domenica 28 Dicembre 2025
Home Blog Pagina 168

Il Gabinetto di guerra israeliano ha approvato il piano d’occupazione di Gaza

3
Secretary of State Antony J. Blinken meets with Israel's War Cabinet in Tel Aviv, Israel, January 9, 2024. (Official State Department photo by Chuck Kennedy)

All’alba di oggi, 8 agosto, al termine di una riunione durata circa dieci ore, il Gabinetto di guerra israeliano – ossia il vertice di governo ristretto che prende le decisioni militari – ha approvato la proposta del primo ministro Benjamin Netanyahu per invadere ed occupare militarmente Gaza. Il piano approvato prevede cinque punti: “il disarmo di Hamas; il ritorno di tutti gli ostaggi vivi o deceduti; la smilitarizzazione della Striscia di Gaza; il controllo di sicurezza israeliano nelle Striscia; l”istituzione di un’amministrazione civile alternativa che non sia né Hamas né l’Autorità Nazionale Palestinese”.

Il comunicato evita accuratamente di pronunciare la parola occupazione, ma la sostanza non cambia. Secondo quanto riferito dal media israeliano Harretz, il piano prevede l’occupazione militare del 25% del territorio di Gaza che ancora l’esercito israeliano non controlla, e che è proprio la parte in cui si trovano rifugiati gli oltre due milioni di palestinesi, in costante fuga dai crimini di guerra israeliani che hanno già ucciso oltre 60.000 persone. Entro la data rituale del 7 ottobre il piano israeliano prevede di aver sfollato la capitale della Striscia, Gaza City, all’interno della quale vivono circa 800.000 persone, e poi di occuparla per «eliminare tutti i membri di Hamas rimanenti». Secondo quanto precisato da Netanyahu sarà direttamente l’esercito israeliano ad occuparsi della gestione «umanitaria», distribuendo «assistenza alla popolazione civile al di fuori delle zone di combattimento». Significa evidentemente che non sarà consentito di operare né all’ONU, né alla Croce Rossa Internazionale, né ad alcuna organizzazione umanitaria.

Secondo quanto riferito da diversi media israeliani la riunione del Gabinetto di guerra è stata contraddistinta da aspre discussioni, specie a seguito delle rimostranze emerse da parte dei vertici dell’esercito israeliano, in parte contrari all’idea di invadere e occupare militarmente Gaza. Nelle strade di Tel Aviv durante la notte ci sono state anche le proteste di parte dell’opposizione e dei parenti degli ostaggi. Tuttavia la decisione è stata presa a maggioranza, sancendo la decisione israeliana di violare in maniera definitiva il diritto internazionale, dopo aver umiliato per ventidue mesi quello di guerra e quello umanitario al punto da doversi difendere presso la Corte di Giustizia Internazionale dall’accusa di genocidio e da avere il proprio primo ministro e due ministri colpiti da un mandato di arresto internazionale da parte della Corte Penale dell’Aja per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Con la decisione del Gabinetto di guerra Israele ha deciso di farsi beffe contemporaneamente di decine di risoluzione dell’ONU (a cominciare dalla numero 181, che nel 1948 assegnò la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est allo Stato di Palestina) e occupare militarmente una terra straniera con il pretesto dalla lotta al terrorismo.

Francia, domato il più grande incendio degli ultimi decenni

0

Dopo aver bruciato più di 160 chilometri quadrati nel sud del Paese e aver causato una vittima e 13 feriti, il più grande incendio boschivo in Francia degli ultimi decenni è stato finalmente domato. Lo hanno riferito le autorità francesi. Il rogo è divampato martedì e ha devastato la regione dell’Aude, diffondendosi rapidamente a causa del clima caldo e secco. Le temperature più fresche durante la notte e i venti più calmi ne hanno rallentato l’avanzata e hanno permesso ai vigili del fuoco di procedere. L’incendio ha interessato 15 comuni della regione montuosa delle Corbières, distruggendo o danneggiando almeno 36 abitazioni. 

In pochi anni l’Etiopia ha piantato 40 miliardi di nuovi alberi

8

In sei anni, l’Etiopia ha piantato oltre 40 miliardi di alberi, segnando una delle campagne di riforestazione e contrasto alla desertificazione più imponenti del mondo. Il traguardo è parte della Green Legacy Initiative, lanciata nel 2019 dal primo ministro Abiy Ahmed con l’ambizioso obiettivo di raggiungere 50 miliardi di alberi messi a dimora entro il 2026. In queste settimane, il governo etiope ha in particolare avanzato l'ambiziosa sfida di piantare 700 milioni di alberi in un solo giorno. La campagna, annunciata a fine luglio, fa parte del piano per il 2025, che punta a mettere a dimora 7...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Solo 22 Paesi stanno perseguendo gli impegni climatici stabiliti alla COP28

0

A quasi due anni dall’intesa raggiunta alla Conferenza delle Parti di Dubai (COP28), in cui oltre 130 Paesi si impegnarono a triplicare la capacità mondiale di energie rinnovabili entro il 2030, gran parte dei governi non ha ancora tradotto quella promessa in azioni concrete. Secondo un rapporto del gruppo di esperti climatici Ember, in particolare, solo 22 Stati – in prevalenza membri dell’Unione Europea – hanno innalzato i propri obiettivi nazionali sulle rinnovabili dal ventottesimo vertice sul clima. Il risultato è un incremento globale delle ambizioni di appena il 2% rispetto a quanto dichiarato allora: sufficiente, forse, a raddoppiare la capacità rispetto ai livelli del 2022 (7,4 terawatt previsti), ma ben lontano dagli 11 terawatt che vennero fissati come traguardo da raggiungere.

Oltre agli Stati Membri dell’UE, solo sette Paesi hanno aggiornato i propri piani, ma tra questi, Messico e Indonesia li hanno addirittura modificati al ribasso. Colossi come Stati Uniti, Cina e Russia – responsabili insieme di quasi metà delle emissioni globali – non hanno compiuto passi avanti. Washington e Mosca non dispongono nemmeno di obiettivi per il 2030, mentre Pechino potrebbe definire la sua strategia nel prossimo piano quinquennale. L’India, pur non modificando i propri target, punta già a 500 gigawatt di rinnovabili entro il 2030, in linea con il traguardo globale. Il Vietnam, invece, è il Paese che ha mostrato la maggiore ambizione dopo la COP28, promettendo +86 gigawatt entro la fine del decennio. Per arrivare a dei sistemi elettrici quasi a zero emissioni, Australia e Brasile hanno annunciato aumenti rispettivamente di 18 e 15 gigawatt, mentre il Regno Unito ha rivisto al rialzo i propri piani (+7 gigawatt), così come la Corea del Sud che prevede una crescita di 9 gigawatt. Senza un’accelerazione immediata, avvertono gli analisti, la dipendenza dal fossile resterà però elevata. L’Italia dal canto suo ha conseguito appena il 22% dell’obiettivo 2030 fissato nel Decreto Aree Idonee, mancando all’appello 62 gigawatt che a questo punto andrebbero aggiunti in sei anni, quindi una decina di gigawatt in media ogni dodici mesi. L’Italia, assente alla votazione finale della COP28, si era distinta per un atteggiamento allineato alle posizioni più conservatrici di Dubai. Pur proponendosi come primo donatore, con 100 milioni di dollari, al fondo “Loss and damage” per i Paesi più vulnerabili, Roma non ha chiarito la provenienza dei fondi, legandoli genericamente al “Piano Mattei”, strategia che punta a fare dell’Italia un hub europeo del gas.

Nel complesso, comunque, già l’esito della COP28, nonostante fu il primo accordo a porsi l’obiettivo della “transizione dai combustibili fossili”, con l’obiettivo dell”azzeramento delle emissioni entro il 2050, non lasciava presagire un cambio di passo deciso. Il tanto celebrato “storico” accordo sulla transizione dai combustibili fossili, il “Global Stocktake”, risultava infatti privo di impegni vincolanti, scadenze chiare o un vero “phase out” (eliminazione graduale), sostituito dal più vago e accomodante verso i grandi produttori di petrolio e gas termine di “transitioning away” (transizione). Le pressioni dell’OPEC, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, e l’attenzione per tecnologie controverse come la cattura e lo stoccaggio del carbonio, utili più a prolungare la vita delle fonti fossili che a ridurne l’uso, avevano già ridimensionato le aspettative. A distanza di quasi due anni, il quadro tracciato dal rapporto Ember conferma queste preoccupazioni: la maggior parte dei governi non ha alzato l’asticella delle rinnovabili, e alcuni l’hanno persino abbassata, mentre le potenze responsabili di gran parte delle emissioni continuano a rimandare. In un contesto in cui persino i vertici sul clima diventano vetrine per nuovi accordi fossili – come quelli stretti dall’emiratina ADNOC , il cui CEO guidava i negoziati, con 15 Paesi inclusa l’italiana ENI – e in cui interessi economici e geopolitici prevalgono sull’urgenza ecologica, il rischio è che la promessa di triplicare le rinnovabili entro il 2030 resti un impegno di facciata, incapace di tenere viva la speranza di contrastare veramente la crisi ecologica in corso.

Belgio, tribunale vieta transito di materiale militare verso Israele

0

Il Tribunale di Bruxelles ha ordinato al governo fiammingo di bloccare un container di equipaggiamento militare nel porto di Anversa e di vietare qualsiasi futuro transito di armi verso Israele. È stata anche imposta una multa di 50.000 euro per ogni spedizione. A  giugno, quattro associazioni, tra cui Vredesactie, avevano evidenziato che le regioni belghe sono responsabili del controllo del transito delle armi e dei loro componenti. Nonostante il divieto di esportazione verso Israele dal 2009, l’udienza ha rivelato che il governo fiammingo controllava le armi solo su richiesta delle compagnie di trasporto.

Il governo impugna la legge siciliana che vuole medici che garantiscano il diritto all’aborto

0

Il governo ha impugnato davanti alla Corte Costituzionale la legge siciliana che obbligava gli ospedali pubblici ad assumere medici non obiettori di coscienza per garantire il diritto all’aborto ai propri pazienti. La legge era stata approvata lo scorso giugno, e imponeva agli ospedali di indire concorsi per assumere medici non obiettori nonché di provvedere alla loro sostituzione nel caso in cui avessero deciso di diventare tali in un secondo momento. Secondo l’esecutivo, la norma violerebbe la competenza statale in materia di ordinamento civile, nonché «i principi di uguaglianza, di diritto di obiezione di coscienza, di parità di accesso agli uffici pubblici e in tema di pubblico concorso».

L’annuncio di impugnazione della legge siciliana da parte del governo è arrivato il 4 agosto. La legge siciliana prevede che i reparti di ostetricia e ginecologia degli ospedali della regione si dotino di aree dedicate alla pratica, laddove non siano già presenti; entro metà settembre, l’assessore regionale per la salute dovrebbe fornire indicazioni sul funzionamento e l’organizzazione di tali aree. La norma stabilisce infine che esse siano sempre dotate di personale non obiettore di coscienza, e che vengano istituiti concorsi appositi per la loro assunzione. Il governo ha contestato alla norma la violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, che stabilisce che lo Stato ha “legislazione esclusiva” in materia di “ordinamento civile”; contestati anche gli articoli 2, 3, 19, 21, 51, primo comma, e 97 della Costituzione. Secondo il governo, insomma, la legge siciliana minerebbe: “i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”; il principio di uguaglianza; il diritto di professare la propria fede religiosa; la libertà di opinione, e precisamente la libertà di esercitare il diritto di obiezione; la libertà di accesso agli uffici pubblici. Violerebbe, infine, il funzionamento dei concorsi pubblici. Secondo il governo, insomma, la legge fornirebbe una via di accesso privilegiato ai medici non obiettori.

Il diritto all’aborto in Italia è stato introdotto dalla legge 194 del 1978. Sebbene esso sia garantito, in Italia i medici obiettori di coscienza sono la maggioranza, e le strutture che offrono il servizio sono poche. I dati a disposizione sul tema sono ridotti: l’ultima relazione sull’attuazione della legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza (IVG) è stata pubblicata a fine 2023 con i dati definitivi del 2021. Essa riferisce che in quell’anno, in Italia, 335 sedi ospedaliere su 562 dotate di un reparto di ostetricia (o ginecologia) garantivano l’accesso all’aborto, pari al 59,6% del totale; sempre su scala nazionale, la relazione illustra inoltre che il numero di obiettori è pari al 63,4% dei ginecologi, al 40,5% degli anestetisti e al 32,8% del personale non medico. In Sicilia l’accesso al servizio è molto più complicato: dei 56 ospedali dotati di un reparto di ostetricia o ginecologia, solo la metà garantisce l’IVG. Il tasso di obiettori, invece, risulta essere dell’85% tra i ginecologi, del 69,8% tra gli anestetisti e del 71,5% tra il personale non medico.

Thailandia: 23 persone incriminate per il crollo di un grattacielo per il terremoto

0

I procuratori thailandesi hanno incriminato 23 persone per il crollo di un grattacielo di Bangkok avvenuto durante il terremoto dello scorso marzo. L’edificio, alto 30 piani, era ancora in costruzione, e a causa del suo crollo sono morte 89 persone, prevalentemente lavoratori. Vista la rapidità con cui è collassato, sono state avviate delle indagini. Le persone incriminate sono accusate di avere violato le leggi sull’edilizia e di avere provocato la morte delle vittime. Il terremoto che ha colpito la Thailandia è scoppiato il 28 marzo con epicentro in Birmania. In totale sono morte oltre 3.000 persone.

Cortina ’26: il Governo stanzia oltre 300 milioni di euro per coprire i buchi di bilancio

0

Con 156 voti favorevoli, 85 contrari e 6 astenuti, la Camera dei Deputati ha dato il via libera definitivo al Decreto Sport. Esso include diverse norme, prime fra tutte quelle rivolte a coprire i buchi di bilancio della Fondazione Milano-Cortina per le Olimpiadi invernali 2026. Il decreto-legge “Sport” stanzia infatti 328 milioni di euro alla istituzione di un nuovo Commissario per le Paralimpiadi, che avrebbe il compito di «subentrare nei rapporti giuridici della Fondazione». Una formulazione che appare come una scusa per scorporare parte dei costi, dal momento che le Paralimpiadi erano già presenti nel Comitato. Nel mentre, significativi ritardi sulla realizzazione di molte opere, numerosi problemi di bilancio e scandali – anche giudiziari – sulla mala gestione dei lavori complicano ulteriormente la situazione, aumentando i timori per la buona riuscita dei Giochi.

Con l’obiettivo dichiarato di «favorire l’inclusione sociale e abbattere le barriere sociali e culturali promuovendo la pratica sportiva delle persone con disabilità e i principi del movimento paralimpico», si legge all’art. 5 del decreto, «è nominato un Commissario straordinario quale soggetto responsabile del processo di indirizzo, coordinamento e attuazione delle attività e degli interventi necessari all’organizzazione e allo svolgimento dei XIV Giochi paralimpici invernali “Milano-Cortina 2026”». E proprio qua si incardina la lievitazione della spesa prevista per le Olimpiadi rispetto alle previsioni originali. A rivelarlo, mettendolo nero su bianco, è infatti la relazione tecnica pubblicata dalla Camera dei Deputati che accompagna il decreto, in cui si conferma l’assegnazione di quasi 400 milioni di euro a Fondazione Milano Cortina, proprio grazie alla creazione del commissario per le Paralimpiadi. A quest’ultimo il governo assegna 248 milioni di euro per «la tempestiva realizzazione degli interventi» e altri 79 milioni per «le esigenze di carattere logistico necessarie allo svolgimento delle competizioni sportive», portando la somma a 328 milioni. Inoltre, vengono veicolati 43 milioni per potenziare la sicurezza attorno alle sedi olimpiche, con l’esborso complessivo che sale a 371 milioni di euro.

Nel frattempo, i lavori per le Olimpiadi Milano-Cortina 2026 affrontano numerosi problemi, tra cui ritardi, difficoltà di bilancio e disastri naturali. Tra giugno e luglio, il bellunese è stato colpito da frane e smottamenti che hanno interessato la statale Alemagna, una delle strade principali su cui si dovrebbero realizzare opere per le Olimpiadi, sollevando molte preoccupazioni circa i rischi idrogeologici nell’area. I comitati locali avevano già avvisato nel 2021 sui pericoli legati alle opere olimpiche, ma senza riscontro, trovandosi anche a dover pagare risarcimenti. Nello specifico, gli smottamenti si sono verificati nei pressi di tre importanti progetti stradali a San Vito di Cadore, Valle di Cadore e Pieve di Cadore, che insieme ammontano a 250 milioni di euro. Inoltre, la società SIMICO ha in programma la costruzione di due varianti stradali, una a Longarone e una a Cortina, ma i lavori non sono nemmeno iniziati, con scadenze di completamento nel 2027 e 2028. Altri lavori legati alle Olimpiadi stanno accumulando ritardi. 21 progetti nel Veneto, di cui 8 non saranno completati prima dell’inizio dei Giochi. Ad esempio, la ristrutturazione dell’Arena di Verona per la cerimonia di apertura e chiusura delle Olimpiadi non sarà pronta prima di dicembre 2026, mentre la riqualificazione di Piazza Mercato e altre infrastrutture cruciali sono in forte ritardo.

A complicare ulteriormente la situazione, ci sono gli scandali e i concreti indicatori di mala gestione che hanno segnato l’organizzazione dei Giochi. Lo scorso aprile la Procura di Milano ha chiesto di archiviare l’inchiesta sulla Fondazione organizzatrice, in cui si ipotizzano reati di corruzione e turbativa d’asta, ma ha sollevato la questione di costituzionalità sul decreto del governo che, trasformandola in ente privato, avrebbe ostacolato intercettazioni e sequestri preventivi di un presunto profitto di reato di circa 4 milioni. Il tutto non considerando un buco milionario generato dalla Fondazione: in un contesto già segnato da deficit patrimoniali accumulati dalla Fondazione – oltre 107 milioni – la stima dei costi è infatti lievitata di ulteriori 180-270 milioni.

Azure: il cloud di Microsoft che permette a Israele di sorvegliare i palestinesi

1

Microsoft fornisce da anni i propri servizi cloud all’intelligence israeliana, con l’obiettivo di consentire una sorveglianza di massa sulla popolazione palestinese. Non solo: i sistemi della Big Tech sarebbero stati utilizzati attivamente durante l’invasione israeliana di Gaza, per individuare con maggiore precisione i bersagli da colpire nei bombardamenti. L’azienda nega di essere stata coinvolta nelle operazioni militari, tuttavia i documenti interni suggeriscono non solo una piena consapevolezza, bensì anche la volontà della dirigenza di consolidare i rapporti con il Ministero della Difesa...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

USA-Russia: “Raggiunto accordo per incontro tra Trump e Putin”

0

Donald Trump ha annunciato che la prossima settimana potrebbe incontrare il presidente russo Vladimir Putin, segnando il primo incontro tra un presidente statunitense e Putin dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. La Russia conferma che il vertice Putin-Trump potrebbe aver luogo la prossima settimana e che i preparativi sono in corso per bocca del rappresentante speciale del presidente russo per la cooperazione economica con i paesi stranieri, Kirill Dmitriev, e del consigliere del leader russo, Yuri Ushakov. Trump aveva già incontrato Putin cinque volte durante il suo primo mandato. L’ultima volta che Putin incontrò un presidente statunitense (in quel caso Joe Biden) fu nel giugno 2021.