martedì 1 Luglio 2025
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Difesa, sorveglianza e infrastrutture: accordo da 10 miliardi tra Italia e Arabia Saudita

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In occasione della visita della premier Giorgia Meloni a Riad, iniziata nella giornata di sabato e conclusasi ieri, Italia e Arabia Saudita hanno siglato accordi per 10 miliardi di dollari in molteplici ambiti. Nel settore della difesa, sono state firmate intese per oltre 3 miliardi, coinvolgendo aziende come Leonardo, Fincantieri ed Elettronica, per sviluppare progetti congiunti nei sistemi di difesa elettronica e nuove tecnologie per la sorveglianza del territorio e la protezione delle infrastrutture strategiche, come porti, aeroporti e siti energetici. SACE e CDP saranno invece protagonisti in progetti su rinnovabili, idrogeno e desalinizzazione. Spazio anche a cultura e tecnologia: l’IIT collaborerà su robotica e agroalimentare, mentre Pompei e la Triennale di Milano parteciperanno a progetti archeologici e culturali. Intanto, dalle forze di opposizione si levano le critiche all’indirizzo della premier, che in passato si era veementemente scagliata contro l’Arabia Saudita, tacciata dall’allora leader di opposizione di essere promotrice di politiche antidemocratiche e fondamentaliste.

«Il valore complessivo degli accordi firmati oggi è di circa 10 miliardi di dollari». Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha esordito nel comunicare i risultati della sua visita ufficiale in Arabia Saudita. Una cornice unica, quella del deserto di Al-Ula, dove Meloni e il principe ereditario Mohammed bin Salman si sono incontrati in un campo tendato per tre ore di colloqui privati. Un bilaterale che, oltre ai protocolli formali, si è rivelato il momento chiave per definire un nuovo partenariato strategico tra i due Paesi. La missione di Meloni ha toccato vari settori di cooperazione, dalle infrastrutture alla difesa, fino alla transizione energetica. L’accordo più significativo riguarda il rafforzamento delle collaborazioni militari e industriali. Leonardo, leader italiano nel settore aerospaziale e della difesa, ha firmato un memorandum d’intesa con le autorità saudite per ampliare le sinergie già avviate lo scorso anno. Al centro delle discussioni: lo sviluppo di tecnologie avanzate per la sorveglianza, i sistemi di guerra elettronica e il comparto elicotteristico. Parallelamente, Fincantieri ha segnalato due importanti accordi. Il primo, con Aramco, mira alla costruzione di un polo di eccellenza per la cantieristica navale civile in Arabia Saudita, inclusi investimenti in infrastrutture portuali e formazione specializzata. Il secondo, con Ozone for Military Industries Company, prevede servizi logistici avanzati per la manutenzione e il supporto di navi militari e civili. Elettronica, altra azienda italiana di punta, ha invece stretto due memorandum per collaborazioni nei settori della difesa elettronica e della cyber-sicurezza.

Ma il viaggio di Meloni non si è limitato al comparto militare. Gli altri 7 miliardi di dollari sono stati destinati a progetti di cooperazione energetica, infrastrutturale e culturale. SACE, il gruppo assicurativo-finanziario italiano, ha annunciato un pacchetto di operazioni per 6,6 miliardi di dollari. Tra queste spicca un finanziamento multi-valuta da 3 miliardi per il progetto Neom, la futuristica città saudita del deserto. Sul fronte energetico, l’intesa tra SACE e ACWA Power si concentra su iniziative di desalinizzazione, energia rinnovabile e idrogeno verde, con ricadute significative anche per il Piano Mattei, il programma lanciato dal governo per promuovere lo sviluppo sostenibile in Africa. Altre collaborazioni prevedono progetti congiunti tra aziende italiane e saudite per la produzione di energia pulita, la gestione delle risorse idriche e l’integrazione tecnologica. Il viaggio ha toccato anche l’ambito culturale e archeologico, con intese tra il Parco Archeologico di Pompei, la Direzione generale Musei e la Royal Commission for Al-‘Ula. Tali accordi puntano alla valorizzazione dei patrimoni storici e alla condivisione di competenze nel restauro, nella gestione dei musei e nella promozione del turismo culturale.

La visita di Meloni a Riad non è stata esente da critiche. Le opposizioni hanno infatti accusato la premier di incoerenza rispetto alle sue dichiarazioni passate sull’Arabia Saudita, da lei attaccata per le violazioni dei diritti umani e discriminazioni di genere. «In Arabia Saudita c’è la pena di morte per apostasia, per adulterio, per omosessualità e zero diritti per le donne. È una Nazione fondamentalista, e noi vogliamo permettere che finanzino i nostri luoghi culturali? FOLLIA!», scriveva Giorgia Meloni nel 2019 quando era all’opposizione, riferendosi all’ipotesi che i sauditi entrassero nel cda della Scala di Milano. A governare il Paese era sempre bin Salman, considerato a capo di un regime autoritario e indicato dai servizi segreti americani come il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Kashoggi. Già nel giugno del 2023, l’attuale esecutivo aveva revocato le limitazioni all’export di bombe e missili verso l’Arabia Saudita disposte dal governo Conte I per prevenirne l’utilizzo nella guerra in Yemen. Nell’estate del 2019, l’Italia aveva infatti deciso di sospendere la vendita di bombe aeree e missili, oltre alla loro componentistica, a Emirati Arabi e Arabia Saudita a causa dei crimini di guerra commessi contro la popolazione civile yemenita. Nell’estate del 2021, il governo Draghi allentò le limitazioni verso i Paesi del Golfo, poi l’esecutivo Meloni completò l’opera. E ora il legame si è ulteriormente intensificato.

[di Stefano Baudino]

DeepSeek: cos’è l’IA cinese che sta scuotendo i mercati americani

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DeepSeek proviene dall’Oriente e irrompe con forza nel settore tecnologico specializzato in intelligenze artificiali generative, un ambito che fino a poco tempo fa sembrava perlopiù monopolizzato dall’industria statunitense. Nel giro di pochi giorni, il modello di IA presentato dall’azienda cinese ha scalato rapidamente le classifiche dei download di app sugli smartphone statunitensi, proponendosi come un’alternativa ambiziosa a opzioni consolidate quali ChatGPT, Copilot, Grok e affini. Ancora più sorprendente, le basi che lo alimentano risultano significativamente più efficienti rispetto a quelle impiegate dalle celebri controparti, una notizia che ha provocato un immediato crollo delle quotazioni in Borsa, facendo evaporare circa 100 miliardi di dollari di capitalizzazione dei giganti della tecnologia in pochissimo tempo.

Fondata nel 2023, con sede a Hangzhou e supportata dal fondo High-Flyer Capital Management, DeepSeek è una startup giovane e determinata, che in pochi anni è riuscita a sviluppare un chatbot, il DeepSeek V3, le cui capacità sono paragonabili a quelle delle soluzioni di punta offerte dai grandi marchi del settore. Mentre gli utenti si affrettano a testare il servizio, già sovraccarico di richieste, osservatori, investitori e specialisti stanno analizzando con attenzione i retroscena di questa innovazione, colpiti dalle potenziali implicazioni che lo strumento potrebbe avere.

Secondo quanto dichiarato da DeepSeek, il prodotto reso disponibile al pubblico sarebbe nato in un contesto complicato che è segnato dai limiti alle importazioni di semiconduttori imposti dalle diverse Amministrazioni statunitensi. Impossibilitati a ottenere grandi numeri di processori di ultima generazione, i ricercatori sostengono di aver massimizzato l’utilizzo delle risorse a loro disposizione stimolando approcci innovativi che li hanno portati a creare in appena due mesi un modello il cui costo ufficiale di sviluppo si attesterebbe intorno ai 5,6 milioni di dollari.  Per avere un metro di paragone, Sam Altman, CEO di OpenAI, aveva dichiarato che l’addestramento di ChatGPT-4 ha richiesto un investimento superiore ai 100 milioni di dollari.

È importante sottolineare che la narrazione proposta da DeepSeek potrebbe essere principalmente di natura imprenditoriale e, pertanto, non necessariamente riflette la realtà dei fatti. Negli anni, numerose aziende hanno utilizzato strategie comunicative che includono l’omissione di informazioni essenziali, l’uso di mezze verità o, in alcuni casi, dichiarazioni volutamente fuorvianti per perseguire i propri interessi. È plausibile che la controparte cinese adotti a sua volta tattiche analoghe, specialmente in un panorama mediatico tecnologico più incline ad accogliere grandi promesse piuttosto che una presentazione sobria e dettagliata delle informazioni. Eppure, qualcosa si muove. 

L’intelligenza artificiale cinese si distingue per i costi contenuti non solo in fase di sviluppo, ma anche per quanto riguarda il mantenimento dell’intero sistema. Esso richiede un numero significativamente inferiore di processori e necessita di archivi di dati particolarmente meno ingombranti e costosi di quelli dei suoi competitor. L’avvento di DeepSeek è stato dunque accolto come un vero e proprio “momento Sputnik”: una rivoluzione tecnologica che ha modificato radicalmente la percezione delle capacità tecniche di un Paese considerato avversario degli Stati Uniti, un fenomeno che potrà stimolare una nuova corsa alla ricerca scientifica e tecnologica.

Lo scorso venerdì, Mark Zuckerberg, CEO di Meta, ha annunciato che la sua azienda è pronta a investire fino a 65 miliardi di dollari entro il 2025 per sviluppare nuovi centri di gestione dei dati. Solamente due giorni prima, l’Amministrazione Trump aveva dichiarato l’avvio di un progetto da 500 miliardi di dollari destinato alla promozione e allo sviluppo di infrastrutture simili. Tuttavia, l’introduzione di DeepSeek ha posto un dubbio profondo sull’approccio statunitense, suggerendo che esso possa essere inefficace, eccessivamente costoso e dispersivo. Questa ipotesi non è piaciuta al Mercato. Le quotazioni di Nasdaq 100 hanno visto scomparire di colpo circa 94 miliardi di dollari. NVIDIA, azienda produttrice dei processori adoperati nei centri dati, ha perso almeno un sesto del suo valore in Borsa.

 [di Walter Ferri]

Forti piogge e inondazioni in Liguria e Toscana

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Stamattina la Liguria e la Toscana sono state colpite da forti piogge che hanno causato inondazioni. In Liguria, la pioggia ha provocato l’innalzamento del livello dell’acqua in diversi fiumi dell’area a est di Genova e, a nord del capoluogo, una frana ha fatto cadere un traliccio su un’automobile, ferendo il guidatore. A Genova è crollato un muro di contenimento e l’acqua si è riversata sulle strade, colpendo alcune auto. I soccorsi stanno verificando la presenza di eventuali feriti. In Toscana si registrano disagi nell’area nordoccidentale della regione e a Firenze. Nel capoluogo sono state chiuse diverse strade allagate dal forte temporale.

Il primo ministro della Serbia si è dimesso a causa delle proteste popolari

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Il primo ministro serbo Miloš Vučević ha rassegnato le proprie irrevocabili dimissioni a seguito delle proteste studentesche che da ormai tre mesi paralizzano l’intero Paese. L’annuncio al Paese è stato fatto questa mattina nel corso di una conferenza stampa straordinaria, nella quale Vučević ha riferito che ricoprirà il proprio ruolo lavorando con un mandato tecnico fino a che non vi saranno nuove elezioni. Il presidente Aleksandar Vučić, che ha accettato le dimissioni del primo ministro, parlerà alla nazione questa sera. Le rivolte popolari hanno preso il via nel Paese dopo che, lo scorso novembre, è crollata una tettoia nella stazione ferroviaria di Novi Sad, uccidendo 15 persone (tra le quali un bambino di 6 anni) e ferendone gravemente altre due. Da allora, la rabbia di decine di migliaia di cittadini si è riversata nelle piazze, crescendo ogni giorno di intensità. Insieme a Vučević (e a tutto il suo governo) ha presentato le proprie dimissioni anche Milan Đurić, sindaco di Novi Sad.

«Faremo il nostro lavoro in modo professionale e responsabile fino all’elezione di un nuovo governo o fino a una nuova o diversa decisione politica» ha riferito Vučević nel corso della conferenza stampa, sottolineando come dopo la tragedia della stazione si siano create gravi divisioni sociali e abusi politici che «hanno permesso a qualcuno di trarre vantaggio dalla perdita di vite umane». La decisione di dimettersi, ha riferito, è stata presa in seguito ad un episodio avvenuto la notte scorsa a Novi Sad, quando alcuni studenti sono stati aggrediti da un gruppo di persone all’interno dei locali di una delle sedi del Partito Progressista Serbo (SNS). Negli scontri sono rimaste ferite due persone, che secondo quanto riferito da media locali sono state ricoverate in ospedale. Per le stesse ragioni, riferisce il media Tanjun,si è dimesso anche il sindaco di Novi Sad, che ha riferito che «la stabilità, la necessità di calmare le tensioni e quella di impedire ulteriori divisioni della società sono condizioni chiave per l’ulteriore progresso e sviluppo di Novi Sad e il miglioramento della vita dei suoi cittadini».

Come ammesso dallo stesso Vučević, la politica serba è andata in stallo insieme all’intero Paese dopo la tragedia di Novi Sad, da molti considerata il simbolo della evidente corruzione e dell’incuria che permeerebbero le istituzioni serbe. I fatti hanno dato il via a proteste senza precedenti nel Paese, che invece che andare scemando hanno acquisito intensità giorno dopo giorno. Lo scorso 22 dicembre, a Belgrado, c’erano 29 mila persone in piazza, per chiedere le dimissioni del governo del presidente Aleksandar Vučić e del SNS, al potere dal 2012. In prima linea nelle proteste vi sono gli studenti, cui presto si sono uniti i sindacati degli insegnanti e numerosi altri gruppi – avvocati, medici, ONG, dipendenti statali e organizzazioni culturali, tra gli altri. Di fatto, il 20 gennaio avrebbero dovuto riprendere le lezioni, ma questo non è accaduto per via degli scioperi.

[di Valeria Casolaro]

Congo, combattimenti tra esercito e ribelli a Goma

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Sono ripresi a Goma, in Congo, i combattimenti tra l’esercito della Repubblica popolare e i ribelli del gruppo M23, che contano sul supporto del Ruanda. Gli scontri a fuoco si stanno concentrando nei quartieri vicini all’aeroporto, nel quadrante orientale ancora controllato dall’esercito regolare. I ribelli hanno invece in mano le zone a ovest. Alcune aree di Goma – dove sono state peraltro interrotte le comunicazioni radio e web -risultano al momento inaccessibili a osservatori indipendenti e operatori umanitari, mentre nella capitale Kinshasa è tornata la calma. Il presidente Thisekedi ha deciso di convocare un summit di sicurezza.

Come media e lobby pro Israele hanno strumentalizzato la Giornata della Memoria

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In occasione della Giornata della Memoria, media e associazioni pro Israele sono scesi in campo per silenziare la funzione storica e sociale del 27 gennaio. “Mai più” non è soltanto uno slogan, non è un esercizio di retorica, piuttosto è un monito impellente affinché tragedie come l’Olocausto non si ripetano; tuttavia, nell’inerzia della comunità internazionale, un altro genocidio, questa volta in Palestina, è già diventato fatto storico. Parlarne, soprattutto in occasione del 27 gennaio, ha acceso l’animo degli amici di Israele, che in un attacco su più fronti hanno provato a sminuire quanto sta accadendo a Gaza e in Cisgiordania e preso di mira Vaticano, ANPI e varie organizzazioni internazionali tra cui Amnesty e Medici senza Frontiere. Tra i più attivi in questa trasformazione della Giornata della Memoria in una occasione per difendere il genocidio di Gaza o per appiccicare in modo diffamatorio l’etichetta dell’antisemitismo verso chiunque denunci i crimini del governo Netanyahu troviamo al solito alcuni tra i principali quotidiani italiani e diversi “stimati” editorialisti.

Sul Foglio titolano che «la memoria, oggi, è il dovere di affermare un altro mai più». Mai più 7 ottobre, viene specificato poco dopo. Silenzio sul massacro odierno a Gaza, dove Israele in un anno e mezzo ha ucciso più di 47 mila persone (stime al ribasso) — a cui si aggiungono almeno 110 mila feriti — e reso la popolazione infantile locale quella più amputata al mondo. Libero preferisce concentrarsi sulla comparsa di «un nuovo antisemitismo, fomentato dalla propaganda islamica e dai deliri di inattesi “complici” come l’ANPI». L’associazione dei partigiani è finita sotto la lente della critica di varie comunità ebraiche per aver osato parlare di genocidio in riferimento alle violazioni del diritto internazionale commesse da Israele in Palestina. Del boicottaggio verso l’ANPI ne parla anche Il Tempo che, titolando «SCHLEINdler’s List» (un’unione tra il cognome della leader dem e il noto film di Spielberg, NdR), allarga alla «rottura fra ebrei e sinistra nel Giorno della Memoria».

A Roma, nella notte tra il 26 e il 27 gennaio, è stata proiettata sulla piramide Cestia e sulla facciata del palazzo della FAO la scritta: “Se Israele avesse bombardato i treni per Auschwitz, vi sareste schierati con Hitler. Buon Giorno della Memoria”. Il messaggio — come dimostra la proiezione dei loghi storpiati — era rivolto proprio all’ANPI, oltre che a Medici senza Frontiere, Croce Rossa, Emergency e Amnesty. Quest’ultima, a dicembre, aveva pubblicato un rapporto dal titolo eloquente: «Israele sta commettendo genocidio contro la popolazione palestinese a Gaza». Nell’ultimo anno e mezzo Medici senza Frontiere ed Emergency hanno curato centinaia di bambini palestinesi in uno scenario apocalittico, sfidando l’assedio totale israeliano. A fornire assistenza sanitaria alla popolazione gazawi è stata anche la Croce Rossa, pagando con la vita di 30 operatori, uccisi dall’esercito occupante. Un’attività costante di sostegno e informazione, contro un alleato dell’Italia macchiatosi di crimini di guerra e crimini contro l’umanità: queste le “colpe” delle associazioni finite nel mirino dell’iniziativa capitolina. Progetto Dreyfus, un’organizzazione pro Israele, ha sostenuto l’azione senza rivendicarla, descrivendola come «un forte messaggio di denuncia nei confronti dell’ipocrisia delle ONG e dell’ANPI. Le loro campagne social da mesi bombardano gli utenti raccogliendo fondi e sfruttando la pietà con accuse di genocidio e crisi umanitaria, indirizzando odio a senso unico verso Israele».

A dar fastidio, evidentemente, è l’esercizio della memoria, quale strumento di pensiero critico. La risposta a tale affronto appare univoca: tacciare di antisemitismo qualsiasi posizione contraria ai crimini commessi da Israele in Palestina. Una sorta di caccia alle streghe moderna, che non di rado finisce in scivoloni riportati fideisticamente dalla stampa compiacente, come il presunto attacco alla Sinagoga di Bologna rivelatosi poi una bufala totale.

Conoscere la storia per comprendere il presente e prendere posizione. Primo Levi ammoniva sul rischio che le coscienze potessero nuovamente essere sedotte e oscurate. Un rischio oggi quanto mai concreto, complice una congiuntura politica e mediatica che con troppa facilità abbandona la giustizia e la verità per sposare interessi superiori.

[di Salvatore Toscano]

Cisgiordania, altri 25 palestinesi arrestati: minacce e case vandalizzate

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La Commissione per gli affari dei prigionieri e la Società dei prigionieri palestinesi (PPS) ha dichiarato che nelle ultime ore le forze israeliane hanno arrestato 25 palestinesi in Cisgiordania. Le operazioni sono avvenute nei governatorati di Tulkarem, Hebron, Ramallah, Betlemme e Gerusalemme. Durante l’irruzione nelle case dei palestinesi presi di mira, le forze israeliane hanno anche vandalizzato le loro proprietà, con minacce e interrogatori sul campo. Secondo la dichiarazione, i 25 detenuti si aggiungono agli almeno 10.400 palestinesi attualmente sotto custodia israeliana, con oltre 3.300 prigionieri senza accusa né processo. 

Paesi Bassi, Greenpeace vince la causa contro il governo sugli allevamenti intensivi

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Entro il 2030, il governo dei Paesi Bassi dovrà adottare misure efficaci per ridurre l’impatto degli allevamenti intensivi sulle aree naturali sensibili alle emissioni di azoto. Greenpeace Olanda ha infatti vinto la causa intentata contro il governo, accusato di non aver preso misure adeguate per ridurre i livelli di azoto nell’ambiente, dovuti in gran parte agli allevamenti intensivi. La sentenza ha confermato che gli habitat naturali olandesi sono stati effettivamente deteriorati da questo tipo di inquinamento e che la normativa di riferimento non è stata rispettata dalle istituzioni. Entro cinque anni, il governo dovrà garantire che almeno metà delle aree naturali sensibili all’azoto siano al di sotto dei livelli stabiliti.

La sentenza contro il governo olandese è arrivata il 22 gennaio e la sua notizia è stata diffusa da Greenpeace. I giudici hanno stabilito che lo Stato deve dare immediata esecuzione alla sentenza anche in vista di un eventuale ricorso, concedendogli tempo fino al 2030 per ridurre i livelli di azoto al di sotto della soglia nociva in almeno la metà degli habitat più vulnerabili del Paese, quali le aree protette, pena il pagamento di 10 milioni di risarcimento a Greenpeace. Il tribunale ha inoltre contestato al neo-insediatosi governo Schoof la cancellazione del piano di riduzione delle emissioni di azoto messo in piedi dal precedente governo; il precedente esecutivo olandese aveva stanziato più di 24 miliardi, mentre Schoof lo ha tagliato a 5 miliardi. «Con questa sentenza il governo olandese dovrà dare una rapida risposta non solo per tutelare l’ambiente e i suoi cittadini, ma anche tutte quelle aziende agricole che devono essere sostenute verso la transizione ecologica», scrive l’associazione ambientalista.

La decisione dei giudici risulta particolarmente importante perché potrebbe fungere da apripista per altri analoghi procedimenti. Simona Savini di Greenpeace Italia l’ha definita una «vittoria agrodolce», che potrebbe suonare da monito per la stessa Italia, considerato che il Paese «è sottoposto a una procedura di infrazione per il mancato rispetto della Direttiva Nitrati, dovuta agli eccessivi carichi di azoto che contaminano alcuni territori italiani, provenienti principalmente dagli allevamenti intensivi». Nel suo comunicato stampa, l’associazione ambientalista, citando le stesse parole dell’ultima lettera inviata dalla Commissione Europea all’Italia, sottolinea proprio che l’Italia «rischia di dover rispondere di fronte alla Corte di Giustizia Europea e di dover “pagare ingenti sanzioni per non aver protetto adeguatamente le acque e la popolazione dall’inquinamento da nitrati provenienti da fonti agricole”».

Le emissioni di inquinanti azotati hanno gravi conseguenze sull’ambiente. In primo luogo, queste emissioni sono una delle cause del cambiamento atmosferico. Come spiegano gli indicatori ambientali dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), l’azoto contribuisce alla produzione di gas serra come i vari ossidi di azoto, gas con un potenziale di riscaldamento globale molto più elevato della CO2. Circa due terzi degli apporti di azoto provengono attualmente dalle emissioni degli allevamenti intensivi, che secondo i dati dell’European Environmental Bureau (EEB) sono responsabili del 12-17% delle emissioni totali di gas a effetto serra. Gli allevamenti intensivi aumentano inoltre la produzione di ammoniaca, che, oltre a diffondersi nell’atmosfera, si accumula nel suolo, riducendone la fertilità e rendendo il terreno meno produttivo. In generale, spiega l’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA), i composti azotati presenti nell’aria si depositano sull’ambiente e sulle acque, aumentandone il carico di nutrienti. L’eutrofizzazione (questa condizione di eccesso di sostanze nutritive) causa cambiamenti nella struttura e nella funzione degli ecosistemi, finendo per danneggiare la fauna e avere un impatto diretto sulla biodiversità. L’inquinamento da azoto, infatti, è il terzo fattore più grave della perdita di biodiversità causata dall’uomo, dopo la distruzione degli habitat e l’emissione di gas serra. L’AEA riporta che, nel 2022, il 73 % degli ecosistemi dell’UE si trovava al di sopra dei carichi critici previsti per l’eutrofizzazione.

L’inquinamento atmosferico, la corruzione del suolo, la contaminazione delle acque e la variazione degli ecosistemi causata dall’eutrofizzazione, prese insieme, hanno ricadute dirette sulla salute umana. Secondo l’AEA, tra le malattie legate all’inquinamento atmosferico da azoto, il carico più elevato è dovuto al diabete mellito, seguito da ictus e asma; gli ultimi dati riportano che, nel 2021, nell’UE almeno 52.000 persone sono morte a causa dell’inquinamento da azoto. L’ammoniaca, inoltre, è tossica per la salute umana, mentre l’eutrofizzazione causa il rilascio di sostanze nocive che possono portare allo sviluppo di malattie e al proliferare di cellule tumorali.

[di Dario Lucisano]

L’Italia invierà i carabinieri nella Striscia di Gaza

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I carabinieri italiani partiranno presto per il valico di Rafah, nella Striscia di Gaza. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, il quale ha dichiarato che la missione Eubam Rafah, sospesa durante il conflitto israelo-palestinese, sarà ripristinata con il cessate il fuoco e vedrà la partecipazione di italiani, spagnoli e francesi. L’obiettivo è garantire una presenza europea al confine tra Gaza ed Egitto, favorendo la fiducia tra Israele e l’Autorità Palestinese. «Partiranno tutti insieme dall’Italia con un volo delle nostre forze armate – ha detto Tajani –. Questo è molto importante, è un impegno europeo e anche un impegno dei nostri carabinieri che sono sempre stati presenti prima a Gerico, per l’addestramento della polizia dell’Autorità Nazionale Palestinese».

L’invio dei carabinieri italiani a Rafah fa parte della missione europea Eubam Rafah, interrotta con l’inizio delle aggressioni israeliane nella Striscia e riattivata su richiesta di Israele e dei palestinesi. La missione è stata concordata dal vertice dei ministri degli Esteri dell’UE di ieri, lunedì 27 gennaio, a cui era presente anche la nuova Alta Rappresentante per gli Affari Esteri, Kaja Kallas; è stata successivamente approvata anche dall’Egitto. All’Italia andrà la parte organizzativa e operativa della missione. I carabinieri, in particolare, partiranno da Vicenza entro le prossime 48 ore e, una volta a Rafah, dovrebbero essere raggiunti da due colleghi operativi nell’area di Gerico. Alla missione parteciperanno anche le omologhe forze spagnole e francesi: nello specifico, l’Italia dovrebbe attivare altri sette carabinieri (oltre ai due già attivi in Cisgiordania), la Francia quattro e la Spagna nove. L’obiettivo della missione è quello di aiutare i palestinesi a gestire la riapertura del valico di Rafah per consentire il trasferimento dei feriti fuori da Gaza affinché possano ricevere i trattamenti medici necessari. Il personale dell’EUBAM Rafah monitorerà i trasferimenti, che dovrebbero ammontare a circa 300 persone al giorno. Secondo i termini concordati tra le parti, il periodo di dispiegamento delle squadre specializzate dell’EUBAM Rafah presso il valico di Rafah durerà fino alla fine della prima fase dell’accordo di cessate il fuoco.

Lanciata dal Consiglio dell’UE nel novembre 2005 in accordo con i patti del medesimo anno tra Israele e ANP, EUBAM Rafah è stata concepita per garantire la presenza di una terza parte dell’UE presso il valico di Rafah, al confine tra Gaza e l’Egitto. La missione ha l’obiettivo di sostenere il rafforzamento delle capacità delle agenzie di frontiera dell’Autorità Nazionale Palestinese, fornendo tutoraggio e consulenza al personale palestinese. La missione, inoltre, funziona in parallelo a ulteriori progetti di agevolazione degli scambi commerciali e di trattamento dei passaporti biometrici.

[di Dario Lucisano]

Cina e India riprendono i voli diretti

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India e Cina hanno annunciato di aver raggiunto un accordo per riprendere i servizi aerei diretti dopo quasi cinque anni. A dare la notizia è stato il ministero degli Esteri indiano, seguito dall’omologo cinese. Quest’ultimo ha inoltre aggiunto che un altro incontro tra funzionari ha portato a un accordo per facilitare lo scambio di giornalisti tra i due Paesi. Queste notizie arrivano dopo una serie di iniziative volte ad alleggerire le tensioni tra India e Cina. Nell’ottobre dello scorso anno, alla vigilia del vertice del gruppo BRICS, i due Paesi avevano trovato un accordo riguardo al pattugliamento delle aree di confine sull’Himalaya.