate di Al Qassam, il braccio armato di Hamas, hanno lanciato un bombardamento verso Israele, lo Stato ebraico ha intensificato le proprie operazioni a Gaza. Stamattina, l’aviazione israeliana ha bombardato una tenda che ospitava giornalisti vicino all’ospedale Nasser di Khan Younis, uccidendo almeno 2 persone e ferendone altre 7. Sempre in mattinata, Israele ha bombardato un edificio residenziale a Deir al Balah, nel centro della Striscia. Solo tra ieri e oggi, Israele ha ucciso oltre 50 persone. In totale, dall’escalation del 7 ottobre, l’esercito israeliano ha ucciso direttamente almeno 50.695 persone, anche se il numero totale dei morti potrebbe superare le centinaia di migliaia, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet e da una lettera di medici volontari nella Striscia. Dalla ripresa delle aggressioni su larga scala del 18 marzo, invece, Israele ha ucciso almeno 1.338 persone.