sabato 1 Novembre 2025
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Freedom Flotilla: rimpatri e arresti per gli attivisti

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Dopo essere stati accerchiati e sequestrati dalle forze israeliane in acque internazionali, i dodici membri della Freedom Flotilla sono stati trasferiti nel porto di Ashod. Una parte dell’equipaggio, tra cui Greta Thunberg, è stata rimpatriata dopo aver firmato i documenti per l’espulsione. In 8, invece, avrebbero rifiutato, tra cui l’europarlamentare Rima Hassan. Sono quindi in arresto, in attesa di essere trasferiti presso un’autorità giudiziaria israeliana, che opterà per l’espulsione forzata o il trattenimento.

Il nuovo corso di Stellantis ricomincia dai tagli: 610 operai in esubero a Mirafiori

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Stellantis ha avviato una nuova procedura di licenziamento collettivo, con l’obiettivo di allontanare 610 operai tramite incentivo all’esodo. Questa volta gli “esuberi” sono stati individuati nel polo produttivo torinese, con centro a Mirafiori. Si aggiungono al migliaio annunciato nei mesi scorsi, tra gli stabilimenti di Melfi, Pomigliano d’Arco, Termoli e Pratola Serra. Il cambio al vertice in casa Stellantis, con Antonio Filosa che ha ereditato la carica di amministratore delegato da Carlos Tavares, non si è tradotta in strappi con le politiche di dismissione intraprese negli ultimi anni. La giustificazione è la solita: il crollo della produzione, che non impedisce però alla multinazionale italo-francese di distribuire dividendi agli azionisti e staccare stipendi milionari ai dirigenti. La crisi produttiva non viene quindi affrontata con politiche industriali di rilancio ma fatta pagare esclusivamente agli operai, attaccati parallelamente dalla stretta repressiva varata dal governo Meloni.

«Cambiano gli amministratori delegati, ma non cambia il trend di svuotamento di Mirafiori e il depauperamento di Torino. Invece di rilanciare le produzioni, di avere un piano composito per lo stabilimento torinese, il nuovo Ad continua a solcare la strada sbagliata del suo predecessore», ha dichiarato Ed Lazzi, segretario generale della FIOM-CGIL di Torino. Per i 610 operai in esubero, Stellantis ha pensato di ricorrere allo strumento dell’incentivo all’esodo, proprio come un anno fa, quando un migliaio di operai dell’area torinese aderirono alle uscite incentivate. Si tratta di una misura che riguarda in particolare i dipendenti prossimi alla pensione, che in cambio di una buonuscita e per evitare pressioni indirette accettano il licenziamento, con il rischio di vedere allungarsi i tempi di accesso alla pensione. Secondo Luigi Paone della UILM, uno dei sindacati che ha accettato l’accordo sulle uscite incentivate, il piano «serve per aprire la strada all’assunzione di giovani lavoratori in vista dell’avvio produttivo della 500 ibrida», previsto per agosto. Uno scenario non così scontato, dal momento che i dati sulla forza-lavoro italiana in Stellantis, passata dalle oltre 55mila unità del 2021 alle 40mila odierne, racconta di un piano di dismissione, come denunciato da altri sindacati, tra cui la FIOM che non ha accettato l’accordo sull’esodo incentivato.

La produzione di Stellantis è crollata. Nei primi tre mesi del 2025 sono uscite dagli stabilimenti italiani 109.900 unità. Nello stesso periodo del 2024 se ne contavano 170.415, per un calo del 35,5% che segna un record negativo che non si registrava dal 1956. Non fa eccezione lo storico stabilimento di Mirafiori, alle prese col fermo produttivo della Maserati. A Modena, ai lavoratori del Tridente è stato proposto di trasferirsi in Serbia, dove dal 2024 Stellantis ha delocalizzato la produzione della Grande Panda elettrica, tra i modelli più venduti del gruppo.

Il crollo della produzione italiana e l’assenza di un piano industriale in grado di rilanciarla pesano sulle spalle degli operai Stellantis, ma non su azionisti e dirigenti, che in tempo di crisi non rinunciano agli utili, sottraendoli ad esempio alla Ricerca e Sviluppo. Proprio nelle scorse ore sono trapelati i primi dettagli del futuro contratto di Antonio Filosa, che dovrà essere confermato nella carica di Ad alla prossima riunione degli azionisti prevista a luglio. Stipendio annuale base di 1,8 milioni di dollari, cui si aggiungono svariati bonus che potrebbero permettere a Filosa di guadagnare fino a 24 milioni di dollari l’anno, circa 1100 volte in più rispetto a quanto percepisce un operaio Stellantis. 


*Errata corrige: una precedente versione di questo articolo riportava: “Stipendio annuale base di 1,8 milioni di euro (1125 volte il salario di un operaio Stellantis) a cui vanno aggiunti svariati bonus, che potrebbero permettere a Filosa di guadagnare nel triennio 2025-2027 un totale di 24 milioni di euro”, corretta nella forma attuale. 

Proteste a Los Angeles, Trump invia 700 Marines

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L’amministrazione Trump ha ordinato a circa 700 Marines di raggiungere Los Angeles per supportare la Guardia Nazionale in seguito alle grandi proteste contro le politiche migratorie governative che stanno proseguendo da venerdì. A meno che il presidente non invochi l’Insurrection Act, i Marines non parteciperanno alle attività delle forze dell’ordine. Il governatore della California, Gavin Newsom, ha definito «folle» la decisione di Trump. Nel frattempo, le proteste si allargano. Dopo Los Angeles, San Francisco e Sacramento, i manifestanti sono infatti scesi in piazza anche ad Atlanta, Seattle, Dallas, Louisville e New York, dove la polizia ha arrestato diverse persone.

Negli ultimi dieci anni l’India ha fatto progressi enormi nella lotta alla povertà

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India

Un nuovo rapporto della Banca Mondiale evidenzia un significativo calo della povertà estrema in India nel corso dell’ultimo decennio. Tra il 2012 e il 2023 la percentuale della popolazione che vive con meno di 2,15 dollari al giorno è scesa dal 16,2% al 2,3%, una diminuzione che ha permesso a circa 171 milioni di persone di uscire da questa condizione. Il miglioramento è stato particolarmente evidente nelle aree rurali, tradizionalmente più a rischio. Qui, il tasso di povertà estrema è passato dal 18,4% al 2,8%. Anche le zone urbane hanno comunque registrato un calo netto, dal 10,7% all’1,1%. ...

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Ucraina-Russia, iniziato nuovo scambio di prigionieri

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Ucraina e Russia hanno avviato un nuovo scambio di prigionieri di guerra, frutto di un accordo raggiunto a Istanbul una settimana fa. «Gli ucraini stanno tornando a casa», ha annunciato il presidente Zelensky, precisando che lo scambio proseguirà nei prossimi giorni e coinvolge anche prigionieri feriti e under 25. Mosca ha confermato il rilascio di un primo gruppo di militari russi. Tra i soldati ucraini liberati ci sono difensori di Mariupol, detenuti da oltre tre anni, e militari catturati nei primi giorni dell’invasione del 2022. Kiev non ha reso noto il numero complessivo dei prigionieri liberati per ragioni di sicurezza.

Un sondaggio rivela che solo il 6% degli italiani è dalla parte di Israele

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www.montecruzfoto.org

L’immagine di Israele in Europa sta crollando. A metterlo nero su bianco, dopo un anno e mezzo di genocidio a Gaza, è un sondaggio che l’agenzia YouGov ha condotto per misurare “il sostegno pubblico e la simpatia per Israele”. Nel sondaggio condotto l’Italia è risultato essere il Paese con la maggiore disapprovazione nei confronti di Tel Aviv. Alla domanda: «Israele aveva il diritto di inviare truppe a Gaza dopo il 7 ottobre 2023?», solo il 6% degli intervistati ha risposto positivamente (a fronte di una media tra gli altri 5 Paese pari a 13,4%), giudicando proporzionata la risposta all’attacco della resistenza palestinese. Per il 29% degli italiani (35,6% degli europei) Israele aveva il diritto di attaccare la Striscia ma «è andato oltre e ha causato troppe vittime civili». Un 24% sostiene invece che lo Stato ebraico non avrebbe dovuto intervenire militarmente in Palestina, a fronte di una media del 16,8% rilevata negli altri intervistati europei. Il restante 41% degli italiani interpellati non sa o preferisce non rispondere alla domanda principale del sondaggio.

Il principale indicatore utilizzato è stato quello del “consenso netto”, che si ottiene sottraendo la percentuale di opinioni negative da quella delle opinioni positive verso un soggetto. In base al segno, positivo o negativo, si capisce il sentimento dominante, che diventa via via più intenso al crescere della cifra rilevata, espressa come numero senza il simbolo della percentuale. Nei 6 Paesi analizzati dominano le opinioni negative: in Germania (-44), Francia (-48) e Danimarca (-54) si è registrato il consenso netto più basso dall’inizio delle rilevazioni, risalente al 2016. Nel Regno Unito il consenso netto è pari a -46, mentre in Spagna e in Italia cresce rispettivamente fino a -55 e -52. Nel complesso, solo tra il 13% e il 21% degli intervistati aveva una visione favorevole di Israele, rispetto al range tra 63% e 70% le cui opinioni erano sfavorevoli.

All’interno della rilevazione è stato poi chiesto alle persone intervistate di schierarsi, dal lato palestinese o israeliano. Uno su due l’ha fatto, scegliendo principalmente lo schieramento palestinese (un range tra il 18% e il 33% nei 6 Paesi coinvolti a fronte di un range tra il 7% e il 18% che preferisce la parte israeliana) — per un dato in crescita rispetto al 2023. In aumento è anche la percentuale di persone che considerano giustificato l’attacco di Hamas, in termini di reazione al regime israeliano di apartheid e colonialismo: nei sei Paesi europei oscilla tra il 5% e il 9%, toccando quota 8% in Italia (+2 punti percentuali rispetto al 2023). Il crollo — non scontato vista la comunicazione non proprio obiettiva di media e governi occidentali — dei consensi verso Israele trova una certa corrispondenza nel fermento della società civile a sostegno del popolo palestinese.

Ad esempio, nelle stesse ore in cui la Freedom Flottilla che viaggiava via mare per rompere l’assedio di Gaza è stata sequestrata in acque internazionali dalle autorità israeliane; via terra sta per partire la marcia che dal Cairo vuole raggiungere il valico di Rafah, in protesta contro il genocidio in corso e per chiedere l’apertura della frontiera e il passaggio degli aiuti umanitari. Nel frattempo i portuali di Marsiglia e Genova hanno impedito a un container con 14 tonnellate di componenti per mitragliatrici di arrivare all’esercito israeliano, inviando un messaggio di sostenibilità del boicottaggio a tutti i solidali col popolo palestinese.

UFO: un’inchiesta rivela che i miti sull’Area 51 servono a coprire gli esperimenti militari

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Altro che alieni grigi e astronavi: un’inchiesta del Wall Street Journal ha confermato ciò che molti sospettavano ormai da tempo, ossia che il Governo degli Stati Uniti ha deliberatamente alimentato il mito degli UFO per oscurare gli esperimenti militari più segreti del Pentagono. La campagna di disinformazione risale almeno agli anni Ottanta, ma le sue derive avrebbero addirittura condizionato le indagini ufficiali degli ultimi anni. Nel 2024, il Dipartimento della Difesa ha pubblicato il suo primo rapporto sugli UAP – i fenomeni anomali non identificati –, frutto di un’indagine condotta dall’All-domain Anomaly Resolution Office (AARO): su oltre 1.800 segnalazioni esaminate tra il maggio 2023 e il giugno 2024, solo una ventina sono rimaste “non plausibilmente spiegabili” e circa 750 riconducibili a fenomeni ordinari quali palloncini, stormi o droni. Un esito fondamentalmente poco appagante di un fenomeno che, complice la diffusione di alcuni eclatanti video militari, aveva catturato prepotentemente l’interesse pubblico. Ebbene, le rivelazioni del Wall Street Journal spiegano parzialmente il perché di risultati tanto generici. 

Il Congresso ha istituito l’AARO nel 2022 per “rilevare, identificare e attribuire” i misteriosi oggetti rilevati in aria, spazio e mare, con particolare riguardo alla sicurezza nazionale. Come direttore di questa nuova costola del Pentagono era stato selezionato il Dr. Sean Kirkpatrick, ex capo scienziato presso il Missile and Space Intelligence Center, un professionista che, durante le sue analisi, ha identificato elementi di disinformazione perpetrate da soggetti militari con lo specifico compito di creare un grado di confusione utile a nascondere lo sviluppo di programmi bellici. Kirkpatrick ha rassegnato le dimissioni da Direttore dell’AARO nel dicembre del 2023, pochi mesi prima che gli esiti della sua indagine venissero resi pubblici. Documenti che, però, hanno omesso di esplicitare il ruolo di depistaggio dell’esercito.

Tra i casi più eclatanti emersi dall’inchiesta vi è quello di un colonnello dell’US Air Force che, negli anni ’80, si recò in un bar nei pressi della famigerata Area 51 per fornire al gestore fotografie manipolate di “astronavi aliene” — in realtà un diversivo per coprire i test del caccia stealth F-117 Nighthawk —, un atto che ha incoraggiato la diffusione di false informazioni, alimentando la mitologia degli alieni in favore gli “interessi della sicurezza nazionale”. Ovvero per non fare trapelare informazioni tecniche critiche all’orecchio dell’avversario sovietico.

Parallelamente, l’indagine ha portato alla luce un vero e proprio rito d’iniziazione informale per i nuovi comandanti dei programmi più riservati: durante i briefing d’ingresso venivano mostrati dossier fasulli su velivoli antigravitazionali e presunti reperti alieni, presumibilmente con l’intento di testarne la segretezza e il senso di lealtà alla causa. Secondo alcune testimonianze, certi ufficiali erano addirittura convinti di essere stati reclutati in un programma fantomatico noto come “Yankee Blue”, il cui scopo era sviluppare innovazione scientifica partendo dall’analisi di reperti tecnologici extraterrestri. Questo modus operandi è proseguito fino alla primavera 2023, quando l’Ufficio del Segretario della Difesa ha ufficialmente ordinato di interrompere tali pratiche, pur senza rendere note le dimensioni reali del fenomeno.

Referendum cittadinanza e lavoro, niente quorum: alle urne solo il 30%

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È fallita con ampio margine la corsa al quorum nei cinque referendum abrogativi su cittadinanza e lavoro. Secondo i dati del Viminale, che ha quasi chiuso i conteggi, tra domenica 8 e lunedì 9 giugno ha votato su ognuno dei cinque quesiti circa il 30% per cento degli aventi diritto di voto in Italia (serviva il 50% + 1). Complessivamente, il numero dei “sì” ha superato ampiamente quello dei “no”. Secondo le prime rilevazioni sui voti espressi, la forbice è assai larga nei quesiti sul lavoro (ad ora i “sì” risultano tra l’86 e l’89 per cento), mentre quello sulla cittadinanza segna al momento il 64% dei “sì” e il 36% dei “no”.

In alcuni comuni lombardi tornerà la DAD per non disturbare le Olimpiadi di Milano-Cortina

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Le Olimpiadi Invernali Milano-Cortina 2026 si avvicinano e continuano a fare discutere. Tra le misure per mitigare l’impatto logistico e sulla viabilità che inevitabilmente l’evento avrà sui territori, è infatti spuntata la decisione di ricorrere alla didattica a distanza (DAD) per gli studenti delle scuole superiori nelle aree coinvolte. È quanto stabilito dall’Ufficio Scolastico Regionale (USR) della Lombardia che ha deciso che, dal 6 al 22 febbraio 2026, la continuità didattica potrà essere assicurata anche attraverso il ripescaggio delle normative pandemiche per «ragioni logistiche e di sicurezza». Nonostante, ad anni di distanza, siano ormai noti e provati i danni che la didattica a distanza ha provocato sul livello di apprendimento e sul benessere psico-fisico degli studenti.

Una tensione tra le esigenze organizzative dell’evento e il diritto a una continuità didattica di qualità che solleva interrogativi sulla priorità accordata a eventi straordinari rispetto alle ordinarie necessità formative. Inoltre, in molti hanno sottolineato come interventi ritenuti speciali in altri contesti (come in quello pandemico, in cui ogni decisione straordinaria di questo genere è stata presa in ottica emergenziale) divengono normali dispositivi da poter applicare ogniqualvolta si ritenga necessario.

Durante i periodi di picco dell’evento olimpico, con un afflusso massiccio di persone, problemi di traffico, trasporti e gestione della sicurezza, limitare gli spostamenti di chi deve recarsi a scuola mitigherebbe la circolazione di persone della zona. In questo scenario, la DAD viene presentata come una soluzione pragmatica per evitare il caos e garantire la sicurezza degli studenti e del personale. Tuttavia, la sua applicazione non è affatto indolore e riaccende vecchi spettri di un modello didattico che ha mostrato tutti i suoi limiti formativi, sociali, pedagogici e psicologici (già tre anni fa ne scrivevamo in maniera approfondita).

Secondo USR Lombardia, la soluzione della didattica a distanza sarebbe efficace perché consentirebbe di preservare il calendario scolastico, garantire la qualità dell’offerta formativa, tutelare il diritto allo studio e alleggerire il traffico nei giorni delle competizioni. Le opposizioni locali si dicono fortemente contrarie. Il PD locale, il 1° giugno scorso, ha emesso un comunicato stampa con cui si contestata l’idea che la DAD sia una soluzione accettabile, richiamando le difficoltà riscontrate durante la pandemia, quando la didattica a distanza ha spesso acuito disuguaglianze sociali e digitali, compromettendo la qualità dell’apprendimento e la socialità degli studenti. L’argomentazione è chiara: non si può sacrificare la scuola sull’altare di un evento sportivo, per quanto prestigioso.

La teoria più diffusa sul destino della nostra galassia potrebbe essere sbagliata

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La collisione tra la Via Lattea e la galassia di Andromeda, ipotizzata da oltre un secolo e prevista per tra circa 4,5 miliardi di anni, potrebbe in realtà non avvenire affatto: è quanto emerge da un nuovo studio condotto da un team internazionale di ricercatori, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato su Nature Astronomy, secondo cui la probabilità che le due galassie si scontrino in un impatto frontale nei prossimi dieci miliardi di anni sarebbe solo del 50%, mentre lo scenario considerato più probabile finora – una fusione completa in 4-5 miliardi di anni – avrebbe appena il 2% di possibilità. I ricercatori, guidati dall’astronomo Till Sawala dell’Università di Helsinki, hanno fatto la scoperta prendendo in esame oltre centomila simulazioni al computer basate su dati dei telescopi spaziali Gaia e Hubble. «Fino ad ora pensavamo che questo fosse il destino che attendeva la nostra galassia, la Via Lattea. Ora sappiamo che ci sono ottime probabilità di poter evitare quel destino spaventoso», commentano i coautori, aggiungendo che lo studio ribalta le precedenti certezze e mostra che il destino della nostra galassia resta, per ora, tutto da scrivere.

Per comprendere la portata del nuovo risultato, occorre fare un passo indietro. Fin dal 1912 si sospettava che Andromeda – allora ritenuta solo una nebulosa – stesse viaggiando in direzione della Via Lattea. Le misurazioni più precise erano giunte un secolo dopo, grazie al telescopio spaziale Hubble, che aveva rilevato un moto laterale trascurabile da parte di Andromeda, lasciando intendere che un impatto diretto fosse inevitabile. Le simulazioni condotte allora indicavano una fusione galattica prevista tra circa 4,5 miliardi di anni, e questo scenario era stato ulteriormente rafforzato nel 2012 da uno studio che analizzava i dati di Hubble raccolti in un intervallo di cinque-sette anni. Tuttavia, i nuovi dati forniti dalla missione Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea e da successive osservazioni Hubble hanno permesso di sviluppare simulazioni più complete, capaci di tenere conto dell’incertezza associata a ogni parametro osservativo. I ricercatori hanno infatti utilizzato un approccio di tipo Monte Carlo, che consente di valutare gli effetti congiunti di numerose variabili, tra cui la massa, la posizione e la velocità delle galassie del cosiddetto Gruppo Locale.

In particolare, gli autori hanno osservato che la traiettoria della Via Lattea è fortemente influenzata da galassie più piccole ma massicce, come la Grande Nube di Magellano (LMC), che orbita attorno a essa, e M33, satellite di Andromeda. Si tratta di corpi celesti che esercitano forze gravitazionali sufficienti a deviare il moto reciproco delle due galassie maggiori, riducendo così la probabilità di una fusione imminente. «La massa extra della galassia satellite di Andromeda, M33, attira la Via Lattea un po’ più verso di sé. Tuttavia, la Grande Nube di Magellano la allontana dal piano orbitale e da Andromeda», commentano infatti i coautori. Nelle simulazioni, circa metà degli scenari mostrano un avvicinamento tra le due galassie seguito da un lento decadimento orbitale dovuto all’attrito dinamico tra i loro aloni di materia oscura, che solo in alcuni casi porta alla fusione dopo diversi miliardi di anni. Nell’altra metà delle simulazioni, però, le galassie non si disturbano affatto e passano vicine senza mai collidere o continuano a orbitarsi attorno per tempi indefiniti. Un’ultima osservazione, più rassicurante che cosmica, riguarda il fatto che anche nel remoto caso in cui Via Lattea e Andromeda si fondessero, la Terra probabilmente non ne subirebbe effetti diretti. Lo stesso Sole, infatti, diventerà una gigante rossa tra circa 5 miliardi di anni, inghiottendo con ogni probabilità anche il nostro pianeta: «Il destino della nostra galassia rimane una questione aperta, con probabilità quasi uguali per una fusione o per una sopravvivenza reciproca. La risposta breve è che la fine del Sole sarà molto peggiore per il nostro pianeta della collisione con Andromeda».