Oggi a Santo Domingo, capitale della Repubblica Dominicana, è crollato il tetto di una discoteca, causando la morte di almeno 18 persone e il ferimento di altre 121. L’incidente si sarebbe verificato nelle prime ore della giornata, e la conta delle vittime continua a salire. Le autorità hanno comunicato che le squadre di soccorso stanno ancora lavorando per estrarre le persone intrappolate sotto le macerie. Non è ancora disponibile una stima dei dispersi.
Le verità nascoste sul latte a lunga conservazione
Il latte è un alimento straordinario, tanto quello materno quanto quello di provenienza animale. Pensiamo soltanto che il bambino duplica il suo peso nei primi 6 mesi di vita, per poi triplicarlo entro il primo anno di età, soltanto assumendo latte. La crescita e lo sviluppo di cervello, cuore, ossa, muscoli e qualsiasi altro tessuto dell’organismo avviene con la sola assunzione di questo alimento, il cui valore nutrizionale è evidentemente altissimo, tanto da non avere eguali in natura. Ma quello che si acquista al supermercato mantiene tutte le qualità? E, soprattutto, è vero che tra latte fresco e a lunga conservazione (UHT) non c’è differenza come da sempre assicura l’industria alimentare? La verità è che vi sono grandi differenze e il latte a lunga conservazione non solo perde molti nutrienti, ma può anzi rivelarsi dannoso. Vediamo perché.
Il latte e i suoi derivati sono preziosi a livello nutritivo non solo per l’accrescimento dei cuccioli di ogni specie nei primi mesi di vita, ma anche per altre categorie di individui, come ad esempio gli anziani. Con l’avanzare dell’età si tende infatti a perdere massa ossea e muscolare (sarcopenia) e i livelli di alcuni ormoni si riducono drasticamente, con ricadute anche sul metabolismo e con il possibile insorgere di patologie quali diabete, problemi cardiovascolari e tumori. Con un quadro del genere, l’assunzione di latte e derivati (quali formaggi e yogurt) fornisce un valido supporto alla salute.
Fatta tale premessa, è necessario sottolineare che non tutti i prodotti commerciali forniscano tali benefici. Il latte che proviene direttamente dalla mammella della madre, assunto dal neonato senza alcun trattamento fisico o termico intermedio, è l’unico in grado di fornire l’intera gamma di nutrienti e nulla ha a che vedere con il latte confezionato. Si tratta di una discriminante che è bene tenere a mente per regolarsi al meglio nel consumo di questa bevanda.
Parlando, nello specifico, di latte animale vaccino, in commercio ne esistono una gran varietà. Muovendoci in ordine qualitativo decrescente (da quello di migliore qualità fino al peggiore), possiamo elencare:
- il latte crudo (non è pastorizzato in alcun modo);
- il latte fresco (pastorizzato a bassa temperatura);
- il latte microfiltrato (pastorizzato a bassa temperatura);
- il latte Più Giorni e tutti i latti da banco frigo con scadenza da 10 a 21 giorni, tecnicamente chiamati anche latte ESL (Extended Shelf-Life, ovvero latte a scadenza più lunga e pastorizzazione ad alta temperatura)
- il latte UHT, detto anche latte a lunga conservazione (a scaffale, non banco frigo, con scadenza di 90 giorni, pastorizzato a temperatura ultra-elevata).

Latte crudo e latte fresco
Per latte crudo si intende «il prodotto ottenuto mediante secrezione della ghiandola mammaria di animali d’allevamento che non è stato riscaldato a più di 40°C e non è stato sottoposto ad alcun trattamento avente un effetto equivalente».
Il latte crudo, per poter risultare idoneo alla vendita diretta al consumatore finale, non deve aver subito in alcun modo operazioni di sottrazione o addizione di un qualsiasi suo componente naturale (ad esempio, non può essergli stato tolto il grasso, motivo per cui non esistono confezioni di latte crudo parzialmente scremato in commercio, ma solo di latte intero). Deve inoltre essere consumato al più presto e comunque entro 3 giorni dalla messa a disposizione, conservandolo in frigo ad una temperatura tra 0°C e 4°C. Il latte crudo è in vendita soltanto direttamente in fattoria oppure presso i distributori cittadini, presenti in varie province italiane – i quali vendono esclusivamente questo tipo di latte. Per un elenco completo di tutti i distributori in Italia di latte crudo, è possibile visitare il sito Milk Maps, che offre un dettaglio provincia per provincia. Il latte crudo ha grandi benefici e si differenzia dalle altre tipologie di latte vaccino per quanto riguarda i trattamenti subiti dopo la mungitura, i quali gli consentono di mantenere determinate caratteristiche organolettiche e nutrizionali – che, con i trattamenti termici, vanno in gran parte perse. Il prodotto è quindi più genuino, fresco e gustoso. Possiamo – anzi, dobbiamo – considerare questo l’unico vero latte naturale, integro, con tutti i nutrienti inalterati. Purtroppo, questo è anche il latte meno utilizzato in assoluto (almeno in Italia), in quanto non risponde alle esigenze di comodità che il consumatore moderno richiede. Per acquistarlo bisogna infatti recarsi appositamente in fattoria o presso i distributori cittadini, dotati di proprio contenitore, rifornirsi e poi tornare a casa, magari dopo aver fatto diversi chilometri in auto. Scomodo, o comunque meno comodo che entrare al supermercato e acquistare un latte qualsiasi, assieme a tutto il resto della spesa. Inoltre, il latte crudo va consumato al massimo entro 3 giorni dall’apertura della confezione e anche in questo caso molti consumatori storcono il naso, in quanto vorrebbero un prodotto da consumare nell’arco di una settimana o anche più tempo. Per tutti questi motivi i distributori di latte crudo sono ormai in via di dismissione in tante città.
Il latte fresco è un buon compromesso tra un latte crudo e uno pastorizzato ad alte temperature, in quanto è pastorizzato a bassa temperatura, procedimento che gli permette di mantenere gran parte dei nutrienti e delle qualità nutrizionali. Tuttavia, anch’esso ha lo “svantaggio” di non andare troppo incontro alle comodità del consumatore moderno: scade dopo appena 6 giorni e ha un costo superiore rispetto ad altre tipologie di latte di inferiore qualità – come quello Più Giorni o l’UHT. Negli ultimi anni, diverse aziende che producevano il latte fresco hanno smesso di farlo per il calo delle vendite, che costringeva i supermercati (e i produttori stessi) a resi di lotti invenduti e cali di fatturato. Il latte fresco Granarolo, ad esempio, non esiste più dal 2023: la cooperativa bolognese ha infatti eliminato il suo prodotto più classico, decidendo di concentrarsi sul latte “pastorizzato ad alta temperatura”. Una decisione grave, che priva i consumatori dei nutrienti del latte fresco pastorizzato e li spinge verso un prodotto di qualità inferiore.
Latte pastorizzato e a lunga conservazione

Veniamo ora alle tipologie di latte di bassa qualità che sono collegate a problemi di salute proprio a causa dei processi fisico-chimici con cui si altera il latte fresco o il latte crudo: parliamo del latte pastorizzato ad alta temperatura e del latte UHT (Ultra High Temperature). L’industria, per poter fare profitti ingenti, deve fare in modo che i suoi prodotti rimangano in commercio per periodi lunghi: perché ciò avvenga con il latte, questo deve essere trattato al fine di scongiurare la deperibilità (3 giorni per il latte crudo, 6 per quello fresco). Un alimento vivo, ricco di enzimi e di batteri come lo è qualsiasi alimento naturale, che sia vegetale o animale come il latte, è un cibo che ha dei naturali e fisiologici tempi di freschezza e deperibilità. Per evitare la deperibilità le soluzioni a disposizione dell’industria sono due: usare dei conservanti chimici oppure fare dei trattamenti termici che sterilizzano il prodotto. Entrambe le soluzioni comportano una grande perdita di nutrienti e lo sviluppo di sostanze tossiche indesiderate all’interno dell’alimento.
Il latte e i prodotti lattiero-caseari sono solitamente sottoposti a procedure termiche prima di essere commercializzati e consumati. Il trattamento termico è finalizzato a eliminare i batteri patogeni e contaminanti, alcune spore e inattivare gli enzimi. Il trattamento termico induce tuttavia alcune reazioni (dette “di Maillard”) che modificano le proteine, generando prodotti come la furosina e il 5-idrossimetilfurfurale (5-HMF).
Molti altri cambiamenti fisico-chimici si verificano nel latte dopo il processo di pastorizzazione. Tra questi vi sono la degradazione del lattosio in lattulosio e acidi, la denaturazione delle proteine del siero di latte, la defosforilazione e l’idrolisi delle caseine, l’ossidazione dei grassi e la glicazione delle proteine. Tutti rovinano la qualità del latte e creano difficoltà digestive e problemi di allergie e infiammazione intestinale. La reazione di Maillard, per esempio, porta alla perdita di lattosio e aminoacidi essenziali, il che riduce il valore nutrizionale dei prodotti lattiero-caseari. Inoltre, alcuni sottoprodotti della reazione di Maillard sono dannosi per la salute umana, come il 5-HMF che ha citotossicità, mutagenicità indiretta, cancerogenicità, epatotossicità e nefrotossicità. Potrebbe anche ridurre il livello di glutatione cellulare (un antiossidante prodotto direttamente dal nostro organismo) e causare reazioni allergiche. Niente di tutto ciò avviene se si consuma latte crudo o latte fresco.
La realtà dei fatti è che la versione naturale di questo alimento è priva di effetti dannosi e nutre in maniera sana, quella industriale e trattata termicamente, funzionale al bisogno di illusoria comodità e benessere dell’uomo moderno (e all’arricchimento dell’industria) comporta problemi di salute. Inoltre, gran parte del latte UHT in commercio in Italia proviene dall’estero: in questi casi viene sottoposto a un doppio trattamento termico UHT, in quanto, per normativa, si deve pastorizzare prima del trasporto (nello Stato estero) e dopo l’arrivo in Italia, al fine di scongiurare eventuali contaminazioni microbiologiche che possono insorgere nelle fasi di carico, scarico, trasporto e così via.
E mentre in Italia la massa dei consumatori si abbuffa di latte UHT al prezzo inferiore di un euro al litro, in altri Stati, come l’Austria, le persone possono scegliere latte crudo alla spina, pagando il giusto all’allevatore (1,50 euro circa). Tutto questo avviene in un supermercato (Interspar), che normalmente vende moltissimi prodotti sfusi, in confezioni ecosostenibili, per scelta aziendale.
Sciopero generale nei territori palestinesi contro l’occupazione israeliana
Ieri è stata la giornata dello sciopero generale globale in supporto alla Palestina, lanciato dalle stesse organizzazioni dei lavoratori palestinesi. In tutta la Cisgiordania gli esercizi commerciali e le poche fabbriche attive hanno chiuso i battenti in solidarietà con i connazionali sotto attacco nella Striscia di Gaza. A Gerusaleme Est, Hebron, Ramallah, Tulkarem, Jenin, Selfit, Tubas e molte altre città negozi, scuole, istituzioni pubbliche e aziende hanno chiuso i battenti in protesta contro il genocidio e contro l’avanzata dell’esercito israeliano, che controlla ormai il 50% del territorio della Striscia.
Lo sciopero è stato partecipato in tutto il mondo, specialmente nei Paesi arabi. In Marocco, Algeria, Tunisia fino al Bangladesh e ai Paesi del golfo arabo si sono registrati enormi cortei in solidarietà del popolo palestinese. La giornata mondiale di sciopero è stata proclamata da tutte le organizzazioni politiche palestinesi «per amplificare le voci e mettere in luce gli orribili massacri e crimini dell’occupazione a Gaza e la distruzione sistematica volta a sfollare il nostro popolo».
Una protesta andata in scena nello stesso giorno in cui il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, si trovava in visita negli Stati Uniti, ricevuto con tutti gli onori nonostante il mandato di cattura per crimini di guerra e contro l’umanità emesso nei suoi confronti dalla Corte Penale Internazionale.

Le organizzazioni politiche palestinesi hanno anche sollecitato azioni da intraprendere per porre fine alla guerra «nel mezzo dell’incapacità della comunità internazionale di imporre sanzioni all’occupante o di ritenere responsabile il suo governo terrorista». L’accoglienza riservata a Netanyahu dall’Ungheria di Orban è sicuramente esplicativo del clima politico internazionale e della legittimazione che il primo ministro israeliano sta continuando a trovare.
Secondo le ultime stime a Gaza sono state uccise almeno 50.700 persone, e i bombardamenti a tappeto continuano dopo che Israele ha rotto il cessate il fuoco a marzo.
Anche all’interno della Cisgiordania occupata le forze militari di Tel Aviv continuano la loro aggressione contro la città di Jenin per il 77esimo giorno consecutivo, mentre Tulkarem è invasa da 72 giorni. Decine di case dei campi profughi sono state fatte esplodere e almeno 40mila le persone obbligate a lasciare la propria casa. Almeno 918 i palestinesi uccisi in Cisgiordania dal 7 di ottobre 2023 ad oggi.
Dazi, l’Europa sceglie la trattativa con Trump ma annuncia contromisure
L’Unione Europea ha svelato la propria strategia di risposta ai dazi statunitensi. La Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha affermato di avere proposto agli USA «tariffe zero-per-zero per automobili e beni industriali», tra cui dovrebbero rientrare prodotti farmaceutici, acciaio e alluminio, legname e semiconduttori. Intanto, la Commissione sta lavorando su una possibile contromisura ai dazi statunitensi. Domani è prevista la votazione di una lista di prodotti statunitensi su cui imporre tariffe aggiuntive, che dovrebbero entrare in vigore il 15 aprile. Il 15 maggio, invece, entrerebbero in vigore tariffe su una seconda lista di prodotti.
Antitrust, multa da 20 milioni alle biglietterie del Colosseo
L’Autorità garante ha stabilito una multa da 20 milioni di euro per i servizi di biglietteria del Parco archeologico del Colosseo, a causa della prolungata indisponibilità di biglietti d’accesso all’area. Nello specifico, a venire colpiti dalla sanzione sono la Società Cooperativa Culture (CoopCulture), che dovrà pagare una multa di 7 milioni di euro, e gli operatori turistici Tiqets International, GetYourGuide Deutschland, Walks, Italy With Family, City Wonders Limited e Musement. L’Antitrust aveva avviato l’istruttoria nel luglio 2023. Secondo l’Autorità, CoopCulture «ha contribuito, in piena consapevolezza, al fenomeno della grave e prolungata indisponibilità dei biglietti di ingresso per il Colosseo a prezzo base».
Il Decreto sicurezza ha messo fuorilegge anche la cannabis light
Con l’approvazione del DL Sicurezza, il decreto legge che incorpora gran parte dell’omonimo disegno di legge, il governo porta avanti la guerra alla cannabis light. La filiera agroindustriale di CBD e derivati interessa diversi settori, dal cosmetico alla bioedilizia, dall’alimentare al tessile. A essere colpito direttamente e indirettamente è un intero mercato dal valore di 2 miliardi di euro, che conta 22mila posti di lavoro. Nel DL, il cannabidiolo con THC sotto i limiti di legge italiani ed europei viene comparato a uno stupefacente, venendo di fatto messo fuorilegge. In passato, il governo Meloni ha provato diverse volte a bandire i prodotti a uso orale a base di cannabidiolo, venendo però fermato a più riprese dal TAR.
Il provvedimento varato dal governo modifica in maniera sostanziale la legge 242/2016, che promuoveva la filiera agroindustriale della canapa. In particolare, l’articolo 18 del Decreto Sicurezza consente ora la produzione di infiorescenze contenenti CBD solo se destinate al “florovivaismo professionale”, vietandone ogni altro uso, dal commercio alla lavorazione, dalla detenzione alla vendita. Gli agricoltori che coltivano canapa industriale, dunque, rischiano di ritrovarsi da un giorno all’altro in possesso di un prodotto considerato uno stupefacente, senza alcuna finestra di tempo per lo smaltimento o la regolarizzazione. Secondo Canapa Sativa Italia, Confagricoltura, Coldiretti e Filiera Italia, il decreto paralizzerà l’intero comparto, mettendo migliaia di aziende nell’incertezza proprio alla vigilia della stagione agricola. Nonostante mesi di tentativi di dialogo, audizioni parlamentari, conferenze stampa e studi economici a supporto della cannabis light, il governo ha tirato dritto. E lo ha fatto proprio mentre l’agroalimentare italiano affronta la minaccia dei dazi internazionali, il Pil rallenta e la disoccupazione giovanile cresce. Le associazioni di settore denunciano come la filiera della canapa non riguardi solo la produzione di infiorescenze, ma anche cosmetici, bioedilizia, alimentare e tessile. Settori adesso messi a rischio da una scelta che ha il sapore della crociata ideologica, fortemente promossa dal ministro Matteo Salvini e dal sottosegretario Alfredo Mantovano.
Le conseguenze per le imprese potrebbero essere devastanti. Come sottolinea l’avvocato Giacomo Bulleri, in casi normali, quando un prodotto diventa non conforme, si concede un periodo per il suo smaltimento. Qui, invece, tutto cambia da un giorno all’altro: i produttori si troveranno improvvisamente in possesso di uno stupefacente, con il rischio di pesanti conseguenze penali. L’unica cautela consigliata è isolare i prodotti incriminati, conservare tutta la documentazione e astenersi da qualsiasi attività di vendita. Nel frattempo, le associazioni del settore non si arrendono. Sono già stati annunciati ricorsi giurisdizionali a livello nazionale ed europeo, con la speranza di sollevare dubbi di costituzionalità e violazione delle normative comunitarie. Tuttavia, fino all’eventuale sospensione o annullamento del decreto, chi decidesse di proseguire l’attività si troverebbe in una situazione di disobbedienza civile, esponendosi a rischi enormi. Anche sul piano politico il fronte di opposizione si muove. +Europa ha annunciato la volontà di lanciare un referendum abrogativo, chiedendo a tutte le forze di minoranza di unirsi nella raccolta firme per contrastare una norma giudicata tanto irragionevole quanto dannosa per l’economia, la libertà d’impresa e la coerenza giuridica.
Già nell’agosto del 2023, con un decreto del Ministro Schillaci, il governo Meloni aveva inserito nel testo unico sugli stupefacenti i “prodotti da ingerire” a base di cannabidiolo – sostanze prive di effetti psicotropi –, impedendo la loro libera vendita in tutti i punti che non siano farmacie. Una decisione che fa a pugni con un’importante pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione Europea del novembre 2020, in cui si è sancito che i prodotti a base di Cbd non devono essere considerati come stupefacenti. Il decreto era successivamente stato bloccato dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, che aveva accolto un ricorso presentato dall’associazione Imprenditori Canapa Italia (Ici), disponendo la sospensione del decreto e rendendo nuovamente consentito il commercio dei prodotti. Nel luglio 2024, il governo ci ha riprovato, tornando a inserire i prodotti a base di cannabidiolo (CBD) nella lista delle sostanze medicinali contenenti stupefacenti. Tre mesi dopo, il TAR è nuovamente intervenuto per bloccare il decreto.
Nel frattempo, però, la maggioranza ha inserito nel DDL Sicurezza il divieto della produzione e del commercio della cannabis light. Federcanapa, associazione del settore, aveva indirizzato una lettera alla commissione di Giustizia della Camera dei Deputati per sollecitare un dietrofront, evidenziando come il divieto si sarebbe abbattuto sull’«intero comparto agroindustriale della canapa da estrazione, in particolare della produzione di derivati da CBD o da altri cannabinoidi non stupefacenti per impieghi in cosmesi, erboristeria o negli integratori alimentari», ricordando che «tali impieghi sono riconosciuti dalla normativa europea come impieghi legittimi di canapa industriale». Il dietrofront, però, non è arrivato. E, dal momento che il “Pacchetto Sicurezza” era da mesi arenato in Parlamento, con un blitz in Consiglio dei Ministri il governo negli scorsi giorni ha trasformato il testo in un decreto. Che, dunque, diventa subito applicabile dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e dovrà essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni.
L’esercito israeliano ha occupato il 50% del territorio di Gaza
L’esercito israeliano sta radendo al suolo la Striscia di Gaza per creare una «zona cuscinetto militarizzata», tanto che, nelle ultime settimane, sarebbe arrivato a controllare la metà del territorio. I vertici dell’esercito la chiamano il «perimetro» e avrebbero dato indicazioni precise per la sua instaurazione: «distruggere tutto quello che si può» così da non «fare tornare i palestinesi mai più». È questo quello che si legge nell’ultimo rapporto di Breaking the Silence, associazione di veterani israeliani che si propone di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle conseguenze dell’occupazione militare israeliana in Palestina. Secondo le testimonianze raccolte dall’ONG, il piano di demolizione delle aree di confine sarebbe stato chiaro sin dall’inizio delle aggressioni, il 7 ottobre 2023, e punterebbe a facilitare una occupazione militare della Striscia schiacciando notevolmente la linea di confine tra Israele e l’enclave costiera. Secondo il rapporto, il “perimetro” dovrebbe estendersi per il 16% della Striscia, ma stando a ulteriori analisi a ora Israele avrebbe di fatto occupato più del 50% del territorio gazawi.
Il rapporto di Breaking the Silence è uscito ieri, lunedì 7 aprile. In esso, la ONG raccoglie circa una dozzina di testimonianze di soldati e ufficiali dell’esercito che hanno preso parte alla creazione del “perimetro” e alla sua trasformazione in una zona di distruzione totale. Il “perimetro” si estende dalla costa a nord al confine egiziano a sud, tutto all’interno del territorio della Striscia di Gaza a una profondità che varia dagli 800 ai 1.500 metri. Il piano per la sua creazione è semplice: radere al suolo tutto quello che ci si trova davanti per lasciare spazio agli avamposti militari. «Quando dico tutto intendo tutto», dice un testimone. «Tutto quello che è costruito». Tutte le strutture, tutte le costruzioni», inclusi stalle e pollai. «Come appare la zona dopo la demolizione?» chiede allora l’intervistatore. «Hiroshima», risponde il soldato. Lo scopo militare del “perimetro” è quello di creare un’area isolata «che fornisca una chiara linea di vista e, con quella, una chiara linea di fuoco» verso qualsiasi cosa l’esercito definisca come una potenziale minaccia. «In altre parole, il controllo militare assoluto sull’area».
Dalle varie testimonianze emerge come non solo la distruzione totale della Striscia, e specialmente delle aree di confine, fosse «deliberata», ma anche che era stata pensata sin dall’inizio degli attacchi, a partire dal 7 ottobre. «La leadership politica di Israele ha evitato di lavorare per un accordo politico che avrebbe posto fine alla guerra e inaugurato una nuova era per il “giorno dopo”», scrive Breaking the Silence. Tale obiettivo, sottolinea il rapporto, troverebbe conferma nelle numerose dichiarazioni rilasciate sin dall’inizio dell’escalation militare a Gaza. «Alla fine di questa guerra, non solo Hamas non sarà più a Gaza, ma anche il territorio di Gaza diminuirà», dichiarava l’allora ministro degli Esteri Eli Cohen. Prima della guerra, la zona cuscinetto tra Israele e la Striscia di Gaza si estendeva per circa 300 metri nel territorio palestinese e l’accesso all’area era limitato. A ora, invece, secondo un’analisi dell’agenzia di stampa Associated Press, Israele avrebbe preso il controllo di oltre il 50% della Striscia, e starebbe spingendo il popolo gazawi in porzioni di terra sempre più piccole. Particolarmente forte, secondo AP, la presenza israeliana attorno a Gaza City, dove, dalla ripresa dei massacri, la fanteria ha raddoppiato l’estensione della «zona di cuscinetto militare».
Con l’espansione delle operazioni militari, continuano anche i massacri. Dall’alba di oggi, le forze israeliane hanno continuato a bombardare Gaza, uccidendo 6 palestinesi in un raid nella città settentrionale di Beit Lahiya. Le vittime di oggi seguono le decine di ieri. A esse si è aggiunto anche Ahmed Mansour, il giornalista rimasto intrappolato e arso vivo nell’attacco israeliano a una tenda per i media vicino all’ospedale Nasser a Khan Younis. In totale, dall’escalation del 7 ottobre, l’esercito israeliano ha ucciso direttamente almeno 50.695 persone, anche se il numero totale dei morti potrebbe superare le centinaia di migliaia, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet e da una lettera di medici volontari nella Striscia. Dalla ripresa delle aggressioni su larga scala del 18 marzo, invece, Israele ha ucciso almeno 1.338 persone. L’ultimo aggiornamento risale all’altro ieri, domenica 6 aprile.
USA, la Corte accetta la legge di guerra per espellere i migranti
La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha autorizzato il presidente Trump a utilizzare l’Alien Enemies Act, una legge di guerra del 1798, per accelerare le espulsioni di migranti. La decisione arriva dopo che un giudice aveva vietato al presidente di fare ricorso all’atto contro cinque migranti venezuelani che avevano fatto causa contro l’espulsione. Trump aveva fatto appello al decreto lo scorso 16 marzo per aggirare un divieto imposto da un Tribunale federale. L’Alien Enemies Act gli permette di trasferire rapidamente i migranti ritenuti parte di una «invasione o incursione predatoria».