domenica 23 Novembre 2025
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Nuovo decreto Covid: obbligo vaccinale per i sanitari, ecco come funziona

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La nuova bozza del decreto Covid, approvata ieri sera dal Consiglio dei Ministri, ha introdotto l’obbligo di vaccinazione per il personale sanitario con il fine di tutelare la salute pubblica e garantire condizioni di sicurezza adeguate durante lo svolgimento delle prestazioni di cura ed assistenza. «Gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, farmacie, parafarmacie e studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2», si legge all’interno del decreto, nel quale viene sottolineato anche che l’obbligo perdurerà fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021. Inoltre, gli unici soggetti per i quali la vaccinazione non sarà obbligatoria (o quantomeno potrà essere differita) sono coloro che corrono pericoli per la salute, i quali dovranno essere attestati dal medico di medicina generale.

Le persone che non si atterranno a tale disposizione subiranno sanzioni che possono andare dallo svolgimento di lavori differenti, che non determinano il rischio di diffusione del contagio, alla vera e propria sospensione dall’attività lavorativa. Nello specifico, ove possibile si realizzerà la prima ipotesi e lo stipendio sarà quello corrispondente alla mansione esercitata ma, quando ciò non sarà praticabile, il diritto di svolgere il proprio lavoro sarà interrotto ed i soggetti non riceveranno alcuna retribuzione. Tale sospensione manterrà la sua efficacia «fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021».

Infine, il decreto stabilisce anche che coloro che effettueranno le vaccinazioni, se rispetteranno le regole stabilite, saranno esenti da qualsiasi responsabilità per i delitti di omicidio colposo e lesioni personali colpose, dei quali potrebbero essere accusati in seguito alla somministrazione del vaccino anti Covid. «La punibilità è esclusa quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione».

[di Raffaele De Luca]

Tra Iran e Israele è in corso una guerra navale segreta da ormai 18 mesi

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Tra Israele e Iran è in corso una «battaglia navale» che può definirsi a bassa intensità ma senza esclusione di colpi da entrambe le parti. Finora senza vittime ma che è parsa più volte sul punto di degenerare. La mattina del 25 marzo la nave cargo Lori, di proprietà israeliana, partita il 21 marzo dal porto di Der es-Salam in Tanzania e diretta al porto di Mundra in India è stata colpita nelle acque internazionali del Golfo di Oman, da un ordigno la cui natura non è stata ancora confermata ma quasi sicuramente si tratterebbe di una mina magnetica iraniana. O almeno questa è l’accusa israeliana. Sarebbe l’ultimo atto di atti che si verificano da tempo. All’inizio di marzo, Teheran aveva accusato Israele per l’attacco nel Mediterraneo orientale contro la nave portacontainer iraniana Shahre E Kord. Secondo il portavoce della compagnia di navigazione IRISL, il cargo era stata danneggiato da un oggetto esplosivo che aveva causato anche un piccolo incendio.

Come hanno riportato alcune inchieste giornalistiche, questi atti di sabotaggio sono gli ultimi di una situazione che dura da almeno 18 mesi. Apparentemente curioso come i due governi evitino accuratamente dichiarazioni ufficiali e neghino la maggior parte degli attacchi, inclusi quelli subiti. Il motivo del silenzio, secondo una indagine quotidiano israeliano Haarez, è che per differenti motivi nessuno dei contendenti ha interesse a rendere pubblico quanto sta accadendo. Per Israele significherebbe ammettere di sabotare navi iraniane e utilizzare ordigni in un’area di passaggio internazionale fra le più importanti al mondo e dove transitano migliaia di imbarcazioni l’anno. Dall’altra parte anche l’Iran, che secondo le stime ha subito i maggiori danni con 12 navi colpite dal 2019, denunciando gli attacchi dovrebbe spiegare perché le sue navi si trovino li, ovvero in probabile violazione delle sanzioni che le negano il trasporto e il commercio di greggio, armi e altre merci di contrabbando destinate al potenziamento militare delle milizie Hezbollah. Nel frattempo Israele ha diramato un comunicato di massima allerta a tutte le navi in transito nel Mar Arabico, nel Golfo di Oman e nel Golfo Persico raccomandando di aumentare le misure di sicurezza ed evitare le rotte più prevedibili.

Queste nuove tensioni si verificano in concomitanza con una difficile situazione di instabilità politica in Israele dove le ultime votazioni non hanno permesso a Benjamin Netanyahu di conquistare la maggioranza parlamentare sufficiente a governare, rischiando così un ulteriore ricorso alle urne. Inoltre pongono chiaramente nuove difficoltà alla ripresa delle trattative sul rinnovo dell’accordo sul nucleare che era stato raggiunto tra Iran, Usa ed Europa e che ora – dopo il disconoscimento dell’amministrazione Trump – si sta cercando di riportare in campo come garanzia di pace nell’area.

[di Federico Mels Colloredo]

Usa: sparatoria in California, almeno 4 morti

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Nella sud della California, ad Orange, una sparatoria ha provocato la morte di almeno 4 persone, tra cui un bambino. Essa è stata effettuata da parte di un uomo, che ha aperto il fuoco per motivi ancora sconosciuti. Quest’ultimo è rimasto ferito in seguito all’intervento degli agenti ed è stato portato in ospedale.

Oms chiede inchiesta su possibile fuga del Covid-19 da laboratorio

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Il direttore dell’Oms, Tedros, ha criticato la Cina per non aver condiviso dati completi ed originali sul Covid-19 ed ha chiesto una nuova indagine sull’ipotesi di fuga del virus da un laboratorio cinese. Egli ha affermato che nonostante gli esperti dell’Oms, in seguito alle missioni effettuate a Wuhan a gennaio e febbraio, abbiano affermato che la fuoriuscita da un laboratorio sia un’ipotesi poco probabile, una nuova inchiesta è necessaria in quanto questi ultimi hanno avuto difficoltà ad accedere ai dati grezzi.

Sicilia: “140 morti Covid non comunicati per evitare la zona rossa”

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Si allarga lo scandalo che ha condotto ieri a tre arresti e al coinvolgimento dell’assessore alla Salute della Sicilia Ruggero Razza, che si è dimesso. Dalle intercettazioni – pubblicate dal Giornale di Sicilia – emerge il caso di 140 decessi di pazienti positivi al Covid non comunicati. Azione che avrebbe fatto parte di un piano per evitare che la regione fosse inserita in zona rossa, come la comunicazione di dati di positivi al ribasso e di numeri sui tamponi effettuati gonfiati per migliorare il parametro RT.

La Scozia è riuscita a produrre il 97% dell’energia utilizzata con fonti rinnovabili

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La Scozia nel 2020 ha prodotto il 97,4% dell’energia elettrica consumata tramite l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile, mancando di poco l’obiettivo prefissato dal governo nel 2011 di soddisfare, entro quest’anno, il 100% della domanda di elettricità in tal modo. Ma i progressi fatti dalla nazione sono notevoli: nel 2011 questa percentuale era solo del 37% e, da allora, il Paese ha triplicato la produzione di energia elettrica pulita, soddisfacendo la domanda energetica di oltre 7 milioni di famiglie. Questo modo di operare sta creando nuovi posti di lavoro in tutto il Paese e, soprattutto, sta salvaguardando l’ambiente, rinunciando all’emissione di milioni di tonnellate di carbonio ogni anno. I combustibili fossili appartengono ormai al passato: nel 2016 l’ultima centrale elettrica a carbone della Scozia è stata chiusa, mentre è solo una la centrale a gas ancora presente nel Paese.

Ma la transizione verso una produzione energetica sostenibile non finisce qui: una legge scozzese sui cambiamenti climatici stabilisce l’obiettivo vincolante di arrivare a 0 emissioni nette entro il 2045, ovvero ricoprire tramite l’energia pulita il 100% di quella necessaria non solo per l’elettricità, ma anche per il riscaldamento e per i trasporti. Infatti, quasi il 25% dell’energia utilizzata in Scozia deriva dai trasporti e più del 50% dal riscaldamento non elettrico, dal quale dipendono più della metà delle emissioni. Attualmente solo il 6,5% del calore non elettrico è generato da fonti rinnovabili e, perciò, nei prossimi anni si lavorerà in tal senso. Proprio per questo, in vista delle elezioni scozzesi di maggio 2021, lo Scottish Renewables (l’ente commerciale scozzese per l’industria delle energie rinnovabili) ha pubblicato un manifesto in cui vengono indicate le priorità alle quali il nuovo governo dovrebbe attenersi per perseguire, in maniera sempre più efficace, l’obiettivo delle 0 emissioni nette.

[di Raffaele De Luca]

YouTube elimina il canale di informazione ByoBlu: chi garantisce la democrazia nella rete?

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Il canale ByoBlu è stato cancellato dalla piattaforma YouTube, in un attimo e senza avviso sono scomparsi circa duemila contenuti caricati in 14 anni di attività da uno dei più longevi progetti di informazione indipendente in Italia. La rimozione definitiva del canale è avvenuta ieri, notificata all’editore Claudio Messora con una mail «all’interno della quale la piattaforma video spiega che all’origine dell’oscuramento ci sarebbe la presenza sul canale di un’intervista a Mohamed Konare». L’intervista in questione era in verità presente sul canale da diverse settimane e al suo interno l’attivista panafricano Konare parlava di neocolonialismo e delle attività di stati occidentali e multinazionali in Africa.

Il canale aveva mezzo milione di iscritti e già da tempo era finito nel mirino della piattaforma. Nei mesi scorsi erano stati rimossi alcuni video, tra i quali due contenenti immagini di manifestazioni di piazza e una edizione del telegiornale prodotto dalla redazione nel quale si ponevano dubbi sull’efficacia del vaccino Pfizer a partire da un editoriale del ricercatore Peter Doshi pubblicato sulla rivista scientifica British Medical Journal. Rimozioni ai quali erano seguiti periodi sanzionatori, con l’oscuramento a tempo del canale. Culminati il 23 febbraio scorso quando la piattaforma aveva comunicato all’editore, Claudio Messora, che il canale era stato demonetizzato, ovvero privato dei quasi 5.000 abbonati che avevano scelto liberamente di donare un contributo mensile a ByoBlu per permettergli di sostenere le trasmissioni.

Questi i fatti, che lasciano aperti dubbi legittimi sulle ambizioni inquisitorie sempre più evidenti da parte dei big della rete, a cominciare da Facebook e Google (proprietaria di YouTube). Queste, reclamando il loro essere società private, rivendicano il diritto a rimuovere a proprio insindacabile giudizio canali, pagine e utenti i cui contenuti non sono graditi. E su questa interpretazione si annoda una questione sempre più all’ordine del giorno sul diritto di informazione. Le due piattaforme controllano ormai grossa parte del traffico internet, almeno in occidente, e su di esse si informano milioni di cittadini. Tuttavia non è previsto che queste debbano uniformarsi alle leggi nazionali ed internazionali che tutelano il diritto di informazione.

La questione, specie dopo che è stato bannato da diversi social l’ex presidente Donald Trump, è all’ordine del giorno negli Usa. Dove alcuni costituzionalisti hanno proposto di estendere alle piattaforme internet la cosiddetta state action doctrine, ossia la norma che prevede che se una compagnia privata occupa un foro pubblico non può procedere alla censura contenutistica del discorso pubblico, in quanto depriverebbe la democrazia dei prerequisiti del suo funzionamento. Una norma in passato applicata vietando alle imprese che possedevano le cosiddette company towns – ossia grandi complessi residenziali collegati alle industrie e gestiti privatamente – di vietare manifestazioni, volantinaggi ed altre forme di comunicazione del dissenso salvaguardate dalla costituzione.

In Europa non esistono norme del genere ed anzi con il codice contro l’hate speech, si è creato un precedente pericoloso. La norma, infatti, se da una parte mirava a responsabilizzare le piattaforme – considerandole responsabili dei “contenuti d’odio” su di esse pubblicati – ha di fatto delegato ad esse il compito di valutare e rimuovere i contenuti, incamminandosi verso un privatizzazione sostanziale della censura.

In questo quadro legislativo carente, codificato quando le idee circolavano solo sui media tradizionali e nelle piazze, le piattaforme si muovono come meglio credono e con sempre più evidenti tentazioni censorie. Un fatto che oggi interessa ByoBlu, ma in realtà riguarda l’informazione e la democrazia nel suo complesso.

 

 

 

 

Amazon: Andrea Orlando promuove dialogo tra azienda e sindacato

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Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha dichiarato che convocherà l’azienda e le parti sociali per definire un percorso di dialogo tra le parti che avrà ad oggetto anche l’introduzione di nuovi diritti per gli occupati della società. Tali parole, pronunciate durante un’intervista rilasciata a Skytg24, arrivano in seguito alla protesta dei lavoratori Amazon svoltasi in tutta Italia negli scorsi giorni.

Napoli, blitz anti camorra: arrestate 8 persone

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In seguito ad un’indagine della Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Napoli, i carabinieri hanno arrestato 8 persone ritenute vicine al clan Lo Russo.
Nello specifico, gli individui appartengono al gruppo “ngopp Miano”, che opera nella zona nord di Napoli, e sono accusati a vario titolo di: rapina aggravata dall’uso delle armi ed estorsione, con l’aggravante di aver commesso i reati per aiutare il clan Lo Russo a conseguire il controllo criminale a Miano ed in alcuni comuni limitrofi.

Le multinazionali del petrolio all’assalto dei parchi naturali africani

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Oltre il 70% dei siti naturali africani patrimonio dell’Unesco è oggetto di concessioni minerarie e petrolifere. È quanto sottolineava, già nel 2016, un report del Wwf. Oggi, alla luce delle intenzioni della società francese Total, le cose non sembrano migliorare. La multinazionale d’oltralpe ha previsto, infatti, dieci nuove trivellazioni in diverse riserve del continente. Sei Organizzazioni non governative, ugandesi e francesi, hanno però opposto resistenza facendo ricorso al tribunale di grande istanza di Nanterre. Secondo le Ong, il progetto di costruzione di un oleodotto, dai pressi del Lago Alberto in Uganda all’Oceano Indiano, minaccerebbe l’ambiente e la salute umana. Nonostante gli abitanti dei luoghi oggetto dei test di perforazione abbiano già accusato disturbi dell’udito e problemi respiratori, il tribunale di Nanterre prima e la Corte d’appello di Versailles poi, si sono dichiarati incompetenti.

Preoccupa la situazione nel resto del continente. Nel 2018, il Consiglio dei ministri della Repubblica Democratica del Congo aveva già declassato il 21,5% del Parco Nazionale del Virunga e il 40% del Parco nazionale della Salonga a zone di interesse petrolifero. Namibia e Botswana, nel 2020, hanno invece concesso alla società canadese ReconAfrica permessi di prospezione a discapito di 35mila chilometri quadrati lungo il fiume Okavango. In Botswana, nonostante le 4.500 pitture rupestri presenti, è prevista poi una trivellazione nel sito archeologico di Tsodilo Hills. La posta in gioco è chiaramente alta: nell’area, infatti, si stimano riserve di petrolio equivalenti a 100 miliardi di barili. In Nigeria, su richiesta della Corporazione cinese del petrolio, il governo ha declassato oltre la metà della più grande area protetta d’Africa. In questo caso però – rassicura la Commissione europea – i confini del parco sono stati riadattati per mantenere inalterata la superficie iniziale.

Altra nota positiva è la riuscita, nel luglio 2020, di una mobilitazione che ha impedito la ricerca di gas in un santuario marino a largo del Mozambico. Nel complesso, tuttavia, sono i tentativi di repressione a predominare. Un mese dopo, ad agosto, sono state arrestate dieci persone contrarie all’oleodotto della Total. Così come altre nove, tra giornalisti ed attivisti, trattenute dalla polizia ugandese di modo che non potessero manifestare. Senza parlare poi delle pressioni subite dai testimoni direttisi a Nanterre in occasione del processo contro la Total del 2019. Anno in cui la stessa multinazionale avrebbe annunciato l’investimento di 100 milioni di dollari l’anno per la salvaguardia delle foreste. «Un tentativo – secondo Alain Karsenty, economista del Cirad – di addormentare la vigilanza del pubblico».

In generale, negligenza ed assenza di volontà politica dominano la scena. Le concessioni petrolifere in Africa minacciano corridoi migratori di animali selvatici, la più grande popolazione di elefanti del continente, oltreché santuari di bonobo e gorilla. La regione dei Grandi Laghi, inoltre, sarebbe particolarmente vulnerabile. Secondo uno studio del 2016, le estrazioni nel lago Tanganica potrebbero avere effetti devastanti. Si tratta, infatti, di un ecosistema chiuso il cui completo ricambio delle acque richiederebbe settemila anni. L’eventuale impatto di una perdita di petrolio potrebbe quindi durare così a lungo da pregiudicare la sopravvivenza di oltre dieci milioni di abitanti. E questo è solo un esempio.

[di Simone Valeri]