domenica 23 Novembre 2025
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Lavoro minorile e deforestazione: i lati oscuri di una tavoletta di cioccolata

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La lavorazione del cacao nelle piantagioni è una delle maggiori cause di sfruttamento minorile e della deforestazione principalmente in Africa. Un mercato mondiale da 123 miliardi di dollari l’anno che non guarda in faccia nessuno. Secondo i dati dell’Ong Slave Free Chocolate un quarto dei minorenni che vivono in Africa occidentale vale a dire quasi 3 milioni, vengono sfruttati  per lavorare senza sosta nelle piantagioni di cacao, trasportando pesanti carichi nella totale insicurezza, respirando pesticidi e fertilizzanti nocivi utilizzati per aumentare la produttività. L’International Cocoa Initiative ha confermato che lo sfruttamento minorile delle piantagioni di cacao con la recente pandemia e la conseguente crisi economica è aumentato del 21%.

Oltre al totale sfruttamento, alle violazioni dei diritti umani e ad una rapidissima deforestazione, la filiera delle multinazionali del cacao contribuisce all’emissione di  milioni di tonnellate di gas serra. Il 70% di tutta la produzione mondiale del cacao si concentra in Ghana, Costa d’Avorio, Sierra Leone e Camerun dove le foreste scompaiono a ritmo di 4,2% all’anno. Un’inchiesta del Guardian denuncia che tra il 2001 e il 2014 in Ghana sono stati distrutti oltre 290.000 ettari di aree naturali protette e 7.000 kmq di selva. La Costa d’Avorio da sola, nel 2014, ha perso 328.000 ettari di foresta. Secondo alcune stime a causa del riscaldamento globale e della crescente e sfrenata richiesta di cioccolato, nel 2050 in Africa non ci saranno più piantagioni di cacao.

Ema: vaccino AstraZeneca è sicuro ed efficace

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L’Agenzia Europea del Farmaco (Ema) concede nuovamente il via libera all’utilizzo del vaccino AstraZeneca dopo lo stop cautelativo dei giorni scorsi. «È un vaccino sicuro ed efficace e i benefici superano i rischi», ha affermato la direttrice Cooke, aggiungendo che «non è emerso un legame tra la somministrazione ed eventi tromboembolici». La nota assicura che comunque ci saranno approfondimenti su casi avversi rari.

Se 4 indizi fanno una prova: Biden ha scelto il ritorno alla guerra fredda con la Russia

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Il problema del giornalismo mainstream è che rinuncia quasi sempre a fare il compito più importante che chi informa dovrebbe avere: unire i puntini. Ogni notizia viene trattata come un fatto di cronaca a sé stante, senza un ieri e un domani collegati. Così il fatto di ieri, con il presidente Usa che ha dato al suo omologo russo dell’assassino in diretta tv, e il conseguente annuncio di Mosca del ritiro “per chiarimenti” del proprio ambasciatore a Washington rischia di non essere colto nella cornice di fatti che serve a collocarlo. Non è una scaramuccia esplosa dal niente, e i presunti tentativi di Mosca di influire sulle presidenziali americane non ne sono la reale causa.

Da quando Biden si è insediato questo è il quarto atto chiaramente ostile nei confronti della Russia: per prima cosa il 9 febbraio gli Usa hanno dispiegato 4 caccia bombardieri nella base di Orland in Norvegia, al manifesto scopo di avvertire la Russia che i suoi interessi nella regione artica sono sotto tiro poi, la settimana successiva, Biden è passato a minacciare l’Europa di sanzioni se non porrà fine al progetto del gasdotto Nord Stream 2, che porterebbe gas dalla Russia all’Europa direttamente attraverso il mar Baltico, senza passare per gli stati orientali controllati dagli Usa, e quindi privando il gigante a stelle e strisce della facoltà di controllarlo. Per ultimo, il 2 marzo, gli Usa hanno approvato nuove sanzioni economiche verso la Russia in seguito al “caso Navalny“.

In questo quadro emerge con evidenza come l’ultimo atto di Biden non è solo una dichiarazione senza precedenti nella diplomazia, ma è una nuova mossa in una cornice geopolitica pianificata, quella di un ritorno a rapporti ostili e bellicosi verso la Russia.

Inps: in un anno persi 660.000 posti di lavoro

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Sono 660.000 mila i lavoratori che hanno perso il posto in Italia tra dicembre 2019 e dicembre 2020, a calcolarlo è l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Inps sul precariato. La maggior parte dei posti di lavoro persi (493.000) riguardano i contratti a tempo determinato scaduti e non rinnovati. In generale i rapporti a tempo indeterminato sono cresciuti nell’anno (+ 259.000), ma c’è stato un calo drastico dei rapporti di lavoro basati su tutte le altre categorie contrattuali: – 919.000.

Auto elettriche: diritti umani o prezzi bassi? L’Europa di fronte al dilemma del cobalto

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Le auto elettriche non possono fare a meno del cobalto, minerale essenziale per le batterie. Solo in Europa per abbandonare le auto fossili ne serviranno 64.000 tonnellate entro il 2030. Un problema non solo per i costi, ma per il rispetto dei diritti umani. Il maggior produttore di cobalto è il Congo, e un terzo delle sue estrazioni provengono da miniere illegali dove il lavoro minorile è una regola. Per questo motivo, tra gli obiettivi dell’UE, c’è quello di costruire una rete di estrazione di cobalto sostenibile, un’iniziativa che, se verrà realizzata, innalzerà sensibilmente i costi di queste ultime.

Il Commissario europeo per la giustizia, ha intenzione di imporre a tutte le aziende, l’obbligo di implementare un processo di due diligence, volto a identificare, prevenire e mitigare, gli impatti negativi delle operazioni commerciali globali di cobalto, sui diritti umani e sull’ambiente. Quest’ambizione tuttavia, potrebbe essere difficile da realizzare, non solo per le difficoltà che si incontreranno nel reperimento etico del cobalto, ma anche per i costi elevati. Infatti, se l’approvvigionamento sostenibile del metallo diverrà obbligatorio per le batterie vendute nell’UE, la domanda di cobalto di origine responsabile aumenterà e, di conseguenza, anche i costi delle auto elettriche. È da tenere in considerazione che, già adesso, i prezzi di questo tipo di vetture sono in fortissima ascesa. Da gennaio infatti, è stato registrato un aumento del +65%. 

L’Italia al tempo dello smart working: una famiglia su tre ancora senza pc e connessione

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A poco più di un anno l’improvvisa necessità di lavorare in smart working e l’inevitabile DAD Didattica a distanza per le scuole, obbligano attualmente alcune categorie di lavoratori e più di 6 milioni di studenti ad una connessione a internet. Una recente analisi dell’ISTAT il Rapporto Bes 2020, per il  benessere equo e sostenibile dei principali fenomeni economici, sociali e ambientali in Italia, dimostra che un terzo delle famiglie italiane non possiede un computer e i 24,2% non ha o non usa una connessione internet. Ciò dimostra che gli italiani non hanno una digitalizzazione adeguata e stabile o di qualità sufficiente, quindi non in grado di supportare videochiamate e collegamenti a piattaforme on-line. Nonostante il governo abbia fornito delle risorse per sopperire alla situazione, riuscendo a coprire solo il 46% dei richiedenti, in Italia rimane un serio problema di infrastrutture inadeguate.

Questo crea in moltissimi casi una forte diseguaglianza didattica e lavorativa che la recente emergenza sanitaria ha evidenziato in un divario digitale e sociale grave, con un significativo gap tra un Nord e Sud. Nel mezzogiorno, infatti, le famiglie senza computer e senza un collegamento internet sono circa il 40% del totale. Il problema riguarda specialmente le famiglie di anziani, quelle a basso livello d’istruzione e con scarse disponibilità economiche, penalizzando fortemente anche la possibilità imprenditoriale e mettendoci al terzultimo posto (25°) della media europea.

Biden usa toni da guerra contro la Russia: “Putin è un killer”

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«Putin è un killer e pagherà un prezzo per aver tentato di influenzare le presidenziali Usa del 2020», la dichiarazione arriva dal presidente americano Joe Biden in persona, durante un’intervista in tv. Il leader russo non ha risposto alla provocazione, ma lo ha fatto il presidente della Duma, il parlamento di Mosca, dichiarando che le parole di Biden «costituiscono un attacco alla Russia» e sono il frutto di una «isteria provocata della sua debolezza»

A causa dell’uomo ora anche l’Amazzonia contribuisce al riscaldamento globale

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L’Amazzonia produce più emissioni di quante ne riesca ad assorbire, contribuendo, di fatto, al riscaldamento globale. Lo ha dimostrato un nuovo studio pubblicato su Frontiers in Forest and Global Change. I ricercatori hanno evidenziato che se si considerano tutti i gas serra, e non solo l’anidride carbonica, la foresta pluviale più grande al mondo genera più emissioni di quante ne catturi. Da ‘polmone verde’ del pianeta a ‘contributore netto‘ di gas serra, quindi. E la causa va, ancora una volta, ricercata nelle attività antropiche. La bonifica delle zone umide, ad esempio, aumenta le emissioni di protossido di azoto. Gli incendi rilasciano piccole particelle di fuliggine che assorbono la luce solare ed aumentano il calore. La deforestazione può alterare l’andamento delle piogge. Inondazioni regolari e la costruzione di dighe rilasciano gas metano, così come l’allevamento di bestiame. Circa il 3,5% di tutto il metano rilasciato a livello globale, infatti, proviene proprio dal disboscamento dell’Amazzonia.

L’Amazzonia è la più estesa area di foresta pluviale tropicale del pianeta. Salvaguardarla e cambiare rotta è però ancora possibile. Secondo la ricerca, frenare la deforestazione, limitare la costruzione di dighe ed aumentare gli sforzi per riforestare, sono le priorità. Tuttavia – precisano gli scienziati – “dato l’ampio contributo di altri agenti, la continua attenzione sulla sola CO2 non permette di comprendere la reale biogeochimica di un bacino in rapida evoluzione”.

Covid, Facebook intensifica la censura: etichette e penalità per i contenuti non verificati

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Facebook, il social network più utilizzato al mondo, nelle prossime settimane aggiungerà delle etichette sui post che discutono dei vaccini anti Covid-19. Ciò verrà fatto con l’impegno dichiarato di contrastare la diffusione delle fake news e di teorie cospirative. Lo ha annunciato la stessa azienda nella giornata di lunedì, tramite un articolo pubblicato sul suo blog ufficiale. Nello specifico, la decisione riguarda non solo Facebook ma anche Instagram, app del medesimo proprietario: Mark Zuckerberg. Le etichette applicate sui post di Facebook ed Instagram riporteranno delle informazioni ufficiali sulla sicurezza dei vaccini contro il coronavirus fornite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ad esempio, una delle etichette applicabili indicherà che “i vaccini anti Covid-19 passano attraverso test di sicurezza ed efficacia prima di essere approvati”. Inoltre, sono state stabilite anche delle misure temporanee, tra cui la riduzione della portata (ovvero della circolazione) dei post degli utenti che hanno violato la policy sul coronavirus e sulla disinformazione vaccinale o che hanno condiviso ripetutamente contenuti classificati come falsi dai “fact checker”.

L’azienda già nel mese di febbraio aveva adottato un politica restrittiva in tal senso, ampliando l’elenco delle informazioni false sul Covid-19 e sui vaccini e, da allora, sono stati rimossi ben due milioni di contenuti tra Facebook ed Instagram. Sullo sfondo rimane sempre la stessa questione: chi controlla che vengano rispettati i dettami costituzionali, se la censura è affidata a multinazionali private e non è sottoposta ad alcun controllo pubblico?

Usa, sparatorie ad Atlanta: 8 morti

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Otto persone, tra cui sei donne di origine asiatica, hanno perso la vita durante tre sparatorie ad Atlanta, in Georgia. Le sparatorie sono avvenute in tre diversi centri benessere ed il presunto autore della strage, un ragazzo di 21 anni, è stato arrestato. La polizia e l’FBI stanno indagando sul caso: si ritiene che si possa trattare di un crimine di odio contro la comunità asiatica, ma al momento non ci sono ancora conferme.